IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI

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Joan Ogiugo
Sede Associata di Bussoleno
Indirizzo: Scientifico Tecnologico Brocca
Anno Scolastico: 2013/2014
IMMIGRAZIONE E DIRITTI UMANI
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PREMESSA
Negare agli esseri umani i loro diritti fondamentali significa preparare uno scenario di
sconvolgimenti politici e sociali, di guerra e di conflitto tra gruppi sociali. Lungi dall’essere
un’idea astratta per filosofi o giuristi, i diritti umani riguardano la vita quotidiana di ciascuno:
uomo, donna o bambino che sia.
Eppure in questi ultimi sessantasei anni siamo stati testimoni di eventi gravissimi, contrari allo
spirito e alla lettera della Dichiarazione universale. Sono state combattute più di 150 guerre con
milioni di morti e di rifugiati. Abbiamo assistito alla barbara soppressione dei diritti dei popoli e
delle persone (lo testimoniano, tra l’altro, varie organizzazioni per la tutela dei diritti umani ).
Assistiamo alla morte di milioni di persone per fame.
“Disapprovo quello che dite, ma difenderò fino alla morte il vostro diritto di dirlo.”
Voltaire
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INDICE
 La Dichiarazione Universale dei diritti umani dell’uomo: storia e conseguenze
 Nascita della dichiarazione universale
pgg 4-5
 Struttura della dichiarazione universale pg 5
 Traffico e tratta di esseri umani
pg 6
 Descrizione del fenomeno
 Normativa pg 7-8
pg 6-7
 Contrasto all’immigrazione clandestina
 Introduzione pg 8
 Il respingimento e il controllo delle frontiere pg 8
 La repressione dei traffici legati all’immigrazione clandestina pg 9
 La polizia europea di frontiera pg 10
 L’espulsione pg 10-12
 Il nulla osta dell’autorità giudiziaria pg 12-13
 I centri di permanenza temporanea e accoglienza pg 14-15
 L’espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del terrorismo pg 16
 L’espulsione disposta dal giudice pg 16
 La revoca del permesso di soggiorno per la violazione delle norme sul diritto
d’autore pg 17
 L’attuazione della normativa comunitaria in materia di espulsione pg 17
 Principali provvedimenti dell’U.E. in materia di immigrazione clandestina pg 18

Gli accordi di riammissione e la “politica estera” dell’immigrazione pg 19
 Diritto d’asilo e status di rifugiato
 Le “condizioni” del diritto d’asilo pg 19
 La disciplina vigente in materia di rifugio politico ai sensi della Convenzione di
Ginevra pg 20
 Il trattenimento dei richiedenti pg 21
 Effettività della tutela giurisdizionale pg 21
 Proposte di legge attuativa del dettato costituzionale pg 22
 Decreto legislativo n°25 del 28 gennaio 2008 pg 21-24
 Confronto con la Svezia pg 24-26
 Sitografia pg 27
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Dichiarazione Universale dei diritti
dell’uomo: storia e conseguenze
Nascita della Dichiarazione Universale
Alla fine della seconda guerra mondiale ci si guardò
indietro con orrore: il disastro morale era più grave
ancora delle rovine materiali. La violenza fatta ai diritti dei singoli e di interi popoli, causa
della perdita di tante vite umane, lo sterminio degli ebrei (e di altre minoranze come i rom e
gli omosessuali), le esplosioni atomiche... tutto queste tragedie rappresentavano, ciascuna a
modo suo, le terrificanti dimostrazioni di un’inaudita forza distruttiva presente nell’umanità.
“Mai più” era allora la consegna: si cercava la massima garanzia che la pace e i diritti dei
popoli sarebbero stati d’ora in avanti rispettati. Con questo spirito fu steso nel 1945 lo Statuto
dell’ONU, il cui preambolo indicava come obiettivo quello di “salvare le future generazioni
dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato
indicibili afflizioni all’umanità”, e riaffermava “la fede nei diritti fondamentali della persona
umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e
piccole”.
Queste parole dello Statuto dell’ONU riflettono il legame indissolubile tra il rispetto dei
diritti umani e la sopravvivenza dell’umanità. Questa convinzione sta alla base anche della
Dichiarazione universale dei diritti umani, la cui formulazione fu uno dei primi compiti che
l’ONU si assunse. Essa fu approvata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea dell’ONU. Con i suoi
30 articoli, essa doveva costituire “un comune livello, che tutte le nazioni dovevano
raggiungere”.
Fu un evento storico: per la prima volta la comunità internazionale si assumeva la
responsabilità della tutela e della promozione di specifici diritti, posti alla base di ogni
convivenza. Così, dall’esperienza della violenza, poté scaturire una forte e inaudita
affermazione della dignità inviolabile dell’uomo. La Dichiarazione universale dei diritti
umani godette subito di grande autorità morale, influendo sul lavoro dell’ONU e ispirando
trattati internazionali, costituzioni e leggi interne dei singoli Stati, e contribuendo il maniera
decisiva all’evoluzione del diritto internazionale contemporaneo.
La struttura della Dichiarazione
La Dichiarazione universale dei diritti umani riconosce due tipi di diritti: i diritti civili e
politici, gradualmente affermatisi attraverso la storia del pensiero e delle istituzioni
democratiche, e i diritti economici, sociali e culturali, la cui importanza è stata riconosciuta
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più di recente, nel momento in cui ci si rese conto che senza
l’affermazione reale di questi ultimi, il godimento dei diritti
civili e politici rimaneva puramente formale. Nella
concezione della Dichiarazione universale i due tipi di
diritti, pur ricevendo trattazione separata, sono
interdipendenti e indivisibili.
La Dichiarazione si compone di un preambolo e di 30
articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici,
economici, sociali, culturali di ogni persona
. La Dichiarazione è stata paragonata da René Cassin alla
facciata di un tempio, in cui ogni parte trova una sua precisa collocazione.
Il preambolo collega il mancato rispetto dei diritti umani agli “atti di barbarie che offendono
la coscienza dell’umanità” con chiaro riferimento a quanto successo nella seconda guerra
mondiale (campi di sterminio, ecc.), e indica il rispetto di tali diritti, fissati in una concezione
comune di “ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni” come unica via per
un futuro di pace e di libertà. Per questo motivo il preambolo costituisce la gradinata con cui
è possibile accedere al tempio.
Gli art. 1-2 stabiliscono, come principio fondamentale, che “tutti gli esseri umani nascono
liberi ed eguali in dignità e diritti” e rappresentano quindi la base dell’edificio.
Gli art. 3-11 fissano i diritti e le libertà individuali e sono la prima colonna del tempio.
Gli art. 12-17 stabiliscono i diritti dell’individuo nei confronti della comunità in cui egli vive
(diritti civili) e costituiscono la seconda colonna del tempio.
Gli art. 18-21 sanciscono la libertà di pensiero e di associazione (diritti politici) e formano la
terza colonna del tempio.
Gli artt. 22-27 enunciano i diritti economici, sociali e culturali, la quarta colonna del tempio.
Gli artt. 28, 29 e 30 danno delle disposizioni che riguardano la realizzazione di questi diritti:
l’art. 28 stabilisce che “ogni individuo ha diritto ad un ordine sociale e internazionale nel
quale i diritti e le libertà enunciati in questa Dichiarazione possano essere pienamente
realizzati”; l’art.29 prevede invece che possano esistere delle limitazioni nell’esercizio dei
diritti e delle libertà per assicurare i diritti degli altri, per soddisfare le esigenze della morale,
dell’ordine pubblico e del benessere della comunità democratica. Queste limitazioni sono
regolate secondo la legge dei singoli Stati. I termini citati dall’art. 29 sono piuttosto vaghi e
scelte così decisive vengono demandate alle legislazioni dei singoli Stati. Per finire, l’art. 29
stabilisce che l’esercizio delle libertà non deve essere contrario ai fini dell’Onu. L’art. 30
ribadisce questo ultimo concetto: l’esercizio dei diritti non può essere utilizzato per
distruggere i diritti e le libertà sanciti dalla Dichiarazione. Ciò vuol dire che non si può
esercitare la libertà di pensiero o di associazione per svolgere delle attività che mirino
all’instaurazione di un regime liberticida. Questi ultimi articoli formano il frontone del
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tempio. Nella Dichiarazione vi è una predominanza di diritti civili e politici rispetto a quelli
economici, sociali e culturali. Tuttavia questi diritti sono egualmente importanti e
indispensabili dato che se una delle colonne venisse a mancare, l’intero tempio crollerebbe.
Traffico e tratta di esseri umani
Descrizione del fenomeno
Nonostante la promulgazione di leggi e convenzioni internazionali, di fatto, il traffico degli
esseri umani e le forme di schiavitù ad esso correlate non sono mai scomparsi, anzi, hanno
trovato espansione in vari territori prima considerabili immuni, come l'Europa. Le vittime
coinvolte sono migranti, in particolare donne e bambini, che abbandonano il loro paese - Asia,
Africa, America Latina, Est Europa - in genere, fuggono dalla povertà, dalle guerre, dalle
persecuzioni, da regimi non democratici; nessuno sceglie liberamente di lasciare la propria
terra.
Il traffico degli esseri umani è un mercato criminale, gestito da organizzazioni criminali che
agiscono in diversi paesi del mondo ed hanno una diversa dimensione,si suddivide in:
a)smuggling: questo termine può tradursi con "favoreggiamento dell'immigrazione
clandestina". In questa situazione, i potenziali migranti si rivolgono direttamente alle
organizzazioni criminali per poter migrare, pagando di tasca propria il servizio di trasporto
unitamente ai documenti. Una volta giunti a destinazione il loro rapporto con i trafficanti si
conclude;
b) trafficking: Le vittime vengono reclutate direttamente dai trafficanti mediante l'esercizio
della violenza (es. rapimento, minacce alle famiglie), o dell'inganno (promessa di un lavoro
onesto e ben retribuito). Una volta reclutate le vittime vengono portate dal paese di origine a
quello di destinazione, seguendo rotte terrestri, marittime, aeree e attraversando uno o più
paesi di transito. Le vittime, una volta private dei loro documenti di identità e ridotte in uno
stato di schiavitù, sono fatte oggetto di compravendita e sfruttate principalmente nei mercati
della prostituzione, dell'accattonaggio, del lavoro nero e del traffico di organi umani.
Il fatturato annuo del traffico degli esseri umani ammonterebbe a 10 miliardi di dollari.
Risulta difficile quantificare con precisione il
numero delle vittime, data la natura illecita del
mercato criminale di cui stiamo parlando.
Secondo un recente rapporto del Dipartimento
di Stato americano, le persone annualmente
trafficate nel mondo oscillerebbero tra le 600.000
e le 800 mila. Le Nazioni Unite stimano che ogni
anno nel mondo 1.200.000 bambini sono
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trafficati e sfruttati. Secondo l'Unicef ogni anno 500 mila giovani donne vengono portate in
Europa occidentale per essere sfruttate nel mercato del sesso a pagamento. Altri immigrati
vengono costretti a lavorare e a vivere all'interno di tuguri malsani per realizzare prodotti in
nome e per conto di imprenditori, anche autoctoni, desiderosi di risparmiare sui costi e i
tempi di produzione. Non vanno dimenticati, poi, il traffico di organi umani, i matrimoni
forzati, con cataloghi di donne presentati anche su internet. Infine va prestata la dovuta
attenzione anche a situazioni in cui la tratta è mascherata dietro attività apparentemente
legali, come ad esempio le sale massaggi, i locali di lap dance o i night club.
La criminalità organizzata ha investito parte dei suoi capitali, dei suoi mezzi e delle sue
risorse umane nel traffico degli esseri umani. Essa ha agito come un'impresa, ha diversificato i
propri investimenti, cosciente del fatto che il traffico degli esseri umani e il loro sfruttamento
consente rapidi e ingenti guadagni ed è sanzionato in modo meno pesante rispetto al
compimento di altre fattispecie di reato (es. il traffico di droga). Ad una grande domanda di
emigrazione la criminalità ha saputo offrire tutti i servizi necessari per immigrare
illecitamente. Ha inoltre assunto una struttura e una capacità di agire transnazionali,
mediante gruppi criminali organizzati nei paesi d'origine, di transito e di destinazione dei
flussi migratori.
L'Italia, per la sua posizione geografica, è interessata dal fenomeno essendo sia una paese di
transito che di destinazione. I migranti sfruttati giungono via mare su imbarcazioni di fortuna
- attualmente soprattutto sulle coste siciliane - via terra tramite, auto e bus - in particolare dal
confine italo-sloveno - e in alcuni casi anche via aerea. A gestire questo tipo di traffico sono
gruppi criminali di nazionalità straniera, in particolare di origine albanese, rumena,
nigeriana, cinese, oltre che di altre nazionalità, i quali operano soprattutto nelle zone del
centro-nord Italia, sfruttando loro connazionali, anche minorenni, principalmente nel mercato
della prostituzione, del lavoro nero, dell'accattonaggio.
Normativa
Nel 2000 a Palermo, l'Italia ha ospitato la conferenza delle Nazioni Unite dedicata alla
presentazione della Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale.
Nell'occasione sono stati presentati anche due protocolli addizionali alla Convenzione,
dedicati rispettivamente l'uno alla prevenzione, repressione e punizione della tratta di
persone in particolare di donne e bambini, l'altro per combattere il traffico di migranti via
terra, via mare e via aria. Il Parlamento italiano ha ratificato sia la Convenzione che i
protocolli con la legge 16 marzo 2006, n. 146. Inoltre, nel 2003 è stata promulgata la legge 11
agosto 2003, n. 228 con la quale sono state apportate sensibili modifiche agli articoli 600, 601,
602 del codice penale italiano, relativi alla riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù,
tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi. Dal 1998, in Italia, secondo quanto previsto
dall'articolo 18 del Decreto Legislativo 286/98 in materia di immigrazione, le vittime di tratta
possono usufruire di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale, al fine di
"consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell'organizzazione
criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale" (comma 1).
La norma citata consente alla vittima di percorrere due possibili strade: quella della denuncia
(giudiziaria) e quella di un recupero sociale e psicologico (sociale). Il 1 febbraio 2008 entrerà
in vigore la Convenzione contro il traffico degli esseri umani del Consiglio d'Europa. Va segnalata
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l'esistenza di un Numero Verde Antitratta nazionale 800 290 290, la cui titolarità è del
Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità. Si tratta di un numero telefonico attivo 24 ore
su 24, su tutto il territorio nazionale, in grado di fornire alle vittime, e a coloro che intendono
aiutarle, tutte le informazioni sulle possibilità di aiuto e di assistenza che la normativa italiana
offre per uscire dalla situazione di sfruttamento.
Contrasto all’immigrazione clandestina
Introduzione
Uno dei princìpi cardine della vigente disciplina dell’immigrazione consiste nell’adozione di
misure di contrasto di tutti i comportamenti illeciti collegati ai fenomeni migratori.
Innanzitutto misure preventive, volte a impedire gli ingressi al di fuori delle modalità
consentite (immigrazione clandestina). In secondo luogo, misure repressive che puniscono sia
la presenza di stranieri entrati illegalmente, sia la violazione delle disposizioni
amministrative che regolano la presenza legale, sia, infine, l’eventuale comportamento
criminale dell’immigrato.
Un articolato sistema di contrasto è definito dal testo
unico del 1998, sul quale è intervenuta la L. 189/2002
che, pur mantenendone inalterate le basi, vi ha
apportato notevoli modifiche, volte principalmente a
rendere complessivamente più stringenti gli obblighi
previsti e più restrittivo l’apparato sanzionatorio.
Il respingimento e il controllo delle frontiere
Il primo strumento di contrasto all’immigrazione
clandestina è costituito da un efficace controllo delle
frontiere, il respingimento è sostanzialmente una operazione di polizia volta ad impedire
l’ingresso clandestino di immigrati, ne esistono due tipologie:
 Immediato, effettuato direttamente dalla polizia di frontiera nei confronti di coloro che si
presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti necessari per l’ingresso nel
territorio nazionale;
 Differito, operato per ordine del questore, quando lo straniero, pur se intercettato ai
valichi di frontiera senza i documenti richiesti per fare ingresso nello Stato, abbisogna di
soccorso, oppure nel caso di ingresso attraverso l’elusione dei controlli di frontiera e
conseguente fermo nelle sue vicinanze.
Il respingimento non viene effettuato nei casi previsti dalle disposizioni concernenti l’asilo
politico.
Il testo unico affida la funzione di controllo delle frontiere ai Ministeri dell’interno e degli
affari esteri. Spetta ai titolari dei due dicasteri adottare, per la rispettiva competenza, un piano
generale per il potenziamento e il perfezionamento delle misure di controllo delle frontiere.
A livello locale, il testo unico affida ai prefetti delle province di confine terrestre ed ai prefetti
dei capoluoghi delle regioni interessate alla frontiera marittima il coordinamento dei controlli
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di frontiera e la vigilanza marittima e terrestre, nell’ambito delle direttive adottate dal
ministro dell’interno.
Sia il Ministero degli affari esteri, sia quello dell’interno possano promuovere intese con i
Paesi di provenienza o di transito dei flussi irregolari. Le intese di collaborazione possono
prevedere anche la cessione a titolo gratuito di apparecchiature e mezzi, strumentali alla
prevenzione dell’immigrazione clandestina.
In tale ambito, il D.L. 241/2004 ha previsto la possibilità che il Ministero dell’interno
contribuisca, solo per il 2004 e il 2005, alla realizzazione, nei Paesi di provenienza, di apposite
“strutture” destinate al contrasto dei flussi irregolari. Allo scopo sono destinati 13,8 milioni di
euro.
La repressione dei traffici legati all’immigrazione clandestina
Il testo unico dell’immigrazione (art. 12) contempla una serie di norme che costituiscono un
completamento delle disposizioni relative ai controlli di frontiera.
Si tratta, innanzitutto, della previsione del reato di favoreggiamento all’immigrazione
clandestina, destinato a colpire coloro, come i cosiddetti “scafisti”, che a scopo di lucro
conducono illegalmente nel territorio dello Stato cittadini provenienti da Paesi non
comunitari. Si tratta di un reato grave per il quale è obbligatorio l’arresto in flagranza e la
confisca del mezzo di trasporto.
La L. 189/2002 ha integrato la fattispecie incriminatrice considerando come illecito non solo il
favoreggiamento all’ingresso, ma anche le attività dirette a favorire l’uscita dall’Italia e
l’ingresso illegale in altro Stato (immigrazione clandestina di transito) ed ha provveduto a
rimodulare le sanzioni a seconda della presenza di circostanze aggravanti (quali l’avviamento
alla prostituzione), sanzioni successivamente aumentate ad opera del D.L. 241/2004,
prevedendo anche sconti di pena per chi collabora con la giustizia.
Un secondo gruppo di disposizioni disciplina le operazioni di polizia finalizzate al contrasto
delle immigrazioni clandestine. Il testo unico da la facoltà alle forze dell’ordine operanti nelle
zone di confine e in mare di procedere al controllo, alle ispezioni e alle perquisizione dei
mezzi di trasporto nel corso delle operazioni di contrasto dei traffici legati all’immigrazione
clandestina, e, in caso di necessità, al sequestro di tali mezzi e degli altri beni eventualmente
utilizzati, i quali verranno affidati in custodia giudiziale:
 agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di polizia,
 ad altri organi dello Stato o ad altri enti pubblici per finalità di giustizia, di protezione
civile o di tutela ambientale.
I mezzi di trasporto non affidati verranno distrutti.
In materia di operazioni di polizia contro il traffico di clandestini è intervenuta anche la L.
189/2002 disciplinando il trattamento riservato alle navi – ed, in quanto compatibile, agli
aerei – che si ha fondato motivo di ritenere siano adibite o coinvolte nel traffico illecito di
migranti (co. 9-bis e seguenti), in modo da prevenire gli sbarchi di clandestini. Vi sono due
casi: quello che si verifica in acque territoriali (o nella zona contigua) e quello che si verifica al
di fuori di esse.
Nel primo caso è la nave italiana in servizio di polizia (o la Marina) che può fermare la nave
sospetta, ispezionarla e, se sono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento in un
traffico di migranti, sequestrarla, conducendola in un porto nazionale.
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Nel secondo caso i medesimi poteri sono posti in capo sia alle navi della Marina militare, sia
alle navi in servizio di polizia, e possono essere esercitati a prescindere dalla bandiera battuta
dalla nave fermata, purché nei limiti consentiti dalla legge o dal diritto internazionale.
Tale disposizione è stata attuata con l’adozione del decreto del ministro dell’interno 14 luglio
2003, il quale affida le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione
clandestina ai mezzi aereonavali della Marina militare, delle Forze di polizia e delle
Capitanerie di porto. Alla Marina militare spettano in modo prevalente le attività in acque
internazionali, mentre le attività nelle acque territoriali e nelle zone contigue sono attribuite
principalmente alle Forze di Polizia. Al Corpo delle capitanerie di porto sono affidati compiti
soccorso, assistenza e salvataggio. Il coordinamento di tutte le attività è esercitato dalla
Direzione centrale della polizia di frontiera del Ministero dell’interno.
La polizia europea di frontiera
L’abolizione delle frontiere interne dell’Unione europea a seguito degli accordi di Schengen
ha comportato che i confini dei singoli Paesi membri con i Paesi extraeuropei sono diventati,
in sostanza, i confini dell’Unione stessa. Pertanto, la maggior parte degli oneri conseguenti
alla realizzazione dell’area Schengen (maggiori controlli alle frontiere, alimentazione della
banca dati, monitoraggio dei flussi migratori) ricadono su quei Paesi che hanno una più vasta
estensione delle frontiere “esterne” e sono più esposti ai
tentativi di ingressi clandestini. Questo spiega perché
negli ultimi anni i Paesi dell’Unione europea affacciati sul
Mediterraneo, come l’Italia, hanno promosso la
realizzazione di forme di controllo coordinato delle
frontiere, anche al fine di condividere gli oneri finanziari
che questo comporta. Un passo fondamentale in questa
direzione è stato compiuto con l’istituzione dell’Agenzia
europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri
dell’Unione europea, costituita nel 2005 con sede a Varsavia.
L’Agenzia ha il compito di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in
materia di gestione delle frontiere esterne; assistere gli Stati membri nella formazione di
guardie nazionali di confine, anche elaborando norme comuni in materia di formazione;
preparare analisi dei rischi; seguire l’evoluzione delle ricerche in materia di controllo e
sorveglianza delle frontiere esterne; aiutare gli Stati membri che devono affrontare
circostanze tali da richiedere un’assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne;
fornire agli Stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio
congiunte.
L’espulsione
Il testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero
riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche: l’espulsione quale sanzione
amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in
caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal
giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e
l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale).
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Esse rispondono a due distinte finalità: la prima colpisce coloro che trasgrediscono le
procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una
sanzione necessaria ai fini del loro rispetto.
La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla
regolarità della sua posizione amministrativa. Tuttavia, alcune forme di espulsione
“giudiziaria” possono essere eseguite solo nei confronti degli stranieri passibili di espulsione
amministrativa.
E’ consentito il solo respingimento ma non l’espulsione nei seguenti casi:
 minori, salvo il diritto di seguire il genitore espulso;
 possessori di carta di soggiorno, a meno che non ricorrano gravi motivi di ordine
pubblico, ai senzi dell’art. 9 T.U.;
 conviventi con coniuge o con parenti entro il quarto grado di nazionalità italiana;
 donne in stato di gravidanza o con figli minori di sei mesi.
L’espulsione amministrativa
L’art. 13 del testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo due tipologie
distinte di provvedimento:
 l’espulsione disposta dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello Stato;
 l’espulsione disposta dal prefetto nei seguenti casi:
 quando lo straniero è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di
frontiera (immigrato clandestino);
 quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il
permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il permesso di soggiorno è
stato revocato o annullato o scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il
rinnovo (immigrato irregolare);
 quando lo straniero sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad
associazioni criminali di tipo mafioso.
Una terza ipotesi è costituita dall’espulsione per motivi di prevenzione del terrorismo
introdotta dall’art. 3, co. 1, del D.L. 144/2005 (il cosiddetto “decreto Pisanu”, emanato dopo
gli attentati del 7 luglio a Londra).
Lo stesso D.L. 144/2005 (art. 3, co. 3) ha inoltre introdotto la possibilità, in precedenza non
prevista, che il prefetto possa omettere, sospendere o revocare il provvedimento di
espulsione:
 quando sussistono le condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno a fini
investigativi;
 quando sia necessario per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di attività
terroristiche, ovvero per la prosecuzione delle indagini o delle attività informative dirette
alla individuazione o alla cattura dei responsabili dei delitti commessi con finalità di
terrorismo.
Il prefetto è tenuto ad informare preventivamente il ministro dell’interno.
L’espulsione amministrativa è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co.
3). La L. 189/2002 è intervenuta sul punto in senso restrittivo specificando che il decreto è
immediatamente esecutivo e, inoltre, stabilendo che l’espulsione viene di norma eseguita con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4, vedi oltre).
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Da ricordare in questa sede, che il D.L. 272/2006, prevede la previsione per cui lo straniero
che incorre in condotte integranti illeciti amministrativi riguardanti gli stupefacenti (ossia
acquista o detiene sostanze stupefacenti al di sotto dei limiti quantitativi per i quali scatta la
sanzione penale) è segnalato dalla polizia al questore per le valutazioni di competenza in sede
di rinnovo di permesso.
Il nulla osta dell’autorità giudiziaria
Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del provvedimento di
espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria che può essere negato in
presenza di inderogabili esigenze processuali. Nel caso di arresto in flagranza o di fermo il
giudice rilascia il nulla osta al momento della convalida.
La L. 189/2002 ha aggiunto a queste disposizioni sintetiche alcune norme volte a disciplinare
in dettaglio nel modalità di rilascio del nulla osta:
 non si dà luogo all’espulsione se lo straniero sottoposto a procedimento penale si trova in
stato di custodia cautelare in carcere; una volta estinta o
revocata la misura di custodia il giudice rilascia il nulla
osta;
 viene chiarito in che cosa consistano le “inderogabili
esigenze processuali”: esse vanno valutate in relazione
all’accertamento di responsabilità di eventuali
concorrenti nel reato e all’interesse della persona offesa;
 una volta disposta l’espulsione in pendenza di giudizio,
il giudice è tenuto a pronunciare sentenza di non luogo a
procedere;
 la sentenza di non luogo a procedere non impedisce
l’esercizio dell’azione penale per il medesimo fatto a
carico dello straniero espulso, qualora questi rientri illegalmente, ai sensi dell’art. 345 del
codice di procedura penale.
La L. 189/2002 prevede che l’espulsione è di norma eseguita dal questore mediante
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
La modalità di espulsione con intimazione a lasciare il territorio dello Stato è indicato
unicamente per gli immigrati irregolari il cui permesso di soggiorno è scaduto da oltre 60
giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. È previsto però l’allontanamento forzato in presenza
di sospetti sulla effettiva volontà del soggetto ad ottemperare all’ordine.
La L. 189/2002 ha introdotto, inoltre, una nuova fattispecie di espulsione tramite intimazione
a lasciare il territorio dello Stato non prevista in origine dal testo unico, disposta dal questore
quando non è possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea,
oppure sono trascorsi i termini massimi di trattenimento in tali centri.
L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale
mediante accompagnamento da parte della forza pubblica è sottoposta alla sua convalida da
parte dell’autorità giudiziaria, introdotta dal D.L. 51/2002. In questo modo si è adeguato
l’ordinamento giuridico all’orientamento della Corte costituzionale, espresso da ultimo con la
sentenza n. 105 del 2001, nella quale si ritiene contrario alla Costituzione il fatto che
l’immigrato clandestino sia allontanato dal territorio nazionale in virtù di un semplice
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provvedimento amministrativo, emanato dal questore senza il vaglio della magistratura. La
Corte ha affermato che il controllo del giudice non si limita alla verifica della sussistenza o
meno dei presupposti che hanno portato alla decisione del trattenimento, ma investe anche
l’espulsione amministrativa nella sua specifica modalità di esecuzione consistente
nell’accompagnamento alla frontiera.
La pronuncia avrebbe dunque inciso su uno degli strumenti principali di esecuzione
dell’espulsione, tanto più se si considera che la riforma del testo unico sull’immigrazione
operata con la L. 189/2002, allora all’esame del Parlamento, prevede, come si è visto, un più
ampio ricorso all’accompagnamento alla frontiera.
L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di
un difensore. La convalida è disposta con decreto motivato entro le 48 ore successive,
verificando il rispetto dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dallo stesso art. 13 del
T.U. per l’espulsione e sentito l’interessato. In attesa della decisione del giudice, lo straniero è
trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea e di assistenza, a meno che si possa
procedere al giudizio nell’immediatezza, senza dover ricorrere all’invio nei centri. Il
provvedimento del questore diviene esecutivo se la convalida è concessa ma perde ogni
effetto sia in caso di convalida negata dal giudice, sia in caso di mancata decisione del giudice
nel termine previsto. Contro il decreto del giudice che dispone la convalida è esperibile
ricorso per Cassazione; tuttavia il ricorso non determina ulteriori effetti sospensivi sul
provvedimento di allontanamento: lo straniero colpito dal provvedimento di allontanamento
può dunque essere allontanato subito dopo la convalida, ferma la possibilità di proporre il
ricorso dopo che il provvedimento restrittivo è stato eseguito.
Avverso il decreto di espulsione può essere presentato unicamente il ricorso al giudice di
pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione. Il ricorso può essere
presentato anche all’estero presso la rappresentanza diplomatica o consolare nel Paese di
destinazione dello straniero espulso, entro 30-60 giorni dalla comunicazione all’interessato.
All’espulsione si accompagna il divieto di rientrare nel territorio dello Stato, salva speciale
autorizzazione del ministro dell’interno, per un periodo che di norma è pari a dieci anni, ma
che può essere di misura inferiore, sino a un minimo di cinque anni. L’interdizione al regresso
può diventare perpetua: infatti la L. 189/2002 ha introdotto quali condizioni ostative
all’ottenimento del visto di ingresso la condanna ad uno di una serie di gravi reati. La
trasgressione del divieto di reingresso è sanzionata penalmente con il carcere e
l’accompagnamento alla frontiera. La legge è stata giudicata incostituzionale dalla Corte
costituzionale.
A seguito della decisione della Corte il D.L. 241/2004 ha riformulato la norma ritenuta
illegittima prevedendo due ipotesi distinte:
 se la violazione è compiuta da coloro che erano stati espulsi in quanto clandestini,
delinquenti abituali o con permesso di soggiorno scaduto, annullato o non rinnovato senza
valido motivo, la pena è fissata nella reclusione da 1 a 4 anni: l’aggravamento della pena
modifica la natura del reato (da contravvenzione a delitto) consentendo quindi l’eventuale
l’imposizione delle misure coercitive e, pertanto, di superare i rilievi della Corte;
 se, invece, lo straniero era stato espulso semplicemente per la scadenza da più di 60 giorni
del permesso di soggiorno rimane la pena dell’arresto da 6 mesi ad un anno, ma viene
eliminato, per questa ipotesi, l’obbligo di arresto.
13
I centri di permanenza temporanea e accoglienza
Nel quadro delle misure sanzionatorie disposte per la violazione delle norme
sull’immigrazione il testo unico ha previsto l’istituzione di appositi centri di permanenza
temporanea e accoglienza (CPTA) da costituire con decreto del ministro dell’interno (art. 14
T.U.)
Il centro costituisce lo strumento per trattenere lo straniero quando non è possibile, per
motivi contingenti, eseguire immediatamente il respingimento alla frontiera o l’espulsione
mediante accompagnamento alla frontiera. Il testo unico indica tassativamente i motivi che
consentono il trattenimento:
 necessità di prestare soccorso;
 accertamento dell’identità o nazionalità dello straniero;
 acquisizione dei documenti per il viaggio;
 indisponibilità di un mezzo di trasporto idoneo per l’espulsione.
Il D.L. 241/2004 ha aggiunto una ulteriore ipotesi: lo straniero in attesa della definizione del
procedimento di convalida deve essere trattenuto in uno dei centri, a meno che, come si è
visto sopra, non si possa procedere immediatamente alla convalida.
Il trattenimento è disposto con provvedimento del questore per un periodo di 30 giorni,
prorogabile, su richiesta del questore e solo in
presenza di gravi difficoltà, di altri 30 giorni.
Anche questo atto, in quanto incidente sulla
libertà di circolazione del cittadino straniero, è
sottoposto a verifica giurisdizionale
(convalida).
Il questore è tenuto, perciò, a trasmettere
immediatamente e comunque entro 48 copia
degli atti all’autorità giudiziaria (giudice di
pace) ai fini della sua convalida.
Il D.L. 241 ha dettato una nuova disciplina dell’udienza di convalida del provvedimento del
questore. Vengono estese a tale fattispecie le stesse garanzie previste per la convalida
dell’espulsione. Si prevede che l’udienza si svolga in camera di consiglio con la presenza
necessaria di un difensore e che l’interessato, tempestivamente informato e condotto nel
luogo in cui il giudice tiene l’udienza, se comparso, sia sentito. La decisione deve essere
assunta dal giudice nelle 48 ore successive, con decreto motivato, verificato il rispetto dei
termini. Il provvedimento del questore cessa di avere effetto se la convalida viene negata o se
il giudice non decide nel termine summenzionato di 48 ore.
Attualmente sono operativi 14 centri di permanenza temporanea e assistenza localizzati a
Torino, Milano, Bologna, Modena, Roma, Brindisi, Lecce, Lametia Terme, Crotone,
Caltanissetta, Agrigento, Lampedusa, Ragusa, Trapani.
L’espulsione dello straniero per motivi di prevenzione del terrorismo
All’indomani dei tragici attentati del 7 luglio 2005 a Londra, il Governo italiano ha adottato il
già citato D.L. 144/2005 (convertito in brevissimo tempo) contenente una serie di misure
approntate per prevenire e contrastare il terrorismo internazionale.
14
Tra queste l’introduzione di una terza ipotesi di espulsione amministrativa, ulteriore a quella
disposta dal prefetto per violazione amministrativa delle norme sull’immigrazione e da
quella per motivi di ordine pubblico effettuata su impulso dal ministro dell’interno:
l’espulsione per motivi di prevenzione di terrorismo (art. 3, DL 144).
Essa può essere disposta dal ministro dell’interno, o, su sua delega, dal prefetto nei confronti
dello straniero qualora ricorra una delle seguenti condizioni:
 il destinatario appartenga ad una delle categorie di cui all’art. 18 della L. 152/1975;
 vi siano fondati motivi di ritenere che la permanenza del destinatario nel territorio dello
Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche
internazionali.
Le categorie di cui all’art. 18 della L. 152/1975 comprendono coloro che:
 operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente
rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei
delitti elencati dal citato art. 18, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo
anche internazionale;
 abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della L. 645/1952
(concernente la riorganizzazione del disciolto partito fascista) e nei confronti dei quali
debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività
analoga a quella precedente;
 compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del partito
fascista ai sensi dell’art. 1 della citata L. 645/1952, in particolare con l’esaltazione o la
pratica della violenza;
 fuori dei casi sin qui indicati, siano stati condannati per uno dei delitti in materia di armi
previsti nella L. 895/1967 e negli artt. 8 e seguenti della L. 497/1974, quando debba
ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato
della stessa specie col fine indicato nel precedente n. 1.
Agli appartenenti alle categorie sin qui illustrate sono equiparati i relativi istigatori, mandanti
e finanziatori (è definito finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni,
conoscendo lo scopo a cui sono destinati).
Questa forma di espulsione amministrativa è sottoposta in parte ad un regime diverso da
quello previsto dal testo unico come modificato dalla L. 189/2002, con l’obiettivo, nel
complesso, di dare più celerità e immediatezza all’esecuzione dell’espulsione.
Innanzitutto, anche contro i decreti di espulsione per motivi di terrorismo è ammesso ricorso
al tribunale amministrativo competente per territorio, ma è espressamente escluso che il
ricorso giurisdizionale sospenda l’esecuzione del provvedimento di espulsione o che in sede
giurisdizionale (sia dinanzi al TAR, sia dinanzi al Consiglio di Stato) possa comunque
disporsi la sospensione dell’esecuzione in via cautelare.
15
L’espulsione disposta dal giudice
L’ordinamento considera diverse ipotesi di
espulsione disposta dall’autorità giudiziaria.
Il codice penale prevede l’espulsione a titolo di
misura di sicurezza – ossia da eseguire dopo
l’esecuzione della pena – in due casi:
 condanna alla reclusione per un tempo non
inferiore a dieci anni (art. 235 del codice
penale);
 condanna a una pena restrittiva della libertà personale per uno dei delitti contro la
personalità dello Stato (art. 312 del codice penale).
Il testo unico, in questo punto non modificato dalla L. 189/2002, ha ampliato la possibilità di
applicare allo straniero l’espulsione quale misura di sicurezza a tutti reati per i quali è
previsto l’arresto. Il giudice può applicare tale misura, che è facoltativa, solo previo
accertamento della pericolosità sociale dell’individuo.
L’espulsione quale misura di sicurezza è prevista, inoltre, in caso di condanna per uno dei
delitti legati al traffico di stupefacenti (art. 86 del testo unico in materia di stupefacenti).
Quanto all’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva delle detenzione, l’art. 16 del testo unico
sull’immigrazione dispone che il giudice, al momento della sentenza di condanna per reato
non colposo, quando ritiene di dover irrogare una pena detentiva contenuta entro i due anni,
può decidere di sostituire la pena medesima con l’espulsione per un periodo di almeno
cinque anni. È, dunque, anch’essa una misura facoltativa, la cui adozione spetta al giudice, e
può essere applicata anche in caso di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (il cosiddetto “patteggiamento”).
L’ambito di applicazione dalla misura sostitutiva non comprende gli stranieri
extracomunitari legittimamente presenti sul territorio dello Stato, bensì unicamente quelli che
si trovano in una delle situazioni passibili di espulsione amministrativa: irregolari, clandestini
e delinquenti abituali.
Non può, inoltre, essere applicata qualora non ricorrano le condizioni per la concessione della
sospensione condizionale della pena o nel caso sia impossibile eseguire immediatamente
l’espulsione per le stesse cause che obbligano il trattenimento nei centri di permanenza.
La L. 189/2002 ha aggiunto due nuove cause ostative all’adozione della misura sostitutiva
che ne restringono ulteriormente la possibilità di applicazione, si tratta di:
 condanna di delitti particolarmente gravi (di cui all’art. 407, co. 2, lett. b) c.p.p.);
 condanna per uno dei delitti previsti dal testo unico.
La sanzione sostitutiva è revocata nel caso di reingresso illegale prima del termine di 10 anni
previsto in linea generale dall’art. 13, co. 14.
L’espulsione a titolo di sanzione alternativa della detenzione costituisce una nuova figura di
espulsione giudiziaria istituita ex novo dalla L. 189/2002.
A differenza dell’espulsione sostitutiva, applicata discrezionalmente dal giudice, anche su
richiesta delle parti, al momento della pronuncia della sentenza di condanna, l’espulsione
quale sanzione alternativa è automatica e si applica dopo la condanna, nel caso dello straniero
detenuto che deve scontare una pena, anche residua, non superiore ai due anni.
16
Sono escluse le condanne per i reati particolarmente gravi, come per la sanzione sostitutiva, e
quelle per tutti i reati in materia di immigrazione previsti dal testo unico.
Anche l’espulsione a titolo di sanzione alternativa non riguarda gli stranieri legittimamente
presente nel territorio italiano, bensì gli immigrati clandestini e gli irregolari.
La revoca del permesso di soggiorno per la violazione delle norme sul diritto d’autore
La L. 189/2002 ha introdotto una ulteriore forma di sanzione, non direttamente assimilabile
né a quelle di tipo amministrativo, né a quelle di competenza dell’autorità giudiziaria, che si
sono descritte sopra.
Si tratta della revoca del permesso di soggiorno e nella conseguente espulsione con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, nei confronti dello straniero
che è stato condannato con provvedimento irrevocabile per uno dei reati previsti dalle norme
sul diritto di autore quali:
 la contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti
industriali, punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa(art. 473 c.p.);
 l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, punito con la reclusione
fino a due anni e con la multa (art. 474, c.p.).
 i reati previsti dalla legge sul diritto d’autore, relativi prevalentemente alla duplicazione e
commercializzazione abusiva di opere dell’ingegno (artt. 171 e seguenti della legge
633/1941).
Da rilevare che i limiti massimi delle pene previste per i delitti di cui sopra sono
generalmente più bassi di quelli visto sopra per il quale scatta l’espulsione quale misura di
sicurezza.
Premesso che questo è l’unico caso in cui è prevista la revoca del permesso di soggiorno, tale
misura, e la conseguente espulsione coatta, si configurano non quali misure di sicurezza, la
cui applicazione coinvolge la pericolosità sociale del reo, ma sono piuttosto assimilabili alle
pene accessorie, automaticamente applicabili in conseguenza della condanna penale.
L’attuazione della normativa comunitaria in materia di espulsione
In virtù della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, il provvedimento di
espulsione comporta l’inserimento del nome dello straniero nel Sistema d’informazione
Schengen ai fini della non ammissione nell’area Schengen.
Nella banca dati SIS sono inseriti anche i dati relativi agli stranieri che sono stati espulsi,
respinti o allontanati (art. 96).
Sono, inoltre, segnalati:
 gli stranieri colpevoli di reati per cui è prevista una pena privativa di libertà di almeno un
anno;
 gli stranieri sospettati di gravi reati, incluso il traffico di stupefacenti.
Le segnalazioni sono utilizzate ai fini della procedura di rilascio dei visti e dei documenti di
soggiorno e ad esse consegue la non ammissione nell’area Schengen (art. 25).
Il sistema comporta l’efficacia in tutti gli Stati aderenti delle decisioni di espulsione adottato
da uno di essi, e costituisce una delle condizioni indispensabili per la creazione di un effettivo
spazio di libera circolazione. Tuttavia, la varietà delle disposizioni nazionali relative alle
modalità e ai criteri delle espulsioni hanno reso necessario l’adozione di disposizioni comuni
17
in materia di allontanamento dei cittadini non comunitari in modo da consentire il
riconoscimento reciproco dei provvedimenti di espulsione.
Tali disposizioni sono contenute della direttiva 2001/40/CE recepita nel nostro ordinamento
con il D.Lgs. 10 gennaio 2005, n. 12 che, in pratica, introduce una nuova tipologia di
allontanamento nell’ordinamento interno: l’espulsione a seguito di misura di allontanamento
presa da un altro Paese dell’area Schenghen.
Il D.Lgs. 12/2005 individua nel prefetto l’autorità italiana cui compete l’adozione del
provvedimento di espulsione per attuare la decisione di allontanamento adottata da un altro
Stato membro. Mentre all’esecuzione materiale dell’espulsione provvede il questore.
Per quanto riguarda le procedure di adozione del provvedimento prefettizio e dell’esecuzione
dell’espulsione, il D.Lgs. 12/2005 fa riferimento essenzialmente a quelle del testo unico con
alcune particolarità. Il prefetto può acquisire i documenti dallo Stato autore della decisione
relativi alla medesima decisione. Il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero
dell’interno è tenuto ad effettuare ulteriori accertamenti sulla situazione dello straniero da
espellere, avvalendosi del Servizio per la cooperazione internazionale. Lo stesso Ministero
dell’interno provvede anche a comunicare allo Stato autore della decisione l’avvenuta
esecuzione dell’espulsione.
Contro il provvedimento di esecuzione è prevista la possibilità di ricorrere all’autorità
giudiziaria secondo le modalità previste per l’espulsione ai sensi del testo unico (art. 13, co.
8).
Principali provvedimenti dell’UE (adottati o in itinere) in materia di immigrazione
clandestina
Argomento
Atto
Data
Sistema “Eurodac” per il
Regolamento (CE) n.
11 dicembre 2000
confronto dei dati sulle
2725/2000
impronte digitali
Riconoscimento reciproco
Direttiva 2001/40/CE
28 maggio 2001
delle decisioni di
recepita con D.Lgs. 10
allontanamento
gennaio 2005, n. 12
Politica comune in materia Comunicazione
15 novembre
di immigrazione illegale
COM(2001)672
2002
Definizione del
Direttiva 2002/90/CE
28 novembre
favoreggiamento
2002
dell’ingresso, del transito e
del soggiorno illegali
Rafforzamento del quadro Decisione quadro
28 novembre
penale per la repressione
2002
del favoreggiamento
dell’ingresso, del transito e
del soggiorno illegali
Politica comune in materia Comunicazione
3 giugno 2003
di immigrazione illegale
COM(2003)323
Assistenza durante il
Direttiva 2003/110/CE
25 novembre
18
transito nei provvedimenti
di espulsione per via aerea
Titolo di soggiorno per le
vittime dell’immigrazione
illegale che collaborano
Norme comuni per il
rimpatrio dei clandestini
2003
Direttiva 2004/81/CE
29 aprile 2004
Proposta di direttiva
COM(2005)391
1° settembre
2005
Gli accordi di riammissione e la “politica estera” dell’immigrazione
Uno degli strumenti che hanno reso possibile una efficace azione di contrasto
all’immigrazione clandestina è stato la stipulazione, da parte del Governo italiano, di una
serie di accordi bilaterali in materia di immigrazione.
Si tratta, innanzitutto, degli accordi di riammissione degli stranieri irregolari, previsti dal
testo unico sull’immigrazione (art. 11, co. 4), volti ad ottenere la collaborazione delle autorità
del Paese straniero nelle operazioni di rimpatrio dei migranti non regolari, espulsi dall’Italia o
respinti al momento dell’attraversamento della frontiera.
Con alcuni Paesi, e specificamente con quelli a più alta pressione migratoria, sono stati
perfezionati pacchetti di intese di portata più ampia che prevedono non soltanto accordi di
riammissione, ma anche intese di
cooperazione di polizia, nonché accordi in
materia di lavoro. Nei decreti annuali sui
flussi di ingresso del lavoratori
extracomunitari sono previste quote
riservate per gli stranieri provenienti da
Paesi che hanno stretto tali accordi globali di
cooperazione.
L’Italia ha al momento sottoscritto 27 intese bilaterali in tema di riammissione, di cui 5
conclusi nella scorsa legislatura. Contatti sono in corso con altri 17 Paesi.
Si richiama, infine, la citata L. 228/2003 contro la tratta di persone, che affida al ministro degli
affari esteri il compito di definire le politiche di cooperazione nei confronti dei Paesi
interessati da tale reato tenendo conto della collaborazione da essi prestata e dell’attenzione
riservata dai medesimi alle problematiche della tutela dei diritti umani e provvede ad
organizzare, d’intesa con il ministro per le pari opportunità, incontri internazionali e
campagne di informazione anche all’interno dei Paesi di provenienza delle vittime del traffico
di persone (art. 14, co. 1).
Diritto d’asilo e status di rifugiato
Le "condizioni" del diritto d'asilo
L’accettazione o la negazione della richiesta del diritto d’asilo dipendono dalle condizioni di
vita del profugo nel suo paese d’origine, la quale dev’essere oggetto di indagine. Non sempre
uno stato con una costituzione democratica garantisce che esso rispetti davvero i diritti umani
perché essa può non venire rispettata La ratio della norma costituzionale, infatti, è quella di
19
accogliere in Italia chi non ha il concreto godimento delle libertà fondamentali all'interno del
territorio del proprio Stato, senza che il potere sovrano di quest'ultimo sia in grado di
tutelarlo. Non esiste stato in assoluto ai quali cittadini sia negato il diritto di asilo, nemmeno
quelli considerati sicuri.
Anche solo la compressione di una delle libertà costituzionali rende un fuggitivo meritevole
del diritto di asilo. Esistono delle eccezioni, ad esempio una condizione di disoccupazione nel
paese d’origine non comporta una violazione del diritto al lavoro. Se nel paese d’origine di un
rifugiato dovessero scomparire quelle condizioni che l’hanno portato a fuggire e domandare
asilo, si può procedere con le dovute cautele alla cessazione del diritto d’asilo.
La riserva di legge contenuta nell'art. 10, co. 3 Cost. è assoluta: la specificazione delle
modalità di accertamento della sussistenza delle condizioni obiettive, cui è subordinato il
godimento del diritto d'asilo nonché di tutti gli altri elementi (procedurali e non) suscettibili
di ulteriore specificazione, potrà attuarsi solo con atto normativo primario avente valore di
legge. Lo spazio che residua per l'intervento di fonti regolamentari è limitato alla stretta
esecuzione di quanto previsto nella legge di
attuazione.
Esiste una differenza tra i richiedenti asilo e gli immigrati irregolari di fronte alla legge: per i
primi non si può provvedere al respingimento o all’espulsione prima che sia accertata la
fondatezza della loro domanda, ma può essere disposto il trattenimento.
Problematica è l'assenza di una disciplina organica vera e propria, in grado di abbandonare le
logiche contingenti delle politiche dei flussi e delle emergenze umanitarie.
La disciplina vigente in materia di rifugio politico ai sensi della Convenzione di Ginevra
La Convenzione relativa allo status di rifugiato, firmata a Ginevra il 28 giugno 1951, è l'unico
strumento di protezione internazionale del richiedente asilo.
E' interessante notare come sia un istituto geneticamente quasi coevo all'asilo costituzionale,
eppure così distante, innanzitutto proprio per ragioni storiche: mentre il diritto d'asilo si
inserisce nell'esperienza delle costituzioni del secondo dopoguerra e delle istanze etiche
emerse dai movimenti di liberazione antifascista, lo statuto di rifugiato nasce in piena guerra
fredda al fine di dare protezione ai dissidenti in fuga dai Paesi del blocco sovietico.
Emerge che se il diritto d’asilo è sancito dalla legislatura italiana, lo status di rifugiato è
internazionale e derivante dalla Convenzione di Ginevra. Tuttavia, la Suprema Corte ha
avallato la sovrapposizione tra le due fattispecie, ritenendo che il legislatore del 1990,
nell'indicare come oggetto della legge l'asilo politico, disciplinando poi il solo riconoscimento
dello status di rifugiato "intendeva evidentemente precisare che lo Stato italiano riconosce il
diritto di asilo soltanto a coloro che rientrano nella nozione di rifugiato".
Ulteriori elementi normativi che inducono a propendere per una concezione "indistinta" della
domanda di asilo rispetto alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato sarebbero a giudizio della Corte - gli articoli 10, co. 4 e 19, co. 1 del Testo unico, in combinato disposto
con l'art. 11, co. 1 lett. a) del D.P.R. n. 394/99 (regolamento attuativo). La citata disposizione
di attuazione, contenente un elenco tassativo dei motivi di rilascio del permesso di soggiorno,
alla lett. a) contempla quello "per richiesta di
asilo, per la durata della procedura occorrente", e "per asilo", riferendosi evidentemente al
rifugio convenzionale.
20
L’asilo politico e lo status di rifugiato sono quindi distinti ma al tempo stesso coincidenti,
pare evidente la contraddizione.
Il trattenimento dei richiedenti
Un’altra palese contraddizione nel sistema si può trovare nella regolazione del trattenimento
dei richiedenti: da un lato, eventuali forme di controllo dei centri di identificazione da parte
delle forze di polizia non devono consentire l'allontanamento dei richiedenti asilo per
comprovati motivi di salute, esercizio del culto, difesa processuale, unità della famiglia,
istruzione; vale a dire per
documentate esigenze garantite a livello costituzionale ed internazionale; ed analogamente,
non dovrebbe essere impedito l'ingresso al centro di familiari, ministri di culto, difensori,
rappresentanti di enti ed associazioni di tutela.
La contiguità fisica tra i centri di identificazione ed i centri di permanenza, di fatto, vanifica
ogni sforzo normativo di differenziare il trattamento dei richiedenti asilo rispetto a quello
generalmente previsto per gli stranieri irregolari. Inoltre, la previsione dell'effetto di
automatica rinuncia alla domanda d'asilo in caso di allontanamento non autorizzato dal
centro produce un'evidente distorsione dell'originaria ratio dissuasiva della norma: chi fugge
dal proprio Paese raramente si presenta alla polizia di frontiera dello Stato di destinazione,
poiché teme di essere rimpatriato e non può consapevolmente prefigurarsi cosa gli accadrà,
dunque tende a sottrarsi ad un controllo di tipo detentivo quale, in effetti, è quello
attualmente praticato. Ulteriore questione ai limiti della costituzionalità è quella della
convalida, sia essa obbligatoria o facoltativa, da parte del richiedente asilo delle disposizioni
di trattenimento, la quale non è richiesta.
Effettività della tutela giurisdizionale
Un cruciale punto di sofferenza della procedura per il riconoscimento dello status di rifugiato
è la mancata previsione dell'effetto sospensivo del ricorso giurisdizionale, il quale - ai sensi
dell'art. 1ter, co. 6 della Legge n. 39/90 - "non sospende il provvedimento di allontanamento
dal territorio nazionale": al richiedente asilo, quindi, resta soltanto la possibilità di chiedere al
prefetto competente per l'adozione del provvedimento di espulsione di essere autorizzato a
rimanere sul territorio
nazionale fino all'esito del ricorso. Questo pare incostituzionale visto che l’articolo 24 della
Costituzione Italiana sostiene che il diritto di difesa giurisdizionale è un diritto inviolabile
dell’uomo.
In particolare, la Corte costituzionale - nella sentenza n. 198/2000236 - ha enunciato il
principio in base al quale "il diritto a un riesame del provvedimento di espulsione, con piena
garanzia del diritto di difesa, spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano
legittimamente in Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio
nazionale".
In verità, non figurano tra le pronunce della Consulta precedenti giurisprudenziali specifici
atti ad avallare la tesi della necessità di una tutela giurisdizionale preventiva rispetto
all'esecuzione coattiva dei provvedimenti di allontanamento: la Corte, infatti, si è limitata ad
affermare la legittimità di termini brevi ed a consentire la predisposizione da parte del
giudice di idonei strumenti di tutela
21
cautelare.
Sul fronte del diritto comunitario, non sussiste nessun obbligo stringente per gli Stati membri
di prevedere tale effetto sospensivo del ricorso avverso il diniego di riconoscimento dello
status di rifugiato.
Proposte di legge attuativa del dettato costituzionale
Nel corso della XIV Legislatura sono stati presentati alcuni progetti di legge di attuazione
dell'art.10, co. 3 Cost., al fine di stabilire le condizioni in base alle quali lo straniero possa
ottenere asilo nel territorio italiano.
Tra i vari tentativi (non finalizzati) di predisporre un disegno di legge organico, si distingue il
n.
1238 (A.C.), presentato il 6 luglio 2001 (On. Pisapia ed altri) e recante “Norme in
materia di protezione umanitaria e di diritto di asilo”. Il suo art. 1, rubricato “Protezione della
persona”, definisce l'ambito di applicazione dell'intera disciplina, che non si esaurisce nel solo
diritto di asilo, ma si estende altresì a quella forma di garanzia sussidiaria che è la protezione
umanitaria.
Questa precisa opzione di politica legislativa comporta che l'asilo e la protezione umanitaria
su base individuale debbano essere garantiti non solo “in armonia con le convenzioni e gli
accordi internazionali cui l'Italia aderisce” (come sancito nella parte finale della disposizione),
ma anche con il diritto internazionale. Tuttavia, la disposizione appare deficitaria nella
misura in cui omette del tutto di includere – tra le fonti rispetto alle quali la disciplina in
questione deve coordinarsi – la normativa comunitaria, che viceversa assume un ruolo di
altissimo rilievo.
Il testo specifica che anche le persecuzioni per motivi sessuali devono ritenersi valide per la
richiesta di asilo politico, affina il principio di non-refoulement, che consiste nel divieto di
allontanamento di un richiedente asilo verso "le frontiere di territori dove la sua vita o la sua
libertà
sarebbero minacciate”, rendendola più ampia, comprendente anche i soggetti in fuga da
guerre civili, disordini interni, carestie e disastri naturali, che pur è incoerente rientrando più
nella fattispecie di protezione umanitaria che nel diritto d’asilo.
Decreto legislativo n°25 del 28 gennaio 2008
Il decreto legislativo del 28 gennaio 2008, n. 25, attua la direttiva 2005/85/CE riguardante il
riconoscimento e la revoca dello status di rifugiato, il quale viene definito nell'articolo II,
sezione d, come un cittadino di un paese non appartenente all'Unione Europa che fugge dal
paese di appartenenza per motivi di persecuzione.
Nello stesso articolo ma nella sezione f si spiega che per "persona ammissibile alla protezione
sussidiaria" si intende sostanzialmente una persona fuggita in circostanze simili al rifugiato
ma a cui non viene riconosciuto lo status, nonostante ciò essa tornando nel paese d'origine
rischierebbe di subire gravi danni, può essre quindi concesso uno status specifico per queste
persone.
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Le autorità competenti in questo ambito sono specificate nell'articolo 3:
* La polizia di frontiera (o una questura competente presso il richiedente) è dedita alla
ricezione della domanda di asilo;
* Le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale esaminano
la domanda, ai sensi dell'articolo 4 esse sono nominate dal Ministro dell'interno, sono
composte da un funzionario della carriera prefettizia (presidente), da un funzionario della
Polizia di Stato, da un rappresentante di un ente territoriale e da un rappresentante
dell'ACNUR (Alto Comitato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)
* L'Unità Dublino si occupa della determinazione dello Stato competente all'esame della
domanda.
Esiste inoltre una Commissione nazionale per il diritto di asilo (art.5) che ha competenza in
materia di revoca e cessazione degli status di protezione internazionali riconosciuti, di
indirizzo e coordinamento delle commissioni territoriali oltre che ad altri compiti
essenzialmente documentativi. Essa è nominata dal presidente del Consiglio dei Ministri su
proposta congiunta dei Ministri dell'interno e degli affari esteri. E' presieduta da un prefetto
ed è composta da un dirigente in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da
un funzionario della carriera diplomatica, da un funzionario della carriera prefettizia in
servizio presso il "Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione" e da un dirigente del
"Dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell'Interno". Alle riunioni partecipa
senza diritto di voto un rappresentante del delegato in Italia dell'ACNUR.
Come è possibile ricevere lo status di rifugiato in Italia ai fini del decreto?
E' necessario presentare la richiesta, che se presentata da un genitore si estende anche ai figli
presenti sul territorio e che può essere presentata da un minore. Il richiedente ha diritto a
rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale, a meno
che esso non debba essere estradato in base a un mandato di arresto europeo, consegnato ad
una Corte o a un Tribunale internazionale, avviato verso un altro stato dell'UE per la
medesima richiesta. La domanda è in seguito esaminata alla luce di informazioni precise e
aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine del richiedente (art.8) ed
eventualmente anche nei paesi di transito, la decisione finale viene comunicata per iscritto, e
se la richiesta viene respinta viene specificata la motivazione del rifiuto.
Quali sono i diritti e i doveri dei richiedenti asilo?
L'articolo 10 specifica che esso può contattare l'ACNUR o altre organizzazioni competenti in
questo campo, è tempestivamente informato della decisione presa e le informazioni gli
verranno comunicate da una lingua da lui indicata o, se impossibile ciò, da una lingua a sua
scelta tra l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo, gli è anche garantito un interprete se le
circostanze lo richiedono. Il richiedente può ritirare la sua domanda (art.23), il trattamento
delle informazioni a suo carico prevede che esse siano riservate (art. 37) e che vengano curate
in modo da non arrecargli danno e che i presunti responsabili della sua persecuzione non ne
siano fonte (art. 25), in base all’articolo 31 in qualsiasi momento egli può inviare alla
commissione nuovi documenti (art 31) e in caso di rifiuto ha diritto a un colloquio o a una
dichiarazione scritta per spiegare perché il suo caso non andrebbe rifiutato (art 33)
L'articolo 11 specifica invece i suoi obblighi: deve cooperare con le autorità ed informarle in
caso di cambio di residenza o domicilio, è tenuto inoltre ad agevolare il compimento degli
accertamenti previsti dalla legislazione in materia di pubblica sicurezza.
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Se un minore non accompagnato presenta la domanda (art 19), gli va fornita la necessaria
assistenza per poter proseguire, può eventualmente richiedere accertamenti medico-sanitari
non invasivi sulla sua età se sussistono dubbi.
Se la Commissione territoriale non ritiene di avere sufficienti motivi per accogliere la
domanda del richiedente, può disporre un'audizione con l'interessato (art 12-13-14), che se è
minorenne va accompagnato da un tutore. Se il richiedente non si presenta (se non per motivi
gravi di salute), la commissione decide in base alle informazioni già in suo possesso, il
convocato può portare con sé un avvocato e dovrà in seguito firmare il verbale del colloquio.
Nell'articolo 20 si citano i centri di accoglienza dei richiedenti asilo, il soggiorno in essi è
disposto qual'ora sia sconosciuta l'identità del richiedente o qual'ora egli sia clandestino o già
espulso precedentemente. In ogni caso il periodo di permanenza è dovuto agli accertamenti
su esso e non può superare i 20 giorni (identità sconosciuta o fermato alla frontiera) o i 35
giorni (soggiorno irregolare, già espulso prima), i centri di accoglienza ai sensi dell’articolo 20
devono garantire un’ospitalità dignitosa per la persona e l’unità del nucleo famigliare, è
garantito l’accesso ai rappresentanti dell’ACNUR.
L’articolo 21 dispone i casi di possibile trattenimento del soggetto in caso di condanna per
determinati tipi di reati (stupefacenti, libertà sessuale, favoreggiamento della prostituzione,
dell’immigrazione o dell’emigrazione clandestina) o se egli è destinatario di un
provvedimento di espulsione.
In alcuni casi esplicati nell’articolo 29 la domanda può dimostrarsi inammissibile: ad esempio
se esso è già rifugiato in uno stato firmatario della Convenzione di Ginevra o se una volta
respinta la sua richiesta egli la reitera nelle stesse condizioni di quando gli è stato negato
l’asilo.
Confronto con la Svezia
La Svezia è il primo Paese dell'indice MIPEX (Migrant Integration Policy Index) ed è nota per
l'accoglienza riservata ai profughi musulmani provenienti da aree di guerra (come Somalia,
Iraq e Siria), ma con la crisi economica, il tasso di disoccupazione tra gli stranieri è balzato al
16% e in concomitanza si sono tenute numerose proteste contro gli immigrati accusati di
"rubare" il lavoro agli svedesi. Il governo sta valutando se ritoccare le politiche migratorie
rendendole più rigide, in modo tale da far diminuire il flusso degli immigrati e, allo stesso
tempo, cercare di placare la piazza. Per quanto riguarda il diritto d'asilo, si calcola che nel
2012 il numero dei richiedenti sia salito di circa il 50% rispetto all'anno precedente, sfiorando
le 44.000 persone. Causa delle diverse guerre in Medio oriente e in alcune zone africane, ma è
anche vero che - visto che il lavoro in Svezia è diminuito - molti migranti preferiscono
scegliere direttamente la strada dell'asilo politico che li mette a carico del governo svedese.
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In Svezia, nella prima metà del 2013, sono state circa 19.000 le domande di asilo presentate.
Attualmente vivono sul territorio circa 93.000 rifugiati. Delle richieste esaminate, il 44% ha
ricevuto una risposta positiva.
Una volta giunto in Svezia, il potenziale rifugiato può presentare la sua domanda di asilo in
uno degli sportelli del Migration Board dedicati ai richiedenti asilo o alla polizia di frontiera.
Il Migration Board non ha la facoltà di esaminare domande inviate da ambasciate svedesi. Si
accettano esclusivamente le domande presentate entro i confini nazionali, non dall’estero.
La Swedish Migration Board (Migrationsverket), Ufficio Immigrazione Svedese, è
l’istituzione a cui spetta il compito dell’accoglienza, del supporto e dell’accompagnamento
nella procedura di asilo di tutti i richiedenti presenti sul territorio nazionale nonché della
decisione sulle domande di asilo. Le sue attività si basano sul testo di legge “Reception of
Asylum Seekers and Others Act (1994:137)” il quale è entrato in vigore il 1 luglio 1994. Lo
Swedish Data Inspection Board (Datainspectionen), è l’ufficio di pubblica autorità incaricato
della registrazione delle impronte digitali e delle generalità del richiedente asilo.
Lo Swedish Migration Court of Appeal (Migrationsöverdomstolen), è la Corte che riesamina
la domanda di asilo in caso di appello dopo il rigetto da parte del Migration Board.
La FARR- Swedish Network of Asylum and Refugee Support Group, è un’organizzazione
non governativa che si occupa di fornire assistenza e consulenza legale ai richiedenti asilo e
rifugiati. Generalmente il richiedente asilo presenta la sua domanda al Migration Board; in
questa occasione, l’unità di accoglienza (Reception Unit) gli fornisce informazioni pratiche sul
suo soggiorno e lo mette a conoscenza dei suoi diritti e dei suoi doveri in Svezia. Viene
garantita la presenza di un interprete e il richiedente può scegliere il sesso dei rappresentanti
delle istituzioni che lo assisteranno (come in Italia). Può, inoltre, contattare in qualsiasi
momento le organizzazioni non governative per chiedere consiglio e supporto.
Successivamente il richiedente viene convocato per un’intervista conoscitiva, in cui deve
spiegare le motivazioni che lo hanno spinto a scappare dal proprio paese di origine, cosa
potrebbe succedere se tornasse a casa e il viaggio che ha compiuto. Inoltre, il Reception Unit
organizza incontri collettivi in cui il personale spiega quali sono le leggi in materia di asilo,
europee e nazionali, quali sono le organizzazioni non governative presenti sul territorio e
quali sono i numeri da fare in caso di emergenza o aiuto. L’attesa di una risposta può durare
fino ad un massimo di 6 mesi, lo stesso tempo necessario ad ottenere i documenti di viaggio
ed il passaporto.
Quando il Migration Board prende una decisione, il richiedente viene nuovamente convocato
al Reception Unit. Le leggi svedesi riconoscono, a coloro che non rientrano nei requisiti
necessari ad ottenere lo status di rifugiato ma che non possono essere espulsi, un’altra
particolare forma di protezione interna, che non ha
equivalente a livello internazionale e perciò, il loro
status viene riconosciuto solo in Svezia. Qualora la
domanda di asilo dovesse essere rigettata, il
richiedente può decidere se accettare o meno la
decisione. Se la accetta dovrà pianificare il suo
ritorno in patria, aiutato e supportato dalle
istituzioni. Per alcuni paesi di origine è previsto
anche un contributo in denaro per il rimpatrio. Se
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non accetta, il richiedente può presentare ricorso alla Migration Court, che riesaminerà la
domanda e prenderà a sua volta una decisione. E’ possibile un ulteriore grado di appello, alla
Migration High Court.
Durante l’attesa, il richiedente può decidere se soggiornare presso familiari o amici
eventualmente presenti sul territorio, oppure se rivolgersi al Migration Board per una
sistemazione temporanea in alloggi condivisi. Se non si ha denaro e non si trova lavoro, il
richiedente ha diritto ad un assegno giornaliero che copra le spese per il cibo, i vestiti, l’igiene
personale e tutto ciò che è necessario. Il denaro viene depositato su un conto e viene rilasciata
una carta di credito. La decisione se concedere o meno l’aiuto economico spetta sempre al
Migration Board.
Una volta accolta la richiesta, al rifugiato viene rilasciata una carta denominata LMA, che
attesta la sua esenzione dai requisiti normalmente richiesti per svolgere attività lavorativa e
permette, inoltre, l’accesso a tutte le agevolazione economiche previste per i titolari dello
status. Essa conferma anche la registrazione al Migration Board. Le cure emergenziali
vengono garantite gratuitamente, come quelle ginecologiche, prenatali e dentali. Per tutte le
altre visite a pagamento la spesa massima possibile è di 50 kronor ( circa 6 euro). Ai bambini
viene garantito l’accesso alla scuola e a qualsiasi tipo di cura medica gratuitamente. Se il
rifugiato dovesse trovare lavoro in una città dove
non vi sono alloggi predisposti all’accoglienza, il
Migration Board concede un supporto economico
per trovare casa.
Lo Swedish Public Employment è l’ufficio
incaricato di creare un piano di integrazione
professionale e sociale per il rifugiato che avesse
difficoltà di inserimento del mondo del lavoro. Non
può usufruire di tale piano chi studia, chi ha già un
lavoro full time, che ha più di 65 anni o è
totalmente inabile al lavoro. Le autorità locali si occupano anche dell’organizzazione di corsi
di svedese e società. Un rifugiato può chiedere la cittadinanza svedese dopo 4 anni di
residenza.
La Svezia ha aderito al progetto di Resettlement nel 1950 ed è il paese europeo che concede
più posti per il progetto. Ogni anno, infatti, accoglie una media di 1900 rifugiati entro i suoi
confini. Il viaggio è totalmente a carico del governo svedese. La gestione del programma
viene rivista e stabilita annualmente dal Ministero della Giustizia. Appena arrivati in Svezia,
ai rifugiati viene garantita la residenza permanente. Il piano di integrazione prevede corsi di
lingua, assistenza economica e nella ricerca di un impiego. Il programma dura in media due
anni, ma il termine dell’accompagnamento viene valutato caso per caso.
Il rapporto annuale di Amnesty International relativo al 2013 evidenzia un preoccupante
aumento di episodi razzisti ed islamofobi in Svezia, che comporta non poche tensioni. Inoltre,
denuncia una serie di rimpatri forzati verso la minoranza turcofona islamica degli Uiguri,
nonostante verso questa popolazione, residente in Cina, ci siano rischi fondati di
persecuzione e grave danno. Tuttavia, la Svezia rimane uno dei paesi europei con le migliori
politiche e i migliori percorsi di integrazione per rifugiati e migranti.
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Sitografia
http://www.amnesty.it/dichiarazione-universale-diritti-umani-uomo.html
http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/temi/asilo/
http://www.interno.gov.it/mininterno/site/it/sezioni/servizi/legislazione/immigrazione/
0984_2008_02_15_Dlgs_28_1_2008_25.html
http://www.camera.it/_bicamerali/leg15/commbicantimafia/documentazionetematica/34
/schedabase.asp
http://legxv.camera.it/cartellecomuni/leg14/RapportoAttivitaCommissioni/testi/01/01_ca
p09_sch03.htm
Altalex - Quotidiano d'informazione giuridica - n.4341 del 02.06.2014 - Direttore scientifico
Alessandro Buralli
http://news.panorama.it/esteri/immigrazione-canada-australia-politiche-leggi-riforme
http://viedifuga.org/?p=8792
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