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Big data,
questi sconosciuti
In un mondo in cui
digitale e fisico si
compenetrano e si
fondono ogni giorno di
più, avere gli strumenti
per analizzare la
molteplicità di dati
forniti dagli utenti è
fondamentale per
sviluppare il business.
Soprattutto quello
editoriale
Intervista a Piergiorgio De Campo e
Gabriella Giani
Cosa si intende quando si parla di smart
publishing e quali sono i nuovi modelli
organizzativi nell’industria editoriale?
Di questo e d’altro si è discusso in un
convegno lo scorso marzo presso la sede
di Google Italia organizzato dall’Associazione italiana editori e Noovle, società
di consulenza Ict specializzata in servizi
Web. Nata nel 2013 dalla fusione di
due premier partner di Google for Work,
Global Base e Scube NewMedia, Noovle
lavora sulle ultime frontiere del Web
confrontandosi con temi che vanno dalle
tecnologie per la mobilità ai big data, dal
cloud alle smart enterprise, dallo smart
working ai classici social e al modo in cui
tutto questo può collaborare a rendere
più proficui i flussi di lavoro.
Piergiorgio De Campo (chief technology
officer di Noovle) e Gabriella Giani
Servizi per gli editori
(marketing manager) ci hanno raccontato
come gli strumenti del Web possono
cambiare il lavoro delle aziende – anche
di quelle editoriali.
Anzitutto di cosa vi occupate?
Noovle nasce come system integrator e
ha nel suo Dna la capacità di integrare
diverse soluzioni, anche in segmenti e
settori specifici, come l’editoria. Propone
piattaforme di comunicazione e collaborazione oltre a piattaforme di social
management, brand reputation, listening
e strumenti dedicati alla gestione dei
contenuti marketing e video. La vera
rivoluzione nei processi organizzativi è
quella permessa dal cloud: le aziende
hanno ormai la possibilità di raccogliere
molteplici dati che sono generati internamente o che arrivano da diverse fonti, ma
che in ogni caso confluiscono in maniera
destrutturata ai decisori. Poter trarre
informazioni dai dati significa costruire
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Giornale della libreria aprile 2015
http://doi.org/10.1390/GDL_201504_big_data
E le aziende editoriali?
Sicuramente è un settore ancora molto
indietro rispetto a queste dinamiche, ma
le peculiarità che lo contraddistinguono
lo rendono estremamente adatto a sviluppare nuovi strumenti che permettono
di semplificare i processi. Il caso tipico è
il work flow della redazione di un testo in
cui diverse competenze e diversi redattori
devono lavorare insieme, anche se si
trovano fisicamente dislocati in luoghi
diversi. Se un tempo erano necessari
passaggi di bozze o spostamenti fisici,
la tecnologia oggi ci viene in aiuto e ci
permette, attraverso strumenti come le
Google Apps, di lavorare in remoto su un
unico documento e di condividerlo.
analisi di visione e predittive che guidano
anche il business e l’evoluzione del prodotto. Saper ascoltare quello che i clienti
dicono, anche in maniera non esplicita
ma attraverso la loro interazione sociale
virtuale, è un modo per conoscere le loro
esigenze.
Rispetto a queste possibilità, come stanno reagendo in generale le aziende?
Quello che era fisico e ciò che è il mondo
virtuale si stanno fondendo ed è proprio
questa filosofia che cerchiamo di portare
nelle aziende. Il nostro claim, «the nexus
of forces», ben rappresenta i trend di
trasformazione digitale che stiamo
attraversando e che non sempre trovano
le aziende preparate. Penso per esempio
alle potenzialità del mondo social che, se
correttamente sfruttato, può raccontare il
comportamento degli utenti, o al mobile
che è una grande opportunità per le
aziende (tanto che negli Stati Uniti ha già
portato alla nascita del modello mobile
only), ma che impone di rivedere le modalità di accesso ai sistemi. Altro elemento
importante, come dicevo, è il mondo
cloud ovvero la capacità di fare delivery
di informazioni. Da ultimo, ma non per
importanza, c’è il tema dei big data visto
che tutti questi canali danno vita a una
mole di dati che va raccolta, analizzata e
utilizzata. Su questo tema le aziende che
stanno investendo di più sono quelle del
mondo delle assicurazioni o del finance,
che sicuramente fino a oggi era piuttosto
indietro rispetto ad altri settori ma che
sta recuperando.
Qual è l’atteggiamento delle aziende
rispetto a questi temi?
Il cambiamento a volte può generare
resistenze e paura di distruggere l’infrastruttura tradizionale, magari costruita
nel corso di decenni e con investimenti
importanti. L’idea di utilizzare il cloud
e sistemi Web based in alcuni settori,
penso per esempio alla pubblica amministrazione, porta spesso con sé la
percezione che si tratti di ambienti poco
sicuri, cosa niente affatto vera. L’idea è
quindi quella di rassicurare gli scettici
fornendo piattaforme sempre aggiornate
e migliorandole mentre gli stessi utenti
le utilizzano. Quando invece si tratta di
aziende private, di solito l’atteggiamento
è molto più aperto.
Quali sono le aree in cui le case editrici
investono di più?
Per noi il settore editoriale comprende
molte realtà diverse, a cominciare dai
siti Web. Abbiamo realizzato un progetto nell’ambito dell’editoria cattolica,
Aleteia.org, partito a fine 2012, il cui
scopo era occuparsi di editoria digitale,
facendo anche advertising. L’azienda era
piccola e si è e scelto di adottare una
soluzione che si basa sul mondo cloud
di Google. Oggi vengono consultate più
di 10 milioni di pagine al mese con una
crescita internazionale e un’enorme scalabilità. C’è poi tutta una serie di clienti
legati all’editoria periodica, dalle testate
del gruppo Condé Nast al «Fatto Quotidiano», che hanno voluto investire nella parte video. Molti editori tradizionali, tra cui
Servizi per gli editori
E in prospettiva?
Crediamo che il cloud sia obbligatoriamente di interesse per le case editrici,
anche perché significa risparmio economico. Sulla parte video è facile trovare
una sponda: i costi sono talmente alti
che il cloud permette soluzioni vantaggiose. Su altre situazioni più strategiche
si fa più fatica, c’è ancora un po’ di
resistenza, forse culturale. È evidente
che l’editoria sta attraversando grandi
cambiamenti, pensiamo, solo per fare un
esempio, ai canali di vendita. Nel caso
già citato di Hoepli possiamo vedere
come un editore che ha fatto dell’e-commerce un pilastro del suo fatturato e un
format da replicare, abbia scelto di riportare all’interno del proprio sito la search
appliance di Google a cui sono abituati
gli utenti. Mentre l’utente scrive ciò che
vuole cercare, compare già la lista di sug-
gestion, con risultati in continuo aggiornamento. Si possono controllare i prodotti
che si vogliono spingere di più e avere
filtri sulle tipologie. Se l’utente nella sua
navigazione è abituato in un certo modo,
quando entra nel sito e trova gli stessi
paradigmi continua a navigare e a trovare
informazioni facilmente. Quando l’utente
trova quello che cerca, ritorna e compra.
L’idea di fondo è che bisogna capire le
esigenze del cliente e customizzare strutture e applicazioni standard.
“
Il settore editoriale non
è tra i più attivi nelle
soluzioni cloud ma qualcosa sta cambiando”
Le piattaforme di social login e identity
management sono un altro aspetto
rilevante per le case editrici. Si chiede
agli utenti di registrarsi sui propri siti
o accedere con il proprio profilo social.
Nelle banche dati dell’editore arrivano
dunque anche queste informazioni ed è
importante saperle gestire: con la vecchia business intelligence si analizzava
cosa succedeva ieri, i business analytics
ci hanno abituato a capire come sta andando avanti la campagna in real time.
Ormai c’è sempre più fusione tra mondo
virtuale e reale, soprattutto nel retail.
Le informazioni che ne derivano sono un
patrimonio che aiuta a costruire prodotti
migliori. Un’esperienza interessante viene dalla National Football League che ha
inserito in tutti i siti della Lega il social
login. Guardando i profili Facebook degli
utenti – accedendo a informazioni quali
città di residenza, università, ecc. – hanno creato campagne di merchandising
con offerte estremamente personalizzate, come quelle proposte nel giorno del
compleanno degli utenti, o a coloro che
hanno partecipato a un evento sportivo
particolare. I risultati sono stati incredibili e assolutamente scalabili per altri
business. Altro discorso ancora è quello
del raccomandation engine (il classico
«se ti è piaciuto questo prodotto, ti
potrebbe piacere anche questo»). Anche
qui, si tratta di regole di big data. (Intervista a cura di E. Molinari)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Giornale della libreria aprile 2015
De Agostini e Mondadori hanno puntato
invece sui processi investendo nelle Google Apps e nei servizi drive, mentre altri
come Hoepli, hanno investito nella GSA, il
motore di ricerca Google integrato.