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SINDACALISTI E POLITICA
UNA RICERCA TRA I DIRIGENTI DELLA CGIL
Ires Veneto sta conducendo, per conto di Cgil Lombardia e Veneto, un’indagine sul rapporto dei
sindacalisti con la politica; un tema di lunga durata, parte integrante delle motivazioni e del senso di
sé dei sindacalisti, ma sottoposto negli ultimi anni ad una radicale discontinuità.
Da tempo i partiti della sinistra italiana non ambiscono a dichiararsi, e ad essere identificati, come
“partiti del lavoro”, e anche in Europa il quadro è assai diversificato; tuttavia, l’ancoraggio della
Cgil al mondo della sinistra politica non ha cessato di produrre effetti in termini di riferimento
culturale, modelli organizzativi, collocazione istituzionale.
Forse, il più esplicito tentativo di ripensare il nesso politica/Cgil in chiave di autonomia progettuale
del sindacato è stato quello di Bruno Trentin che con il “sindacato dei diritti” apriva alla ricerca di
un pensiero originale, avvertendo le irrequietezze che percorrevano una società e un sistema politico
in forte mutamento.
Da quella stagione sono maturati processi che hanno ulteriormente destrutturato il tradizionale
rapporto sindacato/politica, lasciando irrisolto il problema di come la Cgil può darsi un profilo
progettuale/politico che le assicuri indipendenza e offra ai suoi quadri un autonomo orizzonte di
senso e di riconoscimento professionale.
La Cgil, infatti, oltre a rendere effettiva la presa di distanza dai partiti, ha l’obbligo di produrre un
pensiero proprio che vada oltre uno specifico sindacale, che rischia di essere fragile, al peggio
corporativo, se manca del retroterra fornito da una lettura complessiva della società.
La riflessione che ispira la ricerca, quindi, non circoscrive l’idea di politica al rapporto con le
strutture deputate, partiti e istituzioni, ma vuole cogliere il senso profondo dell’agire politico che
caratterizza la vita attiva di un sindacalista. Con l’obiettivo di capire se questa esigenza è sentita
come necessaria e urgente, e per quali linee i dirigenti, specie i più giovani, ritengono debba
svilupparsi la politicità della Cgil.
I saggi qui pubblicati danno conto dei primi esiti di tale lavoro.
Il primo tratteggia l’elaborazione di circa 1.500 questionari raccolti a fine 2013 nei direttivi
provinciali di categoria, tra delegati, Rsu e funzionari; il secondo è frutto di 40 interviste condotte a
funzionari/e a tempo pieno (di categorie, servizi, confederazione), tutti di età inferiore a
quarant’anni.
Alfiero Boschiero
direttore Ires Veneto
Gruppo di ricerca: Gabriele Ballarino e Nicole Casanova dell’Università Statale di Milano,
Vladimiro Soli di Poster Vicenza e Ires Veneto.
Marzo 2014
SINDACALISTI E POLITICA. PRIMI RISULTATI DA UN’INCHIESTA SUL CAMPO
GABRIELE BALLARINO e NICOLE CASANOVA
Introduzione
In un’economia di mercato governata democraticamente, il rapporto tra organizzazioni sindacali e sfera
politica costituisce uno dei parametri istituzionali decisivi delle relazioni di lavoro, sia oggettivamente che
soggettivamente. Oggettivamente, questo rapporto è importante perché le organizzazioni sindacali
rappresentano gli interessi di grandi sezioni della popolazione, e il modo in cui sono strutturate le relazioni
tra i loro dirigenti, funzionari e militanti e gli esponenti della politica (nel senso dell’inglese polity: l’insieme
di governo, parlamento, partiti politici, ecc., e relativi rapporti) ha evidentemente un impatto decisivo sul
modo in cui gli interessi dei membri dell’organizzazione si traducono nelle strategie sindacali (Cella e Treu,
1998). Ma è forse ancora più importante soggettivamente, perché il modo in cui uomini e donne appartenenti
al sindacato concepiscono il proprio rapporto, ideale e operativo, con la sfera politica ha un impatto
altrettanto decisivo sui loro comportamenti, individuali e collettivi, e sul modo in cui questi si organizzano in
azione sindacale (Carrieri e Donolo, 1990).
Il tema è tanto più importante nell’Italia del 2014. Le organizzazioni dei lavoratori, come tutti gli attori
sociali ed economici, si trovano di fronte a una crisi sia economica sia politica. La crisi economica schiaccia
le scelte presenti su vincoli e scadenze eteronomi e quindi difficili da accettare, ma al tempo stesso obbliga a
una riflessione strategica sulle condotte trascorse e le opportunità future (Regalia, 2007; 2008). La crisi
politica, a sua volta, ridefinisce la struttura della polity e il rapporto tra questa e gli attori sociali ed
economici, e questa duplice ridefinizione impone al sindacato di riposizionarsi, ridefinendo allineamenti e
investimenti in un quadro politico diverso da quello dei due decenni appena trascorsi (Carrieri, 1995).
In questo contesto nasce la ricerca di Ires Veneto, condotta per conto di Cgil Lombardia e di Cgil Veneto, di
cui questo articolo presenta i primi risultati. L’articolo comprende quattro paragrafi e le conclusioni. Il
paragrafo 1 presenta, molto in breve, i termini teorici del problema. Il secondo presenta la ricerca di Ires
Veneto, commissionata da Cgil Lombardia e Veneto, da cui provengono i dati utilizzati. I paragrafi successivi
riportano una scelta di risultati della ricerca, riguardanti il rapporto con la politica (3); gli orientamenti politicoculturali (4); la concezione del lavoro sindacale (5). Infine, alcune considerazioni conclusive.
1. Sindacato e politica in Italia
La teoria delle relazioni industriali insegna che il rapporto tra sindacato e politica si può declinare in tre
forme principali (Cella, 1999). In primo luogo, ci può essere una situazione di mancanza di rapporti stabili,
ovvero di totale autonomia sindacale: è questo il caso del sindacalismo anarchico e rivoluzionario o, all’altro
estremo dello spettro politico, del sindacalismo aziendale. In secondo luogo, ci può essere una situazione di
dipendenza del sindacato da uno o più partiti politici: questo è il caso non solo della maggior parte dei partiti e
dei sindacati comunisti del secolo scorso, dove il sindacato fungeva da “cinghia di trasmissione” della linea del
partito alle masse lavoratrici, ma anche dei fascismi europei e dei movimenti nazional-populisti, come il
peronismo argentino, i cui leader spesso provengono dal sindacato e ne utilizzano il radicamento e la capacità
di mobilitazione. La terza situazione è quella di interdipendenza, caratteristica delle socialdemocrazie e dei
regimi di relazioni sindacali pluralisti, in cui sindacato e partito sono indipendenti ma collegati in
configurazioni di vario genere, che possono vedere il sindacato ispirare partiti di opposizione o di governo prolabour, ma anche contestare duramente governi anti-labour o che comunque devono prendere provvedimenti
contrari agli interessi di breve periodo dei lavoratori rappresentati dal sindacato.
Per quanto riguarda il caso italiano, la storia del rapporto tra sindacato e politica è stata ricostruita in modo
dettagliato e convincente per quanto riguarda i primi 50 anni, più o meno, della storia repubblicana (Regalia e
Regini, 1998; Regini, icp). La rottura post-bellica dell’unità sindacale si tradusse in una forte dipendenza dei
sindacati dalla politica, secondo il classico modello della cinghia di trasmissione nel caso della Cgil e del Pci,
con sfumature diverse nel caso della Cisl e della Dc (Regini, 1984; Urbani 1976). È una fase molto studiata
(Accornero, 1992), così come la fase successiva, in cui i sindacati, a partire dal primo centrosinistra e in modo
massiccio dopo la grande mobilitazione di massa del ’68-’69, vengono coinvolti nel governo dell’economia,
prima con la subordinazione della politica alle rivendicazioni sindacali, e poi, dal 1977 in avanti, con le
1
strategie di concertazione e di scambio politico (Pizzorno, 1977; 1980; Regalia, 1984). Negli anni ’80 si rompe
l’unità sindacale, e i sindacati, divisi e più deboli a causa delle trasformazioni del lavoro e dei mercati, tornano
per certi versi a subordinarsi agli imperativi della politica, come nel caso del referendum del 1984 sulla “scala
mobile” (Baldassarre, 1981; Chiesi, Regalia e Regini, 1995).
Ma poi, cos’è successo? Da una parte, c’è molta ricerca su un fenomeno di grande importanza, come i patti
sociali, nazionali e locali, formalizzati negli anni ’90 e successivi (Regini e Colombo, 2011; Della Porta, Greco
e Szakolczai, 2000), ma su altri temi ci sono buchi giganteschi. A quanto ne sappiamo, mancano a tutt’oggi
studi seri sugli effetti sul sindacato della scomparsa di due dei tre partiti centrali del sistema politico
repubblicano (Psi e Dc), e delle trasformazioni e scissioni del Pci e dei partiti successori. C’è poca ricerca
empirica sugli effetti della concertazione sulla regolazione del mercato del lavoro e nelle modalità della sua
flessibilizzazione, nella seconda metà degli anni 90. Mancano studi sulle carriere parlamentari e manageriali dei
sindacalisti. Eppure queste sono state brillanti: gli ultimi due segretari nazionali del Psi sono stati due
sindacalisti, Ottaviano Del Turco e Giorgio Benvenuto, e nel 2013 il Pd si è affidato a un altro sindacalista
socialista, Guglielmo Epifani, per ricomporre le lacerazioni create dal deludente esito elettorale e dalla
spaccatura sull’elezione del Presidente della Repubblica. Fuori dalla politica, l’attuale amministratore delegato
di Trenitalia, Mauro Moretti, proviene dal sindacato, così come altre centinaia di manager di aziende,
soprattutto ma non solo pubbliche.
La ricerca Ires Veneto di cui questo articolo presenta i primi risultati vuole portare un contributo per
colmare questo vuoto di ricerca: l’obiettivo è raccogliere informazioni su come donne e uomini della Cgil
vedono il proprio mestiere, la politica, e il rapporto tra le due sfere. Si tratta di una ricerca in primo luogo
descrittiva.
2. La ricerca
Il progetto di ricerca Sindacalisti e politica, condotto da Ires Veneto in collaborazione con il Dipartimento di
Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Milano, per conto di Cgil Lombardia e di Cgil Veneto, vuole
investigare il rapporto esistente tra donne e uomini della Cgil – appartenenti alle tre figure professionali del
dirigente-funzionario, delegato del luogo di lavoro (Rsa/Rsu) e operatore dei servizi – e il sistema politico
italiano. La ricerca si è avvalsa di due strumenti: un questionario a risposte chiuse e una serie di interviste in
profondità. In questo articolo si presentano i primi risultati ricavati dal questionario.
Per quanto riguarda il lavoro sul campo, purtroppo non è stato possibile somministrare il questionario a un
campione casuale di delegati, funzionari, dirigenti e operatori dei servizi Cgil delle due regioni: le
caratteristiche organizzative della confederazione avrebbero richiesto procedure di campionamento casuale
complesse, costose e per certi versi rischiose. Un lavoro lungo e impegnativo, per svolgere il quale in modo
affidabile era necessario più tempo di quanto non fosse disponibile. Per questo si è scelto di somministrare i
questionari nel corso dei Direttivi provinciali delle diverse categorie, lasciando alle segreterie regionali la
definizione del piano di somministrazione, con l’obiettivo di avere un campione strutturato in modo simile
all’intera popolazione, anche se non statisticamente rappresentativo. In questo modo sono stati raggiunti
dirigenti, funzionari e delegati, che fanno parte dei Direttivi, mentre il personale dei servizi è stato raggiunto
direttamente nelle Camere del lavoro in cui è attivo. Le Camere del lavoro coinvolte, nelle due regioni, sono
state Belluno, Bergamo, Mantova, Milano, Rovigo, Padova, Sondrio, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza.
Si tratta dunque di un “campione di convenienza” (Corbetta, 1999). Vale la pena di aggiungere che,
trattandosi di questionari somministrati ai partecipanti ai Direttivi, siamo di fronte ad un campione di
soggetti auto-selezionati sotto due punti di vista: sia per il fatto che ad esprimere la loro opinione sono stati i
sindacalisti presenti durante i Direttivi, sia perché all’interno di questo gruppo abbiamo le risposte soltanto di
coloro che hanno deciso di compilare il questionario. È possibile, quindi, che siano sovra-rappresentati i
sindacalisti e le sindacaliste più motivati verso l’organizzazione. Nonostante i limiti riconducibili alla
mancata selezione casuale del campione di riferimento, che ci consentirebbe di generalizzare i risultati
all’intera popolazione dei sindacalisti Cgil, occorre sottolineare il fatto che la numerosità relativamente
elevata del campione, e la sua ampia distribuzione per categorie e territori garantisce comunque una discreta
attendibilità. Il questionario somministrato era suddiviso in 5 sezioni, dedicate rispettivamente a: 1) rapporto
con il sindacato; 2) orientamenti rispetto a politica e istituzioni; 3) orientamenti culturali; 4) il senso
dell’azione sindacale; 5) informazioni socio-demografiche.
Il campione finale comprende 1.545 persone, 677 in Lombardia e 868 in Veneto, anche se un centinaio di
questionari presentano numerose informazioni mancanti. Degli intervistati che hanno compilato correttamente
il questionario, circa il 14% sono dirigenti o funzionari, oltre il 64% delegati e il 22% operatori di servizi
(principalmente Inca, Caaf e Uffici vertenze). La loro anzianità sindacale media è attorno ai 10 anni, senza
differenze significative tra i tre gruppi. Tutte le categorie sono rappresentate, come richiesto dal disegno della
ricerca, anche se si osserva una leggera sottorappresentazione della scuola e della Pubblica amministrazione e
una leggera sovrarappresentazione dell’agroalimentare e del chimico-tessile. La distribuzione per genere vede
prevalere i maschi, che sono oltre il 63% degli intervistati, mentre nella distribuzione per età la fascia più
numerosa è quella tra i 50 e i 60 anni, da cui proviene il 38% circa degli intervistati, seguita da quella tra i 40 e i
49 (33%), quella tra i 30 e i 39 (18% circa) e quella oltre i 60 (10%). Solo il 2% circa è nato dopo il 1982, e ha
quindi 30 anni o meno. Circa il 4% degli intervistati è cittadino straniero, un altro 3% è figlio di un padre
straniero. Per quanto riguarda il titolo di studio, il 57% circa ha la licenza media inferiore, il 21% le elementari,
il 15% circa il diploma di maturità e solo il 2% è laureato. Le origini sociali sono, come ci si potrebbe aspettare,
medio-basse: il 54% del campione proviene da una famiglia operaia (compresi gli agricoltori); il 15% circa da
una famiglia piccolo-borghese (lavoro autonomo); il 24% da una famiglia di lavoratori dipendenti, e il 7% da
una famiglia borghese (dirigenti, professionisti e imprenditori anche piccoli).
3. La politica
Il nostro percorso incomincia con gli atteggiamenti di uomini e donne Cgil nei confronti delle istituzioni, sia
in generale che politiche nel senso più proprio del termine.
Tab. 1 - Fiducia istituzionale: % di risposte “molto” e “abbastanza” alla domanda “Puoi dire quanta fiducia hai nelle
seguenti istituzioni”?, per caratteristiche socio-demografiche
Parlamento
Sistema
dei partiti
Totale%
23,6
13,0
Maschio
Femmina
23,5
24,0
14,8***
9,8
50+
40-49 anni
30-39 anni
meno di 30
30,3***
18,9
19,2
16,7
17,5***
10,4
9,8
6,7
Elem./obbligo
Diplom/ laurea
22,9
27,3
12,6
14,9
Segr./funz.
Delegati
Operat. servizi
40,0
18,7***
28,0*
20,0
11,9**
12,0
Presidente
della
Repubblica
54,2
Forze di
Unione
Chiesa
polizia/
Magistratura
Sindacato
europea
cattolica
Esercito
49,1
71,1
46,8
88,0
28,8
Genere
54,4
46,7
72,1
42,4
87,9
29,3
54,7
52,2**
70,4
54,0*** 88,1
27,1
Età
61,5***
48,4
74,6*** 46,4
90,6
29,7
50,0
52,6
70,4
48,6
87,7
30,9
47,4
43,6
71,1
48,7
86,9
23,7**
46,7
43,3
50,0
46,7
80,0
13,3***
Titolo di studio
52,9
51,4**
69,3
45,5
87,7
28,4
60,8
37,2**
79,2*** 52,7
88,2
27,8
Incarico sindacale
68,3
45,4
81,2
48,4
93,6*** 26,5
48,0***
49,2
67,8*** 41,5
88,7
28,8
62,8
49,2
72,3
61,0
83,9
29,6
Fonte: ns. indagine diretta
La tabella 1 mostra la percentuale di intervistati che hanno risposto di avere “molta” e “abbastanza” fiducia
nelle istituzioni riportate sulla prima riga1. Il sindacato è quella che riscuote la fiducia maggiore, per un totale
attorno all’88%. La fiducia nel sindacato è maggiore tra i segretari e i funzionari, e minore tra gli operatori dei
servizi, ma lo scarto, anche se statisticamente significativo, non è forte2. Da questo scarto deriva il gradiente per
età, che è comunque limitato, eccetto il caso degli under 30, dove la fiducia per il sindacato scende all’80%.
Al secondo posto si trova la magistratura, che gode della fiducia di circa il 71% degli intervistati, con
variazioni significative in funzione della posizione nell’organizzazione e del titolo di studio: segretari e
funzionari, individui con la maturità e individui oltre i 50 nutrono maggiore fiducia in questa istituzione. La
fiducia nell’Europa ha un andamento simile, ma su livelli inferiori, attorno al 47%. Di poco superiore (circa
49%) la fiducia nell’esercito e nella polizia, dove però l’andamento per titolo di studio è opposto: chi ha
1
Questa batteria, come quella sulla cultura politica (tab. 4), provengono dal questionario Itanes 2013 (www.itanes.org).
Ringraziamo Cristiano Vezzoni (Università di Trento) che ci ha gentilmente fornito il questionario.
2 Le tabelle riportano le frequenze bivariate. Gli asterischi riportati derivano da modelli multivariati. Per ogni variabile dipendente è
stato stimato un modello di probabilità lineare in cui essa è regredita sulle variabili socio-demografiche riportate in tutte le tabelle. I
regressori che risultano significativi in questo modello sono segnalati con asterischi (*: p=0.10; **: p=0.05; ***: p=0.01. Gli errori
standard sono robusti). Per spiegarci: nel caso della fiducia nel sindacato, nel modello non risulta significativa l’età (che lo è a livello
bivariato, come si intuisce dalla frequenza e si può verificare con il test del chi quadro sulle frequenze stesse), ma lo è l’incarico
sindacale: questo significa che a parità di ruolo sindacale, l’età non fa differenza. Dunque quando si trova un asterisco, significa che
quella differenza non dipende da differenze relative ad altri fattori (effetti di composizione: l’età sembra fare differenza, per la
diversa composizione per ruolo sindacale delle diverse età). Nel testo, il termine “significativo” viene usato solo in riferimento alla
significatività statistica.
3
studiato di più, in questo caso ha meno fiducia. Le donne hanno maggiore fiducia sia nell’Unione europea
che nell’esercito e polizia. Non è molto alta, invece, la fiducia nella Chiesa cattolica, attorno al 30%,
nonostante il rinnovamento in corso ai suoi vertici e l’ampio consenso mediatico che lo accompagna, con il
gradiente per età che ci si potrebbe attendere: minore l’età, minore la fiducia nella Chiesa.
Delle tre istituzioni “politiche” nel senso più proprio comprese nella batteria, il solo Presidente della
Repubblica raggiunge un livello medio-alto di fiducia, al 54%, mentre il Parlamento si ferma al 23% e i
partiti addirittura al 13%. In sostanza, la fiducia dei sindacalisti verso le istituzioni della democrazia
rappresentativa è inferiore a quella verso qualsiasi altra istituzione compresa nella batteria. Una posizione
che i sindacalisti condividono, evidentemente, con gli italiani in complesso, che rivela quanto forte sia oggi il
distacco tra la sfera della politica (polity) e l’opinione pubblica. Un altro dato che va nella stessa direzione, e
deve fare riflettere, è il gradiente per età: la fiducia nelle istituzioni politiche è significativamente più elevata
per i più anziani e più bassa per i giovani. Come ci si potrebbe attendere, essa è più elevata tra i funzionari e i
dirigenti, ma anche tra questi rimane comunque bassa: solo il 20% di questi ha fiducia nel sistema dei partiti
(contro un 7% degli under 30).
Tab. 2 - Rapporti con la politica, per caratteristiche socio-demografiche
Totale%
Maschio
Femmina
50+
40-49
30-39
meno di 30
Elem./obbligo.
Diploma/laurea
Segr./funz.
Delegati
Operat. servizi
In generale si
Si sente vicino ad un partiNelle decisioni di voto tiene
interessa di politica to o movimento politico
conto delle posizioni della Cgil
74,7
69,5
61,0
Genere
78,6***
70,9*
61,3
68,8
67,2*
60,7
Età
83,1
78,1
63,9
67,6***
62,1***
61,2
72,5***
65,7***
56,9
66,7*
56,7
50,0
Titolo di studio
72,2
68,8
62,3**
86,6***
72,9***
55,4
Incarico sindacale
91,8
84,9
67,5
72,6***
66,6
60,0
70,4***
70,2
59,2
Fonte: ns. indagine diretta
La tabella 2 contiene tre indicatori dei comportamenti dei sindacalisti Cgil rispetto alla politica: l’interesse
per la politica, la vicinanza a un partito e il peso che hanno le indicazioni dell’organizzazione rispetto al
voto. Come ci si poteva attendere, si tratta di una sfera cui sono dedicate molte energie: circa il 75% degli
intervistati si interessa “molto” o “abbastanza” di politica. L’interesse è più forte tra i maschi, tra le persone
sopra i 50 anni, tra coloro che hanno la maturità e tra i dirigenti e funzionari. Circa il 70% degli intervistati si
sente vicino a un partito politico (vedremo tra breve quale), con un andamento per categorie sociodemografiche molto simile a quello dell’interesse per la politica, se non per quanto riguarda il ruolo
sindacale. La terza colonna mostra il peso della Cgil nell’orientare il voto dei membri. In complesso, oltre il
60% degli intervistati “nelle decisioni di voto tiene conto delle posizioni espresse dalla Cgil” (così è
formulata la domanda del questionario). La percentuale non cambia significativamente rispetto alle variabili
socio-demografiche, se non per quanto riguarda il titolo di studio.
A quale partito, quindi, si sentono vicini donne e uomini Cgil? La tabella 3 ci dà una risposta, che è però
limitata al 70% circa di intervistati che si sentono vicini a un partito.
Tab. 3 - Risposte alla domanda “A che partito politico si sente vicino?”, per ruolo sindacale
Pd
Sel
M5S
Prc
Altri di sinistra
Sinistra
Centro sinistra
Altri non di sinistra
Totale
Fonte: ns. indagine diretta
Segr./fun
65,4
24,8
0,8
4,5
3,0
0,8
0,8
0,0
100,0
Delegati
60,6
17,1
8,5
5,7
2,6
2,8
1,3
1,3
100,0
Operatore
74,9
20,0
0,6
0,0
1,7
2,3
0,0
0,6
100,0
Totale
64,7
19,1
5,4
4,2
2,5
2,4
0,9
0,9
100,0
Percentuale
64,9
18,7
5,3
4,3
2,6
2,2
1,0
1,0
100,0
Come ci si può aspettare, il partito più gettonato è il Partito democratico, cui si sentono vicini quasi due terzi
degli intervistati, seguito da Sinistra ecologia e libertà, con quasi un intervistato su 5, dal Movimento cinque
stelle, con oltre il 5%, e da Rifondazione comunista con qualcosa di più del 4%. Solo l’1% degli intervistati
si dichiara vicino a un partito non di sinistra (Idv, Pdl, Lega Nord, Scelta civica). Se si divide questo dato a
seconda del ruolo rivestito dalla persona, vediamo che tra i delegati sono di più, in proporzione, coloro che si
sentono vicini al partito di Beppe Grillo, mentre gli operatori fanno riferimento quasi completamente all’area
politica del centro-sinistra (Pd e Sel).
4. La cultura politica
Quali sono gli orientamenti politico-culturali di donne e uomini Cgil? La tabella 4 fornisce molte
informazioni in merito. Come nella tabella 1, per ogni colonna, la tabella riporta la % di individui che si sono
dichiarati “molto” o “abbastanza” d’accordo con le affermazioni riportate. Tutte le affermazioni si
riferiscono a temi politici “caldi”, ovvero all’atteggiamento degli intervistati nei confronti di temi frequenti
nel dibattito politico degli ultimi anni, controversi e capaci di causare forti fratture nell’opinione pubblica e
nell’elettorato.
Tab. 4 - Opinioni di cultura politica: % di risposte “molto” e “abbastanza” alle domande riportate nella riga
superiore, per caratteristiche socio-demografiche
Alle donne
va dato un
trattamento
preferenziale nella
ricerca di
lavoro e
nella carriera professionale
Gli
immigrati
dovrebbero
adattarsi
alle
tradizioni
culturali
italiane
Il governo
non
dovrebbe
intervenire
in
economia
Si
dovrebbe
intervenire
con
maggiore
decisione
per
proteggere
l’ambiente
Totale%
58,2
22,6
84,9
57,2
Maschio
56,4
21,9**
83,0
54,8
Femmina
60,3**
22,6**
88,8***
50+
40-49 anni
30-39 anni
meno di 30
56,8
60,3
50,2
48,3
22,6
21,5
18,5
13,8
84,6
87,6
82,2
93,1
59,1
56,9
56,4
55,2
25,1***
85,5
58,3
10,0
84,2
51,9
44,5
63,4***
13,5
26,5***
81,9
84,8
57,8
60,1
51,6
16,0
86,9
46,7***
Elem/obbligo
60,1***
Diploma/lurea
47,9
Segr./funz.
Delegati
Operat.
servizi
60,0***
Le persone
che
infrangono
le leggi
dovrebbero
ricevere
condanne
più severe
75,4
Genere
72,4
80,6***
Un sistema
di
protezione
sociale
stabile
dovrebbe
essere il
primo
obiettivo di
qualsiasi
governo
84,7
I soldi delle
tasse
dovrebbero
essere
amministra
ti autonomamente
dalle
Regioni
81,6
75,2
15,2
45,8
45,6
84,0
81,3
75,8**
17,1
39,2
45,8
86,8
83,3
74,2
11,5
81,8
83,9
79,0
79,3
80,0
70,1***
71,4***
72,4
13,6
15,3*
16,6**
6,9
37,0
53,7***
47,9***
65,5***
40,1
51,5***
46,0
44,8
82,6
73,2
16,6***
48,2***
48,4***
80,0
84,3***
34,1
33,8
78,7
82,3
83,8
72,4***
26,6
47,9***
26,8
51,1***
81,7
78,9
48,9***
40,7***
Età
73,9
84,5
77,2
85,8
76,2**
83,1
78,6
96,6**
Titolo di studio
85,2
78,3***
62,7
85,0
Incarico sindacale
67,4
79,9
77,0***
84,2
74,8
Il governo
dovrebbe
Gli
intervenire
Oggi in
immigrati Bisogna
per ridurre
Italia c’è
sono
rendere più
le
bisogno di
un bene per difficile
differenze
un leader
l’economia l’aborto
di reddito
forte
italiana
tra i
cittadini
88,8
7,3
9,9
18,0***
8,1
56,2***
46,3
Fonte: ns indagine diretta
Delle 11 affermazioni proposte agli intervistati, 3 ottengono un consenso quasi totale, ben oltre l’80%: c’è
consenso universale sulla necessità di un intervento politico per la protezione sociale e a tutela dell’ambiente
(85% di consensi in entrambi i casi) e per la riduzione della disuguaglianza dei redditi (82%). Non ci sono
variazioni significative, se non nel caso della tutela dell’ambiente, più importante per le donne. Per quanto
riguarda gli immigrati, il consenso è quasi altrettanto forte sull’affermazione che essi “sono un bene per
l’economia italiana”, su cui oltre tre intervistati su quattro sono molto o abbastanza d’accordo, con variazioni
significative ma non massicce. Più controversa è la questione dell’integrazione: circa il 58% degli intervistati
è d’accordo sul fatto che gli immigrati debbano adattarsi alle tradizioni italiane; le donne, coloro che hanno
studiato di meno e i delegati sono le categorie più convinte di questa necessità.
Un altro punto su cui c’è forte consenso, oltre il 75%, è che “le persone che infrangono le leggi dovrebbero
ricevere condanne più severe”, con un andamento per categorie socio-demografiche identico a quello
dell’adattamento degli immigrati. Più controversa l’opinione sul genere e il lavoro, anche se comunque oltre
5
il 57% degli intervistati sono favorevoli a un “trattamento preferenziale” per le donne nel lavoro. Lo sono di
più non solo le donne, come è ovvio, ma anche gli operatori dei servizi (a parità di genere), che
probabilmente avvertono più di altri le difficoltà che le donne incontrano sul mercato del lavoro, in
particolare nella conciliazione di impegni lavorativi e familiari. Un secondo punto controverso, con circa il
46% di consensi, è sul fatto che “oggi in Italia c’è bisogno di un leader forte”. Questa necessità è avvertita in
particolare dalle donne, dalle persone più giovani, dalle persone meno istruite, ed è meno avvertita da
funzionari e dirigenti. Un terzo punto controverso riguarda l’autonomia fiscale delle regioni, su cui è
d’accordo qualcosa di meno del 46% degli intervistati. Le persone più anziane sono più favorevoli a questa
affermazione, i dirigenti e funzionari lo sono di meno.
Infine, due affermazioni sulle quali c’è consenso minimo sono “il governo non dovrebbe intervenire in
economia” e “bisogna rendere più difficile l’aborto”. A pronunciarsi in maniera favorevole al primo punto
sono donne (22,6%), persone con un livello di istruzione medio/basso (25,1%) e delegati (26,5%), che
preferirebbero quindi che il governo non si occupasse di politica economica. Sono contrari invece all’aborto
o pensano che si dovrebbe renderlo più difficile delegati, meno istruiti e più anziani.
5. Il rapporto con il sindacato
Veniamo ora al rapporto con il sindacato e all’atteggiamento di donne e uomini Cgil nei confronti del loro
lavoro. Il questionario chiedeva, a questo proposito, quali fossero le attività più gratificanti tra quelle svolte
nel proprio ruolo di sindacalista. La tabella 5 riporta la percentuale di risposte “molto” e “abbastanza” per le
attività riportate nella prima riga.
L’attività più gratificante è la “tutela individuale del lavoratore”, che si presenta quindi come il core business
del sindacato, molto o abbastanza gratificante per quasi l’87% degli intervistati. In particolare, la tutela
individuale è importante per le persone meno istruite e per gli operatori dei servizi. Seguono la
“contrattazione aziendale” e la “rappresentanza sindacale”, entrambe con oltre il 74% di consensi.
Interessante, e da tenere presente, il dato per gli operatori dei servizi, che sono molto meno interessati a
questa attività di funzionari, dirigenti e delegati. In generale, si osservi la riga relativa agli operatori di
servizi: si nota che la pensano diversamente dagli altri ruoli su quasi tutte le attività. È chiaro che per loro il
mestiere del sindacalista è diverso, come mostrano le risposte relative alla “gestione attività tecniche”, che è
molto gratificante per quasi il 90% degli operatori dei servizi, contro il 50% circa degli altri.
Tab. 5 - Attività gratificanti per il sindacalista: % di risposte “molto” e “abbastanza” alle domande della riga superiore
per caratteristiche socio-demografiche
Attività
Organizzazio
di
Tutela
Contrattazione
ne
rappresentan
individuale
aziendale
lavoratori
za
sindacale
Totale %
86,6
74,3
Maschio
Femmina
87,4
85,3
77,0
69,7
50+
40-49 anni
30-39 anni
meno di 30
86,6
88,2
88,4
85,7
80,4
76,1
62,9*
52,0
Elem/obbligo
Diploma/laurea
87,9**
81,5
76,7
64,7
Segr./funz.
Delegati
Operat. servizi
83,3
87,0
86,8*
83,4
83,9
35,5***
69,2
Gestione
funzioni
Analisi,
tecniche
studio e
(patronato,
Caaf,
progettazione
vertenze,
ecc.)
61,0
54,0
74,1
Genere
70,9
77,0
64,6
69,5
Età
73,9
79,7
68,0
73,9
63,2
67,6
56,0
62,5
Titolo di studio
69,1*
75,6
68,1
68,5
Incarico sindacale
81,6
84,7
72,5*
79,9
49,4***
46,4***
Dibattito
politico
interno
riunioni,
colloqui,
relazioni,
64,8
57,0
68,2
50,9
59,4*
66,4
61,5
61,1
58,9
62,8
72,4
54,3
53,3
58,1
48,2
68,5
62,6
60,6
72,4*
61,9***
57,4
51,5
64,0**
65,1
61,6
49,1
51,5
89,9***
65,4
47,3***
66,0
65,9
69,5
47,5***
Fonte: ns. indagine diretta
L’“organizzazione dei lavoratori” è importante per quasi il 70% degli intervistati, mentre la “cenerentola” tra
queste attività è quella di analisi, studio e progettazione, che è molto o abbastanza gratificante per il 54%
degli intervistati. In particolare, questo tipo di attività è importante per le donne, i dirigenti e funzionari e gli
operatori dei servizi.
Da ultimo, vediamo in che modo donne e uomini Cgil valutano la strategia sindacale oggi. Il questionario
chiedeva “quale ritieni debba essere oggi l’orizzonte dell’azione sindacale”, proponendo sei alternative, tra
cui scegliere e ordinare le tre più importanti. La tabella 6 riporta le % di individui che hanno scelto ciascuna
delle 6 alternative come la più importante. Come si vede immediatamente, due alternative raccolgono
insieme quasi i 4/5 delle risposte: si tratta della “tutela del lavoratore nel posto di lavoro” e della “tutela e
regolazione delle condizioni di lavoro”. Non ci sono, per nessuna delle due, differenze a seconda del ruolo
sindacale, mentre qualcosa cambia a seconda dell’età e (per il posto di lavoro) del titolo di studio.
Tab. 6 - L’orizzonte dell’azione sindacale: % di intervistati che giudicano “molto importante” ciascuna delle
affermazioni riportate nella prima riga
Tutela e
Tutela
Tutela
regolazione
dei
Tutela
delle fasce
delle
lavoratori sul
dei nuovi
sociali più
condizioni
posto di
lavori.
povere
di lavoro
lavoro
Totale%
38,7
37,2
9,3
8,9
Genere
Maschio
38,2
39,1
9,6
7,2
Femmina
39,1
34,4
9,2
11,6
Età
50+
43,3
31,9
11,2
6,8
49-40 anni
34,7***
42,4***
9,0
9,3
39-30 anni
37,5
39,4***
6,9
11,3
meno di 30
40,9
18,2
9,1
27,3
Titolo di studio
Elem./obbligo
38,3
39,7***
9,4
6,9**
Diploma/laurea
40,9
27,4***
8,7
16,4**
Incarico sindacale
Segr./funz.
45,0
32,1
9,3
11,4
Delegati
36,2
42,2
9,0
6,4
Operat. servizi
41,5
28,6
8,9
14,7
Tutela
dei
disoccupati
Tutela
degli
inoccupati
3,6
1,2
3,9
3,2
1,1
1,6
3,9
3,2
3,1
0,0
2,2
0,0
0,6
4,6
3,6
3,9
1,3
1,0
0,7
4,1***
3,1*
1,4
1,2
1,3
Fonte: ns. indagine diretta
Il ruolo del sindacato come garante del welfare state e ispiratore di politiche sociali favorevoli alle fasce più
basse della popolazione viene giudicato il più importante nell’orizzonte sindacale solo da circa il 9% dei
rispondenti. Importanza ancora minore viene data alla “tutela dei nuovi lavori” e a quella di inoccupati e
disoccupati. Queste risposte non devono però essere viste come contraddittorie rispetto alle opinioni di
cultura politica riportate nella tabella 4. Le due cose possono essere conciliate se si tiene presente la
differenza tra le opinioni e la cultura di donne e uomini Cgil, ovviamente orientate in senso universalista e
progressista, e l’ opinione in merito alle attività su cui il sindacato si deve concentrare e su cui deve investire
le proprie risorse. Il lavoro è in generale alle radici del ruolo del sindacato e del mestiere del sindacalista, e
questo vale tanto di più in un momento di crisi occupazionale come il presente. Di questa crisi, e di questo
atteggiamento, si osserva una traccia chiara nella tabella: i delegati sono più sensibili di dirigenti, funzionari
e operatori al tema della tutela dei disoccupati, perché si trovano di fronte a un gran numero di licenziamenti
nelle loro aziende.
Note conclusive
Qual è dunque il quadro del rapporto tra i sindacalisti Cgil e la politica che ci presenta questa ricerca? Donne e
uomini Cgil sono in complesso interessati alla politica, e la stragrande maggioranza di loro sono vicini al
Partito democratico e ai suoi alleati, mantenendo quindi un legame molto importante per la storia del nostro
Paese. D’altra parte, la loro fiducia nelle istituzioni della democrazia rappresentativa, partiti e parlamento, è
molto bassa, indice di una crisi di legittimità della polity la cui gravità è ogni giorno più allarmante. Un terzo
dei nostri intervistati, in effetti, non si sente vicino ad alcun partito politico, e non pochi delegati si sentono
vicino al movimento di Beppe Grillo, che dell’attacco alla politica ha fatto la propria bandiera. Istituzioni quali
la Magistratura e il Presidente della Repubblica sembrano comunque godere di un livello di fiducia sempre
relativamente elevato, forse anche perché negli ultimi mesi e anni sono percepite come diverse, e in una certa
misura opposte, a un sistema dei partiti sempre meno popolare. La crisi economica ovviamente non aiuta.
Le opinioni politico-culturali dei sindacalisti sono saldamente ancorate ai valori progressisti e ugualitari da
sempre nel codice genetico della Cgil: quasi tutti convengono sul fatto che lo Stato deve intervenire
nell’economia per diminuire le disuguaglianze; che le donne devono poter abortire; che gli immigrati
7
abbiano un effetto positivo sull’economia del paese. Minore consenso c’è su altri punti controversi, come la
necessità per gli immigrati di adattarsi alla cultura italiana, le “azioni positive” a favore delle donne, la
necessità di una leadership forte per il paese.
Il rapporto con l’organizzazione è solido: essa gode di una fiducia superiore a tutte le altre istituzioni
considerate. Emerge chiaramente, in effetti, un’idea del mestiere del sindacalista centrata sul posto di lavoro,
sia dal punto di vista della gratificazione soggettiva, che da quello delle strategie che il sindacato dovrebbe
darsi. Compito del sindacato è difendere i diritti dei lavoratori, contrattare per loro e rappresentarli. Rispetto
a questo, la tutela delle fasce deboli della popolazione non è certo priva di importanza, ma le priorità del
sindacato devono essere legate al lavoro.
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SINDACALISTI E POLITICA. ORIENTAMENTI DEI GIOVANI SINDACALISTI
VLADIMIRO SOLI
Introduzione: il sindacalista e la politica
Questo articolo anticipa alcune riflessioni scaturite dalla ricerca (Ires Veneto per Cgil Lombardia e Veneto)
su sindacalisti e politica, tema che da tempo merita di essere indagato con una rinnovata attenzione. Si tratta
di annotazioni ancora parziali, che tuttavia aiutano a ricostruire un modo d’essere dei giovani sindacalisti
molto interessante.
Nel tentativo di dare al proprio intervento sul sociale un carattere di forza trasformativa, il sindacato ha
sempre incrociato la politica. La storia della Cgil più di altri sindacati è segnata da un’acuta percezione
dell’intreccio che lega le dimensioni dell’azione sociale e della politica, con un sentimento di convergenza
sostenuto dal comune orizzonte ideale degli appartenenti al sindacato e dei militanti della sinistra politica.
Negli ultimi anni, non solo si è indebolito questo meccanismo di reciproco sostegno, ma le vicissitudini delle
formazioni politiche di riferimento hanno separato nettamente le due dimensioni, lasciando scoperto il
sindacato sul terreno della politica, malgrado faticosi tentativi di supplenza, e i partiti della sinistra sul piano
del sociale. Per molti motivi l’assetto precedente non è ricomponibile, anche per la buona ragione che
l’implicita divisione dei compiti da tempo non funzionava e, comunque, è dubbio ne siano venuti esiti
complessivamente positivi.
Nel sindacato permane la necessità di una riflessione più compiuta su come accompagnare l’iniziativa
sociale con una proposta di senso politico che parli ai lavoratori e all’intera società. La decisione di
analizzare il rapporto tra sindacalisti e politica riprende inevitabilmente questioni antiche, ma può essere
anche l’occasione per interrogarsi su come i sindacalisti danno significato politico al proprio lavoro, nel
rapporto con l’azione quotidiana, con le trasformazioni dell’economia, la sordità della politica e le sfide della
rappresentanza sociale.
Mentre la prima fase di ricerca (Ballarino e Casanova, in questo numero) ha analizzato mediante
questionario le posizioni del corpo attivo del sindacato (delegati e funzionari), la fase di cui si occupa questo
intervento ha dato parola ad un gruppo di sindacalisti giovani per analizzare il rapporto tra la loro azione e la
politica. In questo caso il focus non è sulla relazione con i partiti e le istituzioni, ma sul significato politico
che il sindacalista attribuisce alle proprie azioni.
La raccolta di voci diverse per età, esperienza e ruolo, consente di mettere meglio in evidenza accenti che
disegnano un quadro vivido del funzionamento organizzativo. Se è urgente una riflessione su come sta
cambiando il modo di pensare del corpo attivo del sindacato, gli esiti di questa ricerca ci dicono che è
possibile farlo in modo consapevole, favorendo una visione generale che non pretende di surrogare, ma
nemmeno dipende, da quella dei partiti.
1. Profilo ed orientamenti dei giovani sindacalisti
1.1. Segni di un processo di rinnovamento
L’osservazione sul campo ha coinvolto soggetti entrati da poco nel sindacato, che si possono ritenere, quindi,
portatori di posizioni e sensibilità, per motivi sia culturali che generazionali, in buona parte nuove. Gli esiti
di questa interrogazione appaiono molto interessanti, anche perché segnalano come sta avvenendo il
processo di ricambio nella Cgil. Va rilevato che questo innesto coinvolge soggetti che nel 50% dei casi non
sono entrati seguendo i normali canali di reclutamento sindacale, sia in termini di appartenenza, che di
estrazione sociale. Si tratta, quindi, di figure che non vengono dal mondo del lavoro tradizionale, hanno titoli
di studio elevati, hanno maturato esperienze politiche pregresse principalmente nei movimenti studenteschi o
politico-sociali più che nei partiti.
Pur sospinto dalla volontà di apertura dell’organizzazione, l’ingresso di questi soggetti nel sindacato sembra
dipendere da processi poco programmati. Per chi viene dal mondo della scuola le prime esperienze lavorative
nel sindacato hanno spesso natura occasionale e solo in seguito, a riprova di un’intenzione di ricambio
selettivo, si aprono a prospettive di inserimento stabile. Malgrado ciò, le motivazioni che portano alla loro
assunzione rimangono ai loro occhi poco decifrabili: nessuno sembra avere un’idea precisa su quali sono
9
stati i criteri per l’inserimento, salvo il fatto che si erano create delle situazioni in cui era necessario ampliare
l’organico o sostituire dei funzionari che lasciavano il posto.
L’inserimento di giovani provenienti dal mondo del lavoro segue modalità conosciute, anche se pure questo
percorso presenta dinamiche che dipendono largamente da stili e consuetudini dei diversi attori. Vi può
essere il funzionario che si mostra attento a creare opportunità di crescita per i propri delegati, con l’obiettivo
trasparente di avvicinarli al sindacato e proporre loro un’esperienza diretta di lavoro sindacale. Ma vi sono
anche casi in cui il potenziale protagonismo dei giovani non riceve un particolare supporto, e soltanto quando
essi conquistano una forte legittimazione tra i compagni di lavoro si attiva un meccanismo di valorizzazione
e si creano le condizioni per un maggiore riconoscimento della struttura.
Un giudizio sull’incontro tra giovani e sindacato risente dell’incognita della ancora ridotta esperienza
lavorativa di molti degli intervistati. Al momento i giudizi espressi presumibilmente massimizzano
l’apprezzamento per la soddisfazione prodotta dalle attività svolte. E probabile che l’incrocio tra interessi
soggettivi e vita sindacale si rafforzi e valorizzi, ma non è escluso che si manifestino ostacoli e difficoltà. A
distanza di qualche tempo, quindi, questo quadro potrebbe consolidarsi, e per molti sarà così, ma potrebbero
anche affiorare sentimenti di disillusione, ed anche questo non può essere escluso. Ciò non toglie che il
comune vissuto di esperienze lavorative, pur se ancora brevi, sia giudicato positivamente anche sul terreno
più controverso della realizzazione professionale. Su questo piano non mancano gli appunti critici,
concentrati soprattutto sul modo di lavorare nell’organizzazione, ma il livello complessivo di soddisfazione
per il lavoro svolto rimane molto elevato.
Sembra ormai consolidato il tasso di inserimento delle donne, pur con maggiore evidenza nei ruoli tecnici,
mentre esigua risulta la presenza di funzionari di origine straniera, a riprova che l’aumento degli iscritti tra
gli immigrati non determina ancora la selezione di sindacalisti di identica provenienza.
1.2. Considerazioni sui temi del lavoro
L’ingresso di giovani sindacalisti comporta un processo di socializzazione politica che riguarda in primo
luogo valori, idee forza e pratiche operative. Poiché questi giovani sono entrati nel sindacato durante questa
lunga fase di crisi, si può supporre che sia forte la domanda di un pensiero sindacale capace di orientare e
rassicurare. Ciò dovrebbe riguardare principalmente i temi del lavoro, di quale ruolo è ad esso riconosciuto,
di come affrontare le dinamiche sociali e di quali condizioni possono produrre condizioni di uguaglianza e
solidarietà.
Rispetto alla centralità del lavoro, se con il termine si intende il potere di creare una tensione dialettica nei
rapporti sociali, tale nozione appare astratta e poco utilizzabile. Nella visione dei giovani sindacalisti il
problema cruciale è la difesa dei diritti essenziali del lavoro. In questa ottica il lavoro è centrale perché
rimane il riferimento ideale dell’azione sindacale, legato alla natura stessa del sindacato, ma la pratica
quotidiana è piegata ad una visione tutta difensiva di questo compito. Peraltro, è sentita la necessità di
pensare il lavoro in un’ottica meno contingente di quanto non si faccia oggi, ma si riconosce che è la capacità
di resistere alla pressione della crisi che garantisce prioritariamente il consenso dei lavoratori.
1.3. Visione generale del sindacato e cambiamenti sociali
Molte delle difficoltà vissute dal sindacato vengono attribuite ai mutamenti culturali che si sono prodotti in
questi anni. Fra gli elementi negativi si segnala che la percezione di una forma di spiazzamento sociale
induce nei sindacalisti un’azione di resistenza, che è necessaria ma che rischia di non fare i conti con la
natura dei cambiamenti in corso. È convinzione comune che ci si muove in un contesto sociale in forte
trasformazione, dove la deriva individualistica rende meno attraenti i valori sostenuti dall’organizzazione. Si
ha la sensazione di dover operare in ambienti, se non ostili, perlomeno poco favorevoli, dove anche i luoghi
di tradizionale insediamento sindacale sono sempre più pervasi dalle nuove logiche. Questa deriva culturale
risente, e lascia spazio, a politiche aziendali che intensificano i processi di destrutturazione delle regole. Le
aziende introducono nuove pratiche che limitano le possibilità di risposta, determinano scondizioni
organizzative più vincolate, lavorano instancabilmente per erodere ogni forma di potere sindacale.
1.4. I rapporti con i giovani lavoratori
Questo spiazzamento ha ricadute che coinvolgono le risposte che il sindacato offre, o non offre, a chi entra
nel mondo del lavoro. La tendenza a rifarsi a modelli e visioni del passato sembra avere un effetto
controproducente, giacché i giovani fanno fatica a comprendere le distinzioni del sindacato rispetto ad una
situazione, quella attuale, che è per loro l’unica conosciuta. Peraltro, il sindacato non comprende che le
nuove generazioni vivono del tutto immerse in questo nuovo contesto e trovano vuoti i continui richiami a
vicende lontane. Molti giovani non dialogano con chi mostra di rifiutare il quadro presente, per di più
richiamandosi a idee che essi non sentono realistiche per la realtà di cui hanno esperienza.
La possibilità di attrarre le nuove leve del lavoro è condizionata da svariati fattori. Secondo gli intervistati i
giovani hanno una scarsa percezione della complessità dei rapporti di lavoro. Essi tendono a ritenere che le
condizioni di tutela e di regolazione sono immodificabili: nel senso che sono conquistate una volta per
sempre, ma anche che non ci si attende peggioramenti significativi. Questa idea statica dei rapporti
contrattuali è alla base del ridotto interesse per il ruolo del sindacato: si riconosce che il sindacato c’è, ma
non è ben compreso il suo ruolo e la sua necessità. In assenza di una visione storicizzata delle vicende
sindacali, non si avverte, quindi, la necessità di difendere condizioni che fanno parte del quadro normativo
vigente e che non si vede perché dovrebbero cambiare.
Queste considerazioni non cancellano il fatto che i giovani rappresentano un mondo sconosciuto per il
sindacato. Per certi versi è inevitabile che sia così: le nuove generazioni appaiono permeate di cultura
individualistica, con l’assorbimento di stili e comportamenti pubblici che esaltano narcisismi e sensibilità
tutte schiacciate sul presente. Lo scarso interesse per i temi sindacali risente di questa cultura
individualistica, ma si deve riconoscere che non sono evidenti le motivazioni per cui i giovani dovrebbero
venire attratti dal sindacato.
Essi vivono il sindacato come una struttura lontana, in larga parte sconosciuta e impenetrabile nel suo agire,
con forti caratteri di burocratizzazione, molto vicina al mondo della politica e/o delle istituzioni. Inoltre, i
sindacalisti sono spesso considerati una categoria poco aperta, incapace di costruire un rapporto amichevole
con le nuove generazioni e di presentarsi in modo accattivante. Nel complesso, l’immagine che si dà è quella
di un’organizzazione, o almeno una sua parte, che non riesce ad abbandonare i propri pregiudizi rispetto al
modo di essere delle nuove generazioni.
Le opinioni raccolte sostengono che il contatto può essere proficuo se viene gestito e promosso da altre
figure giovani, che vengano sentite come simili e vicine. Ciò consentirebbe anche di superare
un’impostazione diffusa ma controproducente, secondo la quale sono i giovani a doversi rivolgere al
sindacato, nel presupposto che ciò dimostrerebbe un’avvenuta maturazione e la raggiunta comprensione di
come si sta nel mondo del lavoro.
1.5. Le resistenze organizzative
L’agire in situazioni così complicate, dove le difficoltà si accompagnano a forme di apatia sociale, non può
che determinare nei sindacalisti una condizione di stress emotivo. Si rileva che questi sentimenti hanno
conseguenze organizzative paradossali, per cui tali difficoltà sembrano produrre in parti dell’organizzazione
un maggiore ricorso a dispositivi difensivi, con un aumento delle ritualità e dell’uso di vecchi cliché.
Questi atteggiamenti vengono vissuti con una certa insofferenza, soprattutto perché la ricerca di forme di
rassicurazione sembra negare la disponibilità a prendere atto dei cambiamenti. Lo dimostra la convinzione
diffusa tra i giovani che molti sindacalisti, sul tema del lavoro come su altri, mancano di elasticità e di
disponibilità all’ascolto. Essi intravvedono in ciò il rischio di non capire come le persone vivono la propria
situazione: se si parla dei fabbisogni dei lavoratori ma si ascolta poco quello che essi dicono, si crea un
divario che rende difficile la stessa comunicazione.
È significativo che queste opinioni sono espresse in modo più esplicito dalle sindacaliste, le quali sembrano
diffidare degli atteggiamenti che esprimono una eccessiva sicurezza. Si trae conferma che essi vanno attribuiti
ad una ridotta disposizione del sindacato ad interrogarsi su come i lavoratori vivono i cambiamenti, e quali
risposte si attendono dall’organizzazione.
1.6. Il problema delle opinioni dei lavoratori
Richiesti di un’opinione su come i lavoratori vedono il sindacato, gli intervistati sottolineano la forte
prevalenza di atteggiamenti critici o distanti. In una situazione di crisi pesante e prolungata è comprensibile
che il malessere si traduca in un atteggiamento critico, ma ciò che colpisce è l’estensione e la gravità di
questa distanza. Ne deriva uno stato di disagio molto avvertito, che rende ancora più insofferenti quando si
considera l’inerzia con cui il sindacato reagisce a questo quadro.
Una forma di riconoscimento, con correlato sostegno, permane nei lavoratori più anziani, che rappresentano
lo strato di militanza più solido. L’area più ampia, quella degli iscritti, già risente di uno stato di sfiducia e di
disaffezione. Il problema più grave riguarda, tuttavia, l’indifferenza che si coglie negli atteggiamenti della
maggioranza dei lavoratori. Paradossalmente, si tratta di una lontananza che non sempre presuppone un
giudizio negativo: spesso tale indifferenza viene attribuita a scarsa conoscenza o a pregiudizio, ma nel suo
dispiegarsi tende a rinforzare la percezione di un sindacato che perde di credibilità a livello sociale.
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Le opinioni concordano nel ritenere che non è corretto far dipendere questa situazione solo dai limiti
dell’azione sindacale. Molti degli intervistati rimandano questi effetti ad un profondo mutamento culturale
che diffonde atteggiamenti opportunistici (vengo se mi serve e fino a che mi serve), un riconoscimento del
sindacato solo in casi di necessità (il sindacato come ultima spiaggia), una sfiducia di fondo nell’azione
collettiva (si può fare poco per cambiare la situazione).
Molti sospettano che questi atteggiamenti siano frutto di pregiudizi, e che le valutazioni dei lavoratori siano
condizionate dalla propaganda dei media ostili, forse sottovalutando la capacità dei lavoratori di darsi dei
criteri di giudizio fondati. Ad ogni modo, è opinione comune che molti lavoratori, per disinteresse proprio o
per incuria dei sindacalisti, sono poco informati di come si lavora nel sindacato, in che condizioni operative,
con quali vincoli di risorse. L’immagine del sindacato che circola tra i lavoratori finisce per dipendere in
larga parte da fattori esterni (media, visibilità dei leader nazionali, ecc.), mentre le strutture territoriali non
sembrano avvertire l’esigenza di una migliore valorizzazione del lavoro quotidiano.
È inevitabile interrogarsi sul perché l’organizzazione rifletta poco su questi aspetti. I più sono convinti che ciò
sia frutto del tentativo di dare di sé una rappresentazione rassicurante, anche se questo può portare a risultati
fuorvianti. La considerazione comune è che l’organizzazione, nel suo insieme, non intende interrogarsi su come
si viene visti dall’esterno, evitando così di mettere in discussione valutazioni, letture, immagini di sé
rassicuranti.
Il tema è rilevante perché la rappresentazione di come è visto il sindacato segnala un cruciale problema di
efficacia. Prevale tra gli intervistati l’idea che questa disattenzione rifletta la scarsa percezione di quanto sia
importante ripensare al proprio rapporto con il mondo che si vuole rappresentare. Questa sensazione viene
confermata dalla incapacità di dotarsi di un linguaggio che consenta di comunicare con i propri interlocutori.
Comprensione e comunicazione, infatti, sono considerati due corni dello stesso problema, senza contare il
loro rilievo politico, ma su entrambi vi è un ritardo che l’organizzazione non sembra preoccuparsi di
colmare.
2. Luoghi e modi del dibattito sindacale
2.1. Le dimensioni riflessive
I giovani sindacalisti sentono di vivere un’esperienza di lavoro che ha pochi termini di paragone. Essi
affrontano situazioni complesse e sentono di poterlo fare solo mostrando una dedizione che richiede un forte
investimento emotivo. È normale associare questi sentimenti al lavoro del funzionario politico, ma anche gli
operatori dei servizi tecnici sottolineano il grande valore umano e professionale della propria attività.
In tale contesto il confronto delle idee, la riflessione non contingente, la ricerca di innovazione, sono, o
dovrebbero essere, risorse vitali. In realtà non sono sempre garantite. Per quanto i giovani sindacalisti
ammettano di vivere in uno stato di emergenza che non consente grandi possibilità di riflessione, ciò non
impedisce loro di essere molto critici sull’uso dei meccanismi di discussione interna.
La diffusa insoddisfazione per il modo in cui il sindacato dibatte, o piuttosto non dibatte, su questioni
considerate rilevanti, non appare mitigata nemmeno dalla constatazione che non mancano i luoghi di
confronto. L’irritazione nasce dall’assistere a discussioni che spesso eludono il cuore dei problemi, sono
caratterizzate da ritualità e lunghezza, seguono codici di comunicazioni particolari e risultano un po’ astratte.
Per una modalità abbastanza ricorrente nel sindacato, poi, raramente il confronto sembra produrre decisioni
impegnative e, tantomeno, vincola ad assumere comportamenti conseguenti.
Il problema di come si discute nell’organizzazione, e di come vengono finalizzati gli esiti del confronto, è
molto sentito. Gli intervistati, che lavorano per lo più a livello di categoria e nei territori, hanno la sensazione
che l’urgenza di tradurre in atti concreti le scelte non sia compresa da chi opera ai livelli superiori. Per
quanto le difficoltà possano giustificare questi ritardi, rimane forte la sensazione che l’organizzazione segua
dinamiche che non tengono in considerazione le priorità di chi sta sul territorio.
Le possibilità di sviluppare un dibattito approfondito sono in larga misura compromesse dalla inadeguatezza
degli appuntamenti formali. Le sedi normalmente deputate a fare da contenitore per questi scambi (i direttivi)
sono unanimemente considerate deludenti, ma anche altri contesti non paiono fornire delle condizioni più
efficaci di riflessione.
Com’era prevedibile, gli spazi considerati di maggior significato sono quelli offerti dalle occasioni di
discussione informale, per cui si approfitta di ogni possibilità (soste al bar, pranzo, ecc.) per scambiarsi delle
opinioni, chiedere pareri, comunicare impressioni, esprimere ansie e timori. Questo tipo di comunicazione è
molto apprezzato e viene considerato tra le forme più preziose di aiuto e di conoscenza reciproca. È in questi
ambiti che i sindacalisti verificano le questioni più sentite, mettono in comune le proprie sensazioni e
manifestano il proprio stato d’animo.
Si riconosce, peraltro, che sui temi di portata generale il sindacato non trova degli interlocutori esterni che lo
aiutino a sviluppare una riflessione. Gli stimoli che potrebbero venire dalle università o dal mondo della
ricerca appaiono molto circoscritti, quasi che la distanza tra la vita quotidiana del sindacalista e le piste della
ricerca sia ormai metabolizzata come limite. Più sentita appare la constatazione che dalla politica non
provengono suggestioni e idee in grado di interagire con la riflessione sindacale. Ciò toglie al sindacato una
sponda utile per l’analisi dei processi di cambiamento, che ricreando una dialettica tra dimensioni sociali e
politiche sarebbe vitale per riflettere sul futuro del lavoro.
In qualche misura ciò sembra favorire la convinzione che il sindacato è obbligato a riordinare da sé un
pensiero autonomo sul proprio ruolo nell’attuale temperie sociale. Peraltro, si nota che la riflessione non
dovrebbe limitarsi alle strategie, ma occorre riportare l’attenzione sulle pratiche per poter valutare cosa
ancora funziona e quali nuovi indirizzi possono rispondere meglio ai bisogni attuali.
3. Peculiarità del lavoro sindacale
3.1. Il rapporto con i lavoratori
Gli intervistati operano a diretto contatto con i lavoratori o a ridosso di essi (strutture di servizio). Questa
collocazione rinforza una visione del compito che attribuisce centralità alla vicinanza e al contatto diretto con
i lavoratori. È questo, secondo i nostri interlocutori, ciò che consente al sindacato di essere una
organizzazione su cui i lavoratori contano e di cui si possono fidare.
La gestione di questa relazione appare tutt’altro che facile. La vicinanza non esclude difficoltà e
incomprensioni, ma vi è la convinzione che solo la tenuta di questo legame può garantire il rapporto
fiduciario con i lavoratori. Questa impostazione ha un valore anche di metodo, giacché stare in mezzo ai
lavoratori è il modo più semplice e diretto di raccoglierne le esigenze, capire i loro problemi, trovare le
soluzioni.
Se questa dinamica è chiara per i funzionari politici, anche i tecnici, pur in contesti diversi, convergono sulla
medesima impostazione. Nel loro caso la percezione dell’obbligo di prossimità nasce dalla convinzione di
rappresentare un presidio vitale, spesso l’ultimo approdo cui la gente si affida per trovare risposta.
Gli intervistati pensano che il rapporto fiduciario con i lavoratori ha bisogno di vicinanza, ma l’impossibilità
di soddisfare tutte le richieste deve poter contare sull’azione di altri dispositivi organizzativi. Grande
importanza è riconosciuta alla necessità di “comunicare il sindacato”, ma su questo rilevano una
disattenzione molto grave. I giovani sindacalisti sono colpiti dalla diffusione, in fabbrica come fuori, di un
senso comune che svilisce l’idea di sindacato, impedisce la comprensione della sua natura, non sembra
riconoscerne e apprezzarne l’azione. Essi avvertono che, salvo gli strati più vicini, molti lavoratori mancano
di criteri di giudizio sul sindacato appropriati e assorbono dei punti di vista che negano l’utilità dell’agire
collettivo.
In questo vi è la responsabilità del sindacato che non comprende l’importanza di comunicare meglio ciò che
sta dietro all’impegno del sindacalista. Una buona relazione con i lavoratori richiede di spiegare loro cosa fa
effettivamente il sindacato, quali interventi realizza, come è organizzato per fornire i suoi servizi, quanta
fatica costano queste attività. È paradossale rilevare che, a fronte di un impegno generoso, troppi lavoratori
continuano a vedere il sindacato come un’articolazione dello stato, dell’Inps o di qualche ministero,
mostrando diffidenza per le forme di associazione volontaria che difendono diritti e dignità.
Queste preoccupazioni sono ancora più sentite nell’area dei servizi tecnici. Gli addetti a queste funzioni sono
spesso investiti da una domanda esigente che considera un atto dovuto la prestazione, tanto da esprimere anche
qualche malumore quando si richiede di contribuire ai costi del servizio.
3.2. La contrattazione
Per la gran parte dei sindacalisti di categoria il cuore dell’azione sindacale, capace ancora oggi di dare
significato ed efficacia al ruolo del sindacalista, rimane la contrattazione. Come è normale che sia, sono
questi interventi quelli cui viene attribuita la proprietà di rendere più esplicito l’impatto politico
dell’iniziativa sindacale. In linea generale, gli intervistati sono convinti che la Cgil svolga bene l’attività
negoziale, con un presidio, soprattutto nelle situazioni di fabbrica, all’altezza dei problemi. Ciò non
impedisce loro di riconoscere che la tenuta sul fronte contrattuale assume sempre più un carattere difensivo,
con il sindacalista per lo più impegnato ad organizzare azioni di pura resistenza.
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Considerazioni più critiche, invece, riguardano gli stili contrattuali, con osservazioni che sembrano
influenzate dalle variabili socio-anagrafiche. Di qualche peso è la critica, rivolta genericamente ai
sindacalisti più maturi, di mostrare una ridotta attenzione a comprendere i problemi delle aziende, condizione
che, invece, viene ritenuta necessaria per gestire positivamente il confronto. Si sottolinea, inoltre, che alcuni
approcci rivelano una scarsa cura per lo sviluppo delle competenze tecniche, che sono invece essenziali per
una contrattazione che, come avviene sempre più spesso, si svolge in ambienti complessi e con interlocutori
molto preparati.
A rinforzo di questa posizione, si critica l’affidarsi ad abilità dialettiche considerate un po’ fumose e
superficiali, che rivelano una concezione desueta del mestiere sindacale. Il rifiuto di queste impostazioni,
peraltro, si muove in sintonia con le opinioni dei lavoratori, che appaiono sospettosi degli atteggiamenti di
natura “politica”.
L’enfasi che accompagna spesso queste espressioni risulta particolarmente invisa alle donne, che nel
rifuggire da stili troppo politicizzati mostrano di non poter affrontare i problemi prive di solidi strumenti di
comprensione e di gestione Questa presa di distanza da atteggiamenti che sono interpretati come espressioni
di superficialità, di inerzia nella gestione delle competenze, appare diffusa tra i giovani, pur se emerge con
più nettezza la contrarietà delle donne e dei funzionari dell’apparato tecnico.
3.3. I servizi a domanda individuale
Specifiche sottolineature vengono proposte da questi ultimi. Essi tengono in grande considerazione l’offerta
di servizi garantita dal sindacato, così come mettono in rilievo il significato politico che assume questa
attività nel rapporto con soggetti spesso estranei alla cultura sindacale. Peraltro, essi sottolineano che
l’efficacia dei servizi risente della difficoltà di raccordare l’azione contrattuale delle categorie con gli
interventi di tutela individuale. Ciò produce incomprensioni ed inefficienze tra i funzionari, oltre ad effetti
negativi nelle risposte ai fabbisogni dei lavoratori.
Si lamenta uno scarso coinvolgimento delle categorie, che trattano i servizi come risorse di supporto. Stare ai
margini del dibattito interno, inoltre, produce in alcuni forme di disaffezione e di disinteresse per quanto
avviene nel sindacato. Tutto ciò contrasta con la convinzione che il rapporto individuale permette di capire
meglio i problemi della gente e la natura delle loro esigenze. Si è convinti, infatti, che una migliore
integrazione tra servizi e categorie può servire in primo luogo al funzionario politico, permettendogli di
raccogliere la presenza di fabbisogni diffusi che non sempre si manifestano all’interno dei luoghi di lavoro.
Parte rilevante del valore prodotto dai servizi è attribuito alla capacità dei servizi individuali di mettere in
contatto con il sindacato soggetti che normalmente non ne sono attratti. Per questi segmenti di società, spesso
privi di ogni cultura sindacale, i servizi rappresentano l’immagine più concreta che del sindacato si offre
all’esterno. La loro efficienza ed efficacia contribuisce alla reputazione positiva del sindacato, così come
l’ascolto degli utenti rafforza i legami con le istanze della società. Gli operatori tendono, quindi, a segnalare
con forza la delicatezza politica delle politiche di servizio, mostrando le potenzialità di una presenza che fa
da ponte tra appartenenze lontane e dimensioni concrete dell’azione sindacale.
3.4. La partecipazione diretta dei lavoratori
Il tema della partecipazione diretta dei lavoratori tocca due questioni cruciali: da una parte, interroga il
sindacato sulla costruzione di condizioni che possano favorire il protagonismo dei lavoratori; dall’altra,
misura la disponibilità di questi ultimi a mobilitarsi in prima persona.
I giovani sindacalisti confermano l’orientamento per un modello d’azione che favorisca la partecipazione
attiva dei lavoratori, ma devono ammettere che a volte risulta impossibile rispettare fino in fondo tale
impegno. In concreto la cura per la partecipazione dei lavoratori è concreta se prevede: l’impegno a trasferire
le informazioni (quelle cui riesce ad accedere il sindacalista); l’attivazione del confronto; l’assunzione
comune delle decisioni; il riconoscimento delle comuni responsabilità nell’azione, ecc.
Il giudizio sui risultati prodotti da questo modo di operare è controverso. Per alcuni un impegno coerente su
questo terreno è in grado di ottenere segnali di partecipazione importanti, mentre altri ammettono che ciò non
garantisce il coinvolgimento dei lavoratori. Le difficoltà del sindacalista su questo terreno sono collegate ai
suoi carichi di lavoro, che materialmente non consentono sempre di rispettare gli impegni. Per quanto riguarda
i lavoratori, invece, è opinione comune che il diffuso scetticismo che si trova negli ambienti di lavoro sta
fortemente riducendo la disponibilità e l’interesse per un ruolo attivo. Si deve registrare, infatti, una crescente
propensione a delegare ogni cosa al sindacalista, sottraendosi ai vincoli della partecipazione diretta anche
quando sono in gioco istanze personali. Anche questi aspetti segnalano la deriva individualistica che investe il
mondo del lavoro, al cui interno prevale la tendenza a guardare ai problemi in chiave personalistica,
chiedendo che venga risolto quello che viene vissuto come un problema individuale a prescindere dalla sua
natura collettiva.
I giovani guardano con preoccupazione alla possibilità che ci si adatti a questo stato di cose La responsabilità
dello scetticismo dei lavoratori, infatti, viene attribuita anche alla farraginosità delle procedure
“democratiche” che finiscono per svuotare il senso della partecipazione, così come la difficoltà di rendere
partecipi i lavoratori porta inevitabilmente a dare per scontato il loro consenso.
A questa diversa sensibilità per il problema della partecipazione dei lavoratori non è estranea una
componente anagrafica. Certi atteggiamenti superficiali vengono genericamente imputati ai sindacalisti più
anziani, mentre per loro non sembra concepibile poter agire in assenza di un confronto e di una sintonia con i
lavoratori.
3.5. La natura complessa dell’azione
Le risposte dei giovani sindacalisti presentano dei punti di vista di grande interesse, ma sembrano eludere il
quesito posto dalla ricerca. In questa fase dell’indagine si può dire che le suggestioni raccolte non
consentono di definire in modo esplicito il senso della politica dei giovani sindacalisti. Al più affiora il
carattere intrinseco di questa relazione, e forse occorre guardare alle dimensioni concrete del lavoro
sindacale per evidenziarne il vero significato.
Se interrogati direttamente, peraltro, molti di loro dichiarano che il significato politico della propria azione
va ricondotto all’impegno sul terreno organizzativo. In questa lettura l’attività dell’organizzare non riguarda
l’uso di strumenti e procedure per l’azione di tutela e rappresentanza, ma sta a significare la vicinanza e lo
sviluppo di legami fiduciari con i lavoratori. È questa la dimensione che racchiude (o esprime?) ciò che si
ritiene essere il significato politico profondo del lavoro sindacale.
Di conseguenza, l’essenza dell’azione organizzativa esalta il lavoro di comunicazione, di informazione, di
produzione di senso, di costruzione di nessi. Nel realizzarsi, queste attività devono manifestare interesse per
l’ascolto, la vicinanza alle persone, lo spirito di condivisione. La dimensione relazionale che sottende queste
considerazioni ha un ruolo centrale nel lavoro sindacale, fino a mettere in secondo piano la necessità, pure
avvertita, che l’azione veicoli politiche in grado di soddisfare le prospettive ai lavoratori.
Pur con forti aspetti routinari, peraltro meno avvertiti dai giovani, si ritiene che il lavoro a contatto diretto
con i lavoratori abbia efficacia politica perché, anche nei suoi aspetti pratici e minuti, ha il potere di influire
sulla vita delle persone. Come s’è già visto, sono attività che richiedono molto impegno, sono faticose e non
producono risultati eclatanti, ma rappresentano la materia prima da cui nasce un rapporto duraturo.
Tra dubbi ed incertezze, si raccolgono segnali che rendono più leggibili questi sentimenti. Si manifesta
sovente la convinzione che l’intervento organizzativo del sindacato trascura la necessità di valorizzare questo
lavoro di contatto diretto con la gente. Ritorna l’idea che è la tessitura concreta delle azioni quotidiane
promosse dal sindacalista a garantire il radicamento e la formazione di un sentimento di appartenenza.
La tensione per questo legame sembra, a volte, poter perfino prescindere dai risultati. Alcuni ritengono che i
lavoratori, prima di tutto, vogliono essere ascoltati e sostenuti con coerenza. Contraddicendo il precedente
giudizio sull’individualismo dei lavoratori, si riconosce che essi sono disposti ad accettare anche risultati
deludenti se capiscono che non si può fare di più, ma devono percepire con chiarezza che il sindacalista ha
fatto quanto era possibile fare.
3.6. Il senso del ruolo
Nel parlare del proprio ruolo i giovani sindacalisti rivelano un sentimento di grande orgoglio per il lavoro
svolto. Accanto al valore intrinseco dell’attività, essi apprezzano la possibilità di agire in contesti che danno
visibilità, di poter influire sulla vita delle persone e sulle loro aspettative. I compiti del sindacalista
comportano anche molti adempimenti dal carattere routinario, ma i soggetti vivono tutto lo spettro delle
proprie attività come un flusso denso di significato e di valore. Si rileva, quindi, che stare nel sindacato
favorisce un sentimento di realizzazione personale.
Nemmeno gli operatori dei servizi sentono di adempiere ad una funzione standardizzata e burocratica. Essi
mettono in risalto la varietà dei percorsi di specializzazione, la possibilità di avviare dei presidi su materie
nuove ed interessanti, la ricchezza offerta dal contatto umano con gli utenti.
3.7. Le dimensioni professionali
Le risposte sui processi di professionalizzazione nel sindacato lasciano aperti molti interrogativi. In linea
generale è corretta l’idea che la natura stessa del lavoro sindacale è un motore di apprendimento ma,
ovviamente, le attività da svolgere richiedono, e in parte determinano, una crescita professionale di più largo
spettro.
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In linea di principio viene riconosciuta la necessità di mettersi in condizione di crescere professionalmente,
ma sovente questo imperativo non ha continuità e sviluppo positivo. I sindacalisti devono affrontare
situazioni complesse, sia nei luoghi di lavoro, sia in relazione alle richieste di prestazioni di servizio. In
questi casi prevalgono le considerazioni su una professionalità di tipo più tradizionale, ma affiora l’idea che
questo apparato cognitivo andrebbe aggiornato. Una misura dell’adeguatezza professionale si ha nel rapporto
con le controparti. Molti segnalano la crescente necessità di padroneggiare saperi e tecniche che non si
esauriscono nel rapporto con i lavoratori. Il sindacalista opera su un doppio piano, da una parte comunica con
i lavoratori, dall’altra è chiamato a confrontarsi con interlocutori normalmente più preparati e informati.
Una interessante annotazione sottolinea che lo sviluppo, o il rinnovamento, delle competenze, incide anche
sul modo di svolgere il proprio ruolo: un maggiore rigore professionale consente di trasmettere ai lavoratori
una più ricca visione dei processi, trasformando la competenza del sindacalista in una conoscenza che si
trasferisce al lavoratore..
Se fare il sindacalista stimola l’apprendimento professionale, per i tecnici gli spazi di professionalizzazione
appaiono più orientati: per materie, per compiti, per nuovi indirizzi. Alcuni di questi sono molto motivati e
avviano dei percorsi di apprendimento personale che si riflettono positivamente sulla loro qualificazione e su
quella del servizio. Non sono poche le situazioni dove il miglioramento dell’offerta dipende dalla
intraprendenza di alcune figure che hanno la possibilità di sviluppare temi (mobbing piuttosto che sicurezza
del lavoro o rischi specifici, ecc.) di loro soddisfazione che qualificano la reputazione della struttura.
3.8. Le attività di formazione
Il quadro relativo al ruolo dei processi formativi è ambivalente. Non molti sindacalisti hanno partecipato a
corsi di lunga durata, mentre più diffusa è l’esperienza di partecipazione a momenti formativi brevi. Non
mancano giudizi critici sulla carenza di opportunità formative, a riprova di un meccanismo che funziona in
modo poco regolato: accanto a chi dichiara di fare molta formazione vi è chi sostiene di farne troppo poca. Il
sentimento generale, peraltro, è che i sindacalisti sono obbligati a fare un’attività continua di autoformazione.
Ci si riferisce prevalentemente all’obbligo di tenersi aggiornati su temi rilevanti per l’attività quotidiana
(norme, leggi e contratti). Più raramente si manifesta la determinazione a predisporre una strategia formativa
finalizzata. Queste considerazioni devono tener conto che gli intervistati hanno un buon livello di
scolarizzazione, nei casi più modesti il diploma di scuola media superiore, e ciò dovrebbe favorire sia la
conoscenza delle materie che un’autonoma gestione dei percorsi di approfondimento.
4. Sindacalisti e partito
4.1. Oltre il lavoro sindacale, il rapporto con i partiti
Lo sviluppo di istanze di partecipazione esterne alla attività di lavoro sindacale non può prescindere
dall’impegno richiesto dal sindacato. Gli intervistati concordano sulla difficoltà di trovare il tempo e le
condizioni per interagire con iniziative politiche di partito, ma si può rilevare che manca soprattutto un
sentimento di vicinanza che potrebbe indurre una condivisione delle vicende di partito.
Solo chi ha ruoli dirigenti a livello confederale mantiene delle frequentazioni più correnti, ma ciò sembra
derivare dai temi trattati e dalla necessaria frequentazione delle sedi istituzionali, più che da una precisa
scelta di campo. Non è infrequente che anche i funzionari di categoria abbiano dei rapporti con i partiti per
problemi di fabbrica o di territorio, ma si tratta di contatti estemporanei che non sollecitano un sentimento di
appartenenza e di collaborazione.
Nel caso degli operatori dei servizi, le condizioni operative raramente propongono occasioni di incontro con
esponenti politici. Se si partecipa a qualche tavolo tecnico che consente condizioni di confronto più
ravvicinato, la preoccupazione degli operatori è di gestire il processo facendo leva esclusivamente sulle
proprie competenze tecnico professionali.
Le condizioni dell’attività sindacale nel caso dei giovani funzionari, pertanto, determinano dei vincoli
operativi che vengono percepiti come ostativi alla partecipazione attiva alla vita di partito. Nei pochi casi di
adesione la scelta privilegia il Partito Democratico, mentre quasi inesistenti sono i riferimenti ad altri partiti
di sinistra. Nel complesso, quindi, la disponibilità all’adesione partitica è generalmente bassa, sembra
mantenere un qualche peso in Lombardia mentre in Veneto vi è un maggiore distacco.
All’assenza di forme di adesione formale, come l’iscrizione, possono corrispondere delle manifestazioni di
vicinanza e simpatia, con atti che esprimono un qualche tipo di sostegno. Ma anche questa diversa
gradazione non muta significativamente il quadro. È leggermente più consistente il numero di coloro che si
dichiarano simpatizzanti, ma ciò non induce un significativo aumento della partecipazione, il sostegno ad
iniziative, una disponibilità all’impegno volontario.
Mentre viene generalmente riconosciuto il ruolo dei partiti, ciò è accompagnato da una presa di distanza
molto critica sul loro modo di funzionare. Le opinioni sul loro agire effettivo appaiono molto critiche e si
stigmatizzano i segni di un degrado che viene considerato pericoloso.
Queste prese di posizione rafforzano la convinzione che è necessario tener ben distinti i ruoli politici da
quelli sindacali, per cui la separazione dai partiti è considerata una condizione per fare meglio l’attività
sindacale. Affiora la convinzione che questa distanza può aiutare il sindacato a definire meglio i propri
compiti e la propria natura, in modo da corrispondere più coerentemente alle attese dei lavoratori.
Non ci si rammarica, quindi, del fatto che l’impegno sindacale non permette di dedicare tempo e fatica alle
attività politiche. Più pesanti appaiono altri vincoli. Soprattutto le donne sentono che la pressione del lavoro
limita le possibilità di coltivare altri interessi, e ciò viene considerato più oneroso dell’assenza della politica.
Nonostante ciò, si è consapevoli che questo allontanamento dalla vita dei partiti può divenire un problema,
giacché vi è il rischio di ampliare oltre misura una separatezza che, se non favorisce il rinnovamento dei
partiti, non facilita la visione complessiva del sindacato. Tale constatazione ripropone la sensazione che il
collasso delle forme organizzate della politica produce danni anche al sindacato, che si trova privo di
interlocutori. Oggi il compito di trovare soluzione ai temi del lavoro viene caricato tutto sulle spalle del
sindacato, producendo una immagine di inevitabile inadeguatezza di fronte alla complessità e alla radicalità
delle situazioni.
Se è molto sentito tra i sindacalisti il tema della buona politica, tanto da rivendicarla come condizione che
avrebbe effetti positivi sull’azione sindacale, si ammette che di questo non vi è traccia. Qualcuno, anzi,
sospetta che sia intenzionale la scelta di evitare i contatti diretti con la gente, lasciando che sia solo il
sindacato a raccogliere le attese e farsene carico. Peraltro, quanto viene proposto dal sindacato non viene
valorizzato dai partiti, rischiando di vanificare così anche l’impegno espresso dai sindacalisti.
4.2. Azione sindacale e dimensioni della politica
La raccolta delle opinioni di un gruppo di giovani sindacalisti fornisce lo spunto per avviare nel sindacato
una riflessione su di sé non occasionale. Il quadro che si tratteggia segnala che non è semplice dare una
risposta netta ai quesiti posti dall’indagine. Quello che si può dire è che questa generazione di sindacalisti
interpreta il rapporto tra l’azione sindacale e la politica in modo molto diverso da quella dei colleghi più
anziani. La stesura finale del report di ricerca si prefigge di rappresentare in modo puntuale le peculiarità di
questi nuovi profili, anche per quanto riguarda il senso dell’agire politico nel sindacato, traendone delle
indicazioni sulle trasformazioni future.
Questa riflessione si colloca in un tempo ed in un contesto particolare. Viviamo una stagione in cui il
sindacato si muove in terra incognita. Il quadro è gravato di rischi e di incertezze, ma non è preclusa, come è
già avvenuto in altre fasi di dolorosa trasformazione, la possibilità di sviluppo e di rinnovamento dell’azione
sindacale, Molte delle opportunità potenzialmente racchiuse in questi cambiamenti sono, di fatto, nelle mani
delle nuove generazioni di sindacalisti. Se queste faranno tesoro delle esperienze passate, e le tradurranno in
disponibilità all’innovazione e al cambiamento mantenendo etica di comportamento e vicinanza alla vita dei
lavoratori, possono aprirsi stagioni altrettanto ricche di speranza e di possibilità di quelle trascorse.
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