Internati militari di Melara ok - Associazione Culturale MELLARIA

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AMMINISTRAZIONE COMUNALE
ASSOCIAZIONE CULTURALE MELLARIA
INTERNATI MILITARI DI MELARA (IMI)
di Raffaele Ridolfi 1
Internati Militari Italiani (Italienische Militär-Internierte - IMI) fu il nome ufficiale dato dalle autorità
tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni
immediatamente successivi alla proclamazione dell'Armistizio di Cassibile (8 settembre 1943). Oggi la
denominazione può essere riferita anche ai soldati catturati dall'esercito britannico prima dell'armistizio.
NOTA: Tutte le relative notizie alla voce IMI qui fornite sono tratte dall’enciclopedia libera Wikipedia
(aggiornamento 30 gennaio 2014).
Dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file
dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per
cento accettò l’arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”. In seguito cambiarono
status divenendo “internati militari” (per non riconoscere loro le garanzie della Convenzione di Ginevra), ed
infine, dall’autunno del 1944 alla fine della guerra, “lavoratori civili”, in modo da essere sottoposti a lavori
pesanti senza godere delle tutele della Croce Rossa loro spettanti.
Alla fine della guerra risultavano 700.000 gli IMI in Germania e in Austria, oltre a 380.000 prigionieri in
mano all'esercito britannico. La maggior parte di essi ritornò in patria tra l'estate del 1945 e il 1946. Almeno
40 centri d'accoglienza furono creati nell'Italia settentrionale. G. Schreiber calcola il numero degli internati
militari italiani in circa 800.000. Marco Palmieri e Mario Avagliano forniscono dati più dettagliati: “ In
pochi giorni i tedeschi disarmarono e catturarono 1.007.000 militari italiani, su un totale approssimativo di
circa 2.000.000 effettivamente sotto le armi. Di questi, 196.000 scamparono alla deportazione dandosi alla
fuga o grazie agli accordi presi al momento della capitolazione di Roma. Dei rimanenti 810.000 circa (di cui
58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita durante il
brutale trasporto dalle isole greche alla terraferma. Altri 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Nere
della MVSN, decisero immediatamente di accettare l’offerta di passare con i tedeschi”.
Al netto delle vittime, dei fuggiaschi e degli aderenti della prima ora, nei campi di concentramento del Terzo
Reich vennero dunque deportati circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI e 20.000 con quello di
prigionieri di guerra. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono disponibili a prestare servizio
per la Germania o la RSI, come combattenti o come ausiliari lavoratori. In totale, quindi, tra i 600.000 e i
650.000 militari rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei tedeschi»
Non è stato stabilito ufficialmente il numero degli IMI deceduti durante la prigionia. Gli studi in proposito
stimano cifre che oscillano tra 37.000 e 50.000. Fra le cause dei decessi vi furono:
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la durezza e pericolosità del lavoro coatto nei lager (circa 10.000 deceduti);
le malattie e la malnutrizione, specialmente negli ultimi mesi di guerra (circa 23.000);
le esecuzioni capitali all'interno dei campi (circa 4.600);
i bombardamenti alleati sulle installazioni dove gli internati lavoravano e sulle città dove prestavano
servizio antincendio (2.700);
altri 5-7000 perirono sul fronte orientale.
Dedico il frutto di queste ricerche alla cara memoria di Giacomino Traversi ed a quanti hanno subìto le nefaste
conseguenze della guerra, specie ai familiari delle vittime.
Il riconoscimento. L’articolo 1, commi 1271 – 1276, della legge finanziaria per l’anno 2007 (legge 27
dicembre 2006, n. 296) ha previsto la concessione di una medaglia d’onore ai cittadini italiani, militari e
civili, deportati ed internati nei Lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo
conflitto mondiale, che abbiano titolo per presentare l’istanza di riconoscimento dello status di lavoratore
coatto, nonché ai familiari dei deceduti.
I melaresi già insigniti negli anni scorsi della medaglia d’onore prevista dalla legge sono stati:
GUERNIERI LUIGI (1922-1944), figlio di Eusebio e Linda Bellini, artigliere, fatto prigioniero in
Albania, deportato a Norimberga, morto prigioniero quasi certamente a Flossemburg l’8/7/1944.
GALLINI GIACOMO (1922-1945), di Giuseppe e Gobbi Elide, artigliere, prigioniero a Postumia,
morto in seguito allo scoppio della fabbrica dove lavorava a Christianstadt am Bober in Schliesen il
22/1/1945.
QUATTRINA ANGELO (1924-2003), figlio di Biagio e Sarti Toscana, fante, prigioniero dalle brigate
nere a Bergantino deportato nel campo di lavoro di Erfurt.
RIDOLFI VITTORINO ORESTE (1916-2002), figlio di Sisto e Pradella Amabile, fante, prigioniero a
Prizren (Kosovo) e deportato a Klein Wanzleben, poi a Buchenwald nei sottocampi Shoenebeck ed
Holzen.
SARTI GINO (1922-2007), figlio di Eutichiano e Pozzi Maria, fante, prigioniero al Tarvisio ed
avviato nel campo di Badorn, poi a Francoforte sul Meno, infine a Lasingen.
ZANELLA ARTURO (1916-2004), figlio di Mario e Rossi Amalia, artigliere, da Verona avviato a
Coblenza, poi a Semering ed infine a Stoccarda
FERRI VITTORINO (1920-2009), figlio di Filiberto e Chiccoli Candida, artigliere, prigioniero a
Ragusa (Jugoslavia), portato a Mostar poi a Stettino (Polonia), infine a Kaliwerkmeroda ueber
Muelhusen.
Quelli che ricordiamo oggi 1 febbraio 2014
TESTONI GUGLIELMO (1910-1977), figlio di Lorenzo e Tinti Virginia, artigliere, fu a Wolfsberg
nella regione della Carinzia),a Brueck an den Mur ed infine nei campi di lavoro del Belgio.
RIDOLFI ANTONIO GUIDO (1918-2009), figlio di Adolfo e Ferri Ersilia, fante, catturato a Gorizia,
prigioniero a Coblenza, Berlino, Gardenfeld ed in Cecoslovacchia.
STEFANONI VALENTINO (1924-1985), figlio di Antonio e Montagnini Arpalice, fante, fatto
prigioniero a Zara, fu a Glueckauf sottocampo di Teschen (oggi Český Těšín – Repubblica Ceca)
ed anche ad Auschwitz Oberschliesi Clicao.
ARBUSTINI VASCO AURELIO (1924-2009), figlio di Vittorio e Frigeri Maria, catturato ad Opicina
Barre (Ts), fu ad Allestein (Prussia orientale), poi ad Oschatz, infine a Lipsia.
BIANCARDI RUBENS (1923, vivente), figlio di Gino e Franciosi Maria, artigliere fatto prigioniero in
Grecia, fu prigioniero nei campi di Stablack, Essen, in Austria ed in Baviera.
TINTI LORIS (1921, vivente), figlio di Artemio e Losi Elvira, fante, catturato a Tirana (Albania), fu
nei campi di Sandbostel, vicino a Bremervörde) e ad Amburgo.
I decorati da sx Ridolfi Guido, Stefanoni Valentino, Testoni Guglielmo, Arbustini Vasco, Tinti Loris e Biancardi Rubens
Un capitolo a parte, ma non meno importante e del quale si sa ancora poco nei dettagli, riguarda i catturati ed
internati nei campi di lavoro militari inglesi che toccò anche a 75.000 italiani.
Fra questi presi in Egitto e Libia ci furono anche Merchiori Mario, Cugola Fidia e Montagnini Dimer per
quanto riguarda l’Egitto e Lamberto Leati in Pakistan. È auspicabile un recupero di queste testimonianze
per dare un quadro complessivo del trattamento riservato ai prigionieri militari.
Sono ancora molti altri i melaresi che rimangono da fare conoscere che furono fatti prigionieri e deportati.
Per Melara fra i nomi certi figurano: Begossi Mario Agostino, Colognesi Valentino, Furini Osvaldo, Gobbi
Costante, Menegatti Dario, Menegatti Marino, Negri Natale, Pozzi Dimer Gino, Poltronieri Remigio, Ridolfi
Adelchi. Almeno altri venti vi possono rientrare, ma una ricerca in tal senso è ancora da farsi. A tale scopo si
invita chi fosse a conoscenza di nominativi e di fatti inerenti a contattare le autorità comunali, ringraziando
sin d’ora.
Sfruttamento fisico, degrado morale, patimenti e condizioni igieniche disumane era quanto attendeva gli
internati. Riservatezza, difficoltà ad esprimere le condizioni di vita e le atrocità viste, voglia di dimenticare,
sono divenuti un luogo comune degli internati che solo dopo molti anni hanno accettato di condividere coi
familiari, e non sempre, di quanto accaduto nelle atrocità della Seconda guerra mondiale. Ricordarli con
onore e rispetto è il minimo che possiamo fare oggi in loro memoria!