Cascina Caccia

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Dossier ‘ndrangheta
SAN SEBASTIANO PO Ci sono voluti undici anni per liberare il bene confiscato alla mafia. Ora è centro di incontro e confronto
La casa del Boss, simbolo di legalità
Ci viveva la famiglia dei Belfiore: è diventata “Cascina Caccia”, sede di Libera
I DELITTI DELLA
‘NDRANGHETA
NELL’OLTREPO’
In via Serra Alta 6, a
San Sebastiano da Po,
a due passi da Chivasso, sorge la “Cascina
Bruno e Carla Caccia”.
Questo casolare di mille metri quadrati, circondato da un ettaro
di terreno coltivabile, è
stato per lungo tempo
un immobile della mafia.
Di proprietà della famiglia Belfiore, che annovera alcuni suoi
componenti nelle fila
della criminalità organizzata torinese, è oggi
un luogo restituito alla
collettività. Domenico
Belfiore, il capo famiglia, è stato condannato nel 1992 alla pena
dell’ergastolo per essere il mandante dell’omicidio del procuratore Bruno Caccia.
Chi era
Bruno Caccia
Nacque a Cuneo nel
1917. Iniziò la sua carriera in magistratura
nel 1941 nel Palazzo di
giustizia di Torino.
Nel capoluogo piemontese ci rimase sino
al 1964 ricoprendo la
carica di Sostituto Procuratore, per poi passare ad Aosta come
Procuratore della Repubblica. Nel 1967
Caccia ritornò nelle
aule torinesi con l’incarico di sostituto Procuratore della Repubblica e, nel 1980, gli fu affidato il compito di
presiedere l’organo
giudiziario all’ombra
della Mole.
Era un uomo scrupoloso, attento ai dettagli,
inflessibile, fedele al
ruolo di tutore della
legge. Diede un contributo di fondamentale
importanza per contrastare la ferocia del
terrorismo. Grazie alla
sua opera, la Procura
instituì i primi processi
ai capi storici di Br e
Prima linea. Il lavoro
di Bruno Caccia in
Procura fece vacillare
le basi del dominio
malavitoso imperante
tra Torino e Provincia.
Nel capoluogo piemontese era arrivato
un vero uomo delle istituzioni che non si
poteva corrompere. La
malavita lo sapeva e
decise di eliminarlo.
Bruno Caccia venne
freddato con diversi
colpi di pistola sotto
casa. Era il 26 giugno
del 1983. In Italia
un’altra vittima di mafia.
LUGLIO 2003
Giuseppe Gioffrè
freddato a San Mauro
Nella foto d’archivio il procuratore di Torino, Giancarlo Caselli, simbolo della lotta alle mafie, con i ragazzi di
Libera e l’allora sindaco del paese, Paola Cunetta, alla Cascina Caccia di via Serra Alta 6 a San Sebastiano
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dibattiti,camminatesi
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La confisca
La misura di prevenzione patrimoniale,
che ha permesso a
questa struttura di essere confiscata, è stata
emessa, nel 1996, a carico di Salvatore Belfiore, fratello di Domenico, con diversi reati
alle spalle legati al 416
bis. Solo il 17 maggio
2007 questa struttura è
stata liberata definitivamente dagli ultimi
residenti, ma l’iter della sua confisca è iniziato 11 anni prima. Il bene, come spesso accade tra gli affiliati delle
cosche, era stato intestato ad un soggetto
non legato agli affari illeciti della famiglia, in
questo caso ad un fratello incensurato.
La confisca definitiva
dell’immobile è stata
effettuata 3 anni dopo,
nel dicembre del 1999.
Solo nel 2005, il bene,
(da 2 anni di proprietà
del comune di San Sebastiano da Po) per volontà dell’amministrazione guidata dall’allora sindaco Paola Cunetta, viene destinato,
per la sua riutilizzazione a fini sociali, al
Gruppo Abele. Due anni dopo, gli ultimi inquilini della casa, hanno lasciato definitiva-
Stefano Alvaro, l’omicida
Giuseppe Gioffrè, la vittima
Era una domenica estiva del 2003 quando in un parco di San
Mauro si consumava un regolamento di conti dalle modalità indubbiamente mafiose. Il pensionato Fiat Giuseppe Gioffré, esule
dalla Calabria, veniva raggiunto nei pressi di una panchina e freddato non appena il killer si fu accertato della sua identità. Una
vendetta attesa quarant’anni, da quando cioé nel 1964 Giuseppe
Gioffrè uccise i suoi rivali Antonio Alvaro e Antonio Dalmato nella
cosidetta “strage di Sant’Eufemia”. Poi la fuga di Gioffrè. Al nord.
A San Mauro. Finché, appunto, la ‘ndrangheta non lo trova. E lo
fredda. Viene arrestato il giovane Stefano Alvaro, appena 25 anni,
rampollo di una cosca considerata vicina alla criminalità organizzata calabrese. Un processo lungo quello ad Alvaro, condannato a
25 anni di carcere.
Bruno Caccia
Don Luigi Ciotti alla Cascina Caccia
mente la struttura.
Con l’insediamento di
quattro residenti e con
la collaborazione di
Acmos e Libera, l’avventura di “Cascina
Bruno e Carla Caccia”,
ha avuto ufficialmente
inizio.
I progetti
La Cascina si propone
di sviluppare alcuni
progetti volti al coinvolgimento del territorio e di chiunque desideri avvicinarsi a questa realtà.
L’obiettivo dei nuovi
residenti è quello di
trasformare la casa in
luogo dove bambini,
ragazzi e adulti possano formarsi su temi
quali l’educazione alla
legalità e alla cittadinanza, al consumo responsabile, alla sostenibilità ambientale,
ecc... A questo fine si
organizzano gite, incontri, seminari, cineforum.
La cascina è dotata di
circa un ettaro di terreno coltivato dove c’è la
possibilità di produrre
“valore economico”.
“Renderci auto-sufficienti dal punto di vista alimentare - scrivono i ragazzi di Libera
sul sito internet della
Cascina - e coltivare un
prodotto d’eccellenza a
marchio Libera Terra,
rappresenta la risposta
di mercato al sistema
malavitoso per anni vivo in questo luogo”.
Il viaggio
Tra le ultime iniziative
partite da San Sebastiano, va ricordata
senz’altro la “carovana
di memoria e di impegno quotidiano” che
ha percorso tremila
chilometri in cinque
giorni, attraverso i luoghi simbolo dei beni
confiscati alla criminalità organizzata.
Due pulmini - di cui uno messo a disposizione dalla Provincia di
Torino - e varie auto
dei ragazzi di Libera si
sono dirette verso Roma dove è stata ricordata Rita Atria, la diciassettenne siciliana
che si uccise dopo aver
collaborato con Borsellino. Poi la carovana
ha fatto tappa a Milazzo (Messina), dove Rita Atria è stata ricordata con una messa da
don Luigi Ciotti. E ancora Cisterna di Latina
(Latina), Polistena
(Reggio Calabria), Isola Capo Rizzuto (Crotone) fino a Castel Volturno (Caserta).
“Un viaggio - dice Davide Mattiello, dell'ufficio di presidenza di Libera - che è come un
colpo di evidenziatore
su questioni che oggi
vengono a galla sempre più pesantemente,
come la ricerca di una
verità storica sulla stagione '92-'93. Ma anche sul tema del lavoro, senza il quale non
c'é libertà”.
Nella foto a lato
i rilievi sulla scena
del delitto
del procuratore
Bruno Caccia,
assassinato da
Domenico Belfiore,
poi condannato alla
pena dell’ergastolo.
FEBBRAIO 2007
Rocco Femia ucciso
a Bardassano di Gassino
Quel che resta della vecchia Fiat Uno bruciata insieme a Rocco Femia
Si chiamava Rocco Femia, 53 anni, nato e residente a Gioiosa Jonica in via Fragastò 3. Da almeno due anni era fuggito dalla Calabria, braccato da rivali determinati a vendicare uno sgarbo ancora
misterioso. Unico segno particolare, quello che sembra il resto di
un tatuaggio sul torace. Niente altro. Il cadavere trovato a Bardassano, all´interno di una vecchia Fiat Uno rubata, è un mistero.
Quasi completamente carbonizzato, niente più braccia né gambe,
faccia distrutta, impronte inutilizzabili.
DICEMBRE 2008
Giuseppe Femia
massacrato a Gassino
Lo hanno massacrato a martellate, fino a spaccargli il cranio. E’
stato ucciso così Giuseppe Femia, artigiano edile di 48 anni, residente a Gioiosa Ionica ma domiciliato da alcuni anni a Gassino.
Era cugino del boss della ’ndrangheta Rocco Femia. Sposato da
tempo, era solito allontanarsi dalla famiglia - tutti i suoi parenti
vivono a Gioiosa Ionica -, per lunghi periodi di lavoro al Nord.
Prestava la sua opera presso la ditta edile Cirillo a Chivasso.