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Ricordo del Prof. Mario Staffieri
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RICORDO DEL PROF. MARIO STAFFIERI
D. Felisati
Quando, nell’anno accademico 1947-48, il
prof. Luigi Pietrantoni fu chiamato da Brescia, ove era primario ospedaliero, a dirigere
la Clinica ORL dell’Università di Milano,
Mario Staffieri, che era stato suo allievo, lo
seguì. L’anno successivo, su consiglio del
prof. Federico Brunetti primario ORL dell’Ospedale Civile di Venezia, ove abitavo, io
pure venni a Milano per frequentare la Scuola di Specializzazione di Pietrantoni, che in
quel tempo si stava formando, e vi incontrai
Mario Staffieri, persona colta, capace, severa,
schiva, che svolgeva le funzioni di aiuto volontario. Il mio rapporto con lui fu di grande
rispetto e stima, come si deve a colleghi più
anziani e soprattutto autorevoli. La stima aumentò di lì a poco, quando iniziai a frequentare l’Istituto di Farmacologia, diretto dal
prof. Emilio Trabucchi, ove lo ritrovai come
studioso di problemi farmacologici.
Fig. 1 – Il prof. Mario Staffieri
La frequenza attiva degli Istituti Biologici
allora era diventata la regola per i giovani medici che intendevano approfondire la loro preparazione scientifica con lo studio e l’apprendimento del metodo della ricerca sperimentale.
Il metodo allenava alla pazienza, alla precisione, al ragionamento, alla severa indagine bibliografica e conferiva un’esperienza assai utile per l’esercizio dell’attività clinica. Staffieri,
quando io andai in Farmacologia aveva realizzato alcune ricerche sull’azione degli antibiotici in ORL e affinato la sua preparazione per la stesura della relazione su “L’Allergia nell’orecchio” (fig. 2), tenuta al Congresso della SILOR (divenuta poi l’attuale SIO) a Bari nel
1948. La sua produzione scientifica gli consentì di conseguire, nel 1952, la libera docenza in
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Clinica ORL. Nel 1953 vinse il concorso di
primario per l’Ospedale di Piacenza. Le prove d’esame furono tenute in Clinica a Milano
ed io lo ricordo, molto sereno e sicuro, alle
prese con il tema scritto. Lo guardavo con
ammirazione: era sulla soglia di un traguardo
che a me pareva irraggiungibile e comunque
molto lontano. Staffieri in quegli anni aveva
già espletato incarichi primariali negli ospedali di Manerbio, Montichiari e Forlì, ma ora
si trattava di acquisire il titolo che gli avrebbe
dato la possibilità di lavorare, con tranquillità
e profitto per gli anni successivi, nella sede di
un grande ospedale. E così fu.
A Piacenza egli mise in atto le sue grandi capacità e il suo ingegno affrontando i problemi chirurgici di due importanti settori della
specialità: la chirurgia traumatica della faccia
e la chirurgia oncologica ORL. Della esperienza conseguita nel settore della traumatologia rese testimonianza con la stesura della
Fig. 2 – Frontespizio della relazione del Congres- relazione al Congresso AOOI tenuti a Chianso della SILOR del 1948 di Bari.
ciano Terme nel 1965 dal titolo: “Traumi dello
scheletro facciale” (fig. 3) in cui evidenziò le
sue raffinate capacità chirurgiche nella ricostruzione della faccia postraumatica. Quanto
alla chirurgia oncologica, egli si dedicò, in
particolare, alla riabilitazione della voce nei laringectomizzati totali, realizzando l’intervento
della neoglottide fonatoria che gli diede notorietà in Italia ed all’estero.
Oggi le laringectomie totali sono poco frequenti, grazie alla possibilità di una diagnosi precoce e soprattutto alla disponibilità di tecniche
chirurgiche dette funzionali che, nella maggior
parte dei casi, consentono di conservare l’uso
della voce, ma quaranta-cinquant’anni fa la laringectomia totale rappresentava la principale
soluzione della maggior parte dei casi di neoplasia maligna laringea. Va detto che il problema della perdita della voce era stato fonte
di preoccupazione fin dai tempi di Billroth che Fig. 3 – Frontespizio della relazione del Coneseguì la prima laringectomia totale nel 1873. gresso della AOOI del 1965 a Chianciano Terme.
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Billroth in quel caso, consapevole del grave danno che la perdita della voce avrebbe
procurato al paziente, affidò al suo aiuto
Gussenbauer il compito di ideare e costruire una cannula che consentisse di reintrodurre in faringe l’aria proveniente dalla
trachea, per permettere al paziente di articolare la parola. A questa prima esperienza
ne fecero seguito altre, tuttavia quello che
si affermò principalmente non fu l’uso delle cannule ma della voce esofagea, la così
Fig. 4 – La cannula di Gussenbauer.
detta voce erigmofonica, che ebbe le sue
scuole e i suoi maestri.
Negli anni quaranta del Novecento il nostro Briani venne a conoscenza di un dato segnalato dal collega Scuri: un paziente laringectomizzato, parlava con una voce soddisfacente,
migliore di quella esofagea, se dopo aver inspirato aria nei polmoni chiudeva con un dito
lo stoma tracheale ed espirava con forza. Lo Scuri approfondì la questione ed appurò che il
paziente era portatore di una piccola fistola chirurgica tracheo-esofagea occasionale situata
subito dietro l’imbocco del tracheostoma. Sulla base di queste premesse, Briani nel 1942 rese noti i risultati di un suo
intervento di fistola fonatoria esterna in
un laringectomizzato, praticata con l’intento di restituirgli la voce ed aprì la strada allo studio delle fistole fonatorie sia
esterne che interne (Conley e numerosi
altri autori).
Mario Staffieri partendo dalle ricerche
di Briani, mise a punto un suo originale intervento di fistola fonatoria, da lui
chiamato neoglottide fonatoria così conFig. 5 – Neoglottide fonatoria.
cepito: sulla parete ipofaringea residua
all’intervento di laringectomia praticava una fistola, lunga 6-8 mm, i cui margini venivano
leggermente ripiegati all’esterno e fissati con piccoli punti, la mucosa veniva poi suturata
all’imbocco tracheale e lo stoma faringeo chiuso come di regola. L’intervento proposto da
Staffieri era di una notevole delicatezza, richiedeva abilità chirurgica ed era indubbiamente
di grande soddisfazione per chi lo praticava. L’autore lo rese noto con una serie di pubblicazioni su riviste italiane e straniere che lo resero famoso in campo internazionale. La sintesi
dei suoi studi su questa materia fu riportata nella relazione ufficiale al Congresso Nazionale
dell’AOOI di Bologna del 1976 (fig. 6).
In quel tempo andai a trovare Staffieri a Piacenza per assistere ad uno dei suoi interventi
di neoglottide fonatoria. Vederlo operare fu un piacere: impostazione chirurgica perfetta,
precisione di movimenti, delicatezza del tocco. Staffieri, nelle pause del suo lavoro suonava
il violino e a me in quel momento venne in mente il grande Billroth, che abbiamo già ci-
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tato, perché egli pure amava la musica e suonava
il violino: due figure di chirurghi, Staffieri e Billroth, che trasferivano nell’attività operatoria la
stessa sensibilità artistica di cui erano dotati.
Mario Staffieri lasciò il primariato di Piacenza nel
1983 e morì nel 1992 nella sua casa di Brescia,
coltivando interesse oltre che per la musica, anche
per quelle che erano state le passioni di una vita:
la pittura, l’antiquariato, la scrittura. Ricordarne
la figura è stato per me un piacere e un modo per
ritornare con la memoria, che mai estingue il suo
desiderio di essere evocata, agli anni giovanili,
che ci hanno visti - in un momento difficile in cui
si stava operando la ricostruzione del Paese disastrato dalla guerra - pieni di vitalità e di progetti
da realizzare e soprattutto desiderosi di amicizie
da cui ricavare insegnamenti.
Fig. 6 – Frontespizio relazione del Congresso della AOOI del 1976 a Bologna.