Dott. V. Rappa – SABER Technology SRL

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ECODENS - ECOSTABILIZZAZIONE DELLE SANSE MEDIANTE DENSIFICAZIONE
MISURA 124 - PSR SICILIA 2007-2013
CONVEGNO FINALE, 30 GENNAIO 2014, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
VALUTAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI RESIDUI DI
POTATURA E LORO UTILIZZO ALL’INTERNO DI UN
PROCESSO DI DENSIFICAZIONE
V. Rappa
Saber Technology S.r.l.
Via P.pe di Belmonte n. 80 , 90139 Palermo, e-mail: [email protected]
Parole chiave: residui di potature, biomasse, pellet, raccolta meccanica
1. INTRODUZIONE
Il termine biomasse residue del settore agricolo e forestale, intesa come insieme delle
sostanze organiche di origine vegetale o animali, racchiude un’ampia gamma di prodotti di
origine dedicato o derivato da scarti e residui di varie produzioni, che spaziano da quelle
agricole-forestali e agroindustriali (Mc Kendry,2002; Klass, 1998).
Fra le filiere corte che possono contribuire ad attivare la multifunzionalità agricola legata
alla tutela e alla riqualificazione territoriale si inserisce la valorizzazione energetica dei
residui di potatura delle specie legnose e non, che viene presentata nel presente documento.
La questione energetica rappresenta un elemento strategico delle politiche di sviluppo e
delle politiche ambientali. L’Unione Europea (EU) importa oltre il 50% dell’energia e la
dipendenza, in mancanza di interventi significativi, potrà raggiungere il 70% nel 2030. La
condizione deficitaria è molto grave nel nostro paese: l’Italia attualmente importa
dall’estero oltre l’82% del proprio fabbisogno energetico, che in larga misura è coperto da
combustibili fossili, e ha ratificato il protocollo di Kyoto, che la obbliga a uno sforzo
effettivo di riduzione dei gas serra del 6,5%. L’Unione Europea, e di conseguenza l’Italia,
prevedono sostegni sempre più significativi per stimolare l’impiego delle fonti di energia
rinnovabile. Il legno rappresenta la più importante fonte energetica rinnovabile europea, in
Italia seconda solo all’idroelettrico. Ciò nonostante, le filiere legno-energia si stanno
sviluppando in maniera modesta nel nostro Paese.
Il momento economico dell’agricoltura non è dei più felici, anche se il settore sta godendo
di una ritrovata attenzione dovuta alle potenzialità che i campi offrono in materia di agro
energie. In questo senso vanno analizzati differenti filoni di sviluppo: - la messa in coltura
di coltivazioni specifiche per la produzione di energia (oleaginose per la produzione di
combustibili vegetali, arboreti per la produzione di biomasse, erbai per la produzione di
biogas); - lo sfruttamento delle risorse esistenti a partire dai residui di potatura di frutteti e
vigneti, ma anche dal patrimonio derivante dalle potature delle piante ornamentali.
Esistono diverse tipologie di biomassa legnosa utilizzabile per scopi energetici. Una
categorizzazione può partire dalla provenienza: dagli scarti delle lavorazioni agricole, dagli
scarti delle lavorazioni agro-industriali, dalla gestione dei boschi. Le biomasse combustibili
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provenienti dall’agricoltura sono costituite dai residui colturali ovvero da tutte quelle parti
della pianta che non riguardano il “prodotto principale” generalmente destinato ad usi
alimentari.
I residui agricoli, generalmente costituiti dalle strutture di supporto e protezione degli
organi di produzione della pianta oltre che dalle foglie, derivano dall’operazione di taglio a
fine ciclo colturale per le colture annuali (ad esempio cereali) e dalle operazioni di potatura
effettuate con varia periodicità sulle colture poliennali (ad esempio frutteti). La raccolta
delle potature nei vigneti, negli oliveti e nei frutteti da destinare all’alimentazione di
impianti termici, può rappresentare una valida opportunità per la valorizzazione economica
di un prodotto legnoso che, solo fino a poco tempo fa, era considerato un ingombrante
scarto di produzione, da eliminare con costi non trascurabili. La quantità di residui colturali
recuperabile e, quindi, la stima della disponibilità territoriale di biomassa dipendono da
numerosi fattori, quali l'estensione delle superfici coltivate, la produttività delle colture, le
caratteristiche agronomiche della coltura, la modalità di raccolta, le condizioni di
operatività, la stagionalità della raccolta, lo stoccaggio del sottoprodotto, l’organizzazione
aziendale e i possibili utilizzi del sottoprodotto.
Per esempio negli oliveti tutto il materiale con un diametro superiore ai 6 cm è utilizzato
come legna da ardere e pertanto viene recuperato senza problemi. Il materiale più sottile
non ha ancora sbocchi commerciali e generalmente viene smaltito in due modi: triturazione
in campo o combustione. In realtà, il residuo di potatura è un ottimo combustibile e può
essere impiegato da una considerevole varietà di utenze.
I residui delle potature attualmente non rappresentano per le aziende interessate una fonte
di reddito ma costituiscono nella maggior parte dei casi un problema e allo stesso tempo un
costo di produzione.
Fino a oggi lo smaltimento di tali residui prevedeva e prevede due soluzioni principali:
- trinciatura in campo lungo gli interfilari e loro conseguente interramento;
- bruciatura dei residui.
La trinciatura con conseguente interramento si può rivelare utile in presenza di vigneti e
colture sane: in questi casi la biomassa derivante da potature non costituisce fonte
d’infezione o diffusione di patologie ma anzi possono svolgere funzione di apporto di
nutrienti e di sostanza organica al terreno. Questa pratica tuttavia può presentare un ritorno
fitosanitario negativo nel caso di i residui siano infettati non marciume radicale o mal
dell’esca iodio, peronospora ecc. In queste circostanze l’interramento dei sarmenti è da
evitare, in quanto il patogeno trova nel terreno un ambiente favorevole per svernare e
infettare nuovamente, nella primavera successiva, i germogli. In queste circostanze quindi
l’interramento dei residui trinciati potrebbe risultare problematico per il controllo
fitosanitario.
In molti casi invece i residui delle potature sono raccolti con un rastrello applicato a un
trattore e portati nelle aree perimetrali degli appezzamenti per essere successivamente
bruciati. Allo stato attuale in molte regioni questa soluzione è vietata per i suoi ritorni
ambientali negativi, sia per motivi di qualità dell’aria legati alle emissioni dovute a questa
pratica colturale CO2 in primis, sia a scopo cautelativo per prevenzione degli incendi.
Bruciare i sarmenti a bordo campo è spesso interdetto da molte amministrazioni comunali
(anche se poi in realtà si riscontra spesso un mancato rispetto di tali regolamenti).
Ai sensi del D. Lgs. n. 22/97 (decreto Ronchi), i residui delle potature, quando devono
essere smaltiti, rientrano nella categoria dei rifiuti. Se contrariamente a ciò viene loro
conferita una destinazione energetica, come da D. Lgs. n. 152/06 (ex DPCM 8 marzo
2002), possono essere considerati combustibili a tutti gli effetti.
28
2. FONTI DI BIOMASSA
La biomassa può essere ricavata da numerose fonti naturali, oltre che dagli scarti
dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’industria, come ad esempio: le piante e gli alberi
(scarti di lavorazione del legno o della cellulosa, residui di potature, legname coltivato allo
scopo, residui agricoli), scarti dell’industria alimentare (noccioli, vinacce, gusci, fieno,
sansa), reflui degli allevamenti e delle discariche, rifiuti urbani (frazione organica), rifiuti
industriali (cascami di cotone, canapa). Esistono inoltre vere e proprie colture energetiche
che si differenziano in tre classi a seconda dell’utilizzo: colture zuccherine (mais, cereali,
sorgo), colture oleaginose (girasole, colza, soia), colture ligno-cellulosiche (sorgo da fibra,
kenaf, canapa, canna comune, miscanto, panico, falaride, cardo, pioppo, salice, robinia).
Esistono diverse tipologie di biomassa legnosa utilizzabile per scopi energetici. Una
categorizzazione può partire dalla provenienza: dagli scarti delle lavorazioni agricole, dagli
scarti delle lavorazioni agro-industriali, dalla gestione dei boschi. Le biomasse combustibili
provenienti dall’agricoltura sono costituite dai residui colturali ovvero da tutte quelle parti
della pianta che non riguardano il “prodotto principale” generalmente destinato ad usi
alimentari.
Tabella n. 1:Possibili provenienze della biomassa e possibili trasformazioni
Filiere principali
Forestazione
Settori di provenienza
•
•
•
Colture agricole
•
•
•
Rifiuti
•
Essenze
impiegate per
scopi energetici
Residui
industriali della
lavorazione
della cellulosa
Residui
industriali della
lavorazione del
legno
Essenze
coltivate
proprio per
scopi energetici
Residui di
piantagioni e di
lavorazioni
agricole
Scarti dei
prodotti
agroalimentari
Prodotti
organici
Prodotti di partenza
•
•
Pioppo,salice,euc
alipto e legna da
ardere in
generale
Black-liquor
•
Segatura e
truciolato da
segherie
•
Girasole, mais,
cardo,ricino,
colza e soia
•
Fieno , paglia,
bagasse, gusci di
nocciole,
mandorle e noci,
potatura vite e
alberi da frutto,
raccolta legumi e
residui di canapa
e cotone.
Lolla, pula, sansa
esausta,semi
d’olive ed uva,
noccioli e scarti di
lavorazione frutta
Rifiuti e liquami
da allevamento
•
•
29
Prodotti finali
Pellet e cippato
Olio vegetale, biodisel,
bioetanolo e pellet
•
derivati
dall’attività
biologica degli
animali e
dell’uomo
Rifiuti urbani di
origine
vegetale
degli animali e
discariche dei
rifiuti
•
Biogas e
termovalorizzazione
Sfalcio erbe e
potature, scarti
mercati
ortofrutticoli e
frazione organica
RSU
3. STATO DELL’ARTE
Dalla pubblicazione dei dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura è emerso nel
complesso che la Superficie Aziendale Totale (SAT) risulta pari a 1.545.977 ettari (8,9%
dell’Italia) e la Superficie Agricola Utilizzata (la più estesa SAU, fra le regioni) ammonta a
1.384.043 ettari (10,7%). Gli animali allevati sono 366.015 bovini (6,4%), 49.277 suini
(0,5%), 849.565 ovini e caprini (11,2%) e 5,1 milioni di avicoli (2,6%).
Il confronto con il 2000 rivela una diminuzione di aziende agricole (-37,1%) e un aumento
della SAU (8,2%) e della SAT (6,2%, in Tabella 2). Per le aziende, si tratta di
un’evoluzione in linea con la tendenza nazionale (-32,2%); per le superfici, la variazione
della Sicilia è di segno opposto a quella dell’Italia, e determina una dinamica più
accentuata della dimensione media. La riduzione delle aziende è da porre in relazione con
la maggiore accuratezza ed i diversi criteri di compilazione degli archivi amministrativi da
cui sono tratte le liste precensuarie. La crescita delle superfici si spiega con le misure della
Politica Agricola Comunitaria (PAC) che in Sicilia hanno fatto emergere uno scenario più
reale dell’organizzazione economica delle aziende.
Tabella n. 2: Superficie Agricola Utilizzata (SAU) e Superficie Totale per Provincia
Province e Regione
Trapani
Palermo
Messina
Agrigento
Caltanissetta
Enna
Catania
Ragusa
Siracusa
SICILIA
2010
29.310
38.887
26.166
33.828
18.117
17.336
28.590
12.770
14.673
219.677
Aziende
2000
35.209
52.158
57.936
52.415
28.202
25.837
48.468
24.084
24.833
349.142
var. %
-16,75
-25,44
-54,84
-35,46
-35,76
-32,9
-41,01
-46,98
-40,91
-37,08
2010
137.446,84
266.361,58
162.117,94
150.866,22
117.072,46
182.518,89
169.273,56
90.702,15
111.161,13
1.387.520,77
SAU
2000
130.440,28
236.764,00
144.514,47
163.805,89
108.947,02
150.658,99
146.212,94
98.684,86
99.690,32
1.279.718,77
var. %
5,37
12,5
12,18
-7,9
7,46
21,15
15,77
-8,09
11,51
8,42
2010
147.297,11
294.427,10
192.359,56
169.936,44
130.354,01
196.503,52
195.736,71
101.585,75
121.217,14
1.549.417,34
SAT
2000
140.750,79
259.845,44
183.240,67
182.358,45
119.160,25
159.595,37
178.737,76
115.519,89
116.249,07
1.455.457,69
var. %
4,65
13,31
4,98
-6,81
9,39
23,13
9,51
-12,06
4,27
6,46
Fra le province, Palermo è la prima per numero di aziende ed estensione di superfici. In
confronto al 2000, Enna, Palermo e Catania hanno avuto la maggiore crescita percentuale
di SAU e di SAT. Le variazioni negative del 2010, in termini di superficie, ad Agrigento e
Ragusa si spiegano, invece, in buona misura, con l’attribuzione a province limitrofe del
centro aziendale di diverse unità rilevate nel 2000.
30
La dimensione media aziendale è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, passando da
3,67 ettari di SAU per azienda a 6,32 ettari nel 2010 (+72,2%). Si tratta di un incremento
maggiore della media nazionale (44,4%) e consegue al sopra citato andamento divergente
di numero di aziende agricole e zootecniche in riduzione e di superfici coltivate in aumento
(figura n. 1). Si può assimilare questo trend ad un processo di concentrazione dell’attività
agricola e zootecnica in unità di maggiore dimensione che sta avvicinando la Sicilia ad altri
contesti territoriali. Anche la dimensione media in termini di SAT aumenta rispetto al 2000,
passando da 4,17 a 7,05 ettari. Per la natura estensiva prevalente delle coltivazioni, Enna è
la provincia con la maggiore dimensione media di SAU (10,56 ha), mentre Messina è
quella che ha avuto il maggiore incremento percentuale di tale indicatore.
Tabella n. 3: Superficie media aziendale
2000
SICILIA
Italia
3,70
5,50
SAU media
2010
var. %
6,30
7,90
72,21
44,44
2000
4,17
7,81
SAT media
2010 var. %
7,05
10,61
69,06
35,85
Fig. 1 Dimensione media dell’azienda anni 2000 e 2010
Il confronto con il 2000 rivela una forte riduzione delle aziende agricole di minori
dimensione (<10 ha) ed un incremento di quelle maggiori (>10 ha). Come mostrano i
grafici sotto riportati (figura 2-3), l’incidenza percentuale delle micro aziende si riduce dal
48 al 33 per cento, mentre cresce la quota delle aziende fra 10 e 20 ettari (dal 4 al 7 per
cento) e passa dall’1 al 3 per cento la classe fra 20 e 30. Le aziende maggiori (>50 ha)
registrano un incremento di oltre il 50%.
31
Fig. 2 Dimensione delle aziende in funzione all’estensione anni 2000 e 2010
Fig. 3 Classi di superficie aziendali 2000 e 2010
Fig. 4 Classi di superficie aziendali 2010
32
La crescita della dimensione media aziendale si accompagna, in particolare, alla crescita
del numero di aziende con superficie superiore a 100 ettari: un segno evolutivo da
considerare non soltanto come frutto indiretto di cambiamenti nelle politiche agricole
europee, ma l’espressione di una crescita di capacità imprenditoriale registratasi in alcuni
comparti che hanno saputo porsi in una prospettiva di mercato di livello internazionale.
La distribuzione della SAU tra le principali coltivazioni rilevata dal censimento del 2010 in
Sicilia differisce sotto vari aspetti da quella del 2000, presentando andamenti contrastanti.
Un incremento della SAU a seminativi del 5,4% è l’effetto di una notevole riduzione dei
cereali (-12,9%) e di un aumento delle foraggere avvicendate (53,5%). Fra le legnose
agrarie (-4,3%), si registra una riduzione della superficie a vite (-9,5%) ed un aumento di
quella olivicola (3,5%), mentre arretra la SAU degli agrumi (-2,3%) e quella frutticola (13,8%). Un notevole incremento di “prati permanenti e pascoli” (33,5%) rispetto al 2000 è
da far risalire alle specifiche misure della PAC che hanno incentivato allevamenti più
sostenibili e si concentra nei territori più vocati a questa attività (tabella n. 4-5)
Tabella n. 4: Superficie investita per tipologia di coltura confronto anno 2000 – 2010
Tabella n. 5: Superficie investita per tipologia di coltura legnose
SUPERICIE INVESTITA A COLTURE LEGNOSE AGRARIE IN SICILIA
ANNO 2012 (ISTAT)
COLTURE
SUPERFICIE HA
OLIVO
141.632
VITE
110.219
AGRUMI
70.748
FRUTTIFERI
5.422.819
33
In provincia di Palermo tra i seminativi si evidenzia una riduzione, rispetto al 2000, dei
cereali, mentre aumentano: le foraggere avvicendate e i prati permanenti e pascoli. Per le
legnose agrarie si registra un aumento dell’olivo, ed una diminuzione della vite e degli
agrumi (tabella n. 6-7).
Tabella n. 6: Superficie investita per tipologia di coltura legnose
Tabella n. 7: Aziende e relativa superficie investita per tipo di coltivazione in prov. di PA. Anni
2010
Coltivazioni
Aziende
Variazioni
Variazioni
Superficie
2010
assolute
%
Investita ha
2010
TOT. SEMINATIVI
19.160
-5.090
-20,99
152.275,08
Vite
4.810
-7.608
-61,27
14.058,58
Olivo
27.559
-3.663
-11,73
26.346,18
Agrumi
4.473
-4.186
-48,34
3.886,94
Fruttiferi
4.318
-4.774
-52,51
3.565,58
Vivai
54
-34
-38,64
74,53
Altre coltivazioni
legnose agrarie
Coltivazioni legnose
agrarie in serra
TOT. COLTIVAZIONI
LEGNOSE AGRARIE
469
454
3.026,67
379,44
7
-698
-99,01
5,33
30.941
-10.744
-25,77
48.316,58
TOT. PRATI
PERMANENTI E
7.664
-1.267
-14,19
63.047,04
34
PASCOLI
SUPERFICIE
AGRICOLA
UTILIZZATA
SUPERFICIE
AGRARIA NON
UTILIZZATA
ALTRA SUPERFICIE
38.676
-13.449
-25,8
265.611,82
8.496
-2.654
-23,8
10.651,75
14.204
-10.001
-41,32
4.881,75
SUPERFICIE TOTALE
38.709
-13.416
-25,74
293.588,31
Fig. 5 Classi di superficie aziendali 2010
Dai dati ricavati ed elaborati prendendo in considerazioni le superficie coltivate nella sola
provincia di Palermo, emerge che la biomassa potenzialmente ottenibile, esclusivamente
dalle colture arboree maggiormente presenti e utilizzate all’interno del progetto ECODENS
(vite, olivo, agrumi, fruttiferi vari), si attesta a circa 108.100 (t) tonnellate (tabella n. 8).
Tabella n. 8: Potenziale produttivo di biomassa in prov. di PA.
POTENZIALE PRODUTTIVO DI BIOMASSA PROV. PA
COLTURA t/HA
VITE
2
OLIVO
2,5
AGRUMI
1,8
FRUTTIFERI 2
SUP.TOT. PALERMO (HA)
14058
26346
3886
3565
TOT. TONNELLATE
35
TOT. BIO. PA. (t.)
28116
65865
6994,8
7130
108105,8
Tuttavia non tutti i residui di potatura potenzialmente disponibili possono essere recuperati
ed utilizzati all’interno di una filiera energetica, infatti vanno esclusi le superficie coltivate
che per la loro conformazione e giacitura non si prestano a ospitare cantieri di raccolta delle
biomasse. Inoltre non tutti gli impianti arborei permettono l’utilizzo delle macchine per la
raccolta, soprattutto gli impianti misti e quelli secolari. A questi vanno ancora sottratte le
perdite in campo, e le piccole superficie che non giustificano economicamente gli interventi
ecc. Da una stima fatta la biomassa totale recuperabile si riduce del 50%.
4. AZIENDE COINVOLTE NEL PROGETTO ECODENS
A Partinico, rispetto alla provincia di Palermo, dove risiedono le quattro aziende coinvolte
al progetto ECODENS, su l’1,8 % SAU (4.894 ha della SAU) si estendono il 13,2% delle
superfici a fruttiferi, il 13,1% delle superfici a vivai, l’11,6 % degli agrumi. La superficie a
vite è il 10,8% e quella ad olivo è il 4,4% (figura n. 6).
Le superficie delle quattro aziende coinvolte nel progetto sono investite a colture legnose
agrarie, prevalentemente a oliveto e in misura minore a vigneto e frutteto misto quale
Fig. 6 Classi di superficie aziendali 2010
agrumeto di età variabili. L’azienda Agricolo Bacchi ha una superficie investita tutta ad
oliveto di età variabile, ma una buona parte occupata da piante secolari, per una superficie
di circa 10 ettari, dello stesso indirizzo colturale è l’azienda Provenzano Vito la cui
superficie coltivata a oliveto è complessivamente di 11 ettari di cui 9 ettari sono piante di
venti anni di età e la rimanente parte (2 ettari) sono piante secolari la cui varietà
predominate è la Cerasuola le piante sono allevate a vaso con un sesto quadrato di 7x7 m.
A indirizzo misto è invece l’azienda agricola La Franca Vito la cui parte inserita nel
progetto copre una superfice di oliveto di circa 1,5 ettari occupata da piante secolari poste a
una distanza 7,5 x 7, la stessa azienda coltiva anche 10 ettari di vigneto di sua proprietà
impiantato 6 anni fa in cui sono presenti in parte uguale due varietà, Nero D’avola e
Catarratto allevati a spalliera con un sesto 2,30x1,2.
36
Dai dati ricavati in bibliografia e da quelli riscontrati nella fase di potatura avvenuta
nell’inverno 2012-2013 sono emersi i seguenti valori medi di biomassa potenzialmente
ottenibile:
Tabella n. 9: Biomassa ottenibile per ha e per pianta da diverse colture arboree.
COLTURE
Vite
Olivo
Pero
Pesco
Agrumi
Mandorlo
Biomasse ottenibile t/ha Biomassa Kg/p.
1,5-2,7
1,7-2,4
2
2,9
1,8
1,7
0,6
8,7
3,6
5,2
4,5
4,9
Per la determinazione della disponibilità per unita di superficie (t/ha-1) si è effettuato un
campionamento dei quantitativi di residui a terra successivamente alla potatura manuale
La procedura prevedeva:
La delimitazione dell’area del transetto
Raccolta e disposizione dei residui su una barella
Sollevamento e successiva pesatura della biomassa
La variabilità nella produzione di residui ottenibili dalle pratiche di potatura è legata a
molteplici fattori, tra cui in particolare la metodologia di allevamento per la vite (spalliera,
pergola, tendone) a vaso a parete per i fruttiferi, dal tipo di varietà, dall’ubicazione e la
giacitura, dalla fertilità del terreno, dall’agrotecnica, potatura verde, dall’età delle piante
ecc..
5. CARATTERISTICHE DELLA BIOMASSA
Le biomasse solide, ed in particolare certe biomasse residuali fresche, sono spesso
caratterizzate da un elevato contenuto di umidità (in certi residui agroalimentari supera
anche il 70 %). Ciò determina svantaggi da diversi punti di vista. Prima di tutto la presenza
di acqua assorbe parte dell’energia liberata dalla combustione stessa per via del passaggio
di stato da liquido a vapore (calore latente di evaporazione 2272 kJ/kg) e quindi riduce il
potere calorifico effettivo della biomassa (potere calorifico netto = PCN). Svantaggi si
riscontrano anche dal punto di vista della conservabilità. Si sa infatti che l’acqua è
l’elemento essenziale allo sviluppo della flora microbica responsabile di fenomeni di
degradazione con conseguenze negative sia sulla concentrazione energetica (legata alla
perdita di sostanza secca) che sulla qualità generale del biocombustibile
La percentuale di umidita contenuta nella biomassa fresca raccolta si aggira intorno al 50%
per i residui di potatura del vigneto e intorno al 30% per i residui di potatura dell’oliveto.
In 3-4 mesi di stoccaggio l’umidità passa dal 50 al 35% anche se tale valore dipende molto
dalla materia prima di partenza.
Contenuto idrico % = (Massa legno umido – Massa legno secco/Massa legno umido) x
100
37
Le biomasse e di conseguenza i residui di potatura sono caratterizzati da una bassa
concentrazione energetica infatti l’energia dei combustibili risiede nei legami chimici che
tengono uniti gli elementi che costituiscono la matrice organica. Gli elementi che
generalmente conservano un’elevata energia chimica nei legami che formano sono in
particolare il carbonio (C) e l’idrogeno (H). Per questo motivo la densità energetica di un
combustibile è tanto più elevata quanto più la sua struttura organica e di tipo idrocarburico
(CnHm) (tabella n. 10). Nelle biomasse solide la struttura organica è prevalentemente di
tipo lignocellulosico (composta da emicellulosa, cellulosa e lignina) e le strutture organiche
sono parzialmente ossidate per le presenza di legami con altri elementi, con l’ossigeno in
particolare (presente in una percentuale mediamente compresa tra il 35 ed il 45 %). Ne
consegue una concentrazione energetica inferiore rispetto ai combustibili fossili
tradizionali.
Tabella n. 10: Composizione elementare tipica del legno espressa in % in peso a secco.
Componente
Idrogeno
Carbonio
Ossigeno
Azoto
Ceneri
Legno morbido % Legno duro %
6,3
52,9
39,7
0,1
1
6,4
50,8
41,8
0,4
0,9
La raccolta dei residui di potatura è stata eseguita manualmente ma sono state ipotizzate
diversi metodi che prevedono l’utilizzo di mezzi diversi per agevolare la raccolta e allo
stesso tempo rendere l’operazione di raccolta più veloce ed economicamente sostenibile.
Subito dopo la potatura, i sarmenti e i residui di potatura sono sparsi nel suolo e quindi è
necessario concentrali, raccoglierli e trasportarli.
Possibili cantieri di raccolta:
- Cantiere di raccolta o di Cippatura direttamente in campo: una delle soluzioni più
interessanti potrebbe essere quella di organizzare un cantiere mobile di raccolta sarmenti o
potature dal luogo nel quale questo viene comunemente ammassato in campo per procedere
alla cippatura direttamente in fase di carico. In questo modo per il produttore non
esisterebbero oneri ulteriori rispetto alla comune asportazione dei sarmenti e non
varierebbe nemmeno l’organizzazione dei lavori.
- Cippatura diretta fila per fila: ancora in fase di valutazione per quanto riguarda la validità
tecnica; consiste nella raccolta diretta con macchine trinciatrici raccoglitrici che si sono
diffuse in questi ultimi anni. Per questa soluzione esiste però il problema dello stoccaggio
del prodotto e della presenza di erba all’interno della massa. Oltre a questo va considerato
il costo delle macchine ed i maggiori oneri dovuti ai tempi di carico e scarico della massa.
- Rotoballe: l’altra possibilità è imballare i residui di potatura, l’idea delle rotoballe che di
fatto richiedono una laboriosa movimentazione (nel vigneto di tratta di 6 “balloni” per
ettaro e nel frutteto di 13) ma sono di più facile stoccaggio e soprattutto meno soggette a
fermentazioni di prodotto grazie alla più facile aerazione. Il grande vantaggio di questa
soluzione è quello di poterle stivare e lavorare in un lungo periodo. Nel caso siano
utilizzate pre-potatrici o potatrici meccaniche, i tracci delle viti sono ridotti a piccoli pezzi,
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di lunghezza media 50-70 cm o meno, variabile a seconda del tipo di macchina impiegata;
in questo caso la disponibilità tecnica dei sarmenti recuperabili è inferiore in quanto questi
per le ridotte dimensioni, al passaggio del pick-up della rotoimballatrice non sono sollevati
e rimangono a terra.
Le macchine relative derivano da attrezzature destinate ad operazioni simili (raccolta
foraggi o trinciatura di stocchi) opportunamente adattate: si tratta in sostanza di
rotoimballatrici o trinciasarmenti, modificate per movimentare in campo il prodotto
raccolto. Se sono disponibili adeguate superfici coperte per il deposito del cippato, è
vantaggioso l’impiego di raccogli-trituratrici che, nel caso dei residui di olivo, operano a
circa 1,5 km/h e con una produttività di 0,6 t/h, il che porta, per un normale turno
lavorativo di 8 ore, alla disponibilità di circa 5 t/gg di prodotto. È importante scegliere una
macchina robusta, poiché il legno di olivo è caratterizzato da una durezza superiore rispetto
a quello della vite o di altri fruttiferi.
L’utilizzo della biomassa vegetale e quindi l’esportazione dei residui di potatura comporta
inevitabilmente una sottrazione di elementi nutritivi macro e micro elementi. Infatti le legna
oltre ad essere composte da acqua, lignina, cellulosa sono composte da elementi
indispensabili per la crescita delle piante K, N, P, Ca, Mg che vengono sottratti dal loro
reintegro all’interno dell’agroecosistema, e a cui si deve sopperire attraverso opportune
concimazione (tabella n. 10).
La quantità di elementi contenuti, non è marginale ed è spesso sottovalutata e per alcuni
tipologia di legna l’interramento in loco può permettere di risparmiare fino a un 50% delle
dosi di concime distribuito. A questo va aggiunto il grande contributo che fornisce la
biomassa vegetale interrata nel miglioramento della struttura del terreno e nel contribuire
all’aumento, se pur graduale, della sostanza organica quest’ultima considerata indicatore
principale della fertilità del terreno.
Di contro l’interramento continuato negli anni dello stesso tipo di biomassa con le stesse
caratteristiche fisiche e chimiche (elementi nutritivi, resine, CSC. rapporto C/N, microelementi ecc.) porta inevitabilmente a un leggero ma graduale deperimento e
semplificazione della fertilità complessiva (biologica, chimico-fisica) del suolo, elemento
questo, che rientra tra le cause compartecipanti del fenomeno sempre più ricorrente della
stanchezza del terreno.
Con il termine “stanchezza del terreno” si indica un quadro sintomatico non ben definito,
che riguarda uno squilibrio nei diversi effettori (cioè fattori e condizioni) nel sistema suolopianta e che porta ad un lento declino dello sviluppo e della produzione vegetale.
Il fenomeno, di natura completamente differente rispetto alle più probabili anomalie o
disordini della sfera radicale, è stato studiato su diverse specie, soprattutto in caso di
ristoppio: pensiamo alle arboree (pesco, melo, vite, ciliegio), che purtroppo per molte
ragioni di natura tecnico-economica spesso si reimpiantano sugli stessi terreni. Da qui il
fatto che la stanchezza è detta anche malattia da reimpianto.
Numerose sono le teorie che hanno tentano di spiegarne l’origine, ma i fattori che
determinano la stanchezza del terreno si possono individuare principalmente in:
- alterazione del metabolismo dei residui organici colturali: la semplificazione della
biodiversità microbica nel suolo (ad opera della monocultura e in parte anche dell’impiego
massivo di biocidi, soprattutto fungicidi e fumiganti, interramento continuato dei residui
vegetali della stessa coltura) comporta un mancato completamento della umificazione
della sostanza organica;
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Tabella n. 10: Contenuto di elementi nutritivi nei sarmenti
Contenuto in elementi nutritivi nei sarmenti
ELEMENTO
MINIMO (Kg/ha)
MASSIMO (kg/ha)
N
P
K
Ca
Mg
6,5
0,7
6,2
6
1,1
g/ha min
76
16
29
70
60
0,2
21
3,6
20
34
4,5
g/ha max
310
97
179
100
80
0,4
Fe
B
Mn
Zn
Cu
Co
-riduzione degli apporti organici dovuta all’intensificazione delle attività produttive: cicli
colturali sempre più brevi, specialmente nell’orticoltura protetta ecc.
- perdita della struttura del suolo;
- proliferazione di parassiti specifici delle colture in oggetto, che trovano sempre
disponibili nel suolo le loro forti di infezioni: secondo accreditate scuole di pensiero la
stanchezza sarebbe causata da altri effettori che, provocando un generale indebolimento
della pianta, la renderebbero più suscettibile agli attacchi dei parassiti.
6 CONSIDERAZIONI SULLA CIPPATURA
Un aspetto sicuramente positivo legato all’operazione di cippatura è che, grazie ad essa, è
possibile ridurre sensibilmente il volume apparente delle biomasse, facilitandone così la
movimentazione e il trasporto: una tonnellata di cippato fresco infatti occupa circa 3 m3,
contro i 10 m3 necessari per contenere la stessa quantità di ramaglia non lavorata.
Ovviamente ciò vale solo per il materiale minuto in quanto il volume occupato dal cippato
è comunque superiore, quasi doppio, all’ingombro di un peso equivalente di legname
tondo; la logica conclusione, quindi, è che conviene sminuzzare ramaglia, scarti e piante di
piccole dimensioni, mentre è meglio ridurre in ciocchi le piante medio–grosse, soprattutto
se la distanza di trasporto è elevata.
A questi aspetti positivi si contrappongono però alcuni svantaggi: uno tra tutti ad esempio è
quello legato alla notevole richiesta di potenza delle attuali cippatrici, inconveniente che si
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ripercuote inevitabilmente sia sul costo della macchina che sul consumo di combustibile da
parte di quest’ultima.
Nonostante questo però il mercato del cippato offre prezzi di acquisto non particolarmente
elevati che tuttavia però non sono riusciti a sviluppare sufficientemente questa risorsa e a
renderla una vera alternativa ai combustibili tradizionali. Tra i problemi relativi all’utilizzo
del cippato spicca poi quello legato alla sua scarsa conservabilità particolarmente
accentuata per tenori di umidità superiori al 35–40%.
Il legno umido infatti è un substrato eccellente per la crescita di vari microrganismi
xylofagi, funghi e batteri da cui la pianta normalmente si protegge grazie alla presenza
della corteccia; in seguito alla sminuzzatura però viene prodotta un’enorme quantità di
legno non protetto, e pertanto, moltiplicandosi la superficie ricettiva all’attacco dei
microrganismi, si innesca un processo di rapido deterioramento che è bene tenere sotto
controllo evitando ad esempio al cippato lunghi periodi di stoccaggio.
Generalmente l’attacco microbiologico inizia già poche ore dopo che il legno è stato
cippato e può andare avanti per diverse settimane, fino a che la temperatura generata dalla
respirazione microbica non diventa talmente elevata da inibire l’ulteriore proliferazione dei
microrganismi che ne sono la causa. Una delle conseguenze di questo processo di
deterioramento è innanzitutto la perdita di una notevole quantità di sostanza secca che,
venendo divorata dai microrganismi, non è più disponibile per la produzione di energia.
Con uno stoccaggio prolungato in condizioni sfavorevoli si può arrivare infatti a riduzioni
di massa superiori anche al 20% con evidente danno economico per il proprietario
dell’impianto. Per meglio rendersi conto dell’importanza del problema basti pensare che,
essendo il valore del cippato funzione del calore prodotto, perdere un 20% del potere
calorifico sul materiale consegnato in deposito significa innalzarne di fatto il suo costo di
un quinto.
Altri inconvenienti conseguenti all’attacco microbico sono poi: l’enorme sviluppo di spore,
che possono indurre reazioni allergiche nei soggetti sensibili rendendo così il deposito del
cippato un ambiente di lavoro particolarmente insalubre, nonché il rischio di
autocombustione a cui può andare incontro la catasta di chips per effetto delle alte
temperature dovute all’azione dei microrganismi. Quest’ultimo problema, abbastanza raro
in realtà negli impianti di riscaldamento per uso civile, tende a verificarsi quasi
esclusivamente nei depositi di grosse dimensioni, contenenti diverse migliaia di tonnellate
di materiale legnoso, e nei quali lo stoccaggio si prolunga oltre i 6–10 mesi.
A parità di condizioni (umidità e pezzatura) tutte le specie sono attaccate in modo più o
meno grave: pioppo e salice sono quelle più vulnerabili, mentre in generale le conifere
hanno una maggiore resistenza grazie soprattutto alla resina che garantisce loro una limitata
protezione.
7. ALCUNE MACCHINE PER LA RACCOLTA.
Già diverse aziende hanno predisposto modelli per raccogliere, pressare o cippare i residui
di potatura dell’olivo o di altre specie. Imballatrice prismatica LERDA 900L è una
macchina di tipo trainato, azionata dalla pdp (foto 7-8).
I residui di potatura vengono raccolti con un pick-up a tamburo rotante dotato di denti
elastici, che convoglia il prodotto all’interno del dispositivo di alimentazione, per essere
poi convogliato nella camera di compressione.
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La macchina funziona in continuo, senza interruzioni per lo scarico a terra della balla, che
avviene grazie alla spinta di quella formata in successione. Le balle prodotte hanno
dimensioni di 30x40x60 cm (www.lerdaagri.com).
Fig. 7-8 Imballatrice prismatica LERDA 900L
Rotoimballatrice CAEB Quickpower La Quickpower è una rotoimballatrice costruita con
rulli di acciaio (indurito per mezzo di specifici trattamenti termici), in grado di imballare
ramaglie e potature fino a 35 mm diametro e di completare un intero ciclo (carico del
materiale, legatura e scarico della balla) in meno di un minuto (foto 9-10). La balla tipo,
tipicamente di 60 cm di larghezza, 40 cm di diametro e della massa di circa 25/35 kg, viene
legata con una speciale rete estrusa in polipropilene. La massa della balla può essere variata
aumentando o diminuendo la pressione all’interno della camera. Sono disponibili 3
modelli, studiati per diverse larghezze interfilare: oltre alla Quickpower 1230, c’è la 930
(larghezza di lavoro compresa tra 0,95 e 1,25 m) e la 730 (per interfilari di larghezza
inferiore a 0,95 m). Dotazioni opzionali sono l’inversore della rotazione, per sbloccare la
macchina in caso di ingolfamento causato dal carico di materiali non idonei; le forche di
raccolta per evitare l’entrata di pietre e materiale estraneo all’interno della camera di
pressatura; una coppia di ruote posteriori, per regolare la macchina in altezza;
l’accumulatore di balle (2,55 x 1,87 m), che permette la raccolta delle balle confezionate fi
no ad un massimo di 7; due spazzole, azionate da motori idraulici orbitali da 160 cm³, per
aumentare la larghezza di raccolta (www.caebinternational.it).
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Fig. 9-10 Rotoimballatrice CAEB Quickpower
Trinciatrice BERTI Picker/Kargo 200 con cassone ribaltabile. Si tratta di un’operatrice
trainata disponibile in due versioni, da 1,4 e 2,0 m di larghezza di lavoro (foto 11-12). La
regolazione dell’altezza di raccolta da terra fa riferimento alla posizione rispetto al corpo
macchina di un rullo d’appoggio e, in parte, di quella del timone idraulico. Il pick-up di
raccolta ha denti rigidi, disposti in modo da evitare l’ingresso di sassi e terra. Il materiale
(max Ø 12 cm) viene sminuzzato in camera di trinciatura da un rotore di tipo forestale e,
grazie al flusso d’aria generato dalla sua rotazione, viene convogliato nel contenitore
posteriore, che viene sollevato e ribaltato idraulicamente per lo scarico, fino ad un’altezza
max di 3,3 m. La Picker/Kargo è omologata per la circolazione su strada, con l’impianto di
frenatura idraulica in opzione (www.bertima.it).
Fig. 11-12 Trinciatrice BERTI Picker/Kargo 200
Trinciacaricatrice NOBILI TRP 145-RT a sacchi sganciabili (foto 13-14). È composta dalla
trinciasarmenti TRP 145 e dal kit raccoglitralci RT. Il collegamento alla trattrice avviene
tramite l’attacco a tre punti, alla pdp e al circuito idraulico. Il prodotto è raccolto da terra
tramite un pick-up a denti rigidi e inviato nella camera di trinciatura, dove subisce la
frantumazione ad opera di un rotore a martelli.
43
Fig.13-14 Trinciacaricatrice NOBILI TRP 145-RT a sacchi sganciabili
Il flusso d’aria generato convoglia il prodotto all’interno di un sacco parallelepipedo in
tessuto traspirante (dimensioni 1,0x0,7x0,9 m). Il sacco è sospeso nella parte posteriore del
kit tramite 4 bretelle, che servono anche per la successiva movimentazione. Il cambio del
sacco non richiede l’interruzione della raccolta; i sacchi pieni possono essere lasciati lungo
l’interfilare, anche se in questo caso bisogna recuperarli successivamente. Inoltre, bisogna
tener conto dell’accatastamento e dello svuotamento dei sacchi stessi (www.nobili.com).
All’interno del progetto ECODENS per la raccolta di residui di potatura ci si è orientati per
una macchina trincia-caricatrice dell’azienda Az. Berti. S.r.l Mod. PICKER/C 160
ampiamente descritta precedentemente. Gli elementi presi in considerazione per la scelta di
questa macchina sono stati:
- la relativa semplicità nell’organizzare il cantiere di raccolta,
- la possibilità di potere utilizzare la macchina in terreni con forte presenza di scheletro,
- capacita di trinciare residui di diametro superiore a 6 cm,
- la presenza di una griglia di affinamento mobile con funzione di intercettare ed evitare
che biomassa con lunghezza superiore 20 cm possa convogliare all’interno del cassone
ribaltabile (foto 15-17).
- Una altezza di scarico del cassone fino a un max. di 2 m (foto 16).
Fig. 15-16-17 Trinciacaricatrice. Berti. S.r.l Mod. PICKER/C 160 con alcuni particolari
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8. CONCLUSIONI
Il settore delle energie rinnovabili è un settore in forte crescita su cui si stanno
concentrando innumerevoli sforzi, sia economici che di ricerca scientifica. I risultata fin qui
ottenuti, anche se parziali, sembrano convogliati nella giusta direzione ossia quella del
risparmio energetico, della riduzione dei costi, del rispetto dell’ambiente, e nel riutilizzo
delle risorse inutilizzabili.
Il progetto ECODENS nato come progetto pilota ha permesso di dimostrare come sia
possibile partendo da due materie prime, attualmente considerate dei costi per le aziende
che li producono (residui di potatura e sanse), produrre un agri-pellet con caratteristiche
pienamente confrontabili con i pellet ottenuti da altre tipologie di legno e immesse sul
mercato.
La settore agricolo siciliano produce una grande quantità di biomassa, inserirla all’interno
di un processo virtuoso e sostenibile è stato l’obbiettivo di questo progetto.
Sicuramente il processo di densificazione va ancora migliorato per renderlo quanto più
efficiente possibile. Affinché il processo sia economicamente sostenibile occorre che la
qualità e quantità delle materie prime siano costanti nel tempo. Caratteristica questa non
facile poiché la situazione agricola della nostra regione è alquanto diversificata e
frammentata. Ottimizzare il sistema di raccolta dei residui di potatura è stato l’obbiettivo
cardine del presente lavoro. Le prove fatti in campo dimostrano che l’organizzazione di un
razionale cantiere di lavoro e la scelta di una opportuna macchina sono soluzioni possibile,
inoltre il settore meccanico è attento alle esigenze e alle problematiche che si possono
riscontrare in campo ed è pronto a recepirle.
Le caratteristiche peculiari dei residui di potatura, elevata umidità e stagionalità di
produzione rendono ancora più complesso il lavoro. A tal proposito risultano indispensabili
ambi spazzi dove poter stoccare le biomasse raccolte, spazzi che devono essere coperti ed
efficacemente ventilati per permettere un rapido abbattimento dell’umidità fino al 20-25%
in modo da evitare o meglio limitare inneschi e sviluppi di processi fermentativi.
La massima attenzione va posta anche alle modalità di stoccaggio della biomassa, a tal
proposito bisogna evitare accatastamenti alti superiori a 2-2,5 m e continui, è opportuno e
consigliabile che la superficie della biomassa vegetale sia quanto più possibile messa in
contatto con l’aria, inoltre sarebbe auspicabile, e i risultati ottenuti lo confermano, che nel
primo periodo di stoccaggio i residui vegetali siano movimentati con cadenza pressoché
settimanale per favorire la perdita di umidità soprattutto nel nucleo centrale dove la
mancanza di ossigeno favorisce lo sviluppo dei batteri.
In conclusione i risultati ottenuti sono sicuramente incoraggianti anche se ancora sono
presenti margini di miglioramento, indubbiamente non è pensabile l’utilizzo di queste
macchie ad uso esclusivamente unitario. Vanno auspicati attivazione della filiera e una
gestione consortile che permetta di recuperare in maniera economicamente sostenibile i
residui di potatura delle diverse aziende nel territorio.
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9. BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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[2] Cavalli R. Correlatore Grigolati S. Facoltà di Agraria, Università degli studi di
Padova, Legnano.
[3] (Fonte: L. Recchia - Utilizzo di biomassa ligneo–cellulosica quale biocombustibile,
Dottorato in Ingegneria Agro-Forestale, Università degli Studi di Firenze).
[4] Cata Porceddu P.R., Bolli P., Babucci V., (2006) – Biomass from olive tree pruning
to produce energy – Second International Seminar “Biotechnology and quality of
olive tree products around the Mediterranean basin”, Marsala, Mazara del Vallo 5-10
novembre. nia 27-30 giugno.
[5]
Cristoforetti Andrea, Penner Francesco, Spinelli Raffaele (2008). Macchine per la
raccolta dei sarmenti. Terra Trentina, 2008.
[6] Francescato V. e Antonini E. 2011. Quando in cantina l’energia viene dalla vite. Il
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[7] Istat- VI Censimento dell’agricoltura 2010
[8]
Porceddu P.R., Babucci V. (2005) – Un cantiere di raccolta delle potature di olivo
per un utilizzo energetico – Convegno Nazionale AIIA 2005 “L’ingegneria agraria
per lo sviluppo sostenibile dell’area mediterranea”,
[9] Spinelli R. 2004. La raccolta dei residui da potatura. Quaderni ARSIA 6/2004:151158
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