Chi bej garun» Dialetto

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«Chi bej
garun»
Dialetto Chiacchiere
sulle gambe delle
donne
Emilio Magni
Non ci sono più le vecchie osterie e pure
i bar sono sempre più aperti ai giovani e
quindi tendenti a escludere gli anziani e
le loro chiacchiere. Però qualche volta,
tra un caffè e un bitter, si riesce ancora a
«contarla su» e a ricordare i tempi andati
e quindi a parlare ovviamente di donne.
Il signor Massimiliano, che è il più vecchio della compagnia del bar, ha gusti
antichi in fatto di bellezza femminile. È
ancora fermo alle ballerine dell’avanspettacolo, quelle con le cosce forti e le
calze a rete. E talvolta agli affezionati di
queste rappresentazioni, in cui l’atmosfera di trasgressione si mescolava a quella
della fame, capitava di dover sopportare
visioni di calze a rete bucate e più volte
rammendate che a stento nascondevano cosce minate dalla cellulite. Ma gli
amanti dell’avanspettacolo, che si chiamava anche «la rivista», non facevano
molto caso a queste miserie sotto i riflettori e applaudivano quasi sempre con
trasporto. Ed è stato così che il vecchio
signor Massimiliano, ovvero il «Conte
Maxim», come lo chiamano un po’ tutti,
anche per la sua innata eleganza e raffinatezza pur poggiata su gusti sorpassati,
l’altro pomeriggio ha voluto dire «la sua»,
mentre sul maxischermo (quello di cui il
gestore del locale si è dotato per le partite di calcio) svolazzavano ballerine assai
eleganti, graziose e leggere, in una coreografia molto bella, certamente opera
di un grande professionista del balletto.
Mentre quasi l’intera congrega degli
amici ammirava quelle aeree ed esili
danzatrici, «Maxim» ha dunque espresso la sua opinione: «Me paren tropp magher, ghen pió chi bej garun d’una volta».
Evidentemente il «Conte Maxim», con
quei «garun» si riferiva proprio alle ballerine dell’avanspettacolo, ma ancor prima alle donne dei «Cafè chantant», dei
varietà, dei trasgressivi locali notturni di
Parigi, o Berlino, di cui sicuramente aveva tanto sentito raccontare, o forse aveva
addirittura fatto in tempo ad assaggiare
qualche retroguardia. «El garun» è infatti la coscia del pollo, ma anche quella
dell’uomo e della donna.
La testa e i garun è il titolo di un libro scritto anni fa da Giancarlo Pauletto
per raccontare la storia del grande campione di ciclismo Alfredo Binda. E già
dal titolo si intende che se un corridore
ciclista «el g’ha no i garun» non sarà mai
un campione. Per vincere occorre intelligenza, ma soprattutto gambe buone.
«Garun», dunque: ma da dove viene
questo termine così lontano dall’italiano coscia? Francesco Cherubini, nel suo
vocabolario del dialetto milanese dice
che «garón» (poi diventato «garun») vuol
dire appunto, coscia e che viene da «gallone» un vocabolo italiano antico che significava fianco, ovvero la coscia. A sua
volta lo Zanichelli etimologico spiega
che «gallone» viene dal francese galon.
E questa notizia probabilmete piacerà al
vecchio «Conte» che ama tanto ricordare
la trasgressiva atmosfera che ruota forse
ancora intorno al Moulin Rouge.