“pesticidi? no, grazie!” Dalla Romagna alla

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SALUTE
in emilia i gas scrivono alle regione. e a malles (bz) si terrà un referendum
“PESTICIDI? NO, GRAZIE!”
Dalla Romagna alla
Val Venosta, passando per la Franciacorta e l’Altamerca trevigiana, cittadini
e medici chiedono di eliminare l’uso dei fitofarmaci in agricoltura --- chiara spadaro
Spuntano dei fogli di carta,
tra rape, zucche e cavoli, nella cassetta di ortaggi bio distribuita ogni settimana dal
gruppo d’acquisto solidale
(Gas) di Faenza (Ravenna).
È una lettera, che fa appello alla Regione e ai Comuni dell’Emilia-Romagna
sull’“utilizzo di prodotti fitosanitari e biocidi (pesticidi) nel territorio comunale”:
il frutto del lavoro collettivo
portato avanti in questi mesi
dal Gas Faenza con il Wwf
regionale e una quarantina
di altre realtà del territorio
tra consumatori critici, associazioni ambientaliste e di
piccoli produttori. Da oltre
un anno un gruppo composto da 10 gasisti e 3 produttori, tra i 100 soci del Gas
Faenza (www.gasfaenza.it),
si è messo al lavoro sul tema
dei pesticidi, con l’intenzione
iniziale di scrivere una lettera al sindaco. “Viviamo in un
comune abbastanza sensibile
ai temi ambientali e alla salute: in città, infatti, è già vietato l’uso dei fitofarmaci nel
verde pubblico -spiega Linda,
32enne mamma di tre bambini, referente del Gas-. Volevamo chiedere l’estensione
di questa norma alle strade
comunali e un regolamento più restrittivo sull’uso dei
pesticidi nelle zone agricole”.
L’esperienza alla quale guardano è quella del Comune di
Malosco (Tn), in Alta Val di
Non, dove dalla primavera
WWW.ALTRECONOMIA.IT
2012 è vietato l’uso dei pesticidi tossici e molto tossici,
potenzialmente nocivi per la
salute umana (una storia raccontata su Ae 138). “Provando a coinvolgere altre realtà
in questo percorso, come il
Coordinamento regionale per
l’economia solidale (Creser,
www.creser.it) o l’associa-
zione di produttori biologici
Poderi di Romagna (www.
poderidiromagna.it), ci siamo
accorti che c’era un interesse
comune”, spiega Linda. Così
l’iniziativa si è allargata su
scala regionale, grazie all’intreccio con il lavoro del Wwf
Emilia-Romagna, promotore
nel 2013 del comitato regionale “Pesticidi no grazie”.
“La nostra lettera vuole essere l’avvio di un’azione civica e
sociale per limitare, e poi eliminare, l’uso dei pesticidi in
Regione”, spiega Francesca
Regoli consigliere regionale
del Wwf Emilia-Romagna.
A partire dai dati di alcuni
recenti studi europei e nazionali -tra cui il Rapporto Ispra
2013 e “Pesticidi nel piatto”
2012, curato da Legambiente-, nel documento si chiede
che nelle aree non agricole
(parchi, ferrovie, viali, verde pubblico, orti e giardini)
sia vietato l’uso “di qualsiasi
36%
prodotto fitosanitario e biocida”, a favore di metodi di
controllo biologici; che siano
regolamentate e segnalate le
irrorazioni di pesticidi; che
siano organizzati momenti
di informazione e sensibilizzazione per i cittadini sui rischi per l’ambiente e la salute
umana.
Il Rapporto nazionale sulla
presenza dei pesticidi nelle
acque del 2013 (dati 20092010), curato dall’Istituto
superiore per la protezione e
la ricerca ambientale (Ispra,
www.isprambiente.gov.it ),
documenta un incremento di
pesticidi nelle acque superficiali (nel 55% dei casi sono
stati trovati residui) e profonde (28%), in particolare in
Pianura Padana. E Legambiente, con il report “Pesticidi
nel piatto 2012”, ci dice che
il 36% dei campioni di frutta
e verdura analizzati presenta
residui di fitofarmaci.
Richieste affini sono portate avanti in diverse Regioni,
dal basso, dal coordinamento
nazionale “Pesticidi no grazie”, nato un anno fa nella
sede della Mag (Mutua per
l’autogestione) di Verona
(pesticidinograzie.wordpress.
com). Diffondere un’agricoltura libera da pesticidi pro-
muovendo l’iniziativa attiva
di agricoltori e consumatori
sui territori è l’obiettivo del
coordinamento, che vuole
mettere in rete le esperienze
italiane impegnate nel proporre un’alternativa all’uso
dei fitofarmaci in campagna
e in città. Con un respiro
internazionale: “Aderiamo
al Pesticide action network
(Pan), con un nodo locale,
creato lo scorso novembre a
Bologna”, racconta Giovanni
Beghini, medico che fa parte
di “Pesticidi no grazie”. Pan
è una rete nata nel 1982 che
riunisce oltre 600 realtà che
la percentuale di campioni di frutta
e verdura che presentano residui
di fitofarmaci (legambiente, 2012)
FEBBRAIO 2014
del 46% del campione la presenza di etilentiourea (Etu),
indicatore biologico dei prodotti fitosanitari più diffusi
in vigna: i ditiocarbammati”.
Ma, in sinergia con il coordinamento, c’è chi vigila sulle
colline trevigiane del prosecco, per proporre un’alternativa all’uso dei pesticidi: il Wwf
Altamarca
(www.wwfaltamarca.it) monitora costantemente i dati sulla pericolosità
degli erbicidi utilizzati nelle
aree pubbliche di alcuni Comuni tra i 15 compresi nel
territorio della Docg, tra Conegliano e Valdobbiadene, per
un totale di quasi 6mila ettari
di vigneto, e chiede che ne sia
proibito l’uso, a tutela della
salute e delle falde acquifere.
L’azienda vitivinicola Perlage (www.perlagewines.com),
a Farra di Soligo (Tv), è da
30 anni l’unica cantina della
Docg Conegliano Valdobbiadene a produrre esclusiva-
dino fracchia / buena vista
lavorano in 60 Paesi “per ridurre al minimo gli effetti
negativi e sostituire l’uso di
pesticidi nocivi con alternative ecocompatibili”; in
Europa, 21 Paesi aderiscono
a Pan Europe, che ha sede a
Bruxelles (www.pan-europe.
info). In Pan (il presidente del
nodo italiano è il professor
Fabio Taffettani, ordinario di
Botanica sistemica alla facoltà di Agraria dell’Università
politecnica delle Marche),
come in “Pesticidi no grazie”,
è fondamentale la presenza
del mondo scientifico e della
ricerca: “Fanno parte del coordinamento alcuni medici
di Isde Italia (Associazione
medici per l’ambiente, www.
isde.it) che hanno costituito
un gruppo di ricerca sui pesticidi -spiega Beghini-. La
medicina parla chiaro, com’è
successo l’estate scorsa quando uno studio della Ulss 7 di
Treviso ha rivelato nelle urine
FEBBRAIO 2014
archivio gas faenza
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---
Una delle riunioni del tavolo di lavoro sui pesticidi del Gas Faenza. Sotto,
la distribuzione di un diserbante chimico in una risaia di Novara ---
mente vini biologici. Ivo Nardi, amministratore di Perlage,
negli anni Settanta faceva
parte di un gruppo di ricerca
sull’agricoltura biologica della
facoltà di Agraria dell’Università di Firenze: “Era un settore nuovo, tutto da conoscere.
Organizzavamo delle visite
alle aziende bio, per vedere se
davvero era possibile trovare
delle alternative valide all’uso
dei pesticidi”, racconta. Un
approccio teorico che è stato
portato nell’azienda di famiglia, con i 6 fratelli, convertita
a biologico nel 1985. Perlage
ha 20 ettari di proprietà, ma
gestisce in tutto 100 ettari di
vigne (l’80% della produzione è esportata in 20 Paesi),
condividendo con altri 17
fornitori veneti la filosofia e
la tecnica che sono alla base
dell’azienda. Alcuni di questi
filari corrono paralleli a proprietà trattate con pesticidi:
“In questi casi, quando non è
possibile tutelare le vigne con
siepi, per evitare la contaminazione facciamo una vendemmia differenziata e analizziamo i residui sulle nostre
masse di vino”, spiega Nardi.
Un altro aspetto importante
è la formazione dei produttori vicini: “Cerchiamo sempre
di aprire un dialogo con chi
accanto a noi utilizza la chimica, perché ci sia maggior
attenzione verso chi ha fatto
una scelta produttiva differente”. La sensibilità dei produttori sta crescendo, infatti
“oggi alcune aziende anche
importanti hanno iniziato
la conversione a biologico di
una parte dei loro vigneti”.
Un’attenzione che contamina
anche alcune amministrazioni virtuose, come a Follina
(Tv), Comune di 4mila abitanti a soli 8 chilometri dalla
sede di Perlage. C’erano oltre
200 persone alla serata promossa lo scorso ottobre dal
Wwf Altamarca, dal titolo
“Dai pesticidi al biologico”, e
da allora il Comune ha intrapreso un percorso per rinunciare all’uso degli erbicidi nei
luoghi pubblici, salvaguardare
le aree a bosco contro la monocoltura della vite e vietare
l’uso dell’elicottero per la diffusione dei fitofarmaci.
Nei piccoli appezzamenti
frastagliati della Franciacorta
-nel bresciano, a sud del lago
d’Iseo-, invece, la diffusione
per via aerea non è utilizzata,
ma il problema dell’uso dei
pesticidi in viticoltura esiste comunque. Dall’autunno
2012 il gruppo “No pesticidi
in Franciacorta” riunisce una
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SALUTE
archivio perlage
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Tiziano e Afra Nardi: con i 5 fratelli hanno dato vita all’azienda Perlage, che dal 1985 produce vino biologico a Farra
di Soligo (Tv): gestisce in tutto 100 ettari. È l’unica cantina totalmente “bio” della Docg Conegliano Valdobbiadene ---
trentina di associazioni, liste
civiche e comitati del territorio che chiedono maggiori
tutele per l’ambiente e la salute. Tra gli interlocutori del
gruppo c’è il Consorzio per
la tutela del Franciacorta, e
in particolare alcune aziende
che hanno fatto una scelta
in direzione dell’agricoltura biologica. “Ho iniziato a
occuparmi di vino da consumatore, non sono un tecnico.
La decisione di eliminare la
chimica a favore del biologico è stata naturale”, racconta
Silvano Brescianini, direttore
generale dell’azienda Barone
Pizzini (www.baronepizzini.
it).
È la prima 100% biologica
in Franciacorta, e gestisce in
tutto 90 ettari di vigna, di cui
47 (27 di proprietà) in Franciacorta -tra Provaglio d’Iseo,
Corte Franca, Adro e Passirano (Bs)- e ha la certificazione
bio Imc dal 2001 (l’85% della
produzione è venduta in Italia).
In tutto dei 2.900 ettari di vitigni della Franciacorta, 400
hanno la certificazione biologica, un trend in crescita: “Basti pensare che fino a 3 anni
fa gli ettari a biologico erano
meno di 100 -sottolinea Brescianini-. In questo percorso
è fondamentale il confronto
costante tra produttori, amministrazioni e Consorzio”.
Sono 105 (il 98% di quelle presenti sul territorio) le
aziende associate al Consor-
400 ettari
è la superficie vitata biologica in franciacorta,
su un totale di 2.900. È quadruplicata in tre anni
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zio per la tutela del Franciacorta, fondato nel 1990. Alla
fine del 2013, 18 sindaci del
territorio -riuniti attorno
all’accordo “Terra di Franciacorta”- hanno condiviso con
Asl e Arpa un “Regolamento
per l’utilizzo sostenibile dei
fitofarmaci in Franciacorta”.
È il frutto di un lavoro di 5
anni, come spiega Antonio
Vivenzi, sindaco di Paderno
(Bs) e coordinatore di Terre
di Franciacorta: “Da tempo si
è aperto un dialogo tra amministrazioni comunali per
lavorare a un progetto chiamato ‘Franciacorta sostenibile’, per la condivisione di
una normativa comune sulla
viabilità, la gestione dei rifiuti, la tutela dell’ambiente”. In
questo percorso, la vocazione
vitivinicola del territorio non
era trascurabile: il documento sui fitofarmaci (non ancora
reso pubblico quando scriviamo) regola diversi aspetti, dal
tipo di macchinari da usare in
vigna agli orari di diffusione
dei pesticidi, dal limite del
vento alla formazione degli
agricoltori delle polizie locali. Sarà attivo dalla primavera
2014 e rappresenta un primo
passo, ma lascia perplessi i
comitati, che chiedono una
presa di posizione più decisa
a favore dell’agricoltura bio e
la messa al bando dei pesticidi: “La sfida per un’agricoltura moderna è la sostituzione
di tutti i prodotti cancerogeni
e mutageni con metodi di tutela agronomici più sicuri per
la salute”, scrivono.
A Malles (Bz), 5mila abitanti in Alta Val Venosta, questo
principio è stato inserito nel
quesito referendario presentato lo scorso agosto dal
“Comitato promotore per
un comune di Malles libero da pesticidi”. Johannes
Fragner-Unterpertinger, tra i
promotori del referendum, è
il farmacista del paese, e primo firmatario di un manifesto “per la tutela della salute e
per un rapporto permanente
corretto con la terra, l’acqua
e l’aria” sottoscritto da 21
medici e dentisti, 15 biologi
e 8 veterinari dell’Alta Val
Venosta. Nel manifesto si
esprime “grande preoccupazione per la salute” e si chiede
che “i sindaci dell’Alta Val
Venosta e tutti i responsabili dell’Alto Adige realizzino
delle coltivazioni alternative,
o che si arrivi fino al divieto
dell’applicazione di pesticidi
chimici-sintetici e insetticidi,
specialmente nel bacino idrografico della Muta di Malles”.
Spira una forte tramontana
nella Muta (valle) di Malles, tanto da far crescere gli
alberi inclinati: “Con questo
vento costante, e la crescita
della frutticoltura industriale,
è impossibile controllare le
derive dei pesticidi nella ValFEBBRAIO 2014
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comitati all’erta, mentre la regione discute la coesistenza col bio
la legge e gli ogm
Ad aprile il giudizio del Tar del Lazio sul ricorso promosso da Giorgio
Fidenato, che aveva piantato mais Monsanto a Pordenone --- chiara spadaro
LA
sentenza è attesa per il
9 aprile. Il Tar del Lazio deciderà sulla conformità
del decreto interministeriale
che lo scorso luglio ha vietato
per 18 mesi, fino al dicembre
2014, e fino all’adozione delle
misure previste dal regolamento comunitario 178/2002
sulla sicurezza alimentare, la
coltivazione sul territorio italiano del Mon810. Prodotto
dalla Monsanto, è l’unico mais
geneticamente modificato,
autorizzato nell’Unione europea, dal 1998, e nel 2012 è
stato coltivato su 130mila ettari di 5 Paes: Spagna (116mila ettari), Portogallo, Romania,
Repubblica Ceca e Slovacchia.
Il ricorso è stato presentato da
Giorgo Fidenato, imprenditore agricolo friulano che dalla
primavera 2010 ha iniziato a
coltivare mais Mon810 su un
campo di Vivaro (Pordenone).
chiara spadaro
le, con la contaminazione di
spazi pubblici e privati”, spiega Johannes. Perciò, a partire
dal manifesto dei medici, è
stato avviato un percorso di
partecipazione dal basso verso la stesura del quesito referendario. Che chiede il favore, o meno, a inserire nello
statuto comunale un articolo
in base al quale il Comune,
appellandosi al “principio
precauzionale di tutela della
salute (...), promuove l’utilizzo di prodotti fitosanitari
biodegradabili” e vieta “l’utilizzo di sostanze fitosanitarie
chimico-sintetiche e di erbicidi molto velenosi, velenosi,
dannosi per la salute e per
l’ambiente”. A fine dicembre
la Commissione provinciale
ha recepito il quesito, dando
il via all’iter per l’indizione
del referendum popolare -che
avverrà dopo le elezioni europee del maggio prossimo-. È
il primo caso in Italia: la tramontana di Malles potrebbe
spazzare via i pesticidi e diventare un modello virtuoso
per altri territori del nostro
Paese. ---
--- Giorgio Fidenato nel suo campo di mais di Vivaro (Pn): ha utilizzato un
seme Monsanto geneticamente modificato, aprendo la strada a un contenzioso
amministrativo che potrebbe cambiare la legislazione italiana sugli ogm --FEBBRAIO 2014
Quella di aprile è una scadenza fondamentale: la decisione
del Tar, proprio in periodo di
semine, sarà cruciale per la
diffusione o meno degli ogm.
“In caso di accoglimento si
spalancheranno le porte agli
ogm, in tutta Italia, perciò è
meglio garantirsi in anticipo”, ha commentato i primi
di gennaio il vicepresidente
del Friuli-Venezia Giulia e assessore alle Risorse agricole,
Sergio Bolzonello, dando inizio a una serie di consultazioni per l’approvazione del
“Regolamento regionale sulla
coesistenza tra ogm e colture
convenzionali e biologiche”.
Dopo l’approvazione nel giugno 2013 di alcune misure
restrittive alla legge regionale
5/2011 (“Disposizioni relative all’impiego di organismi
geneticamente modificati in
agricoltura”), l’adozione di
questo regolamento -primo
caso in Italia- vuole essere un
altro passo per minimizzare il
rischio della diffusione degli
ogm. Il nuovo regolamento
dovrebbe prevedere, tra l’altro, la partecipazione ad attività formative (almeno 8 ore,
per un attestato valido 3 anni)
quale requisito per poter coltivare varietà ogm e introduzione una tariffa annuale di
50 euro per ettaro da versare
all’Agenzia regionale per lo
sviluppo rurale (Ersa) a copertura dei costi tecnici. Nel
caso del mais, sarebbero previste delle prescrizioni lungo
tutta la filiera produttiva, per
scongiurare il rischio di contaminazioni, con sanzioni
da un minimo di 5mila a un
massimo di 50mila euro. Chi
coltiva mais ogm dovrebbe
inoltre rispettare una distanza
di 500 metri dagli altri campi, più una zona cuscinetto di
250 metri. Alle consultazioni
in Regione hanno partecipato
anche le associazioni dei produttori biologici e ambientaliste -Aiab, Aprobio, Isde, Wwf
e Legambiente-, critiche poiché ritengono “tecnicamente
impossibile la coesistenza tra
agricoltura tradizionale e di
qualità e quella transgenica”.
La loro richiesta è “una moratoria delle semine ogm per
il 2014”, a difesa delle “poche
forme di agricoltura redditizia che si stanno sviluppando
in Regione e che sono le uniche capaci di futuro”. Guarda
all’agricoltura biologica e naturale anche il “Coordinamento no ogm”, nato da alcuni
mesi, che riunisce agricoltori,
gruppi d’acquisto solidale e
comitati impegnati per la salvaguardia della biodiversità in
Italia. A oggi hanno aderito
una trentina di associazioni
attive soprattutto tra Veneto
e Friuli-Venezia Giulia, ma
anche alcune realtà nazionali, come Civiltà contadina, Wwoof Italia e Genuino
Clandestino: la lista completa
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