Grande Australia o Austrocentrismo. Due visioni su

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Transcript Grande Australia o Austrocentrismo. Due visioni su

Grande Australia o Austrocentrismo? Due
visioni sul futuro di Canberra
Il principale paese dell'Oceania si interroga sulla sua politica estera
Author: Gabriele Abbondanza
Limes, Rivista Italiana di Geopolitica
2014
L’Australia prosegue nel suo cammino di crescita economica, demografica e militare, mentre
sempre più spesso classe dirigente ed opinione pubblica si interrogano su quale ruolo debba
avere il paese nel futuro prossimo. L’Australia, infatti, può vantare una serie di importanti
successi in ambito economico, sociale, e geopolitico che hanno costantemente aumentato la
sua rilevanza internazionale nel corso degli ultimi quindici anni. I vantaggi di una terra
sconfinata, ricca di risorse e sottopopolata appaiono evidenti in un contesto geografico
dominato da paesi asiatici con caratteristiche inverse, ma è soltanto di recente che il sistema
Australia si è imposto come riferimento socio-economico nel mondo. A cominciare dal fatto
che l’Australia è l’unica grande nazione occidentale ad aver evitato le tenaglie della recessione
globale, grazie agli importanti scambi commerciali con i colossi asiatici (principalmente Cina,
Giappone, India ed Indonesia) ed alla prontezza di risposta dei governi federali. L’Australia è,
inoltre, il paese con la più alta qualità di vita al mondo, secondo l’ultimo rapporto dell’OCSE,
mentre risulta avere il secondo più alto indice di sviluppo umano dopo la Norvegia, stando
all’ultima classifica dello Human Development Index (HDI) dell’ONU.
Tali caratteristiche si sono tradotte, negli anni, in un impegno sempre crescente nel contesto
geopolitico più prossimo al paese, dunque principalmente nel cosiddetto Arco di Instabilità –
un insieme di stati arcipelago che sovrasta le coste australiane da nordovest a nordest e che
comprende Indonesia, Timor Est, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone, Nauru, Figi e Tonga –
ma anche in aree instabili per l’intera comunità internazionale, in virtù di diverse alleanze
politiche e militari. A tale proposito è importante ricordare le parole dell’ex Ministro della
Difesa Brendan Nelson, pronunciate in un discorso al parlamento nel 2006, seguite da allora
in maniera più o meno consapevole da tutti i governi australiani: «Non possiamo permetterci di
avere Stati che falliscono nella nostra regione. Il cosiddetto ‘Arco di Instabilità’, che in sostanza
passa da Timor Est a tutti gli Stati del sud est del Pacifico, implica per l’Australia non solo la
responsabilità di prevenire ed assistere situazioni di emergenza, ma anche che non possiamo
permettere che nessuno di questi Stati diventi un paradiso per il crimine internazionale, e
nemmeno per il terrorismo».
Non sorprende, dunque, che il ruolo di potenza regionale abbia portato l’Australia a compiere
diverse missioni di pace, di natura unilaterale o multilaterale, in prossimità dei propri confini:
Indonesia (1947 – 1951), Nuova Guinea Occidentale (1962 – 1963), Confine tra Tailandia e
Cambogia (1989 – 1993), Cambogia (1991-1993), Bougainville (1994, 1997 – 2003) e ad altre
ancora, comandate da ufficiali australiani, appena conclusesi: Timor Est (1999 – 2013) ed
Isole Salomone (2000 – 2013). Un discorso a parte, poi, meriterebbero le missioni umanitarie,
in quantità tali da rendere l’Australia il maggiore operatore nella regione ed uno dei paesi più
virtuosi secondo le stime dell’ONU e delle principali ONG.
La condizione di potenza regionale, dunque, pone l’Australia di fronte ad un bivio già da
diverso tempo: considerare sufficiente la situazione attuale o aspirare ad un miglioramento
continuo della propria economia, società e del proprio peso geopolitico. Nonostante tali
dibattiti siano fortemente influenzati dal tipo di governo in carica – quello attuale, guidato dal
conservatore Abbott, non mostra particolare interesse per le tematiche internazionali – una
nuova visione è già diffusa a sufficienza perché ne discutano non solo gli addetti ai lavori, ma
anche la stampa generalista. Si tratta dell’idea di una “Grande Australia”, uno sviluppo teorico
delle attuali qualità del paese che pone l’enfasi sulla crescita della popolazione, del prodotto
interno lordo e della capacità militare. Il principale fautore di tale idea è il Dr. Michael
Fullilove, direttore esecutivo del Lowy Institute for International Policy, basato a Sydney.
Fullilove considera essenziale un utilizzo più intenso delle abbondanti risorse naturali del
paese, il maggiore produttore al mondo di bauxite, alluminio e opali, il secondo al mondo di
nichel, oro e zinco, il terzo di ferro, uranio, diamanti e gas naturale, il quarto di carbone ed uno
dei maggiori produttori delle altre risorse maggiormente usate nei processi industriali. Gli
enormi introiti aggiuntivi andrebbero devoluti ai comparti della difesa, della diplomazia e
sarebbero diretti a favorire politiche di incentivazione ad una maggiore quantità di immigrati
qualificati ed al sostegno economico per famiglie che progettano di fare figli. Inoltre il
progetto di una Grande Australia, che trova consensi tra alcuni esponenti della destra
nazionalista, della destra moderata e di diversi grandi imprenditori, si spinge oltre e volge lo
sguardo ad est, verso l’alleato occidentale più vicino. Fullilove infatti teorizza, facendo propria
un’idea che gode di un certo seguito sin dalla fine del XIX secolo, una unione tra Australia e
Nuova Zelanda, due paesi con notevoli differenze in tema di politica nazionale ed estera ma
dotati di una struttura sociale, militare ed economica simile. La rinnovata idea di un’unione di
questo tipo tra le due nazioni, discussa da tutta la stampa nazionale e da molti membri di
maggioranza ed opposizione, è puramente utilitaristica: la popolazione totale passerebbe da
23,5 a 28 milioni di abitanti, mentre il PIL aggiustato secondo il potere d’acquisto passerebbe
dalla diciottesima alla diciassettesima posizione assoluta. Non sembra molto, ma i teorici della
Grande Australia sostengono che la combinazione dei servizi di intelligence dei due paesi
fornirebbe risultati eccezionali, mentre i tassi di crescita demografica attuali, che prospettano
una popolazione totale dei due paesi di 45 milioni di abitanti nel 2050, andrebbero sostenuti
per una crescita più rapida.
Risulta evidente, tuttavia, che tali idee prestano il fianco a diverse critiche, la più importante
delle quali riguarda il rischio di perdere la condizione di paese esemplare sotto il profilo
sociale ed economico, in un compromesso al ribasso per qualità di vita e PIL pro capite.
Un’alternativa, dunque, si troverebbe nel mantenimento delle attuali caratteristiche di unicità
che l’Australia presenta lavorando per una crescita in tal senso, ovvero tracciare un percorso
basato su un miglioramento continuo in termini relativi anziché sulla strada puramente
quantitativa della crescita in termini assoluti. Il percorso per raggiungere tale obiettivo è
tortuoso ed in salita, richiede infatti una serie di politiche omogenee nel tempo, un’allocazione
perfetta delle considerevoli risorse del paese ed una continua specializzazione nei settori
economici in cui l’Australia presenta un vantaggio comparato rispetto ai partner commerciali.
Tale idea trova maggiori consensi negli ambienti accademici e diplomatici e, nonostante non
abbia un nome universalmente condiviso, presenta tutte le caratteristiche
dell’Austrocentrismo, una teoria politica nata negli anni ’80 e riproposta di recente dall’ex
Primo Ministro australiano Julia Gillard. Questo concetto, come si evince dal nome, pone al
centro dello sviluppo australiano le sue caratteristiche di unicità, eludendo l’aut aut proposto
sia dagli Stati Uniti che dalla Cina in tema di futuri assetti nel Pacifico. L’Australia si muove
infatti in un contesto particolare, ancorata politicamente e militarmente agli storici alleati
occidentali – USA, Nuova Zelanda e Regno Unito in primis – ma legata a doppio filo alla
crescita economica dei partner asiatici come Cina, Giappone, India ed Indonesia. La strada
della diplomazia politica con l’Occidente e della diplomazia economica con l’Asia sembra
dunque promettere il mantenimento dello status quo anche nel futuro a breve e medio
termine, nonostante talvolta questo sia fonte di irritazione da entrambi i lati. Non è ancora
stato dimenticato, infatti, lo scaldalo del datagate australiano in Asia – spionaggio industriale e
politico alla base di tensioni con Indonesia, Cina, India, Giappone, Corea del Sud e Timor Est –
così come, dall’altro lato, gli Stati Uniti mal tollerano gli stretti rapporti economici
dell’Australia con paesi in cui ripongono scarsa fiducia, Cina su tutti. Gli USA infatti hanno
recentemente criticato, per mezzo delle dichiarazioni dell’ex Segretario di Stato Hillary
Clinton, la politica troppo autonoma dell’Australia in quanto a rapporti con la Cina, nonostante
poi l’Australia abbia suggerito – ed ottenuto – rinnovate forme di collaborazione militare con
gli Stati Uniti, con una situazione analoga in Nuova Zelanda.
Osservando con attenzione, si evince che il paese sembra già diretto da tempo verso
l’attuazione degli autonomi principi dell’Austrocentrismo, come dimostrato dal continuo
supporto ai fondamentali flussi commerciali con i partner asiatici, ma anche dal ruolo giocato
nell’implementazione del TPP (Trans Pacific Partnership) – un imponente progetto per la
creazione di un’area di “libero scambio” tra Australia, Nuova Zelanda, gran parte del sud-est
asiatico, Canada, USA, Messico, Perù e Cile, del valore stimato di 214 miliardi di dollari
all’anno – e dal recente acquisto di 72 caccia F-35 per una spesa totale di 15 miliardi di dollari.
L’importanza di quest’ultimo fattore è stata fortemente sottolineata dalle parole del Ministro
della Difesa australiano David Johnston: «L’acquisto di questi F-35 fornirà alla capacità di
combattimento aereo della nostra aeronautica militare la superiorità tecnologica che deve
continuare ad avere. Siamo fortemente impegnati a difendere l’Australia in tutti i modi possibili,
questo è ovviamente un passo fondamentale per raggiungere una posizione di dominio regionale
che contiamo di mantenere per molti anni».
L’autonomia dell’Australia rispetto ad alleati vecchi e nuovi, in tema sia di politica economica
che di politica regionale, sembra dunque godere ancora di ottima salute. Il dibattito è ora
aperto e presenta due visioni molto diverse del paese che l’Australia potrebbe divenire in
futuro. Quello che sembra certo, ad ogni modo, è che l’attuale ruolo giocato dall’Australia nel
Pacifico Meridionale non è più sufficiente a soddisfare le crescenti ambizioni nazionali.
BIBLIOGRAPHY
1. Australia. L’Occidente agli antipodi, Limes (2000)
2. OECD Better Life Index, OECD (2014)
3. About Australia’s aid program, DFAT of the Australian Government (2014)
4. Abbondanza, Gabriele, La geopolitica dell'Australia nel nuovo millennio: il contesto AsiaPacifico, Aracne (2013)
5. Mineral Resources, Geoscience Australia (2014)
6. Abbondanza, Gabriele, Anche l’Australia ha il suo Datagate, Limes (2014)
7. Lim, Darren, Hillary Clinton's trade warning: Can China coerce Australia? The
Interpreter (2014)
8. Young, Victoria; Dougan, Patrice, NZ, US resume bilateral military ties after nearly 30
years, The New Zealand Herald (2013)
9. Abbondanza, Gabriele, Australia: 15 miliardi per gli F-35, L’Indro (2014)