IL PICCOLO – mercoledì 16 luglio 2014 Indice articoli

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IL PICCOLO – mercoledì 16 luglio 2014
(Gli articoli della presente rassegna, dedicata esclusivamente ad argomenti di carattere economico e sindacale, sono scaricati dal sito
internet del quotidiano. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
Indice articoli
ECONOMIA (pag. 2)
Crisi Ideal Standard, si torna a trattare
REGIONE (pag. 2)
La Uil a congresso conferma Menis segretario regionale
Posti letto della sanità. Ospedali messi a dieta (2 articoli)
«Il bando per il Pramollo è in arrivo»
TRIESTE (pag. 6)
«Authority, una gestione monarchica»
Ferriera, offerte entro il 28 luglio (2 articoli)
Tram fermo, Cosolini all’attacco: «Trieste Trasporti ha sbagliato»
GORIZIA-MONFALCONE (pag. 9)
Punto nascita, porte chiuse. Domani inizia il trasloco (2 articoli)
Primo giorno di sciopero, guerra di cifre
ECONOMIA
Crisi Ideal Standard, si torna a trattare
TRIESTE Ideal Standard ha raggiunto un accordo con i sindacati per una nuova verifica al Ministero
del Lavoro della situazione dello stabilimento di Orcenico di Zoppola e il possibile uso della cassa in
deroga. L'accordo evita di fatto, almeno al momento, il licenziamento dei 399 dipendenti dello
stabilimento, previsto per il 20 luglio. È quanto si apprende da fonti sindacali al termine dell'incontro di
questo pomeriggio, che ha seguito lo sciopero nazionale dell'intero gruppo.Di fronte al futuro sempre
più incerto dei 400 lavoratori della Ideal Standard di Orcenico (Pordenone), ieri ci sono state due ore di
sciopero in tutti gli stabilimenti del gruppo. La mobilizzazione ha riguardato circa 1.450 persone nelle
sedi di Orcenigo, Trichiana (Belluno), Roccasecca (Frosinine), Bassano Bresciano e Milano. La
protesta segue la rottura di fatto delle trattative per il rilancio dell'azienda avvenuta giovedì al ministero
dello Sviluppo economico, quando la multinazionale della ceramica ha confermato l'apertura della
procedura di mobilità per i dipendenti dello stabilimento friuliano e si è detta contraria ad un rinnovo
della cig in deroga, ricevendo un richiamo formale dal governo e dalla regione Friuli Venezia Giulia. Il
leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha definito il comportamento di Ideal Standard «inaccettabile»
perchè «rischia non solo di generare pesantissime ripercussioni sul sito di Orcenico, ma anche di
pregiudicare la tenuta dell'intera compagnia. «Il governo Renzi deve agire in extremis per scongiurare
la chiusura dello stabilimento di Orcenico dell'Ideal Standard», ha chiesto il deputato del Movimento 5
Stelle, Walter Rizzetto: «In tutti questi anni di crisi aziendale i lavoratori di Ideal Standard hanno fatto
la loro parte».
REGIONE
La Uil a congresso conferma Menis segretario regionale
TRIESTE Giacinto Menis, nel giorno in cui, al nono congresso regionale del sindacato, viene
riconfermato segretario generale della Uil Fvg (con Claudio Cinti ancora nel ruolo di segretario
organizzativo), parte dai numeri, ancora negativi, della crisi: «Oltre 20mila posti di lavoro perduti, i
disoccupati raddoppiati, i “mobilitati” a quota 16mila. Essere tornati sotto i 500mila occupati è un
balzo all’indietro di un decennio, mentre siamo a un nuovo record della Cig, con oltre 25 milioni di ore.
E, nel primo quadrimestre 2014, tocchiamo il +30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso». Un
quadro da depressione contenuto nella relazione di Menis. Con escursioni nei casi emblematici del
periodo. Electrolux, «il cui esito deve costituire un punto di valore». La Ferriera di Servola, «vicenda
madre dal punto di vista industriale e sociale di Trieste». Ideal Standard, «vertenza complicata dalle
divergenze aziendali con Unindustria». Latterie Friulane, «marchio storico dell’agroalimentare che
rischia di pagare un prezzo altissimo per la responsabilità di pochi». Non tutto è perduto, tuttavia: «La
Uil Fvg è convinta che dalla crisi si possa uscire usando la specialità come strumento di sviluppo
dell’economia». E dunque, incalza Menis, «alla gestione delle emergenze deve accompagnarsi
l’adozione di politiche industriali capaci di promuovere l’innovazione, l’internazionalizzazione,
l’integrazione delle piccole e piccolissime imprese, l’accesso al credito, i servizi alle imprese, la
formazione e le politiche attive del lavoro». La Regione? «Serve un piano energetico ed è fondamentale
lo sviluppo della logistica, con la sezione meridionale del corridoio Baltico-Adriatico, collegamento
ideale con il sistema portuale regionale, premessa per sviluppare i traffici tra Estremo Oriente e Centro
Europa». La Uil, conclude il segretario, «è poi fermamente che si debba abbattere le tasse sull’impresa
e sul lavoro». (m.b.)
Posti letto della sanità. Ospedali messi a dieta
di Marco Ballico TRIESTE I posti letto per acuti in Friuli Venezia Giulia diminuiscono di 1.000 unità:
da 4.700 a 3.700. Non una riduzione secca ma, in qualche caso, anche una riconversione a favore della
lungodegenza. La riforma della sanità, consegnata l’altra sera da Debora Serracchiani e da Maria
Sandra Telesca ai consiglieri di maggioranza, contiene tra l’altro la razionalizzazione dei “Pl”.
L’obiettivo è di abbassare la quota ogni mille abitanti da 3,8 a 3. All’articolo 26 della bozza di ddl,
quello sulla Programmazione ospedaliera, viene messo nero su bianco che il Servizio sanitario
regionale adotta, quale standard per la definizione del numero dei posti letto ospedalieri accreditati, il
valore di 3 per mille abitanti per acuti, comprese le strutture private, e di 0,7 per la riabilitazione, di cui
0,3 nelle strutture ospedaliere e 0,4 nelle aree delle residenze intermedie. Tra i documenti a margine
dell’articolato spunta anche lo specchietto sui “Pl”. Rispetto a un’esistente di 4.700 in Friuli Venezia
Giulia, si intende scendere con la riforma a regime a quota 3.690, appunto 3 ogni mille residenti. Nel
dettaglio l’agenda prevede 3.063 posti letto pubblici (1.382 in provincia di Udine, 710 a Pordenone,
587 a Trieste, 384 a Gorizia) tra medici, chirurgici, materno infantile e intensivi, cui si aggiungono altri
230 privati e 397 in day hospital. La riduzione è un input nazionale del 2012. Al 1 gennaio di
quell’anno – stima del ministero – in Italia erano presenti 231.707 posti letto (3,82 ogni mille abitanti)
di cui 195.922 per acuti (3,23 ogni mille abitanti) e 35.785 per post-acuti (0,59). La legge 135/2012, la
Balduzzi, indica invece come obiettivo una media complessiva di 3,7 posti letto per mille abitanti, di
cui lo 0,7 deve essere dedicato a riabilitazione e lungo-degenti e i restanti 3 per gli acuti. Stando agli
indicatori statistici pubblicati sul sito della Regione, il Fvg ha superato la media nazionale. L’offerta
pubblica di posti letto ospedalieri (day hospital e ordinari) in regione è stata di 4 ogni mille abitanti nel
2008 (3,7 in Italia), 3,9 (3,5) nel 2009, 3,8 (3,3) nel 2010, 4,1 (3,3) nel 2011, 3,8 (3,1) nel 2012.
Superiore al resto del paese anche la degenza media: 7,4 giorni (contro 6,72) nel 2008, 7,47 (6,89) nel
2009, 7,42 (6,72) nel 2010, 7,48 (6,81) nel 2011, 7,25 (6,79) nel 2012. Partendo da queste basi, la
giunta Serracchiani punta a concentrare i punti d’urgenza in pochi centri e parte dal concetto dell’hub
and spoke, con ospedali hub (Udine, Trieste e Pordenone) per un bacino superiore ai 300 mila abitanti e
ospedali spoke (Gorizia e Monfalcone; Latisana e Palmanova; San Daniele e Tolmezzo; San Vito al
Tagliamento e Spilimbergo) per un bacino tra gli 80 e 150mila abitanti. La bozza di riforma conteggia a
parte i posti letto per la riabilitazione: un totale di 372 (0,30 per mille abitanti), tra i 158 di Udine, i 104
di Trieste, i 68 di Pordenone e i 42 di Gorizia). Un altro capitolo è quello della proposta di
riorganizzazione delle strutture dell’assistenza distrettuale. «Un rafforzamento del territorio proprio
come chiediamo da tempo», commenta Orietta Olivo, responsabile sanità della Cgil Fvg, rilevando che
si parla di 988 “Pl” nelle Rsa – l’Atlante dei servizi socio-sanitari Fvg ne contava 786 nel 2011 –, di cui
486 da riconvertire in riabilitazione estensiva e lungodegenti. Sono inoltre ipotizzati 103 posti letto dei
dipartimenti di salute mentale, 34 nei servizi dipendenze, 84 negli hospice e 60 di Suap (speciali unità
di accoglienza protratta) per pazienti non autosufficienti che richiedono trattamenti intensivi
permanenti. «Quando riduci i posti letto c’è sempre un po’ di timore che, a giochi fatti, non bastino –
rileva ancora Olivo –. L’importante è che quelli che verranno a mancare negli ospedali siano
riconvertiti, come la giunta sembra intenzionata a fare, in posti di Rsa e riabilitazione, nel rispetto di
quanto dicono gli indicatori sanitari regionali degli ultimi anni. L’auspicio è che la razionalizzazione
messa in cantiere risolva il nodo del tasso di occupazione che oggi vede i reparti di medicina riempiti
fino al cento per cento, mentre le Rsa, causa appunto il loro non ottimale utilizzo, arrivano solo al
novanta per cento». In particolare all’articolo 34 si precisa che i presidi ospedalieri di Cividale,
Gemona, Maniago e Sacile, nonché parte del Maggiore di Trieste, sono riconvertiti per lo svolgimento
di attività distrettuali sanitarie e sociosanitarie e vengono ribattezzati “Presidi per salute”.
Da Gorizia a Trieste altolà ai doppioni. Il Maggiore cambia
TRIESTE A Gorizia resta solo l’attività ambulatoriale in ostetricia e ginecologia. La bozza di riforma
conferma la chiusura del punto nascita della città isontina. Nel riepilogo delle funzioni del presidio
ospedaliero di Gorizia e Monfalcone, allegato all’articolato diffuso lunedì sera a Udine dalla giunta
regionale, si precisa appunto che «degenze e punto nascita» saranno un servizio operativo «in una
sede». È la riduzione dei doppioni, uno degli obiettivi principali della riforma. Accade anche, sempre
tra Gorizia e Monfalcone, per le degenze in cardiologia e in neurologia, pure per quelle con attività
riabilitativa cardiologica e neurologica. E ancora per le degenze in pediatria, oculistica,
otorinolaringoiatria e urologia. Assicurata ogni attività ambulatoriale sia nel capoluogo di provincia che
a Monfalcone, la giunta mantiene inoltre la doppia offerta in chirurgia generale e ortopedia.
«Progressivamente», è un altro punto in agenda, le funzioni di anatomia patologica, laboratorio analisi
e microbiologia verranno invece assicurate dal presidio di Cattinara. Il quadro ospedaliero triestino
prevede complessivamente 556 posti letto ordinari e 52 in day hospital, con le degenze ordinarie per
acuti progressivamente collocate a Cattinara, mentre la sede del Maggiore sarà sempre più dedicata
all’attività diurna (ambulatori e dh). Tra le note, gli Ospedali Riuniti (uno dei tre “hub” di primo livello
del Friuli Venezia Giulia con Udine e Pordenone) conteranno su 12 posti letto di unità di terapia
intensiva cardiologica, 8 di stroke-unit in neurologia, 8 di servizio psichiatrico di diagnosi e cura in
psichiatria, 8 semi-intensivi in pronto soccorso e medicina d’urgenza e 6 semi-intensivi in
pneumologia. Quanto al Burlo – che nel disegno di legge figura quale “Istituto di ricovero e cura di
carattere scientifico specializzato nell’area materno-infantile” –, i posti letto ordinari collocati nella
mappa della riforma sono 110, di cui 8 intensivi in neonatologia, cui si aggiungono 26 in day hospital.
In pediatria e pronto soccorso pediatrico è poi disposta l’area di degenza comune con i posti intensivi
dell’anestesia e rianimazione. Anche in questo caso alcune funzioni passeranno progressivamente a
Cattinara: laboratorio analisi, microbiologia e medicina trasfusionale. Integrazione con i Riuniti, infine,
per la radiologia. La bozza non dimentica di indicare anche i posti letto a disposizione degli utenti nel
Sanatorio Triestino (80), nella Pineta del Carso (108) e nella Salus (65). Passando al Friuli, il presidio
ospedaliero Santa Maria della Misericordia di Udine è quello con il maggior numero di posti letto nella
proposta di riforma della sanità regionale. Se ne contano 804 ordinari e 84 in day hospital. In Friuli se
ne prevedono quindi 536 al Santa Maria degli Angeli di Pordenone, 414 a San Daniele-Tolmezzo, 278
a Latisana-Palmanova, 272 a San Vito al Tagliamento-Spilimbergo, 116 al Cro di Aviano e 106 al
Gervasutta di Udine. Tra le specifiche indicate dalla giunta, l’ospedale di Udine svolge funzioni a
valenza regionale come centro trapianti, coordinamento malattie rare, accreditamento e qualità,
epidemiologia e assicura l’anatomia patologica, il laboratorio analisi, la microbiologia anche ai presidi
“spoke” e al Gervasutta, proprio come fa l’ospedale di Pordenone per la sua provincia, compreso il Cro
(che, da parte sua, copre la funzione oncologica anche per il Santa Maria degli Angeli). Nell’Udinese lo
stop ai doppioni riguarda la struttura di San Daniele e Tolmezzo (che mantengono però il punto nascita
in entrambe le sedi), con l’accorpamento della riabilitazione, e di Latisana e Palmanova, con
l’integrazione di ostetrica e ginecologia, pediatria e riabilitazione. A Palmanova, come previsto, è
collocata la centrale operativa del 118 in sede unica regionale. Nel Pordenonese, nel presidio San VitoSpilimbergo si va verso le degenze in una unica sede per la nascita, la riabilitazione, l’anestesia e la
rianimazione. Nel capoluogo è però prevista in ostetrica e ginecologia (assieme alla pediatria si contano
50 posti letto ordinari e 6 in day hospital) anche l’attività di procreazione medicalmente assistita. (m.b.)
«Il bando per il Pramollo è in arrivo»
di Marco Ballico TRIESTE Il bando per Pramollo ci sarà, assicura la giunta regionale ribattendo alla
denuncia di stallo dell’operazione, con tanto di 70 milioni pubblici «congelati», mossa dal centrodestra.
Ma, dopo Alessandro Colautti, sul progetto rimasto sulla carta da un decennio, interviene anche
Riccardo Riccardi: «Il tema politico è serio: perché in un anno non si è fatto niente? E come pensa la
maggioranza di procedere tra il pessimismo, seppur personale, del vicepresidente Bolzonello, e
l’entusiasmo della neo-europarlamentare di Pontebba che, su questo tema, omaggiava Serracchiani con
gli striscioni?». Siamo allo scontro. Ma la giunta, che nell’agosto 2013 aveva deliberato il “pubblico
interesse” dell’opera, tira dritto. «Nessun bando “fantasma” – sostiene l’assessore Mariagrazia Santoro
–, piuttosto in via di definizione». Perché l’atto «è complesso». E dunque sia gli impianti che il
marketing a supporto «richiedono un lungo lavoro degli uffici». E poi, prosegue Santoro, «siamo in
attesa di una risposta formale e definitiva della Carinzia alla richiesta che abbiamo rivolto a febbraio
sulle modalità di partecipazione finanziaria da parte austriaca, elemento necessario per la totale
copertura». Quanto alle risorse regionali, l’assessore precisa: «Non è corretto affermare che 70 milioni
sarebbero fermi nel bilancio, dal momento che è stato deliberato uno stanziamento di 3,5 milioni per
ogni anno per 20 anni a partire dal 2014». In settimana è previsto anche un incontro Regione-Comune
di Pontebba «per definire aspetti decisivi per proseguire l’iter». Il territorio, del resto, continua a non
avere dubbi: la funivia va fatta. Ci crede l’europarlamentare, ed ex sindaco, Isabella De Monte: «È un
progetto di spessore internazionale e per il quale la volontà politica della maggioranza è univoca. La
Carinzia ha recentemente deliberato di allentare gli obblighi da rispettare, inseriti a suo tempo
dall’allora governatore Dorfler, per l’erogazione di 6. Il nuovo governatore Peter Kaiser ha tradotto in
impegno una posizione, più volte espressa, ampiamente favorevole al progetto». Mentre l’attuale
sindaco Ivan Buzzi, «fiducioso nella spinta della presidente Serracchiani», rassicura sugli investitori:
«Gli importi saranno molto al di sopra delle somme destinate all’impianto funiviario. Ciò dipende dal
fatto che imprenditori esteri si rivolgono alle stazioni sciistiche che hanno forti potenzialità di crescita,
una crescita possibile facendo sistema con gli altri poli regionali». L’opposizione, però, non si
accontenta. Riccardi ci tiene a ricordare l’impegno della giunta Tondo, «dal presidente, la cui
attenzione nel portare avanti un’operazione ampia e sostenibile non va confusa con un atteggiamento di
freddezza, all’operato di una giunta che ha di fatto resuscitato un progetto che, nel 2008, era morto e
sepolto». Niente di semplice ma, insiste il capogruppo di Fi, «a fine legislatura il percorso era
completato, anche se Tondo ha scelto di non infilarlo nella campagna elettorale. A noi non interessa
assegnare le colpe come fa la sinistra ma prendiamo atto che la giunta in carica, dopo aver approfittato
del nostro lavoro, non ha piantato un solo chiodo».
TRIESTE
«Authority, una gestione monarchica»
Siamo appena a luglio, ma il 2014 sarà certamente un anno da dimenticare per Marina Monassi (foto).
Il dissidio già latente con i rappresentanti delle istituzioni elettive diviene plateale al momento della
firma dell’Accordo di programma sulla Ferriera negata in prima battuta solo dall’Authority nonostante
l’adesione di cinque ministeri tra cui quello di Infrastrutture e Trasporti. Le sedute del Comitato
portuale si fanno roventi, più volte abbandonate in anticipo da Regione e Comune di Trieste. E arrivano
le richieste di dimissioni, in particolare dal senatore del Pd Francesco Russo. La delusione cresce
quando si apprende che per la riqualificazione del Porto Vecchio ci sono solo 8 parziali richieste di
concessione comprese quelle di Camera di commercio, Provincia e Curia. Non bastasse, sul sito web a
firma dell’Authority appare un comunicato di Paolo Parovel, ideologo di Trieste libera che attacca
Serracchiani, Cosolini e Dipiazza: ne nasce un caso. Ora, infine, la sollevazione dei dipendenti che
accusano che «l’Authority è un ente pubblico gestito come cosa privata». (s.m.)di Silvio Maranzana
Stavolta cova dall’interno la rivolta contro Marina Monassi. Evidentemente non è una lotta politica
quella che si gioca attorno all’Autorità portuale se i “quadri” dell’ente, «dopo innumerevoli inutili
tentativi di instaurare un dialogo» hanno diffuso ieri una nota di fuoco contro la presidenza in cui si
denuncia che «un clima da Medioevo è stato creato all’interno della Torre del Lloyd». Il comunicato è
di Ciu Unionquadri, sigla alla quale aderiscono, come spiega il delegato Sergio Nardini, 17 dei 32
“quadri” dell’Authority, «ma rappresenta un malessere ben più diffuso - spiega Nardini - anche tra
molti degli altri oltre che dei 39 impiegati». «Da inizio 2011 (momento dell’insediamento di Monassi,
ndr.) a oggi - denuncia dunque la Ciu attraverso il segretario regionale Giuliano Veronese - ogni atto
che riguarda la gestione del personale dell’Apt è stato adottato in maniera autonoma, quasi monarchica
verrebbe da dire». La Ciu rileva come appaiano «evidenti i limiti sia in termini di ordinaria
amministrazione, sia in termini di programmazione del futuro, sia in termini di amministrazione delle
società partecipate, sia in termini di collaborazione con altre realtà istituzionali, economiche e sociali
del territorio». Secondo i dipendenti, l’amministrazione Monassi ha «deliberatamente e ripetutamente
evitato un confronto costruttivo con i lavoratori. È mancato soprattutto un costante rapporto
informativo/comunicativo chiaro che enucleasse la strategia, i fabbisogni in termini di personale
(correnti e futuri), le relative competenze. Sono mancate le scelte di amministrazione sulle politiche di
gestione delle risorse umane e sull’organizzazione interna». Il terreno di scontro non si basa su
considerazioni teorico-generali, ma si addentra in casi concreti: «Come si spiega - sottolinea la nota - in
tempi di revisione della spesa pubblica, la spiccata propensione ad affidare incarichi all’esterno
secondo accordi economici che appaiono in maniera non esaustiva o comunque “poco leggibile” sul
sito web del porto forse troppo popolato da spotlight autocelebrativi più adatti a un blog elettorale che a
un sito istituzionale? Come si spiega il caso di una nuova collaboratrice che sta prestando servizio
all’interno dell’ente senza che le organizzazioni sindacali ne siano state preventivamente informate?
Come si spiega l’opacità nella gestione delle partecipate di cui non risulta se ne parli in Comitato
portuale e di cui l’Ente dichiara di voler cederne il controllo al mercato? Come si giustifica un trasloco
del personale al Magazzino 26 del Porto Vecchio, senza un’adeguata e preventiva valutazionecomunicazione dei costi e delle ripercussioni che graveranno sull'organizzazione del lavoro e che
dovrebbe essere realizzato, a nostro avviso, con criteri più partecipativi e di responsabilità?» Riguardo
al trasferimento dopo l’annuncio in una nota della stessa presidente, come riporta Nardini «è calato il
silenzio se si escludono voci non controllate su ipotetiche misurazioni e studi per le reti telematiche al
Magazzino 26». «Abbiamo assistito - scrivono ancora i “quadri” - a trasferimenti non motivati di
risorse umane. Ma, soprattutto, abbiamo assistito a una preoccupante chiusura e/o assottigliamento di
alcuni servizi e settori, originariamente sorti per far fronte a precisi compiti e specifiche responsabilità
previste dalla legge costitutiva, senza una chiara definizione d’alternativa strategica». «Considerare il
porto come organismo personalistico, che si relaziona solo con pochi privilegiati e finisce per tessere
legami a dir poco instabili con il territorio circostante - conclude la Ciu - è attuare una strategia miope,
non più praticabile, certamente destinata a fallire nel breve periodo anche e soprattutto in virtù delle
strategie messe in campo dai competitor. A meno che ciò non sia precisamente la volontà (suicida?) di
chi amministra il bene pubblico “porto di Trieste”».
Ferriera, offerte entro il 28 luglio
di Silvio Maranzana Scadrà lunedì 28 luglio, per la precisione alle ore 18, il termine per la
presentazione delle offerte vincolanti per l’acquisto della Ferriera di Servola che però se andrà in porto,
dati i tempi burocratici necessari, non potrà essere concluso prima dell’inizio dell’autunno. Sembra
pressoché certo che vi sarà una sola offerta, da parte di Siderurgica Triestina, società costituita ad hoc
dal Gruppo Arvedi, l’unica ad aver presentato una manifestazione d’interesse con requisiti giudicati in
regola, a differenza di quanto accaduto con la sola ipotesi concorrente avanzata da una società di Hong
Kong, che già in quella sede era stata giudicata non ammissibile. «Teoricamente non è probito che
offerte d’acquisto vengano presentate da società che non hanno manifestato interesse - ha spiegato
Francesco Semino, segretario amministrazione straordinaria del Gruppo Lucchini - ma è pressoché
scontato che ciò non accadrà perché è da escludere che si faccia avanti chi non ha partecipato alla due
diligence. Ora il candidato acquirente - ha aggiunto Semino - deve specificare le condizioni e il prezzo
ai quali è disposto a comprare lo stabilimento.» Il percorso, in base alla legge, sarà uguale a quello
partito già ieri per gli altri siti del gruppo, in particolare quello di Piombino per il quale si sono fatti
avanti gli indiani di Jindal South West: il commissario straordinario Piero Nardi, a partire
evidentemente dal 29 luglio, analizzerà formalmente e qualitativamente l’offerta e presenterà una
relazione. Quindi, sentito il Comitato di sorveglianza, presenterà istanza di aggiudicazione al Ministero
dello sviluppo economico che da quel momento avrà trenta giorni per esprimersi. Con il Ferragosto di
mezzo, c’è il pericolo che il passaggio di mano della Ferriera, ammesso che non vi sia qualche ulteriore
inghippo, slitti a ottobre. «Speriamo di chiudere entro il 30 settembre - ha comunque annunciato
Semino - perché ad esempio non è detto che il ministero consumerà tutti e trenta i giorni che avrà a
disposizione per il parere». Intanto però a Servola, come testimoniano sia Stefano Borini segretario
Fiom-Cgil, che Christian Prella, segretario del sindacato autunomo Failms tra i lavoratori il
disorientamento si sta trasformando in rabbia per i tempi che si allungano mentre, denuncia Borini
«non si è svolto in Regione l’incontro in cui si doveva decidere sulle integrazioni al reddito e i corsi di
formazione per i lavoratori sui quali la cassa integrazione pesa già da mesi». Prella annuncia l’arrivo di
una nave con 60mila tonnellate di carbone per il prossimo mese «a vantaggio della cokeria che però
funziona soltanto a mezzo servizio: meno di 50 forni al giorno a confronto con gli usuali 96». Inoltre
non sarebbe stato ancora raggiunto l’accordo tra Arvedi e amministrazione straordinaria Lucchini su
chi debba pagare il prosieguo dei lavori sull’altoforno che ora starebbero procedendo a rilento e alcune
altre operazioni che con il passare del tempo si fanno urgenti nell’ottica di un ammodernamento e della
riduzione dell’impatto ambientale degli impianti.
Borini (Fiom): «Ma Arvedi e le istituzioni ci metteranno di fronte al fatto compiuto»
«Le istituzioni - denuncia ancora una volta Stefano Borini (foto), segretario provinciale Fiom-Cgil sono probabilmente già a conoscenza del piano industriale di Arvedi, ma attendono di divulgarlo per
mettere così i sindacati di fronte al fatto compiuto, nel momento in cui non si potrà più trattare». Per
istituzioni vanno intese la Regione, la Provincia e il Comune. Secondo la Fiom nemmeno il 28 luglio
sarà la data utile per conoscere il Piano il che sostanzialmente significa se Siderurgica Triestina, la
società creata da Arvedi per acquistare la Ferriera e di cui è amministratore unico Francesco Rosato,
manterrà gli attuali livelli occupazionali e retributivi. «Non credo proprio che a fine luglio Arvedi
diramerà una nota stampa, per quei giorni potrebbe però invitare i sindacati a un incontro, ma ritengo
molto improbabile che accada questo», afferma Borini. Dopo fine luglio oltretutto la richiesta
d’acquisto dovrà essere appena esaminata dal commissario straordinario e dal ministero. (s.m.)
Tram fermo, Cosolini all’attacco: «Trieste Trasporti ha sbagliato»
di Gianpaolo Sarti Dopo il pasticciaccio ora si consuma la polemica. La mancata ripartenza del tram di
Opicina, nonostante l’inaugurazione di venerdì scorso e gli annunci trionfali della Trieste Trasporti - «il
servizio per i cittadini si riattiva tra qualche giorno» - manda su tutte le furie Roberto Cosolini. Lui, da
sindaco, ci ha messo la faccia ma non ci sta a prendersi tutta la responsabilità del flop. Culminato,
peraltro, con il rischio di un clamoroso blocco proprio durante il viaggio celebrativo: la trenovia, quel
pomeriggio, arrancava a causa di un problema a una scheda elettronica e ha raggiunto a stento Campo
Cologna. Come si è saputo in seguito, la vera ripresa per triestini e turisti deve slittare a fine mese:
occorre attendere il collaudo ufficiale dell’Ustif, l’Ufficio speciale trasporti impianti fissi, previsto per
gli altri due mezzi il 21 luglio. Perché allora inaugurare in pompa magna già venerdì se poi la partenza
effettiva inizierà più avanti? Trieste Trasporti, da quanto si è appreso, avrebbe dato il via libera al
Comune per la festa di venerdì il giorno precedente, cioè giovedì 10, giornata in cui era in programma
il collaudo. Il primo collaudo, però: l’ente preposto al controllo si è limitato a verificare una delle tre
carrozze, rimandando le altre due appunto a lunedì 21. Sta di fatto che la società ha dato l’ok all’evento
senza un pezzo di carta in mano e le conseguenze ora sono sotto gli occhi di tutti. Pure quelli di
Cosolini: «Io come i miei colleghi e i miei predecessori ci prendiamo sempre la responsabilità di tutto osserva il sindaco - ma poi arriva il momento in cui, dopo cinque anni, la gente ci giudica. Penso sia
giusto pretendere che chi guadagna quattro volte quello che prendiamo noi risolva almeno un quarto
dei problemi che noi risolviamo ogni giorno». I bersagli sono i vertici della Trieste Trasporti.
«Personalmente - prosegue Cosolini - avrei preferito fare l’inaugurazione più a ridosso dell’avvio
effettivo del servizio. Forse qualche attenzione maggiore al cronoprogramma - insiste il sindaco avrebbe dovuto esserci». L’attacco del primo cittadino va ben oltre. «Nel ringraziare il lavoro di tutti premette - non posso non considerare, con un certo fastidio a nome dei cittadini, che troppi
cambiamenti di date e scadenze si sono aggiunti strada facendo. Direi che da questo punto di vista
qualcosa nell’azienda non ha funzionato, e i vertici dovrebbero riflettere. Perché è giusto riconoscere i
risultati ma è anche giusto assumersi le responsabilità». Cosolini, quando ha avuto chiara la situazione,
ha lanciato una contro-proposta. Rimasta però, a quanto pare, inascoltata dall’azienda, di cui il Comune
peraltro è socio di maggioranza. «Appreso che il servizio sarebbe ripartito appena dieci giorni dopo,
venerdì scorso ho subito chiesto di usare intanto la vettura già collaudata per consentire ai cittadini di
fare una serie di corse gratuite, visto il loro affetto per il tram. Ho anche domandato - rende noto - di
impiegare il tram storico nei weekend per il tratto finale che va da Cologna a Opicina. Ritengo che
questo potrebbe essere un gesto importante da parte di Trieste Trasporti, per una città che ama il tram
più di quanto lo ami l’azienda. Attendo una risposta entro ventiquattr’ore, altrimenti la vicenda
diventerebbe incomprensibile e seccante».
GORIZIA-MONFALCONE
Punto nascita, porte chiuse. Domani inizia il trasloco
“Ginecologia e pediatria rimarranno: rimarrà tutta l'attività ambulatoriale”. In Consiglio comunale, la
scorsa settimana Debora Serracchiani aveva ribadito che il taglio riguarderà il punto nascita e le
degenze di ostetricia, ma non le attività ambulatoriali. La Regione ha preso la decisione adducendo
questioni di sicurezza per le pazienti, prima ancora che di risparmio per le casse pubbliche.
L’argomento non ha però convinto chi si batte per il mantenimento del punto nascita goriziano. Tanto
che l’assessore comunale al Welfare Silvana Romano ha chiesto di poter vedere i numeri reali del
presunto rischio. Ribadendo che Gorizia ha il più basso tasso di mortalità del Fvg.di Stefano Bizzi
Sopra la porta la scritta con la doppia dicitura “Ostetricia-Pediatria” non rimarrà ancora per molto.
Questo è certo. Da lunedì prossimo, il punto nascita di Gorizia non esisterà più e la cicogna, anziché
atterrare in via Fatebenefratelli, dovrà prendere la via di Monfalcone o di Sempeter. Se qualcuno avesse
ancora dei dubbi, può mettere piede al primo piano del San Giovanni di Dio. Capirà subito la
situazione. «Ti piace questo reparto?» chiede l'infermiera a un ragazzino uscendo dall'ala centrale delle
degenze. «Domenica lo chiudono», dice senza tradire emozioni. Nel suo tono non traspare né
rimpianto, né compiacimento. La sua è una semplice constatazione dei fatti. Dopo qualche passo
incrocia una collega e rivolgendosi a lei aggiunge: «Mi dovrete sopportare ancora qualche giorno». A
differenza di prima, questa volta, però, nel suo parlare c'è una vena ironica. Viene sottolineata con un
mezzo sorriso che rimane comunque velato. In fondo al corridoio di Ostetricia, appesi ad una porta, ci
sono due fiocchi: uno è rosa, l'altro è azzurro. Se non sono gli ultimi della storia cittadina, poco ci
manca. Da domani chi c'è, c'è; e chi non c'è, verrà dirottato altrove. Con la morte del punto nascita, con
ogni probabilità, lunedì qualcuno potrebbe virtualmente sostituirli con un fiocco nero. Potrebbe essere
appeso alla cancellata esterna al posto dei quattro bianchi ancora legati al recinto dell'ospedale. La
speranza è ormai finita. Il conto alla rovescia è vicino allo zero. La giunta regionale non ha lasciato
margini di manovra. La governatrice Debora Serracchiani e l'assessore alla Sanità Maria Sandra
Telesca sono state perentorie: indietro non si torna. La riforma sanitaria va avanti per la sua strada e in
quest'ottica la bandiera azzurra con l'aquila del Friuli Venezia Giulia che, insieme a quella italiana e a
quella europea, sventola di fronte al San Giovanni di Dio sull'asta più vicina all'ingresso, suona quasi
come una presa in giro. In fondo, nonostante la natalità sia abbondantemente sotto la soglia limite dei
500 parti l'anno, i quattro posteggi riservati alle donne in gravidanza con il simbolo della cicogna e il
bambino in fasce sono tutti occupati. Certo, come specificato dalla segnaletica verticale, l'indicazione
non è prescrittiva e, se violata, non costituisce un'infrazione al codice della strada; ma, con tutti i difetti
del caso, Gorizia rimane pur sempre una città asburgica nello spirito e non c'è motivo di dubitare che
chi ha posteggiato sulle strisce rosa ne abbia davvero diritto. «Da domani questa porta si chiude», è la
sentenza di un'amministrativa che dà indicazioni a medici e infermiere sul prossimo futuro del reparto.
La porta è sempre la stessa, quella da cui si accede al reparto degenza di ostetricia. Mentre la
discussione sul piano d'azione va avanti, sullo sfondo una manna con la culla si sgranchisce le gambe e
chissà se si è resa conto “del grave rischio corso” decidendo di partorire al San Giovanni di Dio. Dalla
corsia arrivano inevitabili vagiti. Quando parte il primo, poi seguono gli altri. «Che schifo 'sta chiusura:
hanno ucciso una città», si lascia scappare un'infermiera che, evidentemente, come molti goriziani, non
condivide il piano Telesca-Serracchiani. Eccezioni a parte, nonostante il trasloco ormai imminente, il
personale non dà l'impressione d'essere insofferenza. Almeno in pubblico, la professionalità rimane alta
e l'umore sembra positivo. Quando è possibile, si ride e si scherza. La giornata scorre via tranquilla tra
visite in corsia, visite d'ambulatorio e pasti. L'unico indizio di smobilitazione arriva ad una manciata di
minuti dalle 16.30: un'infermiera esce con un carrello pieno di cartelle cliniche. Sono dei neonati di
Gorizia che partono per Monfalcone?
Le diverse anime del Pd, Cingolani sfida Serracchiani
C’è un Pd che chiede scusa alla presidente della Regione, c’è un Pd che accusa i goriziani di essere
squadristi, c’è un Pd che si aggrappa alla prospettiva transfrontaliera della sanità goriziana, c’è un Pd
che scalpita contro Serracchiani e in qualche modo la incalza. Giuseppe Cingolani appartiene a
quest’ultimo schieramento. Nonostante sia in ferie, il capogruppo insiste: «La presidente, oltre ad
impegnarsi a tornare a Gorizia una volta al mese per verificare e discutere assieme le prossime tappe
della riforma sanitaria, si è detta disponibile a prendere in considerazione le idee per lo sviluppo della
città. Approfitto quindi per ricordare solo cinque tra le proposte che le sono state già presentate dal Pd e
dal territorio goriziano, a cui la sua positiva disponibilità potrà applicarsi da subito. Favorire
l'accorpamento della sezione distacca del Tribunale di Palmanova a Gorizia invece che a Udine: fino a
settembre il Ministero può operare ulteriori interventi sulle circoscrizioni giudiziarie. Avviare progetti
precisi di reciproca collaborazione sanitaria transfrontaliera, con un accordo complessivo che permetta
di evitare che il costo delle prestazioni sanitarie nello Stato in cui non si risiede sia anticipato dai
cittadini. Favorire l'integrazione a Gorizia tra le Università di Udine, Trieste, e Nova Gorica
(condizionando a ciò i cospicui finanziamenti della Regione alle Università), con l'avvio di alcuni corsi
interuniversitari. Far passare l'aeroporto Duca D'Aosta sotto la competenza della Regione, per toglierlo
all'Enac che ostacola ogni progetto. Promuovere, all'interno del programma operativo Italia-Slovenia,
linee di finanziamento adeguate per il Gect-Go, senza le quali i progetti già elaborati resteranno lettera
morta».
Primo giorno di sciopero, guerra di cifre
di Giuseppe Palladini Muro contro muro. A 24 ore dal via della turnazione 6x6, decisa unilateralmente
da Fincantieri per 140 lavoratori, ieri nello stabilimento di Panzano i sindacati hanno fatto scattare le
prime ore di sciopero, delle 16 complessive decise in seguito alla rottura delle trattative nella vertenza
sulla flessibilità del lavoro. Il pacchetto di 16 ore, da attuare entro il mese, è stato vato la scorsa
settimana dalle assemblee svoltesi nello stabilimento. Così ieri i lavoratori di Panzano - 1600 nel
complesso - hanno scioperato per un’ora e mezzo. Nel dettaglio, il primo turno si è astenuto dal lavoro
dalle 6.30 alle 8, i giornalieri e il turno 7-15 si sono fermati dalle 8.30 alle 10, il secondo turno dalle
14.30 alle 16. Per il terzo turno Fim, Fiom e Uilm hanno fissato lo sciopero nell’ultima ora e mezzo.
Gli impiegati si sono invece astenuti dal lavoro dalle 9 alle 10.30. Un’altra ora e mezzo di sciopero, con
le stesse articolazioni, è stata decisa per domani, e comunicata al personale anche attraverso la
distribuzione di volantini all’ingresso dello stabilimento, volantinaggio effettuato dai componenti delle
Rsu all’inizio di ogni turno. Nel volantino Fim, Fiom e Uilm confermano anche lo sciopero degli
straordinari e precisano che i lavoratori interessati al turno 6x6 (140 come ricordato più sopra)
sciopereranno nell’ultimo turno del sabato, quello dalle 18 alle 24. Gli scioperi proseguiranno la
prossima settimana, ma la loro articolazione è ancora allo studio e verrà decisa fra qualche giorno.
Secondo le Rsu, ieri l’adesione alla protesta è stata «ottima», con l’astensione di «tutti i lavoratori
interessati». Fincantieri, invece, ha comunicato che fino alle 18 aveva scioperato il 55% degli operai e
il 15% degli impiegati. Sempre ieri mattina, come già lunedì scorso, davanti ai cancelli dello
stabilimento di Panzano è intanto proseguita la protesta dei lavoratori della Sfc e della Iso C, imprese
escluse dal cantiere in seguito all’inchiesta sul caporalato denominata “Freework 2”. Tornando alla
vertenza sulla flessibilità, nei giorni scorsi le Rsu di Fim, Fiom e Uilm, pur confermando il pacchetto di
scioperi, hanno lanciato un chiaro segnale, affermando che «se l’azienda ha veramente intenzione di
migliorare, anche economicamente, la qualità della vita dei dipendenti e di garantire al suo interno il
rispetto della legalità, la invitiamo a rigettare quanto proposto fino ad ora e produrre un documento
coerente con le allarmanti esigenze della nostra azienda e del nostro territorio, tematiche sulle quali
siamo sempre stati disponibili al confronto».