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Distretto ceramico
Protagonisti
Marco Castellano:
“Il monomandatario”
è già un caso
Federica Minozzi,
l’amore spiegato
attraverso il Sè
Il regista sassolese parla del
suo film mononeorealista
sul business delle ceramiche
L’imprenditrice ha dato
alle stampe una nuova
raccolta di poesie
pagina 5
pagina 7
150
by Ceramicanda
Il giornale di tendenza che non grava sulle casse dello stato
DSTRISCIO
C’è puzza ma
non di bruciato
anno 6 numero 150 • 22 Novembre 2014 • euro 1,00
La stampa digitale
cambia l’aria in ceramica
“
segue a pagina 3
Aziende
La Ferro
acquisisce
Vetriceramici
pagina 4
Sassuolo
Che fine farà
il Teatro Carani?
Proprietà e Amministrazione
Comunale ai ferri corti:
la guerra di posizione
è appena cominciata
Di Roberto Caroli
pagina 9
Casalgrande
«Rocking Chairs,
keep rockin’ !!!»
LA PRIMA WEB TV
IN
ITALIANO E INGLESE
INTERAMENTE
DEDICATA ALLA
CERAMICA DI TUTTO
IL MONDO
www.ceramicandainternational.com
I versi si trovano nell’aria”
scriveva D’annunzio. Oggi
nell’aria del distretto ceramico al posto dei versi troviamo
la puzza. Niente di allarmante,
tutto sotto controllo, soltanto
qualcosa di fastidioso ma non
tossico. Già perché la stampa
digitale su ceramica, o meglio
gli inchiostri e i solventi naturali impiegati nell’applicazione digitale del colore, a questo
ha portato. Finché le nuove
stampanti installate nel contesto produttivo erano poche
il problema non si è avvertito,
ma oggi che hanno preso il sopravvento e si trovano su quasi
tutte le linee di smaltatura il
fenomeno è apparso nella sua
pienezza e maleodorante conseguenza. Molti vorrebbero
vivere in campagna, lontano da
tutto e da tutti, ma a qualcuno
non riesce e deve accontentarsi
di abitare nei pressi delle unità
produttive che sfornano quotidianamente piastrelle decorate
e smaltate in digitale. E a loro
la puzza non garba tanto da
spingerli a denunciare, alcune
settimane fa, il problema alle
autorità locali: da li i titoli a
caratteri cubitali sulle prime
pagine dei giornali. Insomma è stato montato un caso
sul quale noi de “il Dstretto”
e “Ceramicanda” vorremmo
fare chiarezza, senza creare
falsi allarmismi anzi, se possibile, tranquillizzare chi vive nel
comprensorio ceramico sulla
non tossicità del fenomeno.
MERCATO
La migliore
comunicazione
ceramica
si arricchisce
di un nuovo
strumento web:
CERAMICANDA
INTERNATIONAL
ossia una
all news 24 ore
su 24
sul mondo
ceramico.
NEWS
E
INNOVAZIONE
TECNOLOGICA
DI
PROCESSO
ALLA
BASE DEL FORMAT
Il prossimo 13 dicembre
la reunion della storica band
fondata da Graziano Romani:
un nuovo inizio?
pagina 10
Scandiano
Una gita al
Furnasòun
A
lcune componenti presenti nelle formulazioni dei
colori per la decorazione digitale emanerebbero
cattivo odore dopo la combustione, ovvero a seguito
della cottura delle piastrelle. La vicenda, ad oggi in
divenire, è diventata di dominio pubblico da poche
settimane, ma il problema esiste da tempo, tanto che
Confindustria Ceramica e Ceramicolor, le due associazioni che rappresentano i produttori di piastrelle e
i fornitori di colori, sono al lavoro con una commissione congiunta che si sta occupando delle vicenda. Il
Dstretto non ha voluto essere da meno, e ha chiesto un
parere agli addetti ai lavori, e non solo...
a pagina 2 e 3
BAR DELLE VERGINI
La Procura promuove le elezioni…
“
…vai a votare domenica?”, è la frase che risuona in questi giorni tra
i tavolini del Bar delle Vergini. Le risposte sono un caleidoscopio di
confusione: “Ancora referendum?”, “Ma le province non le hanno abolite?”, “Ma l’abbiamo appena eletto il sindaco, lo mandiamo già via?”.
In effetti poca è stata la comunicazione su questa tornata elettorale e per
fortuna un po’ di pubblicità a queste elezioni regionali l’ha fatta la procura di Bologna con l’indagine sulle spese pazze dei consiglieri uscenti:
sex toys, cene luculliane e viaggi romantici sul lago…
Ultimo e unico esempio di
architettura paleoindustriale
presente nello scandianese,
e bene da salvaguardare
pagina 11
AccaDmenti
La burocrazia,
malaria italiana
Un’arma di distruzione di
massa, una selva oscura
che penalizza le attività
e avvilisce il cittadino
pagina 12
Rubriche
Poche tasse e
molti utili
Luxemburg Leaks, ovvero
il rigore spregiudicato e
levantino del Granducato
di Claude Juncker
pagina 15
Programmi d’abbonamenti anno VI, n° 150 di Novembre 2014 del bisettimanale “Il Dstretto” - Poste Italiane Spa Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L- 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1 - aut. N° 080032 del 28/05/2008 - DCB - BO
2
DSTRISCIO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Il mistero dei cattivi odori, a crearli
sarebbero i componenti dei colori
a vicenda è diventata di doLa questione è
L
minio pubblico da poche settimane ma il problema esiste da
mesi e mesi, tanto che Confinduin divenire: ciò
stria Ceramica e Ceramicolor, le
associazioni che rappresenche conta è che due
tano i produttori di piastrelle e i
fornitori di colori, sono al lavoro
tutti i soggetti
con una commissione congiunta.
Alcune componenti presenti nelle
contattati per
formulazioni dei colori per la decorazione digitale emanerebbero
saperne di più
cattivo odore dopo la combustioa seguito della cottura
hanno convenuto ne,delleovvero
piastrelle. Una problematica
venuta a galla nel reggiano, dove
sul fatto che
alcuni cittadini hanno denunciato
la presenza di cattivi odori nei
si tratta di
pressi di uno stabilimento di produzione, da li sono poi partite le
esalazioni non
indagini di Arpa. La questione è
e al momento nessuna
pericolose per la indelledivenire
due associazioni se l’è sentita di rilasciare dichiarazioni ufficiali in merito, ciò che più conta
salute
è che tutti i soggetti contattati per
saperne di più hanno convenuto
sul fatto che si tratta di esalazioni
non pericolose per la salute.
L’elevata concentrazione di sta-
bilimenti produttivi e la diffusione capillare delle macchine
per la decorazione digitale sono
le principali indiziate per la con-
centrazione di cattivi odori non
segnalate in altri distretti, pensiamo a Castellon in Spagna,
avvantaggiato dalla vicinanza al
Smalticeram: “siamo i primi a metterci le
mani, i nostri inchiostri non sono pericolosi”
L
Francesco Teggi
’indiziato principale per questi odori fastidiosi è l’inchiostro, siamo quindi entrati nel laboratorio di Smalticeram per farci
spiegare dal responsabile tecnico,
Francesco Teggi, quali elementi
chimici siano alla base di questo
strano fenomeno. “Sgombriamo
subito il campo da un equivoco:
i nostri inchiostri non contengono alcuna sostanza pericolosa, li
produciamo interamente in Italia
e siamo i primi a metterci le mani
dentro, è quindi nostro interesse primario fare si che non siano
pericolosi. Da tempo dedichiamo
molta attenzione ed impegno a
studiare composizioni che siano il
più possibile conformi e non crei-
no inconvenienti agli operatori”.
Nessun rischio, quindi, innanzitutto per gli operai delle linee di produzione: “Abbiamo cercato una
veicolazione che venisse incontro
all’operatore, all’inizio si erano
verificati odori fastidiosi che creavano disagio agli operai, per
questo nella componente organica
siamo passati ad un tipo di veicolo
che non avesse questo effetto. Abbiamo scelto veicoli più costosi,
avremmo potuto scegliere materiali con costi inferiori ma non lo
abbiamo fatto”. A tutt’oggi quindi
gli inchiostri made in Smalticeram
sono costituiti prevalentemente
da esteri di origine vegetale che
non hanno nessun odore, nessuna
emissione nociva e sulla schede
che non presentano alcuna dicitura di pericolosità”. Al momento si
lavora invece sul disagio olfattivo
che si crea una volta che gli inchiostri sono finiti nel forno o negli
essiccatoi: “Durante questa fase
vengono sprigionate sostanze nella parte iniziale della combustione
che finiscono per creare cattivo
odore al di fuori degli stabilimenti, dove scaricano i camini. Stiamo
lavorando in questa direzione, per
ottenere veicolazioni che siano più
compatibili con lo smalto che mettiamo sotto, che come sapete è a
base acquosa. Se riusciremo a fare
questo avremo un impatto meno
invasivo dal punto di vista olfatti-
vo”. Nel pieno della bufera sugli
inchiostri c’è anche chi ha puntato
il dito contro la riduzione dei costi
di produzione, facendo l’equazione meno costi uguale materiali più
scarsi: “Abbiamo sempre avuto
un occhio di riguardo prima alla
qualità che al prezzo, potremmo
utilizzare prodotti di origine petrolifera che costerebbero meno ma
non lo facciamo, contrariamente
ai competitor stranieri. Si è detto
che l’odore sprigionato nell’aria
sia simile a quello delle patatine
fritte, prendo a prestito il paragone
e continuo con il parallelismo: gli
oli che usiamo come veicoli negli
inchiostri costano molto di più degli olii per l’alimentazione”.
L’opinione
Lo studio di Zannini:“ne ho analizzati svariate decine, non contengono nulla di preoccupante
Paolo Zannini
Il chimico Paolo Zannini, Presidente della Società Ceramica Italiana e professore associato all’Unimore, sta da tempo effettuando uno studio approfondito sugli inchiostri utilizzati per la decorazione digitale. “Ho sentito parlare di questa problematica legata agli odori - ci spiega Zannini - è dovuto al
fatto che durante la combustione si formano molecole che hanno un odore caratteristico. La soglia olfattiva rispetto a certe sostanze è bassissima, quindi
poche molecole creano cattivi odori ma non hanno alcuna tossicità specifica”. Dal punto di vista normativo esiste una legislazione che indica quali
sostanze non devono finire nell’aria, come ad esempio piombo e arsenico, ma nessuna norma si occupa degli odori. “Il disagio olfattivo non è preso in
esame dalla legislazione, non c’è una soglia da non superare, sappiamo solo che certe sostanze non possono superare un certo quantitativo nell’aria”. La
buona notizia che arriva da Zannini è relativa alla tossicità di queste sostanze: “Mi sento di escluderla, certo sono odori fastidiosi ma non pericolosi, in
alcuni casi sono quasi gradevoli, ne ho sentiti alcuni che hanno un vago odore di frittura, del resto arrivano dalla combustione di acidi grassi”. Lo studio
che sta conducendo Zannini è relativo alla combustione degli inchiostri di nuova generazione: “Sto rilevando una miniera di differenti molecole, le sto
testando sia nel loro contributo alla formulazione dell’inchiostro, sia nella reazione che subiscono quando questo brucia nella cottura della piastrella.
E’ uno studio iniziato circa un anno fa, sono nel pieno della seconda parte, ho riscontrato moltissime molecole ma nessuna cattiva, c’è una quantità di
carbonio elevata ma senza arrivare a soglie di pericolosità”. Tra i prodotti analizzati da Zannini ci sono anche gli inchiostri a base acqua che potrebbero
rappresentare la soluzione allo sviluppo del cattivo odore: “Ne ho ricevuti due in tutto, sono ancora poco diffusi e per questo non c’è molto materiale
da analizzare; trovo comunque sia significativo già il solo fatto che inizino ad essere prodotti. Non so quali siano le problematiche tecnologiche per le
quali non vengono utilizzate testine adatte alla stampa digitale con inchiostri base acqua, non è la mia materia”.
mare. “A creare il cattivo odore
– ci spiega un chimico che fornisce materie prime ai colorifici
– sono le sostanze organiche bassopollenti che fanno da base per
le preparazioni coloranti, quando
si raffreddano dopo la cottura intasano le maniche di scarico, per
questo vengono pulite spesso. Se
l’uscita del vapore è veloce o la
sua temperatura molto elevata
ecco che può arrivare all’esterno
quell’odore sgradevole”. La soluzione, secondo il nostro chimico,
potrebbe arrivare dalla scelta di
inchiostri prodotti a base acqua,
un prodotto già realizzato dai
principali fornitori ma che sconta un grosso ostacolo. “I fornitori
di testine hanno proposto ai produttori di macchine testine adatte
agli inchiostri a base acqua, ma
nessuno ha ancora messo in commercio delle digitali che ne facciano uso”.
(Daniela D’angeli)
L’opinione
Franco Stefani:
“Il digitale ha
abbattuto di dieci
volte i volumi di
combustione”
I
l papà della Rotocolor Franco Stefani non ha dubbi sul
fatto che la decorazione
digitale sia il futuro, non a
caso ha lanciato sul mercato
Creadigit: “con la rotocolor
utilizzavamo oli minerali e
vegetali, il rapporto con la
digitale è di 10 a 1, con la
vecchia tecnologia consumavamo dieci volte di più”.
Va da sé che meno materiale usato per la decorazione
porta a meno materiale che
finisce nell’aria: “oggi i
quantitativi in combustione
sono una questione ridicola,
li abbiamo ridotti in maniera
sostanziale, tutto questo allarmismo creato dal cattivo
odore è gratuito soprattutto
se considerate che noi stessi siamo giunti all’uso della tecnologia a base acqua.
Sono guerre che non servono
a nulla queste”.
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
3
DSTRISCIO
La formaldeide è l’indiziato principale,
ma i livelli rispettano i limiti di legge
L
Ivan Panini
La sostanza
si forma nella
combustione
della piastrella
in forno. Le
normative del
distretto sono le
più restrittive a
livello mondiale
e prescrivono 20
microgrammi di
aldeidi per metro
cubo, le emissioni
ceramiche
restano sotto i 10
microgrammi
a percezione di odori e profumi è talmente soggettiva che
anche la scienza non può misurare
in maniera certa ed indubitabile la
soglia oltre la quale un’emissione
diventa fastidiosa, ciò che invece
la chimica riesce ad individuare
con sicurezza sono le sostanze che
hanno allertato la popolazione del
distretto ceramico. “La forte presenza della digitale in ceramica
ha determinato una forte trasformazione dei fumi emessi - spiega
Ivan Panini, responsabile scientifico di Studio Alfa di Reggio Emilia
- prima la componente prevalente
era di natura inorganica, fluoro,
boro e piombo, ora invece hanno
prevalentemente una natura organica a causa dell’uso prevalente
negli inchiostri di acidi grassi,
derivati ad esempio dal cocco”.
Le sostanze organiche usate come
basi per gli inchiostri di ultima generazione sono più stabili a temperature ordinarie, salvaguardano
quindi dalle emissioni chi lavora
sulle linee, ma hanno grande volatilità quando vanno in cottura,
soprattutto nella zona di preriscaldo dei forni, quando si ha una
prima combustione del materiale.
“Quando questi nuovo inchiostri prosegue Panini - subiscono questo sviluppo intermedio portano
con se una natura odorigena molto elevata. Naturalmente l’incremento di queste concentrazioni ha
determinato una trasformazione
notevole della qualità delle emissioni, impossibili da abbattere con
i sistemi utilizzati finora che puntavano alla riduzione delle componenti inorganiche attraverso
la calce”. Allo studio ci sono già
modalità di abbattimento pensate
specificamente per questa nuova
generazione di inchiostri e vengono dalle stesse aziende produttrici
di impianti per l’abbattimento dei
fumi: “Stiamo cercando un’affini-
tà chimica tra le sostanze che troviamo all’interno delle emissioni
e la sostanza che potenzialmente
utilizzeremo nell’abbattimento.
Dal punto di vista della reazione
chimica il carbone attivo è una
delle sostanze principe che ha una
buona affinità con il carbonio organico presente nelle emissioni.
Abbiamo già avviato una sperimentazione con Confindustria Ceramica per verificare le potenzialità di una miscela fatta da calce
e carbone in percentuali uguali,
dosata all’interno del filtro fumi
in maniera congiunta”.
A giocare un ruolo importante è
il ciclo di cottura, viene quindi
spontaneo ipotizzare un intervento sui forni, in particolare sul
preriscaldo: “E’ problema fondamentale - conferma Panini – negli
ultimi due anni c’è stata una grossa evoluzione sulla materia prima,
mentre l’evoluzione applicativa
non va di pari passo. Si sta cominciando a parlare dell’applicazione
di prodotti a base acqua, come
avviene da tempo nella stampa su carta, ma c’è un problema
tecnologico legato alle testine. E’
un dato di fatto che le sostanze si
sprigionano in una situazione oggettiva che si crea nel forno, perché questo non favorisce la giusta
combustione degli acidi grassi,
servirebbe una temperatura più
alta e una maggiore quantità di
ossigeno, in quelle condizioni si
avrebbe un ridotto impatto olfattometrico”.
La sostanza che crea quell’odore
fastidioso presente in alcune zone
del distretto è la formaldeide, un
elemento che incontriamo spesso nella nostra vita quotidiana:
è l’odore emanato dai mobili in
truciolare, ma anche quello che si
produce quando friggiamo qualcosa un casa. E’ un pungente ed
anche un po’ lacrimevole perché,
come spiega abilmente Panini,
“si scioglie facilmente in acqua e
quindi anche nelle lacrime, creando la sensazione di avere spilli negli occhi”. Per fortuna esistono già
linee guida sulle concentrazioni di
formaldeide ed in questo il distretto ceramico è preso ad esempio da
tutto il mondo. “Abbiamo le legislazioni più restrittive a livello europeo e mondiale, per il carbonio
vengono tollerati 50 milligrammi
per un metro cubo, mentre per le
aldeidi, tra cui la formaldeide, si
tollerano 20 milligrammi per me-
compongono, formano molecole
nuove, aldeidi e formaldeidi, che
sono poi all’origine della puzza.
Si tratta delle stesse sostanze
che troviamo nei fumi all’uscita
delle marmitte non catalitiche
delle nostre vecchie automobili. Perché quindi non dovremmo
preoccuparci? Perché sono già
state adottate le prime contromisure, altre usciranno dai tavoli di
lavoro avviati da Confindustria
ceramica, Ceramicolor e Società ceramica italiana. Stando agli
esperti della materia un primo
intervento efficace andrebbe fatto sull’abbattimento dei fumi del
forno con una miscela di nuova
concezione a base di calce e carbone attivo; altri invocherebbero
l’uso di inchiostri a base acquosa; altri ancora un intervento
sui forni legato al movimento
dell’aria nella zona di preriscaldo. Sono lontani i tempi in cui nel
distretto ceramico ci si ammalava di saturnismo e silicosi. “E’
il prezzo da pagare al benesse-
re” si diceva all’epoca; poi sono
arrivati i controlli, le restrizioni
normative, il rigido adeguamento da parte degli imprenditori,
gli investimenti ecosostenibili, le
certificazioni ambientali: il nostro distretto da questo punto di
vista è da decenni un’eccellenza
nel mondo ed un esempio per tutti. Ma non per questo dobbiamo
abbassare la guardia, e anche la
puzza va presa sul serio, come
stanno facendo.
(Roberto Caroli)
C’è puzza ma
non di bruciato
segue dalla prima pagina
M
a quali sono i prodotti
ceramici nei quali è più
utilizzata la digitale? Finti legni, finte pietre, finte resine,
finti cementi, finti tessuti, ovvero le piastrelle che vanno di
moda oggi: imitazioni talmente
precise da farle sembrare materiali naturali. Venature, nodi,
sfumature, crateri, alvei: tutto
in ceramica è replicabile con
la stampa digitale. Nata per
la decorazione su carta, sviluppatasi con il tempo anche
nei settori del legno, dei metalli,
della plastica, la stampa digitale non ha risparmiato neppure
le piastrelle di ceramica, ultime
ad averla scoperta e adottata.
Con una differenza sostanziale
rispetto ai materiali che l’hanno
preceduta: le piastrelle devono
misurarsi con il fuoco e le alte
temperature del forno, ed è qui
che casca l’asino. E’ in quel momento, secondo gli esperti, con
l’aumentare dei gradi centigradi
che inchiostri e solventi si de-
tro cubo. Nei fumi della ceramica
il carbonio ha valori medi di concentrazione tra i 15 e i 25 milligrammi, dipende da quanto è pieno il forno, mentre la formaldeide
è tra 5 e 6 milligrammi”.
L’aria del distretto è quindi sana,
la scienza però si ferma di fronte alla percezione della puzza:
“Odore e puzza sono soggettivi conferma Panini – ma c’è una scala di misura olfattometrica, è stata
studiata per il settore dei rifiuti ed
in alcuni casi, come in Lombardia, ha portato anche all’imposizione di limiti di emissione. C’è
poi una sorta di naso elettronico
prodotto dalla Sacmi, ne ha uno in
dotazione l’Arpa di Modena, ma è
in grado di monitorare solo certi
tipi di odori”.
(Roberto Caroli)
4
DISTRETTO CERAMICO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Ferro acquisisce Vetriceramici
Dalle aziende
THE SPACE:
IL NUOVO
SHOWROOM
STYLGRAPH
«
Daniele Bandiera
«Aggiungiamo
un’eccellenza ad
altre eccellenze»:
così Daniele Bandiera,
Amministratore
Delegato di Ferro
Italia, commenta
un’operazione
«destinata a
rafforzare la nostra
Società su mercati
strategici»
Il nostro obiettivo è quello di
continuare a crescere, e questa
ultima operazione va proprio in
questa direzione». Questo il commento di Daniele Bandiera, Amministratore Delegato di Ferro Italia,
a margine dell’acquisizione di Vetriceramici da parte della multinazionale statunitense, leader globale
nella fornitura di fritte, coloranti,
smalti e inchiostri per l’industria
ceramica, del vetro e dell’appliance, quotato a Wall Street. Annunciata a settembre, l’operazione verrà formalizzata entro il prossimo
primo dicembre e arricchisce Ferro
di un’ulteriore strumento attraverso
il quale rafforzare la propria leadership sui mercati globali. «La parola
arricchimento credo sia quella giusta, se si vuole giudicare l’operazione voluta dalla nostra corporate. Si
tratta di migliorare le nostre performances aziendali sia in Europa che
al di fuori del Vecchio Continente
sui business classici come le nostre
divisioni del performance coating
che si occupano della ceramica, del
vetro e dell’appliance smalti per lamiera. Alla luce degli incoraggianti segnali che a Ferro arrivano da
mercati come quelli del Nord Africa, con particolare rilievo all’egitto e alla Turchia, abbiamo scelto
di cercare aziende complementari
che potessero rafforzare la presenza Ferro su mercati di prospettiva», spiega ancora Bandiera, che
aggiunge come «in Vetriceramici
troviamo un’azienda importante,
fortemente internazionalizzata e
qualificata con capacità e livello di
servizio, ricerca e prodotto che ne
fanno un leader». Con un fatturato
di oltre 50 milioni di euro, stabilimento produttivo a Casola Valsenio, sede commerciale a Spezzano
e unità produttive all’estero, Vetriceramici è una delle realtà più
importanti nella produzione di graniglie colorate in fusione, graniglie
tecniche, micrograniglie colorate,
prodotti per doppio caricamento,
smalti ceramici, inchiostri per digitale in vetro e inchiostri per stampa
digitale destinati all’industria della
ceramica. Azienda la cui solidità è
certificata da quasi un trentennio (è
stata fondata nel 1987) di attività,
«e Ferro integrerà alle eccellenze
già presenti una campagna di rin-
novamento del brand guida, rafforzando ulteriormente quelle produzioni e quelle ricerche che daranno
ulteriore vigore a Vetriceramici.
Con questa operazione – chiude
Bandiera – aggiungiamo un’ulteriore eccellenza ad altre eccellenze
già presenti all’interno della nostra
organizzazione».
Con THE SPACE Stylgraph
si rinnova e festeggia i suoi
primi 30anni di attività, presentando ai propri clienti un
concetto innovativo di layout
espositivo,
completamente
rinnovato ed ampliato, con
forti caratteristiche estetiche e
funzionali. Uno spazio versatile e polivalente dove è possibile apprezzare e condividere
i nuovi progetti grafici ispirati
ai mood predominanti del momento in uno stile unico che
da sempre caratterizza il brand
di Stylgraph. La versatilità dei
materiali proposti, quali marmi, pietre, legni è frutto di un
importante ed assiduo lavoro
di ricerca che si intreccia, con
alta tecnologia e sperimentazione, al fine di poter realizzare prodotti finiti di alta definizione e gamma. THE SPACE
sarà una nuova area simbolo
della creatività, della ricerca
e dell’innovazione proprie del
Progetto Stylgraph, una continua sfida nel cercare un modo
sempre più unico ed esclusivo
di rivolgersi alla ceramica.
La globalizzazione “alla veneziana”: una metafora del presente?
di Claudio Sorbo
Anni fa mi visitai un castello
sulle Alpi francesi, vicino Annecy, in Alta Savoia. Era un edificio grigio, cupo ed inquietante di proprietà di una famiglia
locale di antica nobiltà miracolosamente sopravvissuta
alla Rivoluzione francese. Come ebbi modo di apprendere
dal custode, loquace e documentato, ai primi dell’800 uno
dei membri della dinastia che possedeva il maniero aveva
allegramente dilapidato una parte considerevole dei capitali di famiglia in viaggi in terre esotiche. All’interno dei
viaggi, poi, la maggior voce di costo erano state le belle
donne locali di cui immancabilmente si invaghiva: giovane, bello e facoltoso, era regolarmente ricambiato. La cosa
continuava finché qualcuno della famiglia non veniva
avvertito dalle banche dell’uscita abnorme di danaro. Immancabilmente, il congiunto bloccava i conti costringendo
il nobile a interrompere le relazioni amorose e a rientrare
precipitosamente in patria. Qui, nell’arco di un anno ricostituiva le scorte di danaro e partiva per una nuova meta
lontana. Da ogni viaggio il nobile rientrava portando con
sé bauli di cimeli locali: servizi da caffè arabi, ventagli e
sete balinesi, costumi rituali indiani, kimono di seta giapponesi, maschere lignee africane. Durante l’inverno, catalogava i ricordi e li sistemava in una sala del castello. Così,
viaggio dopo viaggio e sala dopo sala, col passar degli
anni il castello diventò un museo. Quando lo visitai, nella
sala giapponese mi colpì la divisa da combattimento di un
samurai. In particolare, la maschera destinata a coprirgli
il viso: era di pelle nera e presentava grandi baffi irsuti dipinti di verde. Chiesi alla guida come mai ci fossero i baffi
ed egli mi rispose che nel 1510 i portoghesi erano giunti
in Giappone: quasi tutti avevano i baffi e i giapponesi si
erano molto impressionati. Così i samurai avevano deciso
di montarli sulle maschere per spaventare a loro volta il
nemico. Al di là del folklore, questa storia ci dice che nel
1510 i portoghesi erano giunti in Giappone. E non erano
stati i soli ad andare tanto lontano: nel 1519 Hernàn Cortéz giunse a Cozumel, isoletta poco distante dallo Yucatan,
con 9 navi, una in avaria al traino, una in ritardo di due
giorni, 100 marinai, 508 soldati, poche colubrine (cannoni
leggeri) e pochi cavalli. Da lì iniziò l’attacco all’impero
azteco, oltre 25 milioni di abitanti. Nel 1521 fu conquistata
Tenochtitlàn, la capitale, e nel 1525 l’impero azteco non
esisteva più: la Spagna era diventata padrona del Messico e di una buona parte del Sud degli attuali Stati Uniti,
creando un tessuto sociale, culturale e religioso che dura
tuttora. A partire dal 1524 iniziò l’avventura di Francisco
Pizarro che occupò i territori dell’impero Inca, cui toccò
una sorte simile a quello degli aztechi. I portoghesi, grazie
alla loro scuola di marineria di Sagres (tuttora esistente)
formarono a partire dal 1500 una serie di grandi navigatori (tra cui anche Cristoforo Colombo) e conquistarono
al Portogallo il Brasile, finisce l’occupazione veneziana di
Mola di Bari, Monopoli, Trani, Brindisi, Otranto e Gallipoli. Poi, dopo alterne vicende punteggiate da conflitti
con Genova (prima) e coi turchi (poi), e con gli oppositori
interni, dopo atti di eroismo (il martirio di Marcantonio
Bragadin), di sensibilità sociale (le regole dei lavoratori
dell’Arsenale, una sorta di Assistenza Sociale ante litteram) e le inevitabili gelosie e viltà, la Repubblica di Venezia si spegne con l’occupazione napoleonica. Gli storici
sono concordi nell’affermare che Venezia è stata uccisa
dal suo provincialismo, dal non saper pensare in grande,
dall’accontentarsi di modesti successi locali: mentre alla
fine del 1400 i paesi europei si lanciavano verso le conquiste oltremare, Venezia continuava a dirsi regina di quella
pozzanghera che è il Mar Mediterraneo, anzi, di una sua
parte, l’Adriatico, lo Ionio e l’Egeo. Insomma, in un’era
in cui nasceva la globalizzazione mondiale dei commerci,
Venezia insisteva nel suo progetto bottegaio di arricchire
se stessa attraverso piccoli traffici costieri. La sorte di Venezia somiglia a quella di tante nostre imprese, che, in un
mondo che viaggia ai 200 orari 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno, continuano a fare quel che facevano trenta anni
fa solo perché allora il modello funzionava e arricchiva
tutti. Se il mondo cambia, le prime vittime sono quelli che
continuano a far le cose come prima e chiamano “novità”
ciò che chiunque sa fare.
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K
l’Africa: a ogni navigatore che occupava un pezzo di costa
ne seguiva un altro che ne conquistava uno successivo e
così avanti, fino a Zanzibar nel 1503, da lì proseguendo
fino a Goa sulla costa Ovest dell’India. Tra il 1521 e il
1530 occupano il Brasile e ne fanno una colonia, nel 1557
si insediano a Macao, poco lontano da Hong Kong. Nel
frattempo, gli spagnoli estendono il loro potere su tutta
l’America del sud e, a partire dal 1564, sulle Filippine. Nel
1600 nasce al Compagnia inglese delle Indie Orientali,
che porterà l’India a diventare una colonia inglese fino al
1947, nel 1602 viene fondata la Compagnia olandese delle
Indie Orientali che renderanno l’Indonesia una loro colonia fino al 1945. La ricchezza di questi paesi europei venne
dalla loro capacità di coniugare la brama di ricchezze, il
coraggio e la consapevolezza che il mondo non finiva alle
colonne d’Ercole. In quegli stessi anni, che ne era della
Serenissima Repubblica di Venezia, tanto strombazzata
da una retorica magniloquente, ultimamente rinverdita
da utopistiche spinte autonomiste? Nel 1492, mentre Cristoforo Colombo sbarca sul Nuovo Continente, a Venezia
viene terminata la ricostruzione del Palazzo Ducale e
viene avviata la fortificazione di Famagosta, avamposto
veneziano sull’isola di Cipro. Nel 1522, mentre Hernàn
Cortéz sta ultimando l’acquisizione alla Spagna dell’impero azteco, i turchi riconquistano Rodi, possedimento veneziano. Nel 1530, mentre Pedro Álvarez Cabràl consegna
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anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
5
DISTRETTO CERAMICO
“Il monomandatario”: guai e piastrelle
Il film
“mononeoralista”
di Marco Castellano
racconta le
dinamiche
dell’oggi del distretto
ceramico come
nessuno lo aveva
mai fatto: corrosivo
e dissacrante,
“il monomandatario”
è già un caso
P
ossibile sia nato come un
divertissment tra amici, che
ha trovato in Marco Castellano, oggi agente di commercio
(è socio in una commerciale
che si occupa, guarda un po’,
di ceramica) ma fino a qualche
anno fa videomaker con velleità non del tutto inespresse
di autore cinematografico, il
detonatore per farlo diventare
una storia nel senso proprio (e
anche letterario) del termine.
Probabile diventi, stando ai
primi riscontri, anche la prima
opera che racconta il distretto
ceramico del terzo millennio.
Perché altri, e non meno validi
Marco Castellano
Enrico Grassi
di Castellano, sono gli autori che
si sono cimentati nel raccontare il
distretto, ma Castellano è il primo
che per farlo ha scelto il lavoro.
Lavoro nel senso di mestiere: e
il lavoro che ha scelto Castellano
per raccontare, più che il distretto che cambia, come è cambiato
il distretto ceramico dalla crisi ad
oggi, è “il monomandatario”. La
professione (agente di commercio
rappresentante di una sola azienda) da’ il titolo al film, che Castellano dirige con bella spigliatezza
alternando ironia e paradosso,
ma volgendo uno sguardo spesso
caustico a quello che è diventato il
mestiere di chi vende ceramica, e
LA FRASE
Dopo aver passato mezz’ora in un piazzale ad aspettare un carrellista, ammirando la ricercata architettura del luogo(tipica
del distretto ceramico), il bravo Monomandatario si chiede
«come mai è saltato quel progetto di aprire una tigelleria
a Caronno Pertusella?!?»
accompagnando con grazia a volte
corrosiva Tobia, ovvero “il monomandatario” (uno strepitoso Luca
Torcivia, studente di Medicina, ma
abbastanza sassolese da rappresentare le dinamiche della Sassuolo
del terzo millennio) lungo traiettorie impervie attraversate a bordo di
una Multipla sbattendo su clienti
riottosi, architetti e assessori non
particolarmente specchiati, cantieri
che non partono mai e affaristi più
o meno improvvisati, tutti addossati ad una greppia dentro la quale da mangiare c’è sempre meno.
Una galleria di personaggi che
combatte una guerra permanente
effettiva che il monomandatario
affronta armato di una fionda, e
spesso nemmeno di quella. Carrie-
risti senza scrupoli, plurimandatari
ingordi («se mi togli il mandato ti
azzero il fatturato»), ragazzini alle
prime armi che non vedono l’ora
di aprire la partita Iva e cominciare
«i giri in zona» senza sapere che
lavoreranno in perdita a lungo, e
rappresentanti ipernavigati che il
loro «lo hanno già fatto». Ma anche capiarea spocchiosi, funzionari approssimativi e corrispondenti
sfiancati da un tran tran sempre
uguale. «Ho raccontato, utilizzando comunque spesso il paradosso,
un mondo che conosco, esasperando volutamente personaggi e situazioni. Ma ho raccontato quello
che so che succede, perché il monomandatario l’ho fatto anch’io»,
spiega Castellano, nei cui confronti i consensi si sono sprecati fino a
convincerlo («magari in futuro») a
distribuire il film, finora proiettato
solo in qualche occasione ad hoc
ma già un mezzo fenomeno sui
social. Non poteva essere diversamente, del resto, perchè alzi la
mano chi non ha mai avuto a che
fare con le figure che Castellano
mette in scena grazie ad un gruppo
di amici, tutti rigorosamente attori
per gioco e per scherzo. Si tratti di
corrispondenti lise («Sono le 17
di venerdi, lo sai che i campioni
vanno chiesti due giorni prima?
Se li vuoi – dice una di queste al
povero Tobia – passi domani in
magazzino e te li carichi tu, perché qui domani non c’è nessuno.
Faccio scatole intere, eh?») o di
funzionari che non vedono l’ora
di finire il giro in zona «così vado
a fare qualche chilometro in bici-
cletta, tanto mi copri tu» o ancora
di entità (l’azienda, il budget, il
capitolato, il progettista, il cliente) che Castellano cuce addosso
al monomandatario inchiodandolo
ad una croce di patemi ben rappresentati dall’inquietante Don Vito,
titolare dell’Edilvito, cui spetterà
dare un finale (e un senso) alla
vicenda umana e professionale di
Tobia. «Ma lo sai – dice il monomandatario – al suo direttore commerciale – che il mio commercialista mi ha detto che devo chiudere
perché non è reale che io guadagni
così poco? È normale che io debba pagare per andare a lavorare?».
Tra grisaglie e gessati, scarpe a
punta e cravatte improbabili, capannoni semivuoti e sfondi lividi
su cui svettano le palette nei cortili, colloqui surreali (memorabile
quello di lavoro con il quale il monomandatario cerca fortuna preso
una commerciale immanicata con
la Cina) e il ballare su una corda
sempre tesa («E’ uno sfigato, non
ci lavoro più con lui, e non voglio
rimetterci il premio perché non va
a budget», «Sei un rappresentante
e rappresenti una sola azienda? Ma
perchè non ne prendi altre?») la vicenda del Monomandatario viaggia spedita verso una conclusione
che non racconteremo, ma che è
figlia di quell’essere tra l’incudine
e il martello che è la condizione
abituale del Momomandatario raccontato da Castellano e dentro il
quale, piaccia o no, ci sono molte
delle inquietudini del distretto ceramico di oggi.
(Stefano Fogliani)
Panthera & Tile: una risposta efficace
alle esigenze del settore ceramico
E’ la nuova proposta
di Aida, risultato dalla partnership con
Infracom Italia e di
una verticalizzazione,
appositamente dedicata
alle aziende ceramiche,
elaborata su Panthera,
applicazione potente e
consolidata in diversi
settori.
Franca Fontana
U
n gestionale evoluto e
personalizzato, in grado
di rispondere alle esigenze del
settore ceramico, nato dalla
partnership tra Infracom Italia e
Aida, azienda sassolese che da
sempre si occupa di sotware. Si
chiama Panthera & tile, la pro-
posta di Aida, ed è il frutto, dice
Franca Fontana, Amministratore
dell’azienda sassolese, «della
verticalizzazione di Panthera,
coniugandone l’efficienza funzionale alle esigenze del settore ceramico. Il software è stato
messo a punto osservando le caratteristiche di questo comparto
industriale che negli ultimi anni
ha reagito al cambiamento puntando sulla qualità dei prodotti
e sul massimo livello di servizio
al cliente». Il pacchetto offerto
da Aida, spiega invece Sergio
Grassi, direttore commerciale
di Infracom Italia che in collaborazione con Aida ha elaborato
nuove soluzioni per la gestione
informatica dei processi aziendali, «è in grado di affiancare
le aziende nel loro percorso di
evoluzione: il sistema è stato
infatti sviluppato appositamente
per il settore ceramico partendo
da Panthera, integrandone funzioni e contenuti in modo da
semplificare e risolvere la gestione di questo specifico tipo di
business».
Tutte le funzioni aziendali, del
resto, oggi passano dai gestionali, e la flessibilità delle solu-
zioni proposte da Aida permette
ai gestionali stessi di essere “cuciti su misura” sulla base delle
singole esigenze. Perché se specializzazione e unicità caratterizzano tanta parte del made in
italy ceramico, specializzazione
e unicità caratterizzano l’offerta
Aida, che non si limita alla messa a punto dello strumento più
adatto ma vi aggiunge un sistema di formazione approfondito,
in modo da garantire al cliente
la massima autonomia operativa. Completo e potente, flessibile e intuitivo, specifico e attento
ai particolari, il sistema proposto da Aida è stato oggetto anche
di diversi workshop organizzati
da Aida stessa, attraverso i quali
il Panthera & Tile è stato messo
a confronto con quelle che sono
le attuali criticità e problematiche che caratterizzano i sistemi
informativi oggi presenti nelle
aziende ceramiche, molti dei
quali si rivelano sempre meno
adatti a gestire organizzazioni
complesse quali sono oggi quelle che compongono la rete di
piccole, medie e grandi imprese
lungo le quali si dipana la filiera
del comparto ceramico.
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
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PROTAGONISTI
I versi di Federica Minozzi,
l’amore spiegato attraverso il Sé
I
L’imprenditrice,
figlia di Romano
Minozzi, ha dato
alle stampe la
nuova raccolta
“Amore fa ancora
rima con cuore?”,
un viaggio in
versi che conduce
all’essenza del
sentimento che
muove
il mondo
l Caffè Concerto di Modena ha
ospitato la presentazione dell’ultima fatica letteraria di Federica
Minozzi, una raccolta di 32 poesie
che indagano l’amore in tutte le sue
sfumature, questo antico sentimento che ancora oggi muove il mondo,
per il quale si fanno follie e sacrifici. Un percorso che ci accompagna
nella mente della sua autrice, una
donna che abbiamo incontrato per
capire come un’imprenditrice possa mantenere viva tutta la sensibilità che serve ad una poetessa.
Federica qual’è il percorso che
racconti con le 32 poesie del tuo
ultimo libro?
“La raccolta poetica Amore fa ancora rima con cuore? è tesa a porre,
in modo provocatorio, la domanda
fondamentale di cosa sia l’amore
oggi. In una società in cui l’apparenza pare avere sempre più importanza dell’essenza, in cui l’immagine conta più della sostanza,
la superficialità e la fretta tendono
a connotare le relazioni umane ed
i sentimenti. La raccolta porta per
mano il lettore attraverso un percorso che riscopre l’amore nella sua
essenza. Il viaggio alla riscoperta di una nuova forma, più vera e
profonda, di amore parte dalla fine
di un rapporto basato sull’inganno
(“Maschera sul volto/grottesca parodia dell’Io” in Essere o apparire,
“dietro gli occhi/parole gonfie di
inganni” in Inganno), sulle apparenze (“la maschera cala/frantuma
l’essenza”, Inganno), sulle parole
vacue, prive di una vera sostanza
(“I sentimenti esistono/solo perché
espressi?/Sono le parole a renderli reali?/Così l’Amore non vive
più./E’ stato/nell’unico istante/necessario a proferirne il nome” in
Il peso delle parole). Il percorso,
inevitabilmente, passa attraverso
la riscoperta del Sé, attraverso la
conquista dell’amore e del rispetto
per se stessi, obiettivo imprescindibile se si vuole poter approdare ad
un sentimento per “l’altro” che sia
amore vero, libero, assoluto, anzi-
Non v’è più nulla da dire.
Le parole hanno disegnato
macchie sulla pelle
come proiettili di vernice esplosi.
Poi sono precipitate,
morte stecchite.
ché generato dal bisogno di non essere soli, di avere a fianco una persona che soddisfi le nostre esigenze
o colmi delle nostre mancanze (“ho
scelto il vuoto dell’assenza./Per
rispettare me stessa,/per ricomporre quegli anagrammi degli occhi,/
che tanto avevano a rivelarmi” in
Amore non fa rima con cuore; “In
fine ho raccolto/trucioli d’utopia/e
schegge di fragilità/per farne i pilastri del Me./Oggi -sola- m’accolgo” in Amare se stessi). Il traguardo
viene raggiunto solo attraverso un
faticoso processo di incontro e di
fusione nell’altro, con inevitabili
momenti in cui il bisogno di stare
soli con se stessi e di “ascoltarsi”
fa capolino tra le pieghe di una relazione comunque strutturata sulla
consonanza di un “sentire” comune
e profondo, potente collante tra due
anime e due corpi che si uniscono
fino, a volte, a mescolarsi e confondersi l’uno nell’altro pur mantenendo sempre una propria definita
individualità (“siamo due sguardi
versati in un’unica anima” in Il
mio Tu; tutta la lirica Sabato pomeriggio, “per terminare alla fine,/
tutt’intera di Me,/al traguardo di
Te”, in Sai…; ma vedi anche la lirica Funambola). In questo contesto
anche la “solitudine”, la mancanza
dell’altro, ben lungi dall’avere una
connotazione negativa è invece
vissuta con grande serenità, come
un momento importante e fondamentale per ritrovare e riconoscere
periodicamente la propria identità, ben consapevoli che il “Noi” è
un’entità singola formata però da
due individuali “Io”.
Perché hai scelto il linguaggio
della poesia e non quello del romanzo?
“Prima di tutto perché la poesia è
un mezzo di comunicazione che
amo molto: è breve e sintetica,
intensa ed emozionale, comunica
anche attraverso il suono e la musicalità e consente maggiore libertà
espressiva. Infine anche per mancanza di tempo: ogni singola poesia
è un pezzo di storia a sé e necessita
di pochi secondi per essere scritta,
anche se poi il lavoro di rifinitura
può richiedere giorni e settimane,
ma sempre nei ritagli di tempo.
Un romanzo avrebbe bisogno di
maggior tempo e costanza nella
dedizione, che io oggi, a causa del
lavoro e degli impegni famigliari
non posso dedicare”.
Da dove nasce la vena poetica di
Federica Minozzi?
“Ho iniziato a scrivere poesie a 12
anni, grazie allo stimolo di una professoressa alle scuole medie. Oggi
ogni dettaglio della vita, ogni suo
aspetto può ispirarmi una poesia.
Mi piace osservare come si muove
e come cambia il mondo intorno a
me, le dinamiche delle persone e
gli impulsi che le muovono. Rifletto molto, mi “ascolto” tantissimo
alla sera, in completo silenzio. Ho
sviluppato delle tematiche che mi
sono care e che a volte mi pare di riscoprire in una foto vista per caso in
un museo di Londra, così come nello sguardo di due turisti ipnotizzati
da una vetrina a Forte dei Marmi.
Ogni cosa può costituire lo spunto
per scrivere”.
Cosa significa scrivere poesie per te?
“Significa esprimermi per quella
che sono veramente, significa anche comunicare agli altri e, perché
no, almeno nel ruolo di poeta significa credere di poter contribuire a
un mondo migliore”.
Madre, imprenditrice, ora anche
poetessa, dove trovi tutte queste
energie?
“Il segreto credo sia nell’amore e
nella passione per quello che si fa:
si trovano energie e risorse pressoché illimitate. Poi un vantaggio c’è:
arrivare alla sera stanca significa
avere ancora più voglia di rimanere in silenzio con me stessa. Sono
proprio quelli i momenti in cui mi
voglio più bene, in cui mi dedico
completamente a me stessa e lascio
andare la mente. Infatti, di solito
scrivo nel momento che precede
immediatamente il sonno o nell’immediato risveglio, spesso anche nel
sonno”.
D’Annunzio affermava che i versi si
trovano nell’aria e che bisogna solo
cercarli… Trovi qualcosa di poetico
nella ceramica che a noi sfugge?
“Premesso che condivido pienamente l’affermazione di D’Annunzio, come conseguenza logica qualsiasi mondo può ispirare poesia.
Come dicevo prima, infatti, i comportamenti umani spesso mi fanno
riflettere e sono per me fonte di ispirazione e, veramente, nel mondo
della ceramica si assiste ai comportamenti più svariati! A parte questo,
la bella ceramica in sé, soprattutto
quella tradizionale, con la sua ricchezza di colori, smalti e decori,
può essere una fonte di ispirazione
inesauribile, esattamente come la
natura. Io sono una persona estremamente sensibile e spesso sono
stata ispirata da immagini: una sfumatura di colore, una luce naturale
particolare, una melodia, insomma
perché non una ceramica?”.
(Roberto Caroli)
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FORMIGINE e MARANELLO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Un secolo di “suorine”
Casinalbo ha
festeggiato il centesimo
anniversario dell’arrivo
nella frazione delle
Suore Figlie di Maria
Ausiliatrice, alcune
delle quali, per un
giorno, sono tornate a
salutare una comunità
che le ha salutate
con riconoscenza ed
emozione
P
er quasi un secolo hanno
rappresentato un punto
di riferimento importante per
un’intera comunità e anche
se dopo 91 di permanenza nel
paese se ne sono andate, Casinalbo ha voluto festeggiare
comunque il loro arrivo 100
anni fa. Il Centenario dell’arrivo delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice e la loro presenza nella frazione per quasi
un secolo è stato festeggiato
con emozione e riconoscenza:
prima la Santa Messa, poi il
pranzo della comunità parrocchiale cui hanno partecipato
alcune delle religiose che hanno prestato la loro opera a Casinalbo, protagoniste tra l’altro
di alcuni scatti fotografici nucleo della mostra fotografica e
documentaria dal titolo “Centenario delle Figlie di Maria
Ausiliatrice”. Sono tantissimi
i casinalbesi che ricordano le
suore per la loro umile, silenziosa e costante presenza al
servizio della comunità. Nel
corso di questi lunghi anni, si
sono adeguate alle necessità
più vere e profonde della parrocchia e del paese; sono state
al servizio della crescita umana,
morale, religiosa e civile di migliaia di persone, traendo forza
ed ispirazione unicamente dalla
fede, dall’affidamento a Maria
Ausiliatrice e dalla Divina Provvidenza, e prendendo esempio e
coraggio dal metodo educativo
“preventivo” di San Giovanni
Bosco.
«Da bambine abbiamo frequentato l’asilo delle suore e poi
crescendo ci hanno insegnato a
ricamare- ricordano alcune ex
allieve – ed è stato grazie alle
suore che abbiamo stretto molte
amicizie ed abbiamo un ricordo
indelebile di quei giorni, quando, ormai ragazzine, “spiavamo”
i nostri coetanei maschi, che frequentavano invece il vicino oratorio. In questo ambiente molti
ragazzi di Casinalbo si sono
innamorati e poi sposati e i loro
bambini hanno frequentato lo
stesso asilo che un tempo avevano visto i loro genitori indossare
il grembiulino azzurro, per i maschi, e rosa, per le bambine. Un
ricordo che tutti noi teniamo nel
cuore è quella cassetta piena di
dolciumi, che suor Anna toglieva dal ripostiglio ogni giorno».
Storie di comunità, che la comunità non ha dimenticato perché
le suorine, come le hanno sempre chiamate a Casinalbo, «sono
state sicuro riferimento per
un’educazione religiosa, civile e
professionale per i nostri bambi-
ni e i nostri giovani che hanno
trovato una seconda casa in parrocchia. E’ una storia – ha detto
il parroco di Casinalbo Don Fabio Bellentani - che ha segnato
e trasformato la nostra frazione.
Oggi le Figlie di Maria Ausiliatrice non sono più con noi, ma
rimane certamente il ricordo e la
riconoscenza a ciascuna di loro e
alla famiglia salesiana in generale, per altro presente ancora oggi
in parrocchia con l’associazione
delle ex allieve e dei salesiani
cooperatori. Il nostro impegno a
continuare a far crescere quello
che hanno piantato e coltivato
per prime perché prosegua, anche in forme nuove, a produrre
frutti di bene».
(Edda Ansaloni)
Maranello: nasce la Pro Loco
I commercianti, per
ora una decina,
cercano di fare massa
critica, contro la crisi e
la desertificazione del
centro storico. «Oggi dicono i fondatori – è
necessario impegnasi
in prima persona»
Maranello
N
asce, sulla scorta di esperienze già consolidate a
Formigine Fiorano, la Pro Loco
di Maranello. Una libera associazione di commercianti e cittadini,
che si propone come obiettivi
principali di facilitare la promozione e l’organizzazione di eventi
e manifestazioni in tutta la città,
nonchè di raggruppare tutte le
realtà associative e sociali del
territorio di Maranello ed essere
un punto di incontro per tutte le
associazioni già esistenti, i commercianti e i semplici cittadini:
si tratta, nelle intenzioni dei fondatori – per ora una decina di
commercianti – di elaborare un
modello associativo che non vada
a sovrapporsi, ma si aggiunga ad
altri enti di promozione già presenti nella città dal cavallino, e di
cercare, anche attraverso le sinergie con le pro loco dei paesi limitrofi, una modalità aggregativa in
grado di rilanciare ulteriormente
commercio e turismo. A Maranello, infatti, la recente chiusura di
tante attività commerciali dovute
alla crisi economica, ed il sempre
più evidente fenomeno di desertificazione del centro di Maranello
richiedono l’impegno diretto dei
commercianti e dei cittadini per
organizzare eventi che possano
attirare nel centro di Maranello
persone anche dagli altri comuni
della Provincia. Da qui l’esigenza
di istituire una Pro Loco, che ha
visto il suo primo atto ufficiale,
quello fondativo, alla presenza
dei vertici delle Pro Loco di Formigine e Fiorano, ma anche di
Fabio Galli, vicepresidente del
Codacons provinciale e di Bruno
Palma, presidente dell’UNPLI,
l’Unione nazionale pro loco italiane, presso la quale anche la neonata Pro Loco di Maranello chiederà l’iscrizione. Nel frattempo, è
attiva la pagina facebook attraverso la quale la Pro Loco Maranello
ha già cominciato a pubblicizzare
le proprie iniziative.
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SASSUOLO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Che fine farà il Teatro Carani?
ph Donatello Iacobone
È SUCCESSO
Sassuolo si
interroga, un tantino
preoccupata, sul
futuro del teatro
cittadino, inagibile
a causa del crollo
di un controsoffitto
A
nche dovesse restare
chiuso a lungo (e pare
proprio sarà così) al suo compito di dare cultura ai sassolesi
il Carani avrà assolto fino in
fondo. E’ proprio grazie al Carani che, da un secolo a questa
parte, i sassolesi sanno cosa è
il teatro, è dal 24 ottobre scorso che, ancora grazie al Carani, i sassolesi sanno cosa sono
le arelle. Telai che reggono i
controsoffitti, collassati per
circa 15 metri quadri dentro
un corridoio della seconda
galleria e causa dell’inagibilità
dello storico teatro cittadino: è
colpa loro, ovvero delle arelle
cadute ben più fragorosamente
di quanto ci si potesse aspettare, se il Carani oggi è chiuso
e non si sa quando riaprirà.
Sono a loro che hanno guardato i tecnici decretando l’inagibilità del teatro cittadino, è a
loro che guardano sia i tecnici della proprietà (il Carani è
bene privato, che il Comune
ha “solo” in affitto) che quelli
nominati dal Comune (poco
più di 2200 euro ad uno studio
di ingegneria cui il Municipio
affida la “verifica statica”) per
prendere posizione in vista di
una guerra che ad oggi non ha
fatto vittime, e si parla per metafore, ma domani chissà….
Perché sul Carani si annuncia
una di quelle “guerre di posizione” che qualcosa, magari
più avanti, inevitabilmente
sortirà. I fatti sono noti, e li
ricapitoliamo a parte, dal mo-
mento che sono ben conosciuti,
quello che non è noto è la fine
della vicenda. «Vicenda nebulosa», secondo le opposizioni che
adombrano manovre, da parte
del municipio cittadino, tese a
liberarsi, in un modo o nell’altro,
di un mastodonte da 800 posti
in platea, affittato a 90mila euro
all’anno e all’interno del quale
fare una stagione teatrale, anche
e soprattutto per motivi di budget
e pubblico, è diventato uno sforzo di filantropia, soprattutto per
un Comune che ha il suo daffare
a far quadrare conti che tornano
con grandissima difficoltà. E che
si duole del problema Carani
(«un fulmine a ciel sereno», disse
il sindaco Claudio Pistoni all’indomani del crollo) ma è pronta
a risolverlo non senza ricordare
che «competerà all’amministrazione - ha detto l’assessore alla
cultura Giulia Pigoni al consiglio comunale - la ponderazione
dell’interesse pubblico preminente, fra la scelta di consentire
la fruizione del Teatro Carani
o quella di sostenere eventuali
ingenti spese di manutenzione
straordinaria su un immobile di
proprietà privata»
Come finisce? Impossibile dirlo adesso… le certezze sono,
nell’ordine, il Carani chiuso e la
stagione teatrale sospesa (o annullata, questione di tempi e di
punti di vista), la proprietà che
di mettere mano ad una struttura
affittata (e la cui manutenzione
spetta “ex contractu”, scrivono
i legali della proprietà, al Comune) non sembra volerne sapere e
invece che incontrare l’amministrazione per capire cosa può essere successo le ha fatto scrivere
da un legale ricordandole i suoi
obblighi di affittuario, il Comune
che rivendica il diritto di recesso
dal contratto a suo tempo firmato ove ce ne siano i presupposti,
ancora tutti da verificare. E l’opposizione che, con l’ex primo
cittadino Luca Caselli, soffia sul
fuoco, chiedendo le dimissioni
del sindaco o dell’assessore alla
cultura.
Il Comune, stando agli atti ufficiali, resta sulle sue posizioni,
ha fatto quanto doveva (il Carani è inagibile sulla base di un
ordinanza del sindaco) e aspetta
(entro il 27 novembre la verifica
statica sarà sulla scrivania del
sindaco) e, come si dice, spera.
La proprietà ha invece già mosso, ma spetta anche lei, e nel
frattempo Sassuolo si interroga.
Senza teatro… Anche se, stando
ai malevoli, di teatro sulla vicenda qualcuno ne sta comunque
facendo… E stando agli stessi
malevoli, non sarebbe peregrino
immaginare un teatro sassolese
non al Carani, ma in una non meglio precisata struttura alternativa
della quale si è parlato, e non
solo nei corridoi del municipio.
L’ex sindaco Luca Caselli chiede
le dimissioni di Sindaco e Assessore, l’Assessore replica senza
mezzi termini. «Chi ha firmato
nel 2012 quel contratto che impone a carico del Comune sia le manutenzioni ordinarie che le manutenzioni straordinarie? E’ stato
guarda caso proprio il consigliere
Luca Caselli, che all’epoca era
sindaco e che, nonostante abbia
firmato quel contratto, oggi finge
di non saperne nulla». (S.F.)
HANNO DETTO
Claudio Pistoni, Sindaco di Sassuolo «Si tratta di un fulmine a ciel
sereno che rischia non solo di mettere in discussione la stagione
teatrale prevista al Carani, ma che rende inagibile un luogo di incredibile importanza storica e culturale per la nostra città, l’unico
teatro in grado di ospitare una capienza considerevole e che va a
sommarsi alle tante difficoltà in cui versa il Comune di Sassuolo,
economiche ed organizzative, che tutti conoscono. Una situazione
imprevista ed imprevedibile, un ulteriore problema da affrontare,
non solo dal punto di vista economico, che però ci vedrà attenti e
pronti ad intervenire»
Luca Caselli, capogruppo lista Sassolesi ed ex sindaco «A noi Pistoni e Pigoni hanno raccontato una versione diversa, come sempre,
ora qualcuno di dimetta. Secondo il Comune il Carani è stato chiuso
a seguito di un controsoffitto crollato durante uno spettacolo il 24
ottobre, secondo la proprietà il crollo al Carani avvenne molti giorni
prima della sera del 24 ottobre: vogliamo la verità, chiediamo formali chiarimenti perchè se ha ragione la proprietà è grave»
Giulia Pigoni, assessore alla cultura «Quando è avvenuto il crollo?
Noi, assieme ai Vigili del Fuoco, l’abbiamo visto e ne siamo stati
messi al corrente la sera del 24 ottobre. Questa è la verità; il resto
è manipolazione della realtà a proprio comodo e tornaconto. Stiamo attendendo la relazione tecnica e dopo decideremo in che modo
comportarci»
Camilla Nizzoli, consigliere comunale lista Sassolesi «Sarà nostra
cura vigliare attentamente perché gli amministratori e questa maggioranza dicano a chiare lettere se il Carani deve restare chiuso o
aperto»
Claudia Severi, capogruppo Forza Italia «Al di la dei risultati che
emergeranno dalla perizia tecnica e nella definizione delle responsabilità rispetto alla manutenzione del teatro, è necessario il massimo
coinvolgimento, da parte dell’amministrazione, di tutte le forze ed i
soggetti privati ed istituzionali attivi sul territorio, nell’obiettivo comune di garantire l’avvio e la conclusione dei lavori per la messa in
sicurezza, la riapertura e l’utilizzo del teatro»
24 ottobre i vigili del fuoco
in servizio presso il Teatro
Carani intervengono «per la
caduta di 15 mq del soffitto in
arelle nel corridoio dx di accesso al loggione e la formazione di una fessurazione con
caduta di calcinacci sempre
sul lato dx del soffitto posto
sopra la platea. La squadra in
servizio di vigilanza ha prontamente avvisato il comando
ed adottato tutte le precauzioni necessarie a tutela della incolumità delle persone
presenti a teatro. Si precisa
che al momento era in corso
uno spettacolo con circa 500600 persone in sala… dopo
attenta verifica si è ritenuto
necessario sospendere la rappresentazione e far chiudere il
teatro»
25 ottobre Sulla relazione dei
VVFF si legge come «poiché nel tempo potrebbero
verificarsi ulteriori cadute di
porzioni di parti di soffitto si
rende necessaria una approfondita verifica statica da parte di tecnico qualificato e tutte
le opere di assicurazione e ripristino che il caso richiede».
Il Comune dispone, con ordinanza, «l’inagibilità del fabbricato fino al completamento
degli interventi di messa in
sicurezza….. L’intero edificio
dovrà essere ispezionato al
fine di accertare le cause che
hanno provocato il distacco
del soffitto e gli eventuali dissesti statici»
3 novembre La proprietà
scrive
all’amministrazione evidenziando, tra l’altro,
come il contratto «pone tutte
le spese di manutenzione, ordinaria e straodinaria, a carico
del Comune..... La situazione sommariamente descritta
nell’ordinanza in oggetto
sembra determinata proprio
dalla mancata esecuzione di
interventi di manutenzione e,
comunque, può essere risolta mediante l’adempimento,
sia pure tardivo, dei suddetti
oneri, gravanti sul Comune di
Sassuolo.... l’accesso al corridoio della seconda galleria,
dove si sarebbe verificata la
caduta delle arelle era già stato interdetto al pubblico prima
del 24 ottobre». La proprietà,
insomma, ritiene che il crollo
fosse già in essere ma solo in
data 24 ottobre la circostanza
sia stata resa pubblica.
7 novembre Il Comune nomina un tecnico cui affida il servizio di «ispezione e verifica
statica presso il Teatro Carani
a seguito del distacco di parte
del controsoffitto». Nella determina di spesa (circa 2200
euro) il Comune richiama il
proprio diritto di recesso dal
contratto, ove si verifichino
determinati presupposti.
11 novembre La vicenda arriva in consiglio comunale.
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Reggio Emilia al n°1202 in data 05/12/07
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10
CASALGRANDE e CASTELLARANO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
«…Rocking Chairs, keep rockin’!!!»
Il prossimo 13
dicembre, al Teatro
De Andrè, la prima
tappa della reunion
della storica
band fondata da
Graziano Romani
«
…Rocking Chairs, keep rockin’!!!». Tornano, dopo
vent’anni, e scelgono Casalgrande, il loro natio borgo selvaggio,
per un’attesa reunion con la quale, se le premesse verranno mantenute, è facile immaginare scriveranno altre pagine di una delle
storie più apprezzate del distretto.
Quella dei Rocking Chairs, nati
all’inizio degli anni Ottanta da
un’idea di Graziano Romani, che
assembla una prima embrionale
band, e inizia ad esibirsi in concerto. Ci sono passione e talento,
oltre che idee, nei primi Rocking
Chairs, e il resto viene da se: la
formazione cambia, sino a giungere alla line-up “storica” che
prevede, oltre allo stesso Romani
in veste di cantante e chitarrista,
Max ‘Grizzly’ Marmiroli al sax,
Mel Previte alla chitarra, Antonio
‘Rigo’ Righetti al basso, Franco Borghi alle tastiere e Robby
Pellati alla batteria e che spacca
da subito, prendendosi l’affollata
scena di quel periodo e recitandovi da protagonista per oltre un
decennio. Il loro disco d’esordio
“New Egypt” è del 1987, seguito
da “Freedom Rain”, “No Sad Goodbyes” (registrato a New York,
e prodotto dall’artista americano
Elliott Murphy), e dal quarto ed
ultimo album “Hate and Love
Revisited” del 1991, registrato a
Nashville: sono dischi sinceri e
intensi quelli che imperziosiscono il curriculum, della band, ma
anche divertenti ed emozionanti, proprio come i loro concerti,
spesso infarciti di ‘cover’ classiche del rock. Concerti che in
quella decade furono tantissimi,
Chi sono
Wikibio
I Rocking Chairs nascono
ufficialmente l’11 aprile1981
a Salvaterra di Casalgrande
(RE) da un’idea di Graziano
Romani. Nella formazione
originaria ci sono Graziano
Romani (voce e chitarra),
Rossano Prampolini (chitarra), Massimo Mammi (basso), Luigi Codeluppi (tastiere), Franco Borghi (tastiere),
Mirko Pellati (chitarra), Luca
Urlotti (batteria) e successivamente i componenti cambiano sino a giungere alla formazione “base” che si sciolgierà
nel 1991. I Rocking Chairs
pubblicano 4 album, tutti
composti da canzoni scritte da Graziano Romani e da
varie cover. Gli ultimi due album vengono incisi tra New
York e Nashville. Nel 1997 si
assiste ad una prima riunione
virtuale: il gruppo figura infatti sul tributo internazionale
a Springsteen One Step Up,
Two Steps Back con il brano
Restless Nights, già pubblicato a suo tempo nell’album
d’esordio New Egypt.
con date anche in Inghilterra, Svizzera, e Olanda e hanno imposto la
formazione reggiana all’attenzione
dei più. Gli anni Novanta hanno
interrotto il cammino della band di
Romani, che è diventato un prolifico solista, mentre Previte, Righetti
e Pellati sono stati la ‘banda’ di Ligabue nel suo periodo di maggiore
successo del rocker correggese e
Borghi e Marmiroli dei virtuosi musicisti con escursioni nel blues, nel
jazz e nel folk, ma il terzo millennio
restituisce al pubblico la formazione
reggiana. I ragazzi di Casalgrande
si sono ritrovati per scoprire che la
passione per la “loro” musica era
ancora integra, e all’idea sono seguite prima alcune sessioni in sala
prove e poi l’annuncio ufficiale del
“ROCKING CHAIRS REUNION
TOUR 2014-2015”, che riporta la
band di Romani sul palco e inizierà proprio dal paese che ha visto
nascere, all’aba degli Ottanta, i Rocking Chairs, ovvero Casalgrande.
L’appuntamento (biglietti a ruba, ne
sono rimasti pochissimi) è per il 13
il rapporto di amicizia con don
Massimiliano Giovannini, spiegando di aver deciso di dare un
aiuto concreto ai progetti educativi e aggregativi che si stanno
svolgendo all’oratorio Don Bosco
di Castellarano. L’oratorio è uno
dei pochi punti di ritrovo dei ragazzi del paese e fra le iniziative
che si vogliono intraprendere vi è
quella di avere un operatore tutti
i giorni la settimana per seguire
i ragazzi nelle ore pomeridiane,
e riuscire ad organizzare nuove
iniziative di aggregazione. Nelle
sale della Rocchetta e in quelle
dell’Oratorio di via Chiaviche
sono esposte centinaia di opere
fra quadri, ceramiche, e sculture
di artisti del calibro di Guttuso,
Dalì, De Chirico,Borgonzoni,
Boscaini, Callot, Conti, Dova,
Fiume,Gentilini, Giorni, Gordigiani, Greco, Guttuso, Manzù,
March, Mastroianni, Monachesi,
Murer. Tutte queste opere potranno essere acquistate ed i proventi
andranno a finanziare i progetti
educativi riservati ai ragazzi.
(Paolo Ruini)
dicembre al Teatro De Andrè con la
prima tappa, o meglio la tappa zero
di una tourneè che per tutto il 2015
riporterà i Rocking Chairs sul palco.
Dopo tanti anni l’attesa è finita: «…
Rocking Chairs, keep rockin’!!!»,
appunto. (S.F.)
L’arte per beneficenza
Fino a fine dicembre, a
Castellarano, centinaia
di opere in mostra a
favore dei progetti
dell’Oratorio: motore
dell’iniziativa
William Tode
Castellarano
P
er gli amanti dell’arte del
novecento un evento unico
si sta svolgendo a Castellarano.
Tutti i fine settimana, fino al 29
dicembre, è aperta una mostra
dove sono esposte centinaia di
opere:litografie, tele e ceramiche
degli artisti del novecento. I luoghi dove si possono visitare e anche acquistare le opere in mostra
sono la Rocchetta e l’Oratorio
Don Bosco di Castellarano. “Non
avendo figli abbiamo deciso di
vendere le nostre opere e il ricavato darlo in beneficenza”. La
dichiarazione è di William Tode,
grande artista di fama mondiale e
protagonista della mostra. Si tratta di un patrimonio artistico eccezionale che propone le opere degli artisti più famosi del 900 e una
grande mostra di William Tode
che potranno essere ammirate nella sale della Rocchetta e all’Oratorio Don Bosco di via Chiaviche
tutti i sabato e domenica dalle ore
10 alle 19,00. Durante la presentazione l’Artista ha sottolineato
William Tode
11
SCANDIANO
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Al Furnasòun, simbolo del lavoro e
del riscatto della gente di Scandiano
Ultimo e unico
esempio di architettura
paleoindustriale
presente nello
scandianese, bene
storico e ambientale
da salvaguardare e
tramandare alle future
generazioni
L
a presenza di una ricca
formazione gessosa e di
ammassi calcarei marmosi affiorati dalle argille scagliose
fecero di Ventoso e del suo
territorio il più importante
centro per la produzione del
gesso e della calce del ducato di Ferrara prima e, dopo il
1598, dei ducati di Modena e
Reggio. Alla fine del XVIII secolo a Ventoso erano in attività
17 fornelli per la cottura del
gesso e una decina di forni da
calce, e sempre in quel periuodo lo scandianese esportava
130mila piedi cubici di gesso
q 95mila di calce, con un ricavo di 70mila lire italiane. IL
gesso e la calce rappersentavano,
insomma, il fiore all’oocchiello
dell’economia scandianese, tanto che Lodovico Caiti, nelle sue
cronache, scriveva: “in quest’anno 1772 il Governatore di Scandiano Giobatta Battistini propose
di fare una strada per di fuori del
paese che servisse al passaggio
di tutti i carri dei bifolchi e dei
conduttori di forni delle colline
che continuamente andavano a
Ferrara, Modena, Sassuolo e alle
altre località dei ducati sì per servaggio alle fabbriche di Sua Altezza Serenissima come di tutte le
altre dei privati segnori”. Questo
tipo di industria, con gli oltre 800
addetti che occupava e tutto l’indotto che produceva (birocciai,
donne impiegate nella pezzatura
dei sacci, commercianti di combustibile etc...) ebbe sempre natura eminentemente privata, e solo
verso la fine del XIX secolo che
nello scandianese ncominciarono
a costituirsi le prime associazioni
di conduttori di forni, birocciai,
operai e lavoranti. Nei primi
anni del Novecento, giusto per
fare un esempio, l’Unione Cattolica Operaia di Ventoso contava già 170 iscritti su un totale di
215 e produceva circa il 70% del
gesso e della calce prodotta sul
territorio scandianese. Nel 1912
Al Furnasòun
l’Unione, per soddisfare le crescenti richieste di calce e gesso
costruì una fornace più moderna
e capace di una maggiore produ-
zione. Il nuovo impianto, inaugurato il 14 nottobre 1914 alla
presenza del Vescovo di Reggio
Emilia Monsignor Edorado Bret-
toni, del Prefetto Vittorio Ferrara,
del canonico professor Emilio
Cottafavi, presidente dell’Unione
Cattolica Agricola e del Sindaco
di Scandiano, Ingegner Venerio
Zuccoli. La nuova fornace, che
gli scandianesi ribattezzarono subito al furnasòun, unico esempio
di architettura paleo-industriale
presente sul territorio, diede subito un grande impulso allo stabilimento di Ventoso. La produzione
triplicò, migliorò la qualità del
rodotto che si rivelò subito altamente competitivo. Non staremo
qui a scrivere delle molte vicende che interessarono, nei primi
cinquant’anni del XIX secolo,
hanno interessato lo stabilimento
di Ventoso, ma vogliamo, prima
di concludere il nostro viaggio
a ritroso, ricordare un fatto accaduto negli anni Trenta ripresa
dale pagine nazionali dei maggiori quotidiani italiani che ebbe
come protagonisti proprio il Furnasòun ed al cuni apparteneneti
alla società i minatori di Ventoso,
costituita nel 1893 e adeerente
al neonato partito dei lavoratori
italiani. Un dispaccio riservato
del Prefetto di Reggio Emilia finito sul tavolo di lavoro del capo
del Governo Benito Mussolini,
datato 9 maggio 1931, così recitava: “Nella notte tra il 30 aprile
e il primo maggio sulla ciminiera più alta dello stabilimento di
Ventoso nel Comune di Scadiano
venne issata una bandiera rossa
ad opera di ignoti”. Non sappaimo come andarono le indagini e
le richerce, né se vennero individuati gli autori del fatto. O almeno dalle carte dell’epoca, che
abbiamo consultato, nulla risulta.
Solo l’indomani della Liberazione diede loro nome e cognome:
furono i compagni Gino Bassi e
Dirmo Azzolini, due appartanenti
alla società, a quesi tempi clandestina, dei Minatori di Ventoso.
(Roberto Gandini)
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12
accaDmenti
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
BUROCRAZIA: la malaria italiana
Don Achille Lumetti
Un’arma di
distruzione di
massa, una selva
oscura che avvilisce
il cittadino e
penalizza le attività
di impresa.
Una bava adesiva
sparsa sul nostro
cammino di
pellegrini
U
na foresta tropicale impenetrabile a molti. Per saltarci
fuori occorre quasi sempre un
commercialista e a volte un avvocato o uno psicanalista. Agenzia delle entrate, tasse di ogni
genere, plichi voluminosi, atti
amministrativi, interessi di mora,
sovvenzioni, contributi, somme
aggiuntive, estremi di atti giudiziali…
Ma per quale ragione dobbiamo
pagare lo sciupio di una enorme
mole di carta che gli azzecca garbugli di turno scarabocchiano con
ardore? Meglio dedicarsi alle parole crociate, chiedendosi magari
se la foresta Amazzonica, sarà
in grado di resistere e sostenere
con il suo legname a tale crudele
scempio. Riusciremo finalmente a sconfiggere questa malaria
originata da una imperativa vessazione? Il costo degli adempimenti amministrativi e il tempo
sprecato mettono in ginocchio e
in avvilimento tanti imprenditori,
le piaghe o se preferite la malaria
del nostro paese sono gravi, in
particolare tre:burocrazia asfissiante, fiscalità eccessiva, disoccupazione umiliante.
Vogliamo nascondere problemi
non rinviabili camuffando ed
esacerbando la nostra vita, con
astruse e incomprensibili parole
killer? La nostra esistenza è già
fin troppo satura di parole ripetitive ed equivoche che generano
una assoluta incomprensibilità.
Non aggiungiamo acqua alle castagne per ammorbidire quelle
che non sono commestibili. Ci ritroviamo per una “selva oscura”
poiché la “dritta via”è smarrita e
occorre un navigatore verbale per
un razionale orientamento.
Le parole devono essere tenere e
semplici, cariche di vita come il
granellino di senape e il chicco
di grano che dormono nel silen-
zio dell’anima per germogliare
e inondare di Luce l’intelligenza. Non facciamoci catturare
dall’ipnosi dell’ “esterismo” con
l’illusione di comprendere tutti
i popoli. Il turbine delle parole
straniere esotiche e spesso equivoche può essere sostituito da
incontri onnicomprensivi, quali
la “partita interreligiosa per la
pace” disputata il 31 agosto allo
stadio olimpico di Roma, fra giocatori di diversa fede e differenti
linguaggi. I termini contorti di
radice straniera, come afferma il
filosofo Bobbio, in concomitanza
con l’effimera tv senza tregua,
“darà il colpo di grazia al rimbecillimento della stirpe italiana”, e intanto la dittatura della
burocrazia si conferma un’arma di distruzione di massa che
va sgretolata in comunione con
i resti delle lingue lontane dal
nostro contesto. E invece gni
giorno si alza qualcuno che,
con la presunzione dell’avanzamento di carriera, cosparge
di bava adesiva il nostro cammino di normali pellegrini, di
nuove normative. Nube oscura
della burocrazia allontanati da
noi!
(Don Achille Lumetti)
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13
Dstensioni
anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
Il pranzo di Babette
Il più divino dei peccati di gola: il cioccolato
C
he sia in tavolette, in praline,
in crema all’interno di una
torta, bollente e fumante in tazza
con panna, ma anche in scaglie
su crostini di gorgonzola e pere,
croccante sulla frutta candita, o
magari in polvere disciolto nel
latte come si faceva da bambini.
E’ il cioccolato il nostro protagonista, in tutta la sua voluttuosa
bontà, un peccato di gola derivato da quel cacao che Maya e
Aztechi avevano denominato
il “nettare degli dei” e proprio a
loro lo offrivano in dono. Una
leggenda azteca racconta di un
dio di nome Quetzalcoati, che
donò agli uomini il cachuaquahitl
ed insegnò loro a coltivarla; dai
semi di questa pianta si preparava il nettare degli dei: il xocolati
quella bevanda che permetteva
di superare i periodi di fame. La
pianta Theobroma Cacao, originaria dell’Amazzonia giunse nel
Messico circa tremila anni fa, è
una sempreverde alta fino a venti
metri e produce i frutti dai quali si
estraggono i semi del cacao. Una
coltura che diventò importante al
punto di essere utilizzata come
moneta, pensate che durante il
periodo precolombiano con circa
cento semi si poteva comprare
uno schiavo. Il primo europeo che
conobbe il cioccolato fu Cristoforo Colombo ma quando portò nel
vecchio continente la bevanda
detta xocolati le reazioni furono
contrastanti: era amara, speziata
con peperoncino, cannella e vaniglia, una combinazione che non
incontrò grandi favori presso i reali d’Aragona; fu solo con l’arrivo
di Fernando Cortés in Messico, circa dieci anni dopo, che si scoprirono
le proprietà corroboranti, antifatica
ed eccitanti del cioccolato. Grazie
a Cortés verrà riproposto senza le
spezie che lo rendevano piccante e
amaro, venne mantenuta la sola vaniglia e si decise di dolcificarlo con
miele o zucchero. Fu in quel momento che si diffuse in tutti i salotti
d’Europa, per venire poi coltivato in
centro America ed anche sulle coste
occidentali dell’Africa. Una golosità
che nasconde impensabili benefici:
secondo uno studio effettuato nel
2011 dall’Università di Cambridge
l’elevato consumo di cioccolato e
associato con il 37% di riduzione
delle malattie cardiovascolari e con
il 27% di riduzione del rischio di
ictus, ma parliamo di cacao grezzo
non processato, non del cioccolato
industriale. Restano indiscutibili
le sue proprietà antinfiammatorie,
antidiabetiche e anti obesità, cardio-
protettive, di miglioramento delle
funzioni epatiche, neuroprotettive,
di riduzione dell’ormone dello stress
ma anche dei sintomi del glaucoma
e della catarratta. I benefici sulla salute del cioccolato sono in relazione
ai componenti naturali dei semi di
cacao, incluse le epicatechine ed il
resveratrolo, due potenti antiossidanti che sono ritenuti protettori del
sistema nervoso. Se per caso avevate bisogno di qualche scusa per addentare una tavoletta di cioccolato
eccovele servite!
Non starò a tediarvi elencando le
tante varietà di cioccolato, mi limiterò a ricordare che queste dipendono dalle percentuali degli ingredienti
base: così un cioccolato extra fino
conterrà almeno il 45% di cacao e il
28% di burro di cacao, mentre quello bianco vedrà l’aggiunta di latte e
saccarosio mantenendo il burro di
cacao ma rinunciando del tutto al
cacao puro! I fondamentalisti sta-
ranno inorridendo, convinti che solo
l’extra fondente, magari al 90%, sia
il vero cioccolato, vi suggerisco di
lascerei inorridire addentando il favorito di Babette: cioccolato al latte
con nocciole intere del Piemonte.
Tra l’altro proprio i torinesi hanno la
paternità del Gianduja: nacque nel
1806, quando il cacao aveva un costo elevato ed era difficile rifornirsene a causa del blocco napoleonico,
così alcuni cioccolatieri pensarono
di miscelarlo con nocciole piemontesi in polvere, ottenendo un cioccolato molto gustoso e più economico,
perfetto per farcire e decorare dolci
oppure semplicemente da gustare in
tavoletta.
Sempre più gettonate sono oggi le
incursioni nei piatti salati, come
ad esempio le tagliatelle al cacao
ottenute aggiungendo poco cacao
amaro all’impasto tradizionale e per
poi abbinarle a condimenti robusti,
o magati il filetto con salsa di cioc-
colato o l’astice alla catalana, con
cioccolato e cannella, perfetto poi
l’abbinamento con la cacciagione,
iniziato già nel 1800. E non ascoltate le sirene che negli ultimi giorni
hanno ipotizzato una carestia del
prezioso nettare degli dei: si tratta
con ogni probabilità di pura speculazione, come si conviene ad
una commodities che in passato
valeva come l’oro!
(Babette)
di Alberto Agazzani
Carlo Mastronardi. La forma della memoria
Una pittura
seducente perché
sempre sfuggente,
evocativa più che
“illustrativa”,
in sapientissimo
bilico tra formale
ed informale
G
iovane tra i “giovani”, ormai
anch’essi nella loro maturità allorché si forma il reggiano “Gruppo dei 10”,
Carlo Mastronardi si trasferisce a Reggio
Emilia dal natio Friuli nel 1950. Allievo
di Ilario Rossi all’Accademia di belle
Arti di Bologna, rimarrà sempre intimamente legato alla forte lezione figurativa
del maestro, arricchita negli anni dall’incontro, soprattutto, con i protagonisti
dell’arcangeliano “Secondo Naturalismo
Padano” (Moreni, Morlotti, Mandelli,
Romiti ed un certo Vacchi in particolare),
nei quali ritroverà, e non abbandonerà
più, l’eco intimo e consolatorio di atmosfere ed immagini vissute nell’infanzia
friulana. Quella di Mastronardi è infatti
una pittura sempre in sapientissimo bilico fra formale ed informale; una pittu-
ra seducente perché sempre sfuggente,
evocativa più che “illustrativa”, capace
di affascinare e sedurre proprio per la
sua evidente bellezza ed eleganza unite
ad un’inquietudine difficile da afferrare.
Un naturalismo, quello di Mastronardi,
innaturale ed apparentemente in contraddizione con se stesso. Già dall’uso quasi
monocromo dei colori. Eppure è proprio
in quell’apparente contraddizione che
si nasconde l’anima e la vitalità di una
pittura capace, sempre, di incantare ed
emozionare. Paesaggi possibili solo nella
memoria del pittore, immagini che arrivano a noi da un intimo altrimenti impescrutabile, suggestioni di una metafisica
tanto magica quanto panicamente misteriosa, capace di affamare lo sguardo e
interrogare l’anima.
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anno 6 numero 150 / 22 Novembre 2014
15
RUBRICHE
Stelle & Strisce
Le “zone di esclusione”: i lager made in USA
G
li Stati Uniti vengono sempre magnificati con toni
entusiastici: sarebbero il paese
della libertà dove tutto è migliore, più grande, più bello, più
veloce, dove i buoni sconfiggono
sempre i cattivi. Quante volte abbiamo sentito pronunciare queste
parole? Innumerevoli. Ebbene, è
una fesseria. O meglio, è uno dei
tanti luoghi comuni che circolano
su quel paese. Infatti anche gli
Stati Uniti – come tutti gli Stati – hanno un bel po’ di scheletri
metaforici da nascondere nei loro
armadi. E ne hanno talmente tanti
che hanno imparato a maneggiarli abilmente: in parte li hanno
insabbiati e in parte li hanno fatti diventare gloriose epopee. Per
gli insabbiamenti, basta il caso
dell’omicidio del Presidente Kennedy: la Commissione d’inchiesta
guidata dal Presidente della Corte
Suprema Earl Warren dichiarò
che ci fu un solo esecutore materiale dell’omicidio, Harvey Lee
Oswald, mentre era noto che erano stati sparati tre colpi da punti
diversi del percorso. Per i crimini
trasformati in gloriose epopee,
basta il tragico e mai riconosciuto genocidio dei nativi americani, diventato un evento eroico
accaduto durante la conquista
del West. Oggi si ammette che il
povero Warren ebbe poche colpe:
l’omicidio Kennedy fu un caso in
cui fu meglio non andare troppo a
fondo nella ricerca degli esecutori
e soprattutto dei mandanti. Sono
passati più di 50 anni da allora e
ormai ci si è rassegnati all’oblio.
Invece, l’inventore dell’epopea
del West ha un nome e un cognome: fu il regista cinematografico
John Ford, il creatore del così detto “Marketing del Falso”. Nei suoi
film sul West egli invertì le figure
dei buoni e dei cattivi: i nativi
americani diventarono i cattivi e i
bianchi, che si appropriarono delle loro terre, sterminarono i bisonti di cui vivevano, cacciarono via
le tribù dalle praterie (ci doveva
passare la ferrovia), distrussero i
loro villaggi massacrandone selvaggiamente gli abitanti (attività
in cui si distinse George Custer,
un colonnello psicopatico poi
ucciso al Little Bighorn ), diventarono i buoni pionieri, pietosi,
timorati di Dio e laboriosi edificatori del grande paese. La capacità
di John Ford di costruire grazie
al West la “falsità comoda” fu
sfruttata anche più tardi: agli inizi
della Seconda Guerra Mondiale
fu reclutato dal Ministero della
Guerra per girare documentari di
propaganda dai fronti in cui erano
impegnate le truppe americane.
E dopo la guerra continuò: nel
1951 per conto della Marina girò
“This is Korea”, un documentario
di propaganda sulle cause della
guerra di Corea. Grazie al sapiente occultamento di alcuni fatti e
alla spudorata falsificazione di
altri, oggi buona parte del mondo
ignora eventi realmente accaduti e crede a notizie palesemente
false. Un altro esempio? Quanti
lettori sanno che dal 1942 al 1944
gli Stati Uniti aprirono campi di
concentramento in cui segregarono cittadini americani? Fu una
vergogna spiegabile solo con le
paure irrazionali che affliggono
quel popolo profondamente insicuro. La storia dei campi di con-
centramento è poco nota e andò
così: alle 7,58 di domenica il 7
dicembre 1941 la flotta americana
di base a Pearl Harbor nelle isole
Hawaii fu decimata da 183 aerei
giapponesi decollati dalle loro
portaerei nell’Oceano Pacifico.
Fu un massacro: morirono 2.400
tra piloti e marinai, senza contare le navi affondate. Lo stesso 7
dicembre il Presidente Roosevelt
annunciò la notizia agli americani
e il giorno successivo, 8 dicembre 1941, fu dichiarata guerra al
Giappone. Il 19 febbraio 1942,
tre mesi più tardi, il Presidente
emanò l’Ordine Esecutivo 9066
in forza del quale ai comandanti militari fu ordinato di creare
nelle cosiddette “Aree militari”
numerose “zone di esclusione”
in cui determinate persone fossero “in tutto o in parte isolate”.
Le “zone di esclusione” erano
campi di concentramento, in cui
vennero reclusi i cittadini americani di ascendenza giapponese
residenti sulla costa del Pacifico.
L’imputazione? “Possibili spie”,
cioè furono reclusi senza prove. Finirono in baracche cintate,
come diceva l’Ordine Esecutivo,
con “filo spinato verso l’interno”,
cioè in modo che chi era dentro
non potesse fuggire e furono sistemati dapprima in “Campi di
smistamento”, poi in “Campi
definitivi”, a loro volta suddivisi
in “Campi per uomini” e “Campi per donne e bambini”. Il campo di smistamento più grande fu
quello di Manzanar, vicino alla
Sierra Nevada, in California (si
può visitare, è tenuto benissimo).
Vi transitarono 110.000 persone
tra il 1942 e il 1944, per il 62%
cittadini americani di ascendenza
giapponese residenti in California, Oregon, Stato di Washington
e parte dell’Arizona. Il restante
38% dei reclusi furono invece
giapponesi che a vario titolo si
trovavano sul suolo americano
nel momento dell’entrata in vi-
gore del provvedimento: marinai di navi mercantili, pescatori,
studenti universitari, lavoratori
giapponesi immigrati in attesa di
cittadinanza. In tutto finirono nei
campi circa 150.000 persone. Le
famiglie furono divise, le coppie
anziane furono separate, gli adulti
persero il lavoro e ogni mezzo di
sussistenza, i giovani interruppero
gli studi. Alla fine del 1944, quando fu palese l’insussistenza delle
accuse, tutti furono rilasciati. Ci
fu anche uno scandalo nello scandalo: emerse che le persone poi
detenute erano state identificate
grazie allo United States Census
Bureau (la nostra Agenzia delle
Entrate), che aveva fornito illegalmente notizie riservate sul loro
conto al Ministero della Guerra e
al FBI. La Presidenza degli Stati
Uniti negò ogni suo coinvolgimento nello scandalo e accusò
il Ministero della Guerra: è stata
smentita nel 2007. Una indagine
promossa alla fine degli anni ’70
dal Presidente Carter dimostrò che
nessun recluso aveva svolto atti di
spionaggio o anti americani, poi
il Presidente Reagan risarcì ogni
sopravvissuto con 22.000 dollari.
Nel 1988, 44 anni dopo la fine di
quella vergogna, il Congresso degli Stati Uniti impose al Governo
di scusarsi per l’accaduto.
(Sting)
Fardelli d’Italia
Luxleaks, ovvero Luxemburg Leaks: poche tasse e molti utili
A
vvicinandosi le festività natalizie e vivendo, noi beati,
nell’Unione Europea, perché non
ci regaliamo un bel Fardellone comunitario che ci faccia ingastrire
almeno quanto quelli di casa nostra? Bene, eccolo, ed ecco i fatti.
L’International Consortium of Investigative Journalists, ICIJ, www.
icij.com, fondato a New York nel
1997, è un network di 185 giornalisti di 65 paesi, attivi in testate della
carta stampata e radiotelevisive di
ampia notorietà quali, ad esempio,
l’inglese Guardian, il belga Le Soir,
il francese Le Monde, il tedesco
Sűddeutsche Zeitung, il giapponese
Asahi Shimbun, l’inglese BBC e la
francese France 2. Il sito della ICIJ
è assai interessante: riporta la lista
completa dei giornalisti e delle loro
testate; inoltre, offre al visitatore
un’ampia rassegna delle inchieste
in corso. Attualmente, quasi tutto
lo spazio è dedicato a uno scandalo emerso di recente, il Luxleaks,
Luxemburg Leaks. Si tratta di un
documento mastodontico ( 28.000
pagine), già pubblicato in 31 paesi,
che riporta gli accordi segreti raggiunti dal Governo del Granducato
del Lussemburgo con 343 aziende.
Tra queste, ce ne sono 31 italiane,
tra cui Unicredit, Banca Intesa,
Banca Sella, la Banca storica della
famiglia Agnelli, Banca Marche,
Finmeccanica (nonostante l’azionista di maggioranza sia il Ministero dell’Economia). Ebbene, le 343
imprese, quasi tutte multinazionali, hanno trasferito la sede dei loro
flussi finanziari in Lussemburgo e
pagano le tasse lì anziché nel loro
paese. Ovviamente, la tassazione è
di assoluto favore: ad esempio, nei
casi più importanti l’imposta sugli
utili d’impresa è stata dello 0,5%
(in Italia l’aliquota effettiva sugli utili è del 68,3%). Nel sito del
ICIJ è presente anche la lista delle
più importanti tra le 343 aziende,
raggruppate per settori merceologici: energia, finanza, alimentari,
farmaceutici, manifatture, media,
distribuzione, tecnologia e viaggi.
Alcuni nomi? Gazprom (russa,
153 miliardi di dollari di fatturato nel 2013), HSBC (Hongkong
Shanghai Banking Corporation,
oggi primo gruppo bancario europeo con una capitalizzazione
di 257,2 miliardi di Euro), AXA
Group (francese, assicurazioni),
Accenture (americana con sede a
Dublino, consulenza, ex Andersen
Consulting), Amazon, Coca Cola,
Heinz (americana, agroalimentare), Pepsi, Abbott (americana,
farmaceutici), General Electric,
Teva (israeliana, farmaceutici
equivalenti), la già citata Finmeccanica (alta tecnologia in difesa,
aerospazio, sicurezza), Dyson
(elettrodomestici), Ikea, Burberry
(inglese, abbigliamento), Staples
(americana, materiali per ufficio),
British American Tobacco (BAT,
inglese, terzo produttore mondiale di sigarette coi marchi Dunhill,
Lucky Strike, Pall Mall, Rothmans
e altri), Apple, Vodafone. Per convincere queste imprese ad avvalersi dei favori offerti dal Governo
lussemburghese e dal suo Ministero delle Finanze, oltre a una tassazione quasi virtuale è stata offerta
una dichiarazione governativa che
l’operazione è assolutamente lega-
le e che le imprese interessate non
violano alcuna norma in materia fiscale nei loro paesi. A ciò ha provveduto la sapiente opera della Pricewaterhouse Coopers, un gruppo
internazionale di consulenza presente in 158 paesi con 195.000
professionisti: i loro esperti fiscali
hanno redatto 548 documenti con
tanto di timbro e firma attestanti
la regolarità dell’operazione. Copia di questi documenti sono ora
in possesso della ICIJ, assieme ad
altri 16 dossier con la lista delle
tasse pagate dalle 343 imprese in
Lussemburgo. Se non c’è niente
da eccepire sotto l’aspetto formale,
molto c’è da dire sotto quello so-
stanziale. In primo luogo, le imprese che hanno pagato le imposte in
Lussemburgo non le hanno pagate
nel loro paese. Così facendo hanno
sottratto ai loro Stati ingenti capitali che invece avrebbero dovuto
pagare, mentre il Lussemburgo ha
usufruito di somme che non erano
di sua competenza. Infine, le imprese interessate hanno impoverito
i loro paesi mentre il Granducato,
uno staterello di 500.000 abitanti
grande quanto la metà della provincia di Rieti, si è arricchito indebitamente e senza merito. Comunque, se vogliamo vedere il caso in
positivo, grazie a questo scandalo
– perché di scandalo si tratta – abbiamo scoperto che per realizzare
illeciti profitti non è più necessario
esportare rischiosamente capitali
alle isole Cayman: più comodamente, basta recarsi in quell’angolo d’Europa tra Francia, Belgio
e Germania, in quel Granducato
del Lussemburgo che è stato, tra
l’altro, tra i primi paesi ad aderire
all’Unione Europea. Ed eccoci al
pezzo forte dell’inchiesta: chi ha
curato la regia di questo piano mefistofelico? Jean – Claude Juncker,
classe 1954, Presidente della Commissione Europea dall’1 novembre
2014, ma soprattutto per 18 anni,
dal 1995 al 2013, Presidente del
Consiglio dei Ministri del Granducato e per 9 anni anche Ministro
delle Finanze. Capito? Ed è proprio quell’ Juncker che ha esordito
nel nuovo incarico europeo battibeccando col nostro Presidente
del Consiglio Matteo Renzi che
chiedeva tolleranza nei confronti
del Piano di Stabilità italiano per il
2015. Sì, lo Juncker che si è molto
risentito quando Renzi ha dichiarato che l’Unione Europea pullula di
burocrati, “Io non sono alla guida di
burocrati!”, ha esclamato, fremente d’indignazione, a sottolineare il
suo rigore, la sua irreprensibilità e
il suo spirito pragmatico. Naturalmente, tutti i vertici dell’Unione
Europea si sono subito schierati
a suo favore ma, si sa, correre in
soccorso del vincitore può sempre venire utile. Per ora, Juncker
non è stato incriminato, ma i fatti
accertati sarebbero già sufficienti
per indurlo a rapide dimissioni.
Di certo, il rigore e l’intransigenza
con cui Juncker ha preannunciato
che guiderà l’Unione Europea non
vanno d’accordo con la sua guida
spregiudicata e levantina del Lussemburgo. Staremo a vedere che
farà, il Fardellone del Granducato,
che – fatemelo dire – “non poteva
non sapere”.
(Sting)
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