Costi standard, quanta confusione

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SPESA SANITARIA
Costi standard,
quanta confusione
ROBERTO
FRAZZOLI
I
ntorno al tema dei costi standard regna oggi un caos terminologico che forse serve anche
a mascherare forti resistenze.
Per arrivare a una standardizzazione (e quindi evitare i tagli
lineari) è indispensabile una
misurazione oggettiva dei costi reali. Ne parliamo con Adriano Lagostena, coordinatore di N.I.San. e direttore generale dell’Ospedale Galliera.
È la siringa la protagonista assoluta delle dichiarazioni di tutti i politici alle prese con il tema dei costi standard in sanità, la famosa siringa che tutti gli
ospedali - da Aosta a Palermo - dovrebbero comprare
allo stesso identico prezzo. Ma siamo sicuri che questo sia un esempio calzante? Indubbiamente, se un
ospedale acquista un dispositivo medico a un prezzo superiore alla media di mercato spreca denaro
pubblico e aggrava i costi delle prestazioni fornite,
ma il concetto di “costo standard” è qualcosa di ben
più complesso.
La Conferenza delle Regioni, dal canto suo, ha annunciato di recente l’applicazione a regime dei costi
standard già dal 2014, ma l’accordo riguarda in realtà le modalità di ripartizione dei fondi messi a disposizione dal Ssn. Si parla quindi di spesa (un dato
prefissato per decisione politica), non di costi.
La confusione, insomma, regna sovrana. Eppure non
vi è dubbio che la standardizzazione dei costi sia importante per ricondurre tutte le strutture sanitarie
pubbliche a principi di efficienza, evitando sia i tagli
lineari - che penalizzano allo stesso modo gli ospedali più efficienti e quelli più spreconi - sia le incongruenze del tariffario stabilito dal Ssn. Per fare un
po’ di chiarezza su questo argomento, abbiamo rivolto alcune domande ad Adriano Lagostena, direttore generale dell’Ente Ospedaliero Ospedali Galliera
(Genova), nonché coordinatore della rete N.I.San.
(Network Italiano Sanitario per la condivisione dei
costi standard).
Primo dovere: misurare i costi
Implicitamente, quando si parla di costi standard
si fa riferimento ai costi effettivi medi delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie ben ammini28
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Adriano
Lagostena
strate; infatti, se ci si limitasse a considerare il costo medio calcolato sull’insieme di tutte le strutture
(comprese quelle “sprecone”), si finirebbe per fotografare l’esistente, inefficienze comprese. Per prima
cosa occorre quindi misurare i costi all’interno degli
ospedali “virtuosi”.
Ed è questo uno degli obiettivi che si pone N.I.San.,
una rete a cui aderiscono ospedali che ritengono di
operare con elevati livelli di efficienza. «Sapere quanto costano i prodotti è il primo dovere di chi dirige un’azienda», afferma Lagostena. Fedele a questo
principio, da anni N.I.San. rileva sistematicamente tutti i dati necessari ed elabora con cadenza annuale una lista di costi, utilizzando un metodo di
calcolo riconosciuto a livello internazionale (HPC,
Hospital Patient Costing). I risultati dell’ultima rilevazione, riguardante il 2011, sono stati presentati lo scorso 11 novembre nell’ambito di un convegno
tenutosi ad Aosta.
Le incongruenze del tariffario Ssn
Uno degli aspetti su cui N.I.San. attira l’attenzione
è rappresentato dalle differenze tra i costi medi rilevati nel 2011 e le tariffe fissate dal Ssn: alcune di
esse sono nettamente inferiori e quindi impongono
all’ospedale di lavorare in perdita, mentre altre sono
superiori e pertanto riconoscono alla struttura sanitaria un profitto non necessario. «Se le tariffe superano i costi c’è il rischio di comportamenti oppor-
UNA PERDITA DI OLTRE DUEMILA EURO PER OGNI PARTO VAGINALE
I costi medi rilevati da N.I.San. per il 2011 evidenziano significative discrepanze rispetto alle tariffe fissate dal Ssn:
alcune di esse sono nettamente inferiori al costo e quindi impongono all’ospedale di lavorare in perdita, mentre
altre sono superiori e pertanto riconoscono alla struttura sanitaria un profitto non necessario. Tra i Drg (Diagnosis
Related Group) con tariffa remunerativa, N.I.San. segnala il Drg 313 (“Interventi sull’uretra senza complicanze”),
che riconosce un +51% rispetto al costo medio; il Drg 16 (“Malattie cerebrovascolari aspecifiche con complicanze”),
con un +71%; e il Drg 224 (“Interventi su spalla, gomito o avambraccio eccetto interventi maggiori senza cc”), con un
+14%. Tra i Drg che presentano invece una perdita significativa rispetto al tariffato, N.I.San. ha individuato il Drg 541
(“Tracheostomia con intervento
chirurgico maggiore”), per il
quale a fronte di una tariffa di
51.900 euro si ha un costo medio
sostenuto di 101.000 euro; il Drg
544 (“Sostituzione di articolazioni
maggiori o reimpianto degli
arti inferiori”), con una tariffa
di 8.800 euro e un costo medio
di 13.600 euro; e il Drg 373
(“Parto vaginale senza diagnosi
complicanti”), con una tariffa di
1.300 euro e un costo medio di
2.900 euro. N.I.San. rileva che,
considerando anche il Drg 391
(“Neonato normale”), con una
tariffa di 560 euro a fronte di un
costo medio di 1.100 euro, per
far nascere un bambino con
parto vaginale l’azienda deve
mettere in preventivo un esborso
medio a proprio carico
di 2.140 euro.
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I DATI N.I.SAN. RELATIVI AL 2011
I dati rilevati da N.I.San. per il 2011 sono stati raccolti
secondo il metodo HPC in trentuno ospedali che afferiscono
alla Provincia Autonoma di Bolzano e alle regioni di Valle
d’Aosta, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia
Giulia, Abruzzo e Puglia. Lo studio ha evidenziato che un
terzo dei costi totali sostenuti dagli ospedali vanno a coprire
i cosiddetti costi di struttura (ad esempio utenze, pulizie,
pasti, servizi amministrativi e tecnici, ecc.) mentre i costi
direttamente imputabili al paziente (personale sanitario,
farmaci e dispositivi medici) rappresentano il 69% del totale.
Dall’analisi è emerso inoltre che le tariffe ministeriali definite
con decreto del 18 ottobre 2012 coprono solo il 57% dei
costi effettivamente sostenuti. I soli pazienti “outlier” - con
degenza oltre il valore soglia e spesso ricoverati in terapia
intensiva - hanno determinato oltre un terzo delle perdite
totali relative ai pazienti ordinari, pur rappresentando solo
il 5,3% di questo gruppo. Un altro dato emerso è che le
prestazioni di day hospital di tipo chirurgico (day surgery)
hanno mostrato un attivo di 80 euro di per paziente. Al
contrario, ogni paziente in day hospital medico ha comportato
una perdita di 305 euro: la tariffa, infatti, riconosce solo 282
euro, contro un costo medio di 587.
tunistici, cioè di indurre gli ospedali a promuovere
gli interventi remunerativi - e a scaricare i pazienti che invece necessitano di operazioni in perdita.
Se le tariffe sono realistiche, si evitano operazioni
non necessarie», sottolinea Lagostena. Ma come si
spiegano le incongruenze, talvolta clamorose, tra il
tariffario e i costi reali? Secondo il Ministero della
Salute, le tariffe si basano sul sistema dei Diagnosis
Related Groups (Drg, Raggruppamenti omogenei di
diagnosi) messo a punto all’Università di Yale da Robert Fetter. Ciò comunque non chiarisce tutti i dubbi. Sostiene infatti Lagostena: «Il metodo utilizzato
per determinare le attuali tariffe non è chiaro. In
particolare, non ci risulta che siano state determinate partendo dal basso, come previsto dal decreto
legislativo 133/2008. In tal senso, le tariffe non possono essere determinate a tavolino, con un metodo
“top-down”. Solo con un’analisi sul campo si potrà
rendere coerente il sistema tariffario con il concetto di sostenibilità legato alle risorse effettivamente
disponibili».
Chi ha paura dei costi standard?
La confusione terminologica che circonda il tema dei
costi standard serve forse anche a nascondere le resistenze che questo strumento incontra all’interno
LA RETE N.I.SAN.
La rete N.I.San. (Network Italiano Sanitario per la
condivisione dei costi standard, degli indicatori e dei
risultati) si è costituita nell’aprile 2009 con la finalità dello
scambio di informazioni relative ai costi standard delle
attività sanitarie. Il gruppo comprende oggi 21 membri
(aziende ospedaliere, aziende sanitarie, Irccs) aventi sede
in dieci regioni italiane, i quali gestiscono in condivisione
i risultati relativi all’elaborazione dei costi standard
delle attività sanitarie svolte da ciascuno, secondo
uno strumento tecnico omogeneo di elaborazione dei
costi (Cso, Controllo Strategico Ospedaliero) basato
sul metodo di analisi Hpc (Hospital Patient Costing). Il
metodo Hpc è stato approvato nel 2011 dalle quattro
organizzazioni più prestigiose in questo campo: Canadian
Institute for Health Information, Indipendent Hospital
Pricing Authority, HealthCare Financial Management
Association, Health Economic Resource Center. Per
dimensioni, la rete N.I.San. è la terza in Europa tra quelle
che rispettano i dettami dell’Hpc, dopo le reti di Gran
Bretagna e Germania. Gli studi compiuti da N.I.San.
intendono incidere soprattutto sulla ripartizione delle
risorse tra le diverse aziende sanitarie nell’ambito della
stessa Regione.
del sistema sanitario pubblico. «In Italia c’è un rifiuto dei costi standard», osserva Lagostena. «A chi
fanno paura? Perché i laboratori di analisi pubblici
sono in disavanzo, mentre i laboratori privati fanno
profitti? Indubbiamente - prosegue il coordinatore di
N.I.San. - all’interno degli ospedali lo strumento dei
costi standard incontra delle resistenze, perché viene visto come un giudizio sull’operato delle persone.
Per questo, a volte, i dati che raccogliamo vengono
messi in dubbio». La scarsa propensione degli ospedali ad adottare il metodo Hpc si deve quindi, secondo il nostro interlocutore, a questo tipo di resistenze.
«Il metodo in sé è semplice e non richiede lavoro
aggiuntivo per la raccolta dei dati, perché si tratta degli stessi dati che sono già compresi nelle Sdo
(schede di dimissione ospedaliera) e nella contabilità analitica. Ne è dimostrazione il comportamento
dell’Asl di Teramo, che ha aderito recentemente alla rete N.I.San. ed è riuscita a misurare i propri costi effettivi per prestazione in soli sei mesi. Per fare
ciò è evidente che occorre un’analisi organizzativa
(che fa che cosa), ma questo è un obbligo aziendale”,
conclude Lagostena. Non resta quindi che augurarsi un ulteriore sviluppo della rete N.I.San. e il recepimento delle sue proposte da parte delle Regioni.
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