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23 luglio 2014
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Opinioni
La scienza ci minaccia
Marco Menga
Il crescente ruolo pubblico
degli scienziati può diventare
una minaccia per le libertà individuali?
Possiamo prendere per vera una teoria scientifica errata, eleggere un presidente incapace, lanciare sul mercato prodotti che fanno flop. Il modo di operare della
scienza, del sistema politico liberale e dell’economia di
mercato, pur non immune da errori, è autocorrettivo,
prima o poi, la teoria scientifica sarà smentita dai fatti,
il presidente verrà bocciato alle elezioni, i prodotti languiranno invenduti dietro le vetrine, e il loro posto sarà
preso da una teoria più adeguata, da un presidente più
capace (almeno si spera) e da un bene che incontra il
gusto dei consumatori.
In altri termini, secondo la prospettiva liberale, scienza,
sistema politico ed economia di mercato, includono sistemi efficaci per identificare gli errori ed eliminarli.
Per questo, in base al principio democratico, tutti dovrebbero partecipare alla formazione delle decisioni
prese entro la sfera pubblica, piccola o grande che sia.
Partendo da questa prospettiva, caratterizzata anche da
un forte sospetto nei confronti di ogni espansione del
pubblico ai danni del privato, vedremo come l’attuale
ruolo degli scienziati nelle società evolute dovrebbe suscitare forti preoccupazioni.
Non fosse altro per l’intimo legame tra progresso scientifico e libertà, almeno se si condividono le tesi espresse
dal filosofo inglese dell’Ottocento John Stuart Mill [1] e,
dopo di lui, dal filosofo della scienza Paul K. Feyerabend [2]. Diversamente vorrebbe dire ritenere la scienza “teologicamente” volta a un fine indipendente dall’uomo, un progresso umano lineare e necessario che
parte “dagli arnesi in pietra sino ad arrivare alle automobili Ford” [3].
Nonostante le profonde somiglianze tra i principi che
guidano ricerca scientifica, vita politica ed economica
delle società libere non segue necessariamente che
l’effettiva pratica scientifica e l’azione pubblica degli
scienziati tendano sempre ad ampliare l’orizzonte delle
libertà. Anzi, può accadere anche il contrario.
Cercherò, infatti, di mostrare come la scienza rappresenti una potenziale minaccia per la libertà di ciascuno
di noi, per la propensione ad allearsi con le tendenze
illiberali nella sfera politica e con quelle dirigistiche nella sfera economica.
Il ruolo pubblico degli scienziati
Per essere praticata al massimo livello, la scienza richiede oggi un grado di specializzazione da rendere gli
scienziati persone che sanno moltissimo su pochissimo
e, paradossalmente, tutto su nulla. Una formazione specialistica richiede un’enorme quantità di tempo e fatica,
ma è l’unica strada di cui lo scienziato dispone per attrarre finanziamenti per le sue ricerche, guadagni per sé
e importanti ruoli pubblici.
Tuttavia, le competenze acquisite con enormi sacrifici in
un’area estremamente ristretta non sono facilmente esportabili in altri campi della scienza e della vita. Non
mancano certo esempi a conferma dell’ipotesi che, appena lo scienziato esce dal suo “orticello”, affermerà cose assai più ingenue di quelle che esprime una qualsiasi
persona. Infatti, al termine di una giornata trascorsa
davanti al monitor, a molti rimane ancora abbastanza
tempo a disposizione per leggere il giornale, riflettere e
formare, anche grazie all’interazione con altre persone,
la virtù del “buon senso”.
Lo scienziato, al contrario, non solo ha molto meno
tempo per fare tutto questo, ma di solito ne ha anche
meno voglia, ora per stanchezza mentale, ora perché
ritiene certi aspetti della vita troppo bassi per essere indagati a fondo: un ipertrofico “io” poco educato alla socialità rappresenta un formidabile ostacolo sulla via
verso la formazione di opinioni ragionevoli su come
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Il libro di Paul Johnson su Gli intellettuali [5] mostra
numerosi altri esempi della tendenza di scienziati e
pensatori a dire sciocchezze in modo sistematico allorquando si avventurano in territori per loro inesplorati
come la vita di un qualsiasi cittadino medio con le sue
preoccupazioni e scadenze. Esempi come quello di Russell, riportano alla memoria un passaggio del romanzo
1984 di George Orwell, “Vi sono idee così stupide che
solo gli intellettuali possono crederci”.
Sfogliando meglio il libro di Johnson, qualcuno potrebbe obiettare che solo alcuni degli intellettuali presi di
mira dal saggista inglese sono scienziati in senso stretto.
Per rispondere all’obiezione, legittima, si potrebbero
dividere gli intellettuali in tre categorie: quelli che manipolano parole (poeti, saggisti, scrittori e filosofi),
quelli che manipolano immagini (pittori, fotografi e registi) e quelli che manipolano numeri e simboli (tutti gli
scienziati come vengono comunemente intesi). Chi volesse approfondire l’atteggiamento di letterati e personaggi dello spettacolo verso il sistema politico liberale e
l’economia di mercato può leggere il gustoso libriccino
di von Mises su La mentalità anticapitalistica [6]. Ha
invece provveduto von Hayek, allievo di von Mises, a
renderci edotti della mentalità antiliberale e anticapitalistica di scienziati e tecnologi [7]. Più di recente le loro
considerazioni sono state riprese da Paul Nozick [8].
amministrare la propria vita e, ancora di più, le vite degli altri o, se si preferisce, la “cosa pubblica”.
L’idea che super-esperti in piccolissimi campi del sapere sappiano meglio di noi come organizzare le nostre
vite ha radici molto lontane. Già Platone, nel mito della
caverna contenuto nel dialogo Repubblica [4] ipotizzava
che fosse compito dei filosofi-scienziati governare la società, plasmandola a loro immagine e somiglianza. Della
stessa idea numerosi altri pensatori dopo di lui, dal filosofo francese August Comte, uno dei padri della filosofia della scienza, agli odierni fautori dei “governi tecnici”.
Prima di accogliere l’autorevole voce di Platone, sarebbe
il caso di passare in rassegna gli innumerevoli esempi
che mostrano come gli scienziati diano spesso prova di
una straordinaria labilità di giudizio e mancanza di
buon senso in molti settori, primo fra tutti quello della
politica.
Per esempio, basta provare a immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se la Gran Bretagna avesse affidato le chiavi della sua politica estera a Bertrand Russell, grande matematico, filosofo e “maestro di vita” di
almeno due generazioni. Nei suoi novantotto anni di
vita Russell prese parte al dibattito su tutte le principali
questioni politiche, a partire da quello sulla strategia
nucleare.
Tra il 1945 e il 1953 Russell sostenne, in numerose circostanze, una guerra preventiva contro l’Unione Sovietica. Scriveva il 27 settembre 1953: “Ancorché indubbiamente terribile, per parte mia preferisco sempre
una nuova guerra mondiale a un impero comunista
mondiale”. Di lì a un mese, tuttavia, le idee del matematico e filosofo gallese cambiarono radicalmente, fino a
negare di avere mai sostenuto la necessità di una guerra
preventiva contro al Russia.
Non solo, verso la metà degli anni ‘50, sposata totalmente l’idea che le armi nucleari fossero intrinsecamente un male e non andavano usate in nessun caso, Russell partì come un razzo nella direzione opposta, altrettanto estremistica della prima e, nella veste di presidente della Campagna per il disarmo nucleare, arrivò ad
affermare che Kennedy e il premier inglese Macmillan
erano più infami di Hitler: “Sono gli individui più malvagi di tutta la storia dell’umanità”.
Fortunatamente gli inglesi furono abbastanza saggi da
tenere il grande matematico e intellettuale ben lontano
dalle stanze dei bottoni, pur continuando a leggere con
fascinazione i suoi testi di divulgazione.
Il caso della scienza medica
I testi sopra citati mettono in evidenza le profonde radici del risentimento anticapitalistico e antiliberale di
numerosi intellettuali, e in particolare degli scienziati.
Oltre che a causa degli atteggiamenti di chi la pratica, la
scienza può rappresentare una minaccia per il sistema
liberale anche per come viene finanziata e per il suo
ruolo sociale. Su questo punto risulta illuminate descrivere brevemente il ruolo sociale della medicina.
I medici ci ammoniscono con benevolenza: “Se volete
prevenire i rischi per la vostra salute e le vostre vite,
dateci fiducia… e denaro per le nostre ricerche. Noi
non ci occupiamo di formiche o di lontani pianeti, ma
proprio di voi”. Il fatto che “loro”, facendo leva sulla
comune paura della malattia e della morte, si occupino
di noi dovrebbe mettere i brividi nella schiena a qualunque persona di buon senso.
Collocata tra le scienze naturali e le scienze dell’uomo,
la medicina ha uno statuto incerto, incorporando alcuni
aspetti di entrambi i tipi di scienze: dalla prima
l’assoluta evidenza e osservabilità dei fatti trattati; dalle
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la scomparsa della malattia dalla società, ritornata al
suo stato originario di salute grazie alla capacità illuminata della professione medica, che deve essere nazionalizzata per controllare e migliorare l’ambiente e per dettare gli standard del benessere morale e fisico.
Così, la fede nell’immortalità dell’anima è stata rimpiazzata con il mito, ben più discutibile, dell’immortalità dei
corpi con il suo corredo di miti salutistici e potere sacrale della medicina. Anche due autorità in campo medico,
Petr Skrabanek e James McCormick [11], hanno in passato attaccato in modo riccamente documentato le
campagne per la promozione della salute, le quali ci
vorrebbero far credere che le malattie più serie della
nostra società sarebbero prevenibili se solo l’uomo decidesse di imboccare la retta via.
Non essendo medici non siamo in grado di valutare la
fondatezza dei dubbi sollevati da Skrabanek e McCormick sull’efficacia di alcune ben note e dispendiose
campagne di prevenzione (dall’obesità, all’ipertensione
alle malattie alla depressione) intraprese nei Paesi sviluppati; possiamo però almeno limitarci, sul piano storico a osservare che “la preoccupazione per la salute
della nazione è caratteristica delle società totalitarie e in
genere riguarda più la capacità del popolo di produrre e
combattere, che non il suo benessere”. Non resistiamo
però dalla tentazione di ricordare che i salutisti-maniaci
si trovano nell’imbarazzante compagnia di tal Adolf Hitler, precursore delle odierne campagne antifumo che
ebbe a dire “Sono convinto che se fossi stato un fumatore, non sarei mai stato in grado di reggere le preoccupazioni e le ansie che mi hanno così lungamente travagliato. Forse è a questo che il popolo tedesco deve la
sua salvezza”. Oggi, probabilmente, un politico esprimerebbe lo stesso concetto in un tweet di 140 caratteri.
Per effetto del potere medico e della rinuncia di sottoporre l’autorità degli scienziati in camice bianco
all’esercizio della critica, siamo spesso indotti a vivere
una vita da malati solo per cavarci la soddisfazione di
morire sani.
Ansia, angoscia, ipocondria, patofobia, anoressia, bulimia: sono alcuni dei termini medici che alludono
all’enorme sofferenza derivante dalla paura di ammalarci o di essere, comunque, fuori forma.
L’azione intimidatoria della medicina si realizza in molti modi. Uno dei più efficaci è rappresentato proprio
dalle campagne di prevenzione per cui si sprecano termini guerreschi: lotta all’Aids, crociata antifumo, guerra
contro i tumori femminili, e via combattendo.
scienze dell’uomo la facilità alle mode e la mancanza di
fondamento di molte sue teorie.
Non sembrano esserci, infatti, scienze più inclini alle
mode del momento della medicina. Visti i mutevoli atteggiamenti rispetto a una lista infinita di alimenti,
all’attività fisica e alle vaccinazioni, solo per fare alcuni
esempi, la medicina sembra quotidianamente scossa da
profonde rivoluzioni e controrivoluzioni scientifiche
dalla durata di un mattino. Appena scoperto su internet
un nuovo rituale medico per prevenire questo o quello,
già si va a sbattere contro il sorriso di commiserazione
del proprio medico di base che ci informa che, in materia, è appena cambiato tutto.
La pericolosità della medicina per la libertà di tutti deriva, in massima parte, dalla forza del ricatto fondato
sulla sua asserita capacità di individuare le minacce, vere o presunte, alla nostra vita e alla nostra salute. Come
chiarisce, infatti, il grande filosofo tedesco H. G. Gadamer [9], allo sviluppo delle tecniche spesso corrisponde,
sin dall’antichità, non solo un miglioramento delle condizioni di vita, ma anche l’illusione di sconfiggere la
morte. È proprio questo secondo aspetto, con l’illusione
di immortalità che ne consegue, starebbe dunque alla
base del progresso tecnico-scientifico. Nel caso della
medicina, però, questa illusione si rivela ancora più
problematica e paradossale rispetto alle altre scienze,
dal momento che la pratica quotidiana dei medici rende
evidente che curare non significa affatto cancellare
dall’orizzonte i nostri limiti mortali. Il desiderio di guarire, la speranza della medicina che restituisce la salute
sono talmente intensi che spesso non si sentono ragioni
e la nostra volontà di credere all’esistenza, qui e ora, di
una cura non si lascia sconfiggere da banali evidenze
contrarie. Viaggi della speranza, appelli alla libertà di
terapia, stanno a testimoniare che, almeno in parte, la
storia della medicina è anche la storia di “illusioni terapeutiche”.
Come pazienti ci rallegriamo per i successi della medicina, e speriamo che ogni nuova e promettente terapia
sia veramente efficace e risolutiva, ma come filosofi e
come uomini liberi non dobbiamo mai scordarci che
l’esercizio della critica e del dubbio metodico sono un
dovere di una persona che pensa. Secoli fa, chi esercitava la critica era destinato a scontrarsi con il potere sacrale delle chiese, oggi, con il declino della religione in
occidente, i preti sono stati soppiantati dai sacerdoti del
corpo, dal clero terapeutico. Come osserva Michel Foucalt [10], la nuova teologia medica ha creato il mito del-
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Nel quinto capitolo dedicato alla Prevenzione del provocatorio libro di Skrabanek e McCormick si possono
recuperare tutti i riferimenti bibliografici alle tesi di
molti autorevoli ricercatori che hanno denunciato la sostanziale inutilità, e i grandi danni collaterali, prodotti
dalle campagne di prevenzione dei tumori femminili
dell’utero e della mammella. Ci si potrebbe chiedere
come mai la grande macchina da guerra della prevenzione prosegue indisturbata la sua corsa nonostante le
molte e autorevoli perplessità sui suoi risultati. Buona
parte della responsabilità crediamo di trovarla nei giornalisti generalisti delle principali testate informative,
che, anno dopo anno, senza approfondimento critico,
ripropongono a scadenza stagionale le tradizionali
campagne di prevenzione e uno stesso modello di trasmissione unidirezionale e sbilanciato dell’informazione
scientifica.
Ma una spiegazione più generale, evidenzia di questa
difficoltà a intervenire sul funzionamento inerziale (e
tutt’altro che auto correttivo) della macchina della prevenzione è la constatazione che questa macchina è prima di tutto una struttura burocratica che si autoalimenta, si difende e porta sempre e solo acqua al suo mulino.
Le branche del sistema sanitario sono organismi statali,
o comunque pubblici che danno lavoro a centinaia di
migliaia di persone e permettono a gruppi ristretti di
dirigenti di controllare enormi masse di denaro e acquisire grande influenza, anche politica. Una concentrazione straordinaria di interessi personali che possono agire
sotto la bandiera del servizio pubblico, con il risultato
che la nave va e non può essere fermata [12].
[6] Von Mises L., 1988. La mentalità anticapitalistica,
Armando.
[7] Von Hayek A. 1967. L’abuso della ragione, cap. La
religione degli ingegneri, a partire da Saint Simon fino
a oggi. Firenze, Vallecchi.
[8] Nozick P., 1999. Puzzles socratici, cap. Perché gli
intellettuali si oppongono al capitalismo?, Raffaello
Cortina.
[9] Gadamer H. G., 1996. Dove si nasconde la salute,
Cortina Raffaello.
[10] Foucalt M., 1969. Nascita della clinica, Einaudi.
[11] Skrabanek P., McCormick J., 1992. Follies and fallacies in medicine, Terragon Press (edizione italiana
Follie e inganni della medicina, Marsilio).
[12] Aa. Vv., 2011. Nuova civiltà delle macchine. Incertezza e metodo in medicina, a cura di Roberto Festa e
Raffaella Campaner. Rai-Eri, Vol. 1 e 2.
Marco Menga, laureato in filosofia, si occupa di divulgazione
scientifica per il Parco tecnologico padano di Lodi.
www.intersezioni.eu
Riferimenti bibliografici
[1] Mill J. S., 2000. Sulla libertà. Feltrinelli.
[2] Feyerabend P. K., 2002. Contro il metodo.
Feltrinelli.
[3] Marx L., 1997. Tecnology: the emergence of a hazardous concept, in Social research. vol 64, n. 3, pp. 965989.
[4] Platone, 2000. Tutti gli scritti. Bompiani.
[5] Johnson P. Intellectuals: from Marx and Tolstoy to
Sartre and Chomsky. Harper perennial (edizione italiana Intellettuali a cura di Teadue).
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