27 Giugno 2014 - La Repubblica

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la Repubblica VENERDÌ 27 GIUGNO 2014
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R2Diario
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DI REPUBBLICA
Avevano dai 16 ai 20 anni, erano rivoluzionari
dilettanti. A sparare a Francesco Ferdinando
fu uno di loro, Gavrilo Princip. Quell’attentato
gettò il mondo nella Grande guerra
Sarajevo
I ragazzi che scatenarono
la carneficina d’Europa
LE CITAZIONI
ROBERTO SAVIANO
U IL pretesto, la miccia
F
{
LA GIUBBA
che incendiò la secca
prateria europea. L'inizio simbolico, la scusa:
non c'è libro di scuola
che non ricordi così l'attentato a Sarajevo del
1914. Quel giorno è diventato l'archetipo dei preJAROSLAV HAŠEK
testi. A considerarlo così, un pretesto, ci si dimenIo mi figuro che il
tica di come andarono le cose. Pochi ricordano il
signor arciduca a
nome dell'uomo che sparò, né come andò quelSarajevo ha visto una
l'attentato perpetrato tra errori ridicoli, scene
persona e s'è detto:
'Vuol gridarmi evviva'. persino comiche e coincidenze inaspettate. L'atE invece l'ha abbattuto tentato fu opera di un ragazzino di vent'anni, fanatico, pieno di letture e di sogni nazionalisti.
Il buon soldato Švejk
ELI WIESEL
A Sarajevo
la notte arriva
sempre troppo
presto e l’alba
sempre troppo
tardi
Da un’intervista del 1992
IVO ANDRIC
I vizi ovunque
generano odio... Nei
paesi come la Bosnia,
anche le virtù spesso
parlano e si esprimono
attraverso l’odio
Racconti di Sarajevo
Dai suoi due spari, come conseguenza, discesero trenta milioni di
morti macellati nel più grande conflitto armato cui il mondo avesse
mai assistito. E tutto nacque in serate passate in stanza tra amici, in
pomeriggi pigri con mani dietro la nuca e occhi a fissare il soffitto, senza nemmeno i soldi per il tabacco e il vino. La storia è raccontata in
Una mattina a Sarajevo di David James Smith, appena pubblicato dalla LEG, piccola, coraggiosa casa
editrice goriziana. Smith raccon- uno stato slavo indipendente e
ta che negli anni precedenti al- un generica inquietudine al panl’attentato nacque un’organiz- tano politico sociale che vedevazazione politico-rivoluzionaria no. Le bombe e le pistole vennedenominata Mlada Bosna (Gio- ro fornite da varie società segrevane Bosnia), che aveva come te che, come la Mlada Bosna, coobiettivo la liberazione dall’Im- vavano odio nei confronti degli
pero austro-ungarico. Uno dei Asburgo ma non avevano alcun
suoi membri, il carpentiere mu- progetto vero di riforma sociale
sulmano Mehmed Mehmedba- né di insurrezione: volevano sosic, aveva progettato di uccidere stituire gli uomini voluti dagli
il generale Oskar Potiorek, go- Asburgo ai vertici delle istituziovernatore di Bosnia ed Erzegovi- ni con i loro. Seppero quindi sfrutna, ma quando fu annunciata tare la vampata di rabbia e tel’imminente visita a Sarajevo merarietà di questi studentelli e
dell’erede al trono d’Austria, il operai.
suo compagno Danilo Ilic lo conIl 28 maggio, Gavro, Nedjo e
vinse a cambiare bersaglio: Fran- Trifko partirono da Belgrado con
cesco Ferdinando sarebbe stato le loro armi per Sarajevo, dove,
una vittima di maggior valore. dopo un viaggio difficile e riPer raggiungere un obiettivo co- schioso, trovarono ad aspettarli
sì alto però bisognava trovare ar- altri compagni che nel frattemmi e uomini. Ilic reclutò allora il po si erano uniti al gruppo comsuo compagno quasi ventenne di plottista: Vaso e Cvjetko, studenstanza, Gavrilo “Gavro” Princip, ti rispettivamente di diciassette
che a sua volta chiamò Nedeljko e sedici anni. Il 27 giugno, fu Da(Nedjo) Cabrinovic, operaio nilo a dare disposizioni: conseanarchico 19enne, e un altro gnò una bomba e una pistola ciaamico di letture, Trifko Grabez, scuno a Vaso e Cvjetko e, basanstudente diciottenne con il so- dosi sull’itinerario previsto per
gno ossessivo di vivere in una na- la sfilata imperiale, assegnò a enzione slava a cui avrebbe immo- trambi una postazione sul lungofiume. Verso sera incontrò
lato il suo sangue.
Il legame tra loro? I libri che si Mehmedbasic al caffè Mostar:
scambiavano, l’odio per l’aquila diede anche a lui una bomba e le
asburgica, la voglia di vedere istruzioni necessarie. Quella
A destra la foto
della giubba
insanguinata
indossata
da Francesco
Ferdinando
il giorno
dell’attentato
che gli costò
la vita: era il 28
giugno 1914
stessa sera Gavrilo era a una festa di studenti ma non si divertì,
raccontarono i testimoni, assorto nei suoi pensieri. Non dava
confidenza a nessuno, si isolava.
La mattina del 28 giugno
Nedjo, Trifko e Gavrilo si incontrarono con Danilo alla pasticceria Vlajnic, all’angolo del lungofiume Appel, come da programma. Qui i ragazzi ricevettero il
cianuro: dal principio, infatti, era
stato chiaro che, attentato riuscito o meno, il suicidio sarebbe
>
SILLABARIO
stato l’ultimo gesto dei congiurati, in modo da proteggere tutti
i complici e le organizzazioni
coinvolte. Nedjo, con la sua bomba in tasca, fece un gesto tenero,
a dimostrazione di come fossero
tutti dei ragazzini, andò in uno
studio fotografico e si assicurò
che gli scatti realizzati fossero
poi spediti alla nonna, alla sorella e agli amici di Belgrado, Zagabria e Trieste. Si diresse subito
dopo verso la postazione assegnatagli, tra la sponda austro-
JOSEPH ROTH
Sarajevo
I SENTIVA nella nuca l’oscuro sguardo del nonno. Fece un passo verso il centro della stanza. Non sapeva
ancora cosa avrebbe detto. Alcuni già lo guardavano in faccia. «Io so» esordì, e non sapeva tuttora nulla. «Io
so» ripeté e fece un altro passo avanti «che Sua Altezza Imperial-regia, l’Arciduca successore al trono, è stato realmente assassinato».
Tacque. Strinse le labbra, che formarono una sottile striscia rosa pallido. Nei suoi piccoli occhi scuri si accese una
luce vivida, quasi bianca. I capelli neri, arruffati, adombravano la fronte bassa e incupivano la piega sopra la radice
del naso, l’antro della collera, l’eredità dei Trotta. Teneva
la testa bassa. Alle braccia allentate pendevano i pugni
chiusi. Tutti fissavano le sue mani. Se i presenti avessero
conosciuto il ritratto dell’eroe di Solferino avrebbero potuto credere che il vecchio Trotta fosse risuscitato.
S
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ungherese del fiume e il ponte, in
un punto dove sperava di poter
uccidere l’arciduca senza ferire
nessuno tra la folla. Alle 10.15 circa il corteo di automobili imperiale passò davanti a Mehmedbasic ma questi, bloccato dal panico, nemmeno provò a fare
qualcosa. A quel punto fu Nedjo a
lanciare una bomba, che però
mancò la vettura dell’arciduca
ferendo gli occupanti di quella
successiva.
Subito dopo aver lanciato,
Nedjo ingoiò il cianuro e si gettò
nel fiume, ma il veleno si era deteriorato e gli avrebbe causato in
seguito solo qualche scarica di
diarrea, ed essendo in quel punto l’acqua del fiume bassissima,
si bagnò solo fino al ginocchio, sopravvisse comicamente a entrambi i tentativi di suicidio e fu
arrestato. Incredibilmente la cerimonia non fu annullata, le misure di sicurezza dell’epoca erano l’esatto contrario di quelle di
oggi.
Dopo la bomba, l’arciduca
mantenne i suoi impegni, l’auto
degli eredi al trono proseguì
quindi verso il Municipio per un
incontro con il sindaco di Sarajevo. L’unica precauzione che la polizia asburgica e la scorta dell’arciduca presero fu di deviare il
percorso del corteo. E fu proprio
questa decisione ad essere fatale. Gavrilo, dopo aver inizialmente pensato che Nedjo avesse
avuto successo, comprese invece che l’arciduca era ancora vivo
e si portò nei pressi del Ponte La-
GLI AUTORI
Il testo del Sillabario che pubblichiamo è tratto da La marcia di
Radetzky di Joseph Roth (traduzione di L. Foà e L. Terreni,
Adelphi). Il romanzo racconta attraverso tre generazioni della
famiglia Trotta la fine dell'impero asburgico. Le vicende dei Trotta
tornano nel libro La Cripta dei Cappuccini (1938).
Guido Ceronetti è scrittore e poeta. Tra i suoi libri Un viaggio in
Italia e Piccolo inferno torinese (Einaudi), i Poemi del Gineceo e La
lanterna del filosofo (Adelphi). Roberto Saviano ha pubblicato con
Mondadori Gomorra e la raccolta di scritti La bellezza e l’inferno,
con Feltrinelli ZeroZeroZero e Vieni via con me.
{
{
IL SILLABARIO
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Ritornano le parole di Huizinga: un continente
simile a una macchina guidata da un ubriaco
LE TAPPE
I LIBRI
Così incominciò
la notte dell’uomo
che nessuna storia
può raccontare
EMILIO GENTILE
Due colpi di pistola, dieci
milioni di morti, la fine
di un mondo
Editori Laterza
STÉPHANE AUDOINROUZEAU E ANNETTE
BECKER
GUIDO CERONETTI
13 LUGLIO 1878
Trattato di Berlino:
l'Austria-Ungheria
amministra la
Bosnia-Erzegovina
L'impero Ottomano
ne ha la sovranità
6 OTTOBRE 1908
Dopo una serie
di lunghe dispute
territoriali l’impero
Austro-Ungarico
annette la
Bosnia Erzegovina
tino, dove stava per passare la
vettura imperiale. Qui avvenne
però qualcosa di imprevisto: il generale Potiorek capì che il corteo
stava erroneamente percorrendo l’itinerario originario e quindi
fermò l’auto e chiese all’autista
di manovrare per continuare attraverso il lungofiume. Per compiere questa manovra, la vettura
si fermò proprio davanti a Gavrilo che incredulo di avere dinanzi
a sé gli eredi Asburgo estrasse subito la Browning di fabbricazione belga che aveva in tasca e
sparò due colpì: il primo su Francesco Ferdinando, centrato alla
spina dorsale; il secondo (destinato a Potiorek, secondo quanto
disse poi Gavrilo al processo) sull’arciduchessa Sofia.
Subito dopo aver sparato ingurgitò il cianuro, ma anche la
sua dose era deteriorata. Così
cercò di spararsi con la pistola,
ma fu bloccato dai presenti, che
lo tennero fermo a calci e pugni fino all’arrivo della polizia.
L’assassinio, tutt’altro che
inevitabile, era riuscito: alle
11.30 le campane di tutte le confessioni religiose di Sarajevo suonavano all’unisono annunciando la morte di Francesco Ferdinando e di Sofia, eredi al trono austro-ungarico. L’Austria presenterà un mese esatto dopo l’attentato dichiarazione di guerra
alla Serbia. Al termine del processo, Gavrilo non chiese perdono, ma concluse il suo intervento
con queste parole: «Noi amavamo il nostro popolo». Gli fu ri-
sparmiata la pena capitale per
via della giovane età, così come
prevedeva la legge. Venne condannato a vent’anni di lavori forzati, con la pena suppletiva di un
giorno di isolamento in una cella
buia ogni 28 giugno e un giorno
di digiuno al mese. Fu rinchiuso
nel carcere ceco di Terezín, dove
visse in condizioni pessime fino
alla sua morte, sopraggiunta per
tubercolosi ossea il 28 aprile
1918. Pochi mesi dopo la sua
morte si concluse anche il grande conflitto mondiale scatenato
dal suo gesto, che aveva messo in
ginocchio e ridisegnato l’Europa. Gavrilo Princip fu considerato un eroe da alcuni, un fanatico
sbandato da altri, un ingenuo
perché aveva ucciso proprio
Francesco Ferdinando che, a differenza di suo zio Francesco Giuseppe, aveva in programma di
concedere maggiore autonomia
alla Serbia e ai popoli slavi in genere.
È strano coprire che tutto nacque dall’inadeguatezza di ragazzi poco più che adolescenti, che
amavano la lettura e sognavano
una società più giusta. Dopo
quell’attentato molti giovani si
arruolarono per andare a combattere in trincea, a cercare la fine gloriosa, in nome delle rispettive patrie. In realtà trovarono
solo orrore, pidocchi, fango e crudeltà. Nessuna redenzione dal
male, nessuna vita vera. Princip
non generò nessun mondo migliore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
28 GIUGNO 1914
Lo studente Gavrilo
Princip uccide
l’arciduca d'Austria
Francesco
Ferdinando
e sua moglie Sofia
28 LUGLIO 1914
Un mese dopo
l’attentato
l’Austria-Ungheria
dichiara guerra alla
Serbia: scoppia
la Grande Guerra
5 APRILE 1992
Con la dissoluzione
della Jugoslavia
torna la guerra
a Sarajevo: il 5
aprile inizia
l’assedio serbo
EDITABILE,
circa l’inizio
della Grande Guerra, un
pensiero di Johan Huizinga in Lo scempio del mondo, che di quella che tuttora, tanto per
definire, è detta Belle Époque, frantuma l’essenza: «... la povera Europa
si avviava verso la prima guerra mondiale come un’automobile sgangherata in mano di un conducente ubriaco per una strada tutta buche e cunette». Il conducente ubriaco erano i
potenti di allora, i grandi coronati, e
dietro di loro i predicanti intellettuali
più influenti, Kaiser, Zar, D’Annunzio, Maurras, Marinetti... Ad un certo
punto di quella strada tutta buche si
trova un giovane bosniaco imbevuto
di idee estremiste, Gavrilo Princip,
che con due pistolettate contro l’arciduca erede della corona asburgica e la
moglie, in visita di Stato a Sarajevo,
mette a nudo senza affatto pensarci
una inimmaginata degenerazione
spirituale della civiltà e della figura
umana.
Era cento anni fa, il 28 di giugno, e il
Tempo, da allora, si è messo a correre
correre, secoli sembrano passati — ma
quella guerra è davvero finita? Per la
storiografia materialista finisce l’8
maggio 1945; un filosofo fa bene a dubitarne. Anzi a negarlo. Come non è cominciata il 28 giugno 1914, la parola Fine non ce la metterei. L’automobile
sgangherata non ha terminato la sua
corsa, e al conducente ubriaco è subentrato uno senza volto, la corsa prosegue
per tutte le strade del mondo.
Il disfacimento dell’impero danubiano non fu soltanto una decisione punitiva di Versailles perfettamente priva
di saggezza: una brama di dissolvimento agiva nella Vienna drogata meravigliosamente dalla musica e dalla bellezza della Secession. Commuove percorrerne gli alfabeti, le supreme visioni
erotiche: il grembo del baratro era là, e
subito fin dalla dichiarazione di guerra
alla Serbia, ingoiò tutto. L’Italia, un anno dopo, credette di far la guerra a un
esercito agguerritissimo; in realtà quel
che spietatamente lo reggeva non era
più che un fantasma.
Già nel 1916, quando noi ci affannavamo per prendere Gorizia, ne fu consapevole l’imperatore Carlo; ma tutto,
ormai, era perduto.
Non si indagano che fatti, fatti... Le
analisi psicologiche trattano perlopiù
del morale delle truppe, dei comportamenti al fronte, del ritorno a casa. La
carneficina non riguarda soltanto i corpi materiali dei caduti. L’Europa perdette una quantità incalcolabile di sostanza virile. Uno psicanalista potrebbe vedere nella trincea una vagina con
denti di tigre, che attira virilità per maciullarla. Il consumo spermatico nei sospirati bordelli militari è incalcolabilmente sorpassato dalla attenzione
spossatrice del Nemico di fronte, di là
dalla selva oscura di una Terra di Nessuno infestata da spiriti maligni, col dito sulle mitragliatrici. Quel che ne restava, poco più di venti anni dopo, viene liquidato in cinque anni. La successiva lunga pace, in cui Marte si nasconde
dietro la maschera neutra dell’Economia, si caratterizza per la snervatezza
dell’homo pacificus e l’avanzata, su tutto il fronte dell’esistenza, del potere
matriarcale. Un verso di Apollinaire,
combattente in una batteria di artiglie-
M
ri, è di una pregnanza infinita della
realtà in ombra della guerra in cui il segno maschile è andato in pezzi, quinto
(segreto) dei quattro grandi Imperi
dissolti: Notte di uomini soltanto. È una
notte di vigilia di un assalto e grida come una donna sopraparto, assorbendo
nel lamento dei materiali da sparo anche la pena estrema della femminilità
esclusa. Verso stupefacente, la verità
profonda della guerra di Quattordici,
che non è finita ieri né finirà domani.
Già. Il quinto Impero, che ha continuato a dissolversi negli anni. La notte
degli uomini non avrà più fine, come
quella guerra. Il più grande romanzo di
un testimone, in lingua tedesca, All’Ovest niente di nuovo, capolavoro assoluto e inuguagliato, erutta di tutta la
smisurata sofferenza di quelle nuit des
hommes. In Remarque non c’è che questo, la sofferenza di sette liceali partiti
volontari, di cui non sopravvivrà neppure l’Io narrante, caduto poco prima
dell’armistizio. In Addio alle armi, di
Hemingway, in un insopportabile lezzo
di alcolici trincati dall’autore, le donne
compaiono, amanti di retrovia, sussulti di giovinezza; ma è più che mai “notte di uomini soltanto” anche negli sfoghi erotici dei permessi. Un poilu di Barbusse in licenza a Parigi, vedendo tante
donne sole in giro, osserva soddisfatto:
«Bene, ci sono chiappe»: visto e sentito
così l’essere umano da desiderare diventa equipaggiamento militare, materiale-chiappe, munizioni di carne.
Il miracolo della resistenza francese
alle tremende offensive tedesche (Marna, Verdun), comandi discutibili, è un
mistero spirituale, come Léon Bloy si
esaltava a vederlo. Perché le classi lavoratrici in uniforme erano ancora quelle
dell’Assommoir, infradiciate d’alcool,
più stregate dal vino (detto “il latte dell’operaio”) che da chiappe di bellezza.
Nella canzone più popolare del fronte
occidentale, la Madelon, il suo lavoro di
donna emblematica dei combattenti, è
esclusivamente di “versare da bere”. La
salvezza da dove sarà mai venuta? Dai
decreti del Fato, più forti di ogni Madonna? Dai litri e litri di “quello buono”
di certo no. Eppure i formidabili corpi
d’armata del Kaiser arretrarono.
Nel 1917, anno di tutti i presagi e le
profezie, quarto da Sarajevo, i combattenti sono sfiniti, cedono, perdono disciplina, si ribellano; il vino, il ruhm, il
cioccolato sono impotenti a rianimare
delle povere brache piene, di dissenterici cronici per cibo via via più scarso e
di scarto. Serpeggia la sensazione, specie nel campo inglese, che la guerra si
trascinerà all’infinito, che i vecchi e i
nuovi combattenti s’incontreranno tra
vent’anni sulle medesime posizioni per
obbedire da automi agli stessi ordini di
un attacco over the top, in una desolazione lunare, mentre dall’est la propaganda bolscevica sussurrava per via subliminale e oratoria: «Mollate il fucile,
mollate tutto, sparate sugli ufficiali, revolùtzia, revolùtzia...».
No, se devo esprimere un mio succulento pensiero, la Grande Guerra non è
finita. Ma per comprendere questo la
pura storiografia dei fatti non serve che
a rievocare e a fare racconto. Ai cimiteri di guerra sparsi in tutta Europa, in
qualsiasi lingua siano scritti quei nomi,
fate pellegrinaggi, portate fiori e fiori e
fiori. E là, piangete per l’uomo.
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La violenza, la crociata
il lutto. La Grande Guerra
e la storia del Novecento
Einaudi
JEAN-JACQUES BECKER
1914. L’anno che ha
cambiato il mondo
Lindau
VOLKER R. BERGHAHN
Sarajevo, 28 giugno 1914.
Il tramonto della vecchia
Europa
Il Mulino
CHRISTOPHER CLARK
I sonnambuli, come
l’Europa arrivò alla Grande
Guerra
Laterza
NIALL FERGUSON
Il grido dei morti. La prima
guerra mondiale:
il più atroce conflitto
di ogni tempo
Mondadori
PAUL FUSSEL
La Grande Guerra
e la memoria moderna
Il Mulino
ANTONIO GIBELLI
La grande guerra
degli italiani 1915-1918
Sansoni
MARIO ISNENGHI E
GIORGIO ROCHAT
La grande guerra
1914-1918
La Nuova Italia
JOHN KEEGAN
La prima guerra mondiale.
Una storia politicomilitare
Carocci
ERIC J. LEED
Terra di nessuno.
Esperienza bellica
e identità personale nella
prima guerra mondiale
Il Mulino
GEORGE L. MOSSE
Le guerre mondiali.
Dalla tragedia al mito
Laterza
GIOVANNA PROCACCI
Soldati e prigionieri
italiani nella Grande
Guerra
Editori riuniti
GIAN ENRICO RUSCONI
1914, attacco a Occidente
Il Mulino
JAY MURRAY WINTER
Il lutto e la memoria.
La Grande Guerra nella
storia culturale europea
Il Mulino
MARIO ISNENGHI
Il mito della Grande Guerra
Il Mulino