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Cultura e prospettive
Luglio – Settembre 2014 n. 24
mondo, a fare il male e a vivere nella menzogna e nel Maleficio.
Pur nell’ambito di un rifiorente
filone di “poesia religiosa” che, in
questi anni di crisi generale delle
ideologie, cerca la ribalta letteraria
in Italia, il lavoro di Rombi spicca
per alcune sue doti di originalità ed
autenticità (come, ad esempio, la rivalutazione della fede cristiana ma
in un quadro moderno, la sincerità e
il trasporto etico e sentimentale, le
forti convinzioni personali corroborate dall’esperienza della vita, il legame permanente con la concretezza
delle difficoltà, anche materiali, di
chi vive in difficoltà).
Un “racconto esploratorio dell’Aldilà”, dice Ughetto. E alla luce
dei connotati del Ventunesimo Secolo, aggiungiamo. Della vita delle
grandi e piccole città del pianeta. E
alla parola racconto (récit) Ughetto
non esita a far seguire la parola “narrateur”, perché in effetti Rombi è un
“narratore” anche in poesia, non rinunciando mai, neppure nell’estasi
dello slancio lirico, al contatto concreto coi luoghi e coi fatti, con le coordinate della vita quotidiana dell’uomo.
Questo poemetto è l’esplicitazione più completa che l’artista Rombi
ci abbia dato finora della componente civile ( l’altra sarebbe quella intimistica) della sua Poesia. Poesia civile o impegnata che già avevamo
letto in libri precedenti di Rombi,
come Canti per un’isola (1965),
Enigmi animi (1980), e soprattutto
Huit temps pour un présage (1998)
in cui l’autore lancia la sua invettiva
contro i mali e le storture della nostra società, per giungere al solenne
e tragico Tsunami – Oratorio per
voce solista e coro (2005), ispirato
al catastrofico “tsunàmi” indonesiano del 2004.
Solo che qui, nella “Stagione dei
misteri”, la componente “civile” è
intimamente avviluppata con quella
“intimistica”, in un mélange insolito
e originale di invettiva acre, puntigliosa, e di lirica abbandonata e dolcissima. (Luigi De Rosa)
Giuseppe Bandi, Anita Garibaldi, introduzione e cura di Elisabetta Benucci (Apice libri, Sesto
Fiorentino, ristampa anastatica,
2014, pp. 112)
di Giuseppe Manitta
A distanza di oltre un secolo, Elisabetta Benucci offre la ristampa
anastatica della storia di Anita Garibaldi scritta da Giuseppe Bandi e
pubblicata, per la prima volta, sulla
Gazzetta livornese, quale omaggio
per la commemorazione di Anita fattane a Livorno nel 1889. Il merito
della Benucci è duplice: in primis
aver reso possibile finalmente la lettura di un testo ormai introvabile, in
secondo luogo di aver dato a quel
testo una introduzione esaustiva sia
da un punto di vista storico sia lette-
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rario. Difatti, Anita Garibaldi di
Giuseppe Bandi è a tutt’oggi un testo di difficile reperibilità in quanto
esistono esclusivamente antiche edizioni, data la relativa fortuna tra Ottocento e Novecento: la prima apparizione presso “Il Giornale livornese”, nel 1908 la prima edizione integrale per Bemporad, edizione riprodotta ora dalla Benucci, e nel 1932
la ristampa a cura di Gino Doria.
Nell’oblio che interessa molta letteratura risorgimentale, rientra anche
il caso Bandi. La sua opera più famosa è I Mille: da Genova a Capua,
ma non vanno dimenticate anche le
altre produzioni storico-letterarie,
nonché il suo acceso e fervente impegno giornalistico.
La Benucci si avvede bene a definire il testo di Bandi ora biografia
ora racconto, perché l’aspetto letterario e apologetico non viene nascosto dall’autore né tantomeno l’interesse ricostruttivo della biografia
stessa, già dall’inizio avvolta da una
certa dubbia causalità degli eventi.
L’interesse di Bandi è, difatti, di
«restituire e far rivivere al lettore,
sulla scorta di testimonianze documentate, l’avventura storica della
protagonista, dissipando, dove è
possibile, gli equivoci che gli anni e
le interpretazioni hanno provocato»
(p. VII). Parlare di Anita e ricostruirne la vicenda, difendere la sua
attività battagliera, è al contempo la
difesa di Garibaldi e l’esaltazione del
suo eroismo. L’obiettivo è quello di
stabilire la verità storica sia su Anita
sia su Giuseppe e, proprio lungo questo orientamento, vertono le prime
pagine della monografia. Il patriota
cerca le fonti storiche e di chiarire
momenti dubbi, ma anche di ristabilire il senso morale dell’azione e, nel
caso del rapporto amoroso, di trovare
le fondate giustificazioni contro i detrattori: «Disse in primis una gran
bugia chi spacciò che Garibaldi non
sposasse mai Anita, ma vivesse secolei come vivono i selvaggi con la
prima femmina che incontrano nel
bosco, e che par bella ai loro occhi.
Poiché un certificato del parroco don
Martino Perez di San Francesco in
Montevideo, attesta aver congiunto
in matrimonio l’italiano Giuseppe
Garibaldi con Anna Maria di Gesù
[ovvero Anita], nata a Laguna nel
Brasile, figlia legittima di don Benedetto Riverio de Silva, alla presenza di due testimoni, in facie ecclesiae, ecc. nel giorno 26 di marzo
1842» (p. 4).
Elisabetta Benucci nella sua introduzione ricostruisce fatti e movimenti narrativi, evidenzia aspetti sinora misconosciuti alla critica, attesta il ruolo preminente della Toscana
in questo movimento rivoluzionario,
ma allo stesso tempo scandisce gli
aspetti narratologici. Si individua,
nel caso specifico, l’uso sapiente
dello scrittore nella modulazione di
flashback al fine di rendere una
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«straordinaria efficacia narrativa»,
assecondando con il suo raccontobiografia quell’alone di leggenda
che assoggettava la figura di Anita.
Altresì ne ricostruisce la vita avventurosa, a partire dalle vicende del
nuovo Mondo, per passare allo specifico sbarco a Nizza e poi a Roma,
nel ’49, e la susseguente fuga tra
Toscana e Riviera adriatica. Elisabetta Benucci ricostruisce i punti
chiave degli spostamenti e delle vicende, come il ‘giallo’ della morte,
che si basa su due vicende nello specifico: il seppellimento repentino del
corpo e la sommaria autopsia che ne
stabilisce lo strangolamento. Si suppone, dunque, una morte causata e
non accidentale, forse avvenuta per
il desiderio di reperire il nascosto
tesoro di Garibaldi, per opera dei
fratelli Ravaglia (pp. 78-81). Tra i
vari personaggi ‘minori’ che appaiono nel resoconto di Bandi, giustamente la Benucci pone una più
mirata attenzione a Don Giovanni
Verità, il prete garibaldino, che da
Modigliana fungeva da base per far
fuoriuscire i patrioti perseguitati nello Stato pontificio verso la Toscana.
A Don Giovanni, Bandi dedica la
parte finale del suo lavoro, con chiari accenti di critica nei confronti della miopia papalina cui si oppone
l’opera lungimirante di un prete che
ha accettato Garibaldi e non ha rifiutato Dio. Con la morte di Don Giovanni si chiude l’opera di Bandi, che
sia nella ricostruzione dei fatti sia
nelle motivazioni storiche di essi risente del proprio acceso patriottismo. Ma, come giustamente scrive
Elisabetta Benucci nelle ultime pagine della sua prefazione, la ripubblicazione di Anita Garibaldi di
Bandi, al di là di ricostruzioni storiche oramai superate, si presenta come il prodotto letterario di «uno
scrittore pregevole ma dimenticato»
(p. XIX). (Giuseppe Manitta)
Lina Unali, Racconto digitale,
Editori Riuniti, Roma 2014, pp.
133, euro 12, 00
di Carmine Chiodo
Lina Unali, apprezzatissima e
notissima studiosa di letteratura inglese (Professoressa Ordinaria di tale disciplina nell’Università di Roma
Torvergata) è anche una geniale e
originale scrittrice e poetessa. Colta,
curiosa di vita, amante di conoscere
il mondo, di slargare sempre i suoi
orizzonti culturali, umani ed esistenziali, la scrittrice di origina sarda, ci
dà una ulteriore prova della sua arte
narrativa con questo originalissimo
Racconto digitale che è un’opera,
accolta con pareri favorevoli dalla
critica, che ha una sua fisionomia
particolare, e in quest’opera si mostra tutta quanta quella che è la cultura, la perizia, l’atteggiamento coi
quali la Unali si pone di fronte alla
vita, alle sue cose belle, e in questo
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