1 PREMESSA definizioni Panismo La voce deriva dal nome del dio

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PREMESSA
definizioni
Panismo La voce deriva dal nome del dio greco Pan, divinità maschile del mondo bucolico e pastorale,
caratterizzata da una selvaggia sensualità. Pan viene talvolta identificato con Fauno e Silvano e
rappresentato con l’aspetto di un satiro, divinità minore, dall’aspetto caprino, legata a Dioniso. Il nome
viene collegato al termine greco pán, che significa ‘tutto’, così da attribuire al dio il carattere di divinità
universale della natura. A questo significato si riferisce il termine ‘panismo’ che, in letteratura, designa
un atteggiamento in cui l’artista partecipa alla vita della natura, concepita paganamente come una forza
animata, identificandosi con essa. (es in La pioggia nel pineto)
Superuomo Il termine italiano ‘superuomo’ traduce il tedesco Übermensh, adoperato a partire dal
Seicento per indicare genericamente l’aspirazione umana a superare i propri limiti in uno slancio verso la
grandezza. Il termine fu ripreso dal filosofo Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra (1883- 1884) e
in altre opere successive con un significato specifico. Nietzsche indicava nel superuomo sia un modello
di umanità futura, liberata dalle superstizioni e da ogni forma tradizionale di cultura (religiosa, morale,
estetica), sia il singolo individuo in grado di realizzare pienamente se stesso, seguendo una propria etica
personale, a dispetto e in contrasto con la società. A essere ripreso tra la fine dell’Ottocento e il
Novecento è stato soprattutto questo secondo aspetto, fatto proprio da d’Annunzio e poi forzato in
senso nazionalistico e razzistico dai teorici del nazismo.
Estetismo
L’estetismo consiste nel privilegiare la Bellezza quale va lore supremo, da realizzare a
ogni costo. Esso si incontra in ogni epoca, ma assume connotati organici e strutturati in forma ideologica
soprattutto negli ultimi decenni dell’Ottocento; l’uso del termine in senso proprio è perciò oggi
solitamente ristretto a indicare un aspetto del Decadentismo, legato alla teorizzazione dell’arte per
l’arte al culto della Bellezza e all’identificazione di arte e vita. Ponendo la bellezza al di sopra di tutto,
l’estetismo rifiuta di rispondere ad altra morale che non sia quella stessa del proprio canone artistico. In
Inghilterra sono riconducibili all’estetismo Pater e Wilde; in Francia, Huysmans; in Italia, d’Annunzio.
Gabriele d’Annunzio è uno dei pochi scrittori italiani del Novecento ad avere fama europea. Raffinato
cultore dell’estetismo può essere considerato uno dei più noti esponenti del decadentismo
internazionale.
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IDEOLOGIA
D’Annunzio volle essere anche ideologo e politico, intervenendo in numerose occasioni su questioni
“strategiche” della vita civile nazionale e impegnandosi negli schieramenti parlamentari. Al di là dei
molti cambiamenti intervenuti nel tempo, resiste la costante dell’ideologia nazionalistica, che si esprime
nell’adesione all’aggressività coloniale di Crispi, nell’interventismo durante la prima guerra mondiale,
con l’appendice dell’impresa di Fiume, nel favore concesso alla guerra fascista in Etiopia. Il nazionalismo
dannunziano assume un’inclinazione individualistica e pomposamente eroica, con aperte concessioni al
razzismo. Gli interventi dannunziani esprimono una retorica gonfia ed esibizionistica, fatta più per
colpire che per indurre a riflettere; una retorica che inaugura quella fascista, e soprattutto mussoliniana.
Sarebbe tuttavia sbagliato avvicinarsi all’ideologia dannunziana cercando di ricavarne le coordinate a
partire dalle scelte politiche. L’impegno con la Destra nel 1896, il passaggio poi clamoroso alla Sinistra
tre anni dopo, il nazionalismo aggressivo e perfino volgare nel 1915, l’impresa di Fiume, l’appoggio al
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fascismo sono tutti episodi gestiti all’interno di un progetto di vita in cui conta innanzitutto la sensibilità
ai processi in atto, ovvero la capacità di stare dalla parte ritenuta “giusta” (cioè quella vincente,
oppure quella più appariscente e scandalosa). D’Annunzio, con una continua spettacolarizzazione della
propria vicenda biografica, dimostra di avere compreso perfettamente i nuovi meccanismi
dell’informazione e del mercato creati dalla società di massa, come viene testimoniato anche da
numerosi episodi minori della sua esistenza. A diciassette anni, per lanciare la sua prima opera (Primo
vere), diffonde la falsa notizia della sua morte, inducendo così molti giornali a scrivere articoli in
suffragio del giovanissimo poeta precocemente venuto a mancare. Anni dopo, già celebre, avvia una
precoce collaborazione col mondo del cinema e del marketing pubblicitario: redige, ad esempio, le
didascalie per il kolossal Cabiria e sceglie il nome di Rinascente per la prima catena italiana di grandi
magazzini. D’Annunzio, fin dalla prima giovinezza, sa che la continua attenzione che i mezzi di informazione dedicano alle sue avventure, ai suoi amori e alle sue stravaganze di artista contribuisce in
modo determinante a far conoscere le sue opere, assicurandone il successo editoriale. L’ammirazione
per il poeta si fuse infatti nel pubblico con la curiosità per l’uomo, creando un vero e proprio “mito di
massa”. La borghesia provinciale italiana proiettò su d’Annunzio il suo desiderio di affermazione
individuale, di trasgressione e di evasione dal quotidiano così come identificò in Pascoli il più sicuro
portatore di un’ideologia fondata sull’affermazione dei propri valori-simbolo: famiglia, casa, lavoro. . Ciò
consentì a d’Annunzio di riproporre il mito del poeta-vate, tramontato con l’avvento della società
borghese, e una concezione della poesia come attività privilegiata, creatrice di valori assoluti. L’arte in
d’Annunzio diventa quindi l’altra faccia di una vita “inimitabile” che però, paradossalmente, si offre
come sogno di evasione di massa.
Il protagonismo e l’esibizionismo dannunziani nascondono un’ accettazione passiva della realtà
presente e dei suoi meccanismi sociali e di potere. Ciò si rivela nella subalternità agli interessi economici
e all’ideologia delle classi dominanti, nell’avversione per le masse, nel disprezzo per la democrazia e
per le classi lavoratrici. Il desiderio di stare dalla parte dei privilegiati e dei vincenti nasconde il rifiuto di
prendere atto della degradazione sociale subita dalla figura dell’artista nella moderna società borghese.
Grazie a questa negazione, d’Annunzio può riproporre un’idea della poesia come pienezza di canto e
come esperienza superiore privilegiata.
L’estetismo L’arte è concepita da d’Annunzio come Bellezza, sia in senso classicistico, sia nel senso del
nuovo estetismo decadente. Per questo d’Annunzio può proporsi contemporaneamente come l’ultimo
umanista e come il nuovo esteta moderno. Anche questo atteggiamento rivela la difficoltà dello scrittore
a misurarsi con la nuova condizione dell’artista in una società di massa che ha degradato l’arte a merce,
attribuendole soltanto il valore determinato dal suo successo sul mercato. Autori come Zola e
Baudelaire si mostrano perfettamente consapevoli di questa degradazione; d’Annunzio, invece,
apparentemente la rifiuta, ribadendo il valore assoluto e supremo della Bellezza. In realtà la posizione di
d’Annunzio è ambigua. La Bellezza per lui è al di sopra di tutto, ma egli è il primo a sfruttare abilmente i
complessi meccanismi dell’industria editoriale, del mercato librario e delle mode. Sa propagandare se
stesso, costruire il suo successo e organizzare il consenso alla propria opera, promuovendone le vendite e il consumo di massa. La posizione di d’Annunzio costituisce pertanto uno straordinario paradosso:
egli si offre come mito di massa proprio costruendosi un’identità di genio aristocratico e superiore che
disprezza la folla vivendo esperienze esclusive e raffinate.
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Il protagonista del Piacere rappresenta l’esaltazione dell’estetismo, con la spasmodica ricerca
dell’appagamento dei sensi, della raffinatezza, della bellezza artistica, ma anche il suo fallimento. La
ricerca dell’eccezionalità individuale spinge Andrea a distinguersi dalla massa, da quel «grigio diluvio
democratico» con cui si apre il romanzo, ma pure, inevitabilmente, a travalicare i confini della
moralità condivisa. Fino alla catastrofe finale: tradito dall’ossessiva passione che lo lega a una donna,
Andrea vede fallire miseramente il proprio progetto esistenziale.
Datazione, genere e struttura del libro
ll piacere, pubblicato nel 1889 dall’editore Treves. Il piacere è un romanzo che risente della tradizione
del Naturalismo, rispetto alla quale tuttavia d’Annunzio opera significative trasformazioni. Anche se la
storia raccontata riproduce fatti e situazioni possibili nella Roma di fine Ottocento, lo spazio maggiore è
lasciato alla libera rappresentazione della soggettività del protagonista, Andrea Sperelli, alter ego dello
scrittore ed eroe dell’estetismo
Lontano dal Naturalismo è anche lo stile, che registra in presa diretta il punto di vista del protagonista o
di altri personaggi, con la conse- guente tendenza alla descrizione impressionistica. D’Annunzio si ispira
piuttosto all’estetismo della nuova cultura decadente, conosciuta attraverso Controcorrente (1884) di
Huysmans: come in quest’ultimo romanzo, d’Annunzio compie il ritratto interiore di un solo
personaggio, di cui una voce narrante esterna riferisce idee e sensazioni.:
Il romanzo, diviso in quattro parti dette “Libri”, non segue l’ordine cronologico degli avvenimenti: si apre
con la dedica al pittore Paolo Michetti e prosegue con la descrizione del protagonista, il giovane conte
Andrea Sperelli mentre aspetta l’amante Elena Muti; seguono poi lunghi flashback che ricostruiscono le
vicende del loro amore, fino all’incontro di Andrea con un’altra donna, Maria Ferres, e la fine di
entrambe le relazioni.
Il Libro primo: la passione con Elena
l Libro secondo: l’amore puro con Maria
Il Libro terzo: tra Maria ed Elena
Il Libro quarto conclusione
----------------------------------------------------LIBRO PRIMO CAPITOLO I-II
La presentazione del protagonista, Andrea Sperelli, coincide con il ritratto di un esteta, secondo cui
«bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte». Sono però anche messe in luce le
contraddizioni che ne attraversano la personalità, minacciandone la compattezza e l’equilibrio. Se quindi
Andrea esalta i principi dell’Estetismo dannunziano, ponendosi come alter ego dello scrittore, ne
denuncia anche i limiti e le debolezze.
La descrizione di Andrea Sperelli è utile per capire i tratti fondamentali dell’ideologia
dannunziana
nel Piacere. Il protagonista è l’alter ego dell’au- tore: è «tutto impregnato di arte» (rigo 11), ha «il gusto
delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza» (righi 14-15).Inoltre, Andrea è dotato di una «forza
sensitiva» (righi 24-25), cioè di una sensibilità eccezionale, che lo rende amante della bellezza e dei
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piaceri. Ben incarna dunque il motto paterno, che è anche uno dei principi su cui si basa l’estetismo
dannunziano: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte» (righi 33-34). L’esteta è anche
l’individuo che esalta i valori aristocratici da cui proviene la propria formazione culturale e umana: fin
dall’inizio, Andrea è rappresentato come discendente di una nobile famiglia, la cui agiatezza economica
gli ha permesso di compiere interminabili viaggi culturali in Europa. La sensibilità straordinaria e l’«alta
cultura» che il protagonista sfoggia sono le cause però di una possibile corruzione e decadenza morale:
nella conoscenza trasmessagli dal padre, che possiede uno spirito forte, c’è il «seme delsofisma», cioè
l’abitudine a fingere, anche verso se stessi. Infatti, se moltiplicare i piaceri e cercare di trarne il massimo
godimento è l’obiettivo principale dell’esteta, è vero anche che questo corrisponde a una maggiore
sensibilità verso il dolore, tanto che «la scienza della vita sta nell’oscurare la verità» (rigo 47). Andrea
diventa così una figura a metà tra l’eroe dell’estetismo e lo sconfitto, incapace di godere autenticamente i piaceri inseguiti.
Libro secondo, Capitolo I Il Verso è tutto
Ferito dall’amante di una nobildonna che aveva spavaldamente corteggiato, Andrea è costretto a una
lunga convalescenza, immobile a letto. Viene così trasferito nella villa di campagna della cugina, a
Schifanoja, dove attraversa un periodo di rigenerazione spirituale che lo allontana dalla ricerca
spasmodica del piacere e fa rinascere in lui «il culto profondo e appassionato dell’Arte».
In linea con i principi dell’Estetismo, Andrea afferma che il valore supremo della vita è l’arte, in
particolare il «verso», cioè la poesia. L’attività poetica è il miglior «strumento» per l’«imitazione della
Natura» e uno dei massimi piaceri che l’uomo possa ottenere. In particolare, sono gli aspetti formali, lo
stile, che interessano Andrea e, di conseguenza, lo stesso d’Annunzio: «suoni, […] riccheimmagini, […]
epiteti esatti, […] metafore lucide, […] armonie ricercate, […] squisite combinazioni di iati e di dieresi,
[…] di tutti i misteriosi artifizii dell’endecasillabo». Nessun accenno ai “contenuti” della poesia, che
preesistono all’artista, non nascono da lui: il poeta è solo uno scopritore, capace di estrarre il verso
perfetto, che esiste «preformato nella oscura profondità della lingua». La dimensione assolutizzante
dello “stile poetico” sembra però trasferirsi anche nella vita di Sperelli, dedito
solo al culto
dell’esteriorità e minacciato così da un’inquietudine interiore che lo porta alla triste consapevolezza
della propria aridità esistenziale.
La modernità del Piacere
Andrea Sperelli, uno dei personaggi più conosciuti delle opere dannunziane, è il risultato della
commistione fra l’esperienza biografica dell’autore – si ricordi il periodo mondano e ricco di scandali che
d’Annunzio trascorre a Roma N(1881-1890) – e influssi della grande narrativa europea. Il protagonista
del Piacere assomiglia ad altri eroi decadenti, in particolare al Jean Des Esseintes di Controcorrente di
Huysmans (1884) e al Dorian Gray di Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (1890).
Andrea possiede numerose virtù – la nobiltà di sangue, la bellezza fisica, la raffinatezza della cultura e
una sensibilità superiore agli altri – che gli permettono di essere un esteta. Egli vive per l’arte, che
considera un valore assoluto, rappresentando così «l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX
secolo». «Il culto appassionato della bellezza» che Andrea mostra sfocia però nella «avidità del piacere»;
la cultura, acquisita con numerosi viaggi in Europa e priva degli influssi di maestri pedanti, diventa in lui
così ampia da «corrompere lo spirito»; l’ingegno si trasforma in qualcosa di «malsano», che lo rende
incapace di vivere autenticamente. Insomma, nella rappresentazione del protagonista c’è da parte del
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narratore una certa ambiguità: da una parte c’è in d’Annunzio la volontà di creare un «tipo ideale» che si
innalzi al di sopra del «grigio diluvio democratico», cioè della gente comune; dall’altra, l’autore vuole
rappresentare la malattia morale che attanaglia l’eroe decadente, costretto, come rivela la fine del
Piacere, a constatare amaramente il fallimento del proprio progetto di vita. Questo falli mento avviene
al cospetto di uno dei temi più moderni dell’opera: il confronto, e il conflitto, fra le aspirazioni elitarie
dell’eroe decadente e la nuova folla che ha occupato le società moderne, portandovi una nuova
dimensione umana e culturale, nella quale d’Annunzio, come Andrea, vede
solo
volgarità
e
insensatezza.
le parole del romanzo
ARTE «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte»: il consiglio paterno che risuona nella
mente di Andrea, è uno dei principi su cui si basa l’estetismo dannunziano. Nella convalescenza
trascorsa presso la villa di Schifanoja, Andrea giunge ad amare nuovamente l’arte L’Arte! L’Arte! Ecco
l’amante fedele, sempre giovine, immortale; ecco la Fonte della gioia pure, vietata alle moltitudini,
concessa agli eletti». Dopo la trasgressione nel piacere dei sensi, l’arte costituisce un punto di partenza
per la “rinascita” che il protagonista compie durante la convalescenza. Per Andrea l’arte è il valore
assoluto: a vita stessa viene concepita come arte, e l’“arte per l’arte” non è solo un programma estetico
ma anche uno stile di vita. Identificare arte e vita significa nei fatti subordinare tutto, anche la
dimensione morale dell’esistenza, a una visione estetica della vita.
PASSIONE Andrea è perennemente alla ricerca del piacere, che molto spesso coincide con le avventure
amorose, con la passione. Le due donne che egli ama corrispondono a due aspetti dell’amore: Elena
rappresenta l’amore sensuale e carnale, in cui i due amanti sono uniti dal piacere dei sensi, mentre
Maria è il simbolo dell’amore intellettuale, in cui il rapporto amoroso si basa sulla consonanza perfetta
di gusti artistici e poetici. Ma in Andrea prevale alla fine la passione dei sensi, tanto è vero che
nell’ultima notte d’amore con Maria gli sfugge il nome di Elena. La dimensione erotica è quindi un
aspetto fondamentale del Piacere: sin dalle prime pagine del romanzo il protagonista è descritto in
attesa di un incontro amoroso; in seguito viene ferito in un duello causato da un corteggiamento troppo
spavaldo; alla fine si consuma la catastrofe nel letto di Maria, durante un rapporto amoroso.
ROMA
Al centro del romanzo c’è la società aristocratica di Roma, di fine Ottocento. D’Annunzio
indugia molto sugli ambienti in cui si muove il protagonista, spesso assorto nella contemplazione di ciò
che lo circonda. Si veda, come esempio, una delle prime descrizioni di Roma vista dagli occhi di un
Andrea affacciato alla finestra in attesa di Elena: «l’oro- logio batté le quattro. Giungeva dalla piazza di
Spagna e dal Pincio il romore delle vetture […]. L’obelisco era tutto roseo, investito dal sole declinante; e
segnava un’ombra lunga, obliqua, un po’ turchina. L’aria diveniva rigida, come più s’appressava al
tramonto. Notevole è anche la cura con cui sono tratteggiati gli interni, che costituiscono un mondo nel
quale quadri, suppellettili, specchi e arredamenti rappresentano la preziosità e la raffinatezza degli stessi
personaggi che lo abitano.
LA DISTANZA DAL VERISMO
Nel 1889, quando esce Il piacere, la casa editrice Treves pubblica pure Mastro-don Gesualdo di Giovanni
Verga. A te […] io debbo l’esercizio e lo sviluppo della più nobile tra le facoltà
dell’intelletto:
debbo
l’abitudine dell’osservazione e debbo, in ispecie, il metodo. Io, sono ora, come te, convinto che c’è per
noi un solo oggetto di studi: la Vita»: queste parole, rivolte da d’Annunzio nella Dedica al pittore Paolo
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Michetti, potrebbero far pensare all’adesione ai modelli del contemporaneo Verismo. Ma la «Vita» che
interessa a d’Annunzio non è quella del popolo descritta da Verga: a un intreccio di fatti oggettivi ed
esterni si sostituisce sempre più l’interiorità del protagonista, le cui vicende si svolgono quasi tutte entro
la sua psiche. Inoltre, l’«eclissi dell’autore» praticata da Verga nel Piacere viene meno: la storia è
raccontata prevalentemente da un narratore esterno che parla delle sensazioni del personaggio e
indugia molto su dettagli impressionistici, come notò lo scrittore Robert Musil, affermando che il romanzo «contiene una bella descrizione di una corsa di cavalli. Non l’ho più trovata così bella. […] Poi ho
notato che la sua scrupolosa attenzionenegli interni, nelle toilettes e simili va spesso troppo in là e che
egli pratica dichiaratamente la tecnica del paragonare persone, posizioni e gesti, a quadri noti e ignoti».
Tolto che in questo gusto del particolare, il romanzo di d’Annunzio risulta in qualche modo, rispetto ai
capolavori contemporanei di Verga, una regressione artistica: alla oggettività della nuova narrativa
europea, costruita in Francia da Flaubert e poi da Zola, e rilanciata in Italia da Verga, d’Annunzio
sostituisce la vecchia formula soggettivistica che già aveva animato la stagione romantica. Nuovo è però
il sentimento della fragilità e la rinuncia agli ideali civili e morali che invece animavano la stagione del
Romanticismo.
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