Osservazioni introduttive sul cambiamento linguistico

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Transcript Osservazioni introduttive sul cambiamento linguistico

IL MUTAMENTO LINGUISTICO
CONCETTI GENERALI
Riflessione introduttiva1
La natura del cambiamento cui le lingue sono soggette nel corso del tempo può essere
efficacemente rappresentata per mezzo di una similitudine con l’avvicendarsi del giorno
e della notte. Pur essendo il giorno e la notte innegabilmente assai diversi, nessuno potrebbe mai dire con precisione dove finisca l’uno e inizi l’altra; pur tuttavia, ad un dato
momento l’illuminazione pubblica si accende, perché le autorità, arbitrariamente, hanno
stabilito che da quel momento in poi l’oscurità prevale sulla luce, ovvero che il giorno è
finito e che è cominciata la notte. Così accade per la lingua, la cui evoluzione, lenta e
graduale, non consente mai di porre limiti precisi tra uno stadio e l’altro; eppure, se si
pongono a confronto due documenti redatti nella ‘stessa’ lingua in epoche abbastanza
lontane tra loro, rileviamo sovente una quantità tale di differenze da dover ritenere che
essi appartengano a due diversi stadi di quella lingua o addirittura a due lingue diverse.
[La funzione di ‘autorità addette all’illuminazione pubblica’, in questo caso, è attribuita
agli storici della lingua, ai quali spetta stabilire quando si può considerare conclusa una
certa fase linguistica e quando cominciata una nuova.]
STUDIO SINCRONICO E STUDIO DIACRONICO DELLA LINGUA
(concetti di linguistica sincronica, diacronica e comparat(iv)a)
Due modalità di descrivere e analizzare il linguaggio2
Esistono fondamentalmente due modi di affrontare lo studio scientifico delle lingue e
del linguaggio, ciascuno dei quali implica approcci e metodi di indagine diversi. Da una
1
Riprendo questa idea da Peter Kitson, “Old English dialects and the stages of the transition to Middle
English”, Folia Linguistica Historica 11 (1990), pp. 27-87 (a p. 27): “To try to define the point of succession between successive periods of language, such as Old and Middle English, is rather like trying to distinguish where night succeeds day. No-one will deny that for practical purposes they are different; but
there is no natural demarcation, they shade into one another, and it is left to arbitrary choice by the public
authorities to set the time of civil twilight at which lamps are lit.”.
2
Liberamente tratto da Vincenzo Orioles, “Diacronia e sincronia”, <http://www.orioles.it/materiali/
pn/sincronia.pdf>.
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parte si può prendere a riferimento la descrizione di una determinata fase cronologica
(per esempio: la lingua italiana oggi o la lingua italiana della seconda metà del 1300),
analizzandola nel suo specifico equilibrio e sistema di rapporti interni, senza riguardo
alle circostanze e ai fattori storici attraverso cui vi si è giunti. Dall’altra si può porre al
centro dell’attenzione la storia, l’evoluzione che – come abbiamo osservato poc’anzi –
gradualmente e incessantemente trasforma la fisionomia di un dato sistema linguistico:
di generazione in generazione, di secolo in secolo ogni lingua è esposta infatti al mutamento che si produce in tutti i livelli del sistema, da quello fonetico a quello morfologico, dal lessico alla sintassi. Per distinguere i due metodi, si parla rispettivamente di linguistica sincronica (o ‘statica’– vedremo tra un momento perché) e di linguistica diacronica (o dinamico-evolutiva, ovvero – meno propriamente, ma più comprensibilmente – ‘storica’).
Astrazione dell’aspetto sincronico e interazione tra linguistica sincronica e linguistica diacronica
In considerazione di quanto abbiamo osservato fin qui, la prima domanda che ci poniamo è la seguente: Dal momento che la lingua è in continua evoluzione, è possibile osservarla – per così dire ‘fotografarla’ – in un determinato momento?
L’osservazione sincronica delimita e isola, sull’asse temporale, un determinato
“stato di lingua” (ed è per questo che talvolta si usa anche l’espressione linguistica statica) focalizzando l’interesse sull’organizzazione e sui rapporti reciproci fra i suoi elementi costitutivi. Per Ferdinand de Saussure (1857-1913) – il fondatore della linguistica
sincronica – uno stato di lingua è “uno spazio di tempo più o meno lungo [cioè: un
segmento sull’asse del tempo] durante il quale la somma delle modificazioni sopravvenute è minima” (Course de linguistique générale, 1916 – opera postuma). Questa stessa
definizione implica che l’aspetto sincronico non può essere completamente disgiunto da
quello diacronico della lingua. Inoltre, l’osservazione sincronica, sia pur limitata ad una
porzione “minima” di tempo, non può non tener conto delle variazioni, soprattutto areali
e sociali, che sono sempre presenti in una lingua. Considerando che tali variazioni sono
sempre frutto di una diversa evoluzione storica (come vedremo meglio in seguito), ne
consegue che non esiste un punto di osservazione sincronico perfettamente scevro da
implicazioni diacroniche.
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Per converso, l’osservazione diacronica non può completamente prescindere
dall’osservazione sincronica. L’osservazione diacronica, infatti, si fonda sulla comparazione tra stati di lingua che si susseguono lungo l’asse del tempo, ovvero tra momenti
diversi della stessa lingua; e per far questo è necessario definire preventivamente tali
stati di lingua.
Da ciò che si è detto risulta abbastanza evidente che, mentre la linguistica sincronica, per sua natura, è più orientata verso l’osservazione delle modalità con cui si manifestano i fenomeni linguistici e delle loro interrelazioni all’interno del sistema lingua,
quella diacronica ne privilegia le cause e l’origine.
Facciamo un esempio pratico di questi due diversi tipi di analisi: Come si può
spiegare l’alternanza di [k] e [ʧ], entrambi rappresentati graficamente da c, nelle
forme verbali italiane ‘dico’ [ˈdi:ko] / ‘dici’ [ˈdi: ʧi] etc.? L’analisi sincronica può solo
rilevare che nel presente indicativo di questo verbo ci sono due varianti del morfema
lessicale, [dik-] e [diʧ-], che alternano tra loro in base alla persona e al numero, apparentemente senza alcun criterio fonologico: [k] davanti alle terminazioni [-o] e [-ono]
(dico, dicono), [ʧ] davanti alle terminazioni [-i], [-e] e [-ˈamo] (dici, dice, diciamo).3
L’analisi diacronica spiega invece che questa differenziazione è frutto di una evoluzione
storica: infatti, in un primo tempo (cioè nel latino classico) la consonante rappresentata
da c era velare in entrambe le posizioni – dico [ˈdi:ko], dicis [ˈdi:kis] – e solo successivamente, per via di assimilazione, si è palatalizzata davanti a [i], 4 dando luogo alla diversificazione fonetica, tuttora presente in italiano, tra le forme della I e della II pers. sg.
Analoghe considerazioni si potrebbero fare nei confronti delle corrispondenti
forme spagnole digo [ˈdiɣo] / dices [ˈdiθes] etc.5 Anche in questo caso l’analisi sincronica rileverà semplicemente un’alternanza del consonantismo nel morfema lessicale a
seconda della persona e del numero: [diɣ-] per la I pers. sing. (digo), [diθ-] per tutte le
altre (dices, dice, decimos, decís, dicen). L’analisi diacronica, invece, prescinde da considerazioni di carattere puramente strutturale (o meglio, va oltre queste considerazioni) e
spiega le cause, ovvero le ragioni storiche, di questa differenza. Nel caso di digo, partendo da un dico latino (stessa base, dunque, dell’italiano), si è avuta dapprima una so-
3
Si noti comunque che, per quanto riguarda la scrittura, l’alternanza appare motivata anche dal punto
di vista sincronico: c vale [k] davanti a o (dico, dicono), [ʧ] davanti a i (dici, diciamo) ed e (dice).
4
Presumibilmente con questa sequenza: [ki] > kji > [ci] > [ʧi].
5
Si prescinde qui dalla variante regionale (in particolare, sudamericana) che vede la presenza di [s] al
posto di [θ].
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norizzazione della occlusiva velare sorda, [k] > [ɡ], e successivamente una spirantizzazione della occlusiva velare sonora, [ɡ] > [ɣ], fenomeni entrambi dovuti al rilassamento
dell’articolazione in posizione intervocalica. Nel caso di dices, invece, partendo dal lat.
dicis, si è avuta dapprima la palatalizzazione della velare, [k] > [ʧ] davanti a vocale anteriore (primo stadio, dunque, come per l’italiano), quindi l’alveolarizzazione
dell’affricata palatale, [ʧ] > [ʦ], e infine una spirantizzazione dell’affricata alveolare,
[ʦ] > [θ].6 Questi passaggi fonetici corrispondono di fatto a varie fasi cronologiche, ovvero a “stati di lingua” susseguitisi nel tempo (anche se non sempre esplicitamente documentati), dello spagnolo.
La linguistica comparativa: un punto d’incontro ideale tra osservazione sincronica
e diacronica
Linguistica sincronica e diacronica trovano un punto d’incontro ideale nella linguistica
comparativa, cioè in quel tipo di indagine che ha per oggetto il confronto sistematico
tra lingue ‘affini’ allo scopo di stabilire i motivi che sono alla base di tale affinità, da intendersi come l’insieme di convergenze e divergenze, ovvero di somiglianze e diversità,
che caratterizzano due o più lingue tra loro ‘imparentate’ o, per usare un’espressione
tecnicamente più appropriata, geneticamente affini, vale a dire derivate, in linea più meno diretta, da una precedente lingua comune.
Facendo sempre riferimento agli esempi precedenti, vediamo quali informazioni è
possibile ricavare dalla comparazione – cioè dall’osservazione parallela e contrastiva,
sia sincronica che diacronica – tra italiano e spagnolo, lingue, come sappiamo, entrambe derivate dal latino volgare.7 L’italiano, come abbiamo visto, ha alle spalle un numero
minore di trasformazioni rispetto allo spagnolo e quindi rappresenta uno stadio più arcaico, più vicino al latino; al contrario lo spagnolo mostra più cambiamenti e quindi
rappresenta uno stadio più avanzato, più distante dal latino. Se poi estendiamo
l’osservazione, per esempio, al francese (altra lingua romanza), vediamo che questa lingua è, fra le tre, quella che si è allontanata maggiormente dalle origini latine. Qui infatti
abbiamo, per le stesse forme verbali, rispettivamente je dis e tu dis (identiche, fra l’altro
6
La stessa serie di passaggi è da porsi naturalmente anche alla base delle altre forme del presente indicativo.
7
Ovvero lingue ‘romanze’ (l’agg. romanzo è dal lat. romanicus, o, più precisamente, dall’avv. romanice nell’espressione romanice loqui ‘parlare romano, latino’.
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per la I e la II pers., tanto che per distinguerle è necessario usare il pronome personale),
e per spiegare come si è arrivati dal latino alle forme attuali del francese è necessario
postulare un numero maggiore di passaggi fonetici che non per lo spagnolo o l’italiano,
come appare dal seguente schema:
I pers. sg. – Base: lat. volg. *[diko] (lat. class.: dīcō [di:ko:])
lat. volg.  ital.:
diko [nessun cambiamento della consonante velare] (dico)
lat. volg.  spagn.: *diko > *diɡo > diɣo (digo)
lat. volg.  franc.: *diko > *diɡo > *diɣo > *diɣə > *diə > di ([je] dis8)
II pers. sg. – Base: lat. volg. *[dikes] (lat. class.: dīcis [di:kis])
lat. volg.  ital.:
*dikes > *diʧes > diʧe > diʧi9 (dici)
lat. volg. spagn.: *dikes > *diʧes > *diʦes > diθes (dices)
lat. volg.  franc.: *dikes > *diʧes > *diʦes > *dises > *dizes > *dizəs > dis > di ([tu]
dis)
Lo schema mostra chiaramente che fino a un certo punto l’evoluzione delle tre
lingue presenta caratteristiche comuni, le quali poi vanno differenziandosi sempre di più
man mano che si procede nel tempo. Considerazioni del tutto analoghe potremmo fare
se includessimo nella comparazione anche altre lingue o dialetti romanzi (portoghese,
provenzale, romeno etc.), ovvero se effettuassimo una simile comparazione tra lingue
affini appartenenti ad altri gruppi linguistici (p. es. inglese, tedesco e olandese per le
lingue germaniche; russo, polacco e ucraino per le lingue slave, etc.).
Dunque possiamo definire la linguistica comparativa come “quella parte della linguistica che affronta lo studio delle relazioni tra le lingue e l’evoluzione interna di ogni
lingua secondo una tecnica di confronto delle fasi evolutive di una stessa area linguistica e di confronto tra le lingue affini”10. Si noti tuttavia che la comparazione linguistica
si può applicare anche a lingue che, pur non avendo una comune origine storica, condi-
8
La -s, puramente grafica, è di origine analogica (introdotta sul modello di altre coniugazioni).
Nel passaggio [diʧe] > [diʧi], la [e] finale (normale esito di [i] breve latina) è stata sostituita da [i]
per analogia con la corrispondente terminazione dei verbi della coniugazione in -ire (vieni, dormi etc.).
10
<http://it.wikipedia.org/wiki/Linguistica_comparativa>.
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vidono determinate caratteristiche strutturali – ad esempio certi costrutti sintattici, o certe categorie semantiche –, cioè a lingue tipologicamente affini.11
Aggiungiamo infine che il processo evolutivo delle lingue può essere osservato in
due direzioni: in senso prospettivo (cioè seguendo il corso naturale del tempo) e in senso retrospettivo (cioè procedendo a ritroso nel tempo). In particolare, l’osservazione retrospettiva è quella che, insieme alla comparazione, caratterizza il metodo ricostruttivo, cioè quel procedimento di analisi storico-comparativa attraverso cui si giunge alla
ricostruzione sia di singole forme che di sistemi appartenenti a stadi linguistici precedenti non documentati. È ciò che accade, per esempio, quando attraverso la comparazione di inglese, tedesco, nederlandese, lingue scandinave etc. – e in particolar modo dei
loro stadi più antichi – si giunge a postulare una protolingua comune detta ‘protogermanico’; oppure quando, attraverso la comparazione di latino, greco, gotico, paleoslavo,
armeno, sanscrito etc. si arriva a ricostruire delle forme di una protolingua cui si dà il
nome di (proto)indoeuropeo. Vedremo a suo tempo alcuni esempi illustrativi di questo
metodo.
11
Tali sono ritenute, ad esempio, le lingue parlate nella penisola balcanica (albanese, bulgaro, romeno, greco e altre), che condividono alcuni tipici tratti grammaticali (come il modo di formare il futuro o
l’assenza di infinito verbale) pur non essendo direttamente imparentate. L’affinità tipologica tra queste
lingue è dovuta al lungo contatto reciproco nel corso della loro storia. Si noti tuttavia che mentre l’affinità
genetica tra due o più lingue comprende l’intero sistema linguistico (fonologia, grammatica, lessico),
quella tipologica è perlopiù limitata a singoli aspetti o livelli strutturali.
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