APPUNTI DI LETTERATURA - Alberto Vipraio Tiberi

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Appunti forniti dalla Prof.ssa C. Stanizzi IL NEOCLASSICISMO Il Neoclassicismo, in letteratura, fu un movimento artistico-letterario che si sviluppò in Europa tra la seconda metà del ‟700 e il primo decennio dell‟‟800, manifestando un orientamento del gusto e delle predilezioni culturali verso la civiltà antica, soprattutto greca, scelta come modello da emulare.

Nata nell ‟ambito delle arti visive, tale tendenza ricevette un forte impulso dagli importanti ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei, effettuati nell ‟ultimo trentennio del secolo. Tali rinvenimenti furono fondamentali per l ‟organizzazione dell‟archeologia in scienza moderna e contribuirono alla nascita di un “turismo” aristocratico diretto verso i luoghi della classicità, soprattutto in Italia e in Grecia. Cominciarono così a moltiplicarsi le testimonianze di viaggio. Nell ‟ambito delle arti figurative, la riflessione teorica, trovò la sua formulazione nell ‟opera di due tedeschi, il pittore Anton Raphael Mengs e l‟archeologo e storico dell‟arte Johann Joachim Winckelmann, che aveva visitato Pompei e Paestum intuendone per primo l ‟importanza archeologica. Winckelmann propugnò l ‟ideale di un‟arte equilibrata e composta, priva di passionalità, capace di rievocare la naturale semplicità dei tempi remoti della civiltà nell ‟età di Pericle (Atene, 461 - 429 a C). L ‟imitazione dei modelli dell‟antichità corrispose alla volontà di recuperare non soltanto le antiche forme di bellezza, ma anche la razionalità e l ‟equilibrio morale che quelle forme esprimevano, partecipando in questo degli ideali tipicamente illuministici. La classicità, soprattutto greca, fu vista come una mitica età dell ‟oro, in cui l ‟umanità viveva in armonia con la natura ed il bene coincideva con la bellezza. Il neoclassicismo vagheggiò un “bello ideale” nitido, raffinato, lontano dalla passione. L‟esigenza di creare un punto di riferimento e d ‟ordine fra i grandi sconvolgimenti dell‟epoca, generò un neoclassicismo scenografico, di composta bellezza, largamente adottato in epoca napoleonica, che divenne moda e improntò anche l ‟architettura, l‟arredamento e l‟abbigliamento. In ambito letterario, il neoclassicismo si tradusse nel ricorso alla mitologia (la mitologia greca si compone di una vasta raccolta di racconti che spiegano l ‟origine del mondo ed espongono dettagliatamente la vita e le avventure di un gran numero di dei, eroi, mostri e altre creature mitologiche) e, se il riferimento era al presente, all ‟allegoria. La lingua, modellata su quella dei classici greci e latini, è artefatta, lontana da quella corrente. Fuori d all ‟Italia, soprattutto in Francia con André de Chénier, i principi neoclassici si legarono al presente e, in particolare, alle istanze rivoluzionarie. In Italia, centro del classicismo fu la capitale del Regno ‟epoca di Napoleone, Milano, dove lavorava lo scultore Antonio Canova e dove fu avviata l‟edizione della Collezione dei classici italiani (1802-1814), che raccoglieva gli autori maggiori della tradizione italiana fornendo un canone ben preciso di letterarietà. I generi letterari più coltivati furono quelli tradizionali della classicità: Vittorio Alfieri fece rivivere la tragedia, ambientando le sue storie nel mondo antico. Il maggiore scrittore neoclassico italiano fu Vincenzo Monti, che tradusse in endecasillabi sciolti l ‟Iliade di Omero, completata nel 1810. In Italia Ugo Foscolo scrisse, oltre a un romanzo che manifestava una sensibilità preromantica come Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), due odi allegoriche neoclassiche (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, del 1799, e All ‟amica risanata, del 1802) e, a conclusione della sua carriera poetica, le Grazie, poema rimasto frammentario, dedicato a tre divinità minori che secondo la mitologia classica sono al seguito di Venere. Nelle Prose e poesie campestri (1788 e 1817), Ippolito Pindemonte celebrò “piaceri eruditi e tranquilli” sullo sfondo di uno scenario campestre. L ‟autore ricorda la tradizione pastorale che risale a Teocrito, ma, invece del distacco neoclassico, compare una vena melanconica. Il neoclassicismo sfumò nel romanticismo ed è interessante il fatto che l ‟articolo di Madame de Staël Sull ‟utilità delle traduzioni in Italia, destinato a scatenare nel 1816 la polemica tra classicisti e romantici, apparve sulla rivista La Biblioteca italiana proprio nel periodo in cui Monti era condirettore. A tradurlo fu un “classicista illuminato”, Pietro Giordani. Il classicismo fu una scelta formale che influì anche sulla nuova sensibilità patetica e sentimentale manifestatasi verso la fine del secolo e che in Italia assunse il significato di una tradizione nazionale che rallentò la diffusione del romanticismo e ne modificò alcuni tratti.

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IL ROMANTICISMO IN ITALIA La caratteristica fondamentale del Romanticismo italiano è l ‟esigenza di una letteratura nuova, popolare. Le prime affermazioni si incontrano dal 1816 in poi, dopo la pubblicazione dell ‟articolo di Madame de Stael “Sulla maniera e l‟utilità delle traduzioni”. La scrittrice francese invitava gli italiani a liberarsi dai legami della loro cultura, a tradurre e a studiare le grandi letterature d ‟oltralpe e a rinnovare le lettere. Ne segue un ‟accesa polemica. All‟esortazione della Staël rispondono offesi i nostri classicisti, tra i quali Giordani, dichiarando dannoso ogni suo rapporto con le lettere straniere, in quanto queste la corromperebbero invece di arricchirla. Alla replica della Staël che conoscere i grandi scrittori stranieri non significa imitarli totalmente, i dotti italiani si divisero: sostenitori della Staël, e difensori della tradizione classica. Questi ultimi tra cui Giordani e Monti, hanno come organo ufficiale il giornale austriacante “La Biblioteca Italiana”; i romantici, il giornale “Il Conciliatore” di cui il redattore capo è Silvio Pellico e collaboratori come Giovanni Berchet, Confalonieri e Manzoni. Il loro pensiero si svolge su un piano conciliativo: - respingono l ‟imitazione dei classici, pur affermando che devono essere studiati, le regole prestabilite dalla poetica classica, i modelli, le norme pseudoaristoteliche, i modelli letterari immutabili nelle loro forme; - sostengono la necessità di una letteratura moderna, umana, popolare, accettando in tal modo del movimento europeo romantico i concetti dell ‟origine della poesia dall‟impeto del sentimento, della popolarità dell ‟opera d‟arte che non deve isolarsi in chiusi ambienti accademici, della necessità dello scrittore di cercare gli argomenti dei suoi lavori in avvenimenti contemporanei e di essere interprete dell ‟anima collettiva, ed il concetto della funzione pedagogica dell ‟arte: la quale deve essere rivolta ad elevare spiritualmente il popolo e a chiarire problemi ed ideali del tempo. Tali motivi vengono svolti, prima del “Conciliatore”, da Berchet nella “Lettera semiseria di Grisostomo sul Cacciatore feroce e sulla Eleonora ” di G.A. Burger edita a Milano nel 1816. È una lettera di carattere critico con cui il Berchet sostiene che si può scrivere poesia anche al di fuori dei modi e dei tempi consueti della poesia classicheggiante e che la sola vera poesia è la “popolare”. “La Lettera” è detta semiseria perché verso la fine di essa il Berchet assume un tono scherzoso affermando di aver parlato sino a quel momento per spassarsela a spese dei novatori romantici. Nel resto della lettera fingendo di deridere i romantici, deride invece i classicisti e conferma i principi del nuovo movimento. Nel settembre del 1823 si ha una nuova esposizione dei caratteri e degli ideali del nuovo movimento nella lettera del Manzoni a Cesare d positiva. La negativa tende a escludere l ‟Azeglio “Sul Romanticismo”. Il Manzoni dice che: nel sistema romantico si possono distinguere due parti principali: la negativa e la ‟uso della mitologia, l‟imitazione servile dei classici, le regole fondate su fatti speciali e non su principi generali, sull ‟autorità dei retori e non sul ragionamento, e specialmente quella delle così dette unità drammatiche, di tempo e di luogo, opposte ad Aristotele. La parte positiva del romanticismo si riassume nella formula che la poesia deve “proporsi l‟utile per iscopo, il vero per soggetto, l ‟interessante per mezzo”: - l ‟utile per iscopo: la poesia deve contribuire ad allargare l‟orizzonte del nostro spirito e a migliorarlo: rappresentare le passioni attraverso un processo psicologico e ricavarne un insegnamento morale; - il vero per soggetto: la verità è l ‟unica sorgente di diletto nobile e durevole; e per verità Manzoni intende il rappresentare l ‟uomo nel suo interiore più vero; - l ‟interessante per mezzo: per rendere più facili e più estesi gli effetti della poesia si devono scegliere argomenti che interessino tutte le classi sociali, in modo tale che la poesia possa esercitare una larga efficacia sulla coscienza collettiva. L ‟arte deve avere funzione educatrice. La polemica non finisce. Nel 1825, in opposto al movimento, Vincenzo Monti scrive il sermone Sulla mitologia, combattendo le esasperazioni del Romanticismo.

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UGO FOSCOLO tra neoclassicismo e preromanticismo Foscolo è il primo vero sentimento. “personaggio” romantico che appare nella storia della letteratura italiana, appassionato, impetuoso, “ricco di vizi e virtù” come egli stesso si definisce nel “Sonetto Autoritratto”. Ma se Foscolo fu il primo, Leopardi ne fu il massimo esponente, con la sua poesia del contrasto tra la ragione e il Nasce a Zante (l ‟antica Zacinto), una delle isole Ionie allora appartenente alla Repubblica Veneta, il 6 febbraio 1778, dal medico Andrea Foscolo, di antica famiglia veneziana, e dalla greca Diamantina Spathis. Il suo nome di battesimo è Niccolò, ma dal 1795 preferisce farsi chiamare Ugo. Compiuti i primi studi presso il seminario arcivescovile di Spalato, in Dalmazia, nel 1792, dopo la morte improvvisa del padre (1788), si trasferisce a causa delle difficoltà economiche, con la madre e i suoi tre fratelli, nella mondana, salottiera e letteraria Venezia. Abbandonati gli studi regolari, il giovane Ugo s ‟immerge nella lettura dei classici greci e latini e degli scrittori italiani e stranieri, mostrando tra l salotti dell ‟altro un vivo interesse per i filosofi e gli ideologi del Settecento (in particolar modo per Rousseau). Nel 1796 pubblica il suo primo componimento, l Albrizzi, con cui, lui sedicenne e lei trentaquattrenne, ha un salotto conosce Ippolito Pindemonte insieme ad altri intellettuali. ‟ode religiosa La Croce. Grazie al suo singolare selvatico e sdegnoso fascino, rapidamente riesce a farsi ammettere nei ‟aristocrazia, tra cui quello assai esclusivo e raffinato della bellissima e brillante Isabella Teotochi ‟ardente relazione amorosa. E proprio nel suo Dopo la discesa dei francesi in Italia, sotto l ‟influenza delle idee giacobine s‟impegna nell‟attività politica, suscitando i sospetti del governo veneto ed è costretto a rifugiarsi sui Colli Euganei. A seguito, tuttavia, del grande successo ottenuto dalla tragedia Tieste, costruita sui modelli alfieriani e piena di furore libertario, i sospetti nei suoi confronti aumentano. Quindi, nell ‟aprile del ‟97 fugge a Bologna dove si arruola nell‟esercito napoleonico e pubblica l ‟ode A Bonaparte liberatore. A maggio, dopo l ‟arrivo dei francesi e l‟instaurazione del regime democratico, fa ritorno a Venezia e vi svolge un ‟intensa attività politica fino all‟amara delusione del trattato di Campoformio (1797). Venduta la sua patria all ‟Austria, lascia per sempre Venezia e la madre. Quindi, parte in volontario esilio, per la capitale della Repubblica Cisalpina, Milano, dove si lega ai più attivi gruppi giacobini italiani, conosce il vecchio Parini e diviene amico di Vincenzo Monti, con la cui moglie vive un ‟intensa e infelice relazione d‟amore. Collabora, inoltre, con Melchiorre Gioia alla redazione del “Monitore italiano”, pubblicando articoli in difesa di una visione patriottica della rivoluzione. Alla chiusura del giornale da parte dei francesi, nell ‟estate del „98 torna a Bologna, dove collabora al “Genio democratico” e al “Monitore bolognese” e avvia la stampa delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Ma, al ritorno degli austriaci nel „99, interrompe in tronco l‟edizione per arruolarsi volontario nella Guardia Nazionale di Bologna. Insieme con i francesi, combatte valorosamente in Emilia e Romagna, ma rimane ferito sia a Cento sia, poi, una seconda volta, a Genova assediata. Nel frattempo scrive l ‟ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e riesce a ristampare l‟ode A Bonaparte, premettendovi una lettera dedicatoria in cui esorta Napoleone a vincere la tentazione della tirannide. Dopo la battaglia di Marengo, si stabilisce a Milano ed entra a far parte dello stato maggiore del generale Pino, assolvendo vari incarichi in Lombardia, in Emilia e in Toscana. E per l ‟appunto a Firenze nel 1801 si innamora di Isabella Roncioni, promessa ad un nobile e ricco marchese. Rientrato a Milano (1801-1803), intreccia una relazione amorosa con Antonietta Fagnani Arese, per la quale scrive l ‟ode All‟amica risanata. Per i comizi di Lione del 1802, che confermano il ruolo subalterno toccato all le sue idee giacobine, pubblica l filologico su La chioma di Berenice (1803). ‟Italia nel sistema napoleonico, pubblica la spregiudicata Orazione a Bonaparte. Inoltre, mentre entrano definitivamente in crisi ‟Ortisnella nuova redazione (1802), le Poesie, comprendenti, oltre alle due odi, dodici Sonetti, (tra i quali i celebri Alla sere, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni) e il lavoro erudito La sua naturale irrequietezza e le crescenti difficoltà economiche lo inducono nel 1804 a recarsi in Francia, per partecipare all ‟invasione dell‟Inghilterra. Qui, sulle coste della Manica, si dedica alle traduzioni dal greco dell ‟Iliade e dall‟inglese del Viaggio sentimentale di Sterne. Dalla relazione con la giovane inglese, Lady Mary Hamilton, nasce una figlia di nome Mary, ma che egli chiamerà sempre Floriana. Avendo poi Napoleone rinunciato all ‟impresa contro l‟Inghilterra, dopo un breve soggiorno a Parigi (dove incontra il giovane Manzoni), nel marzo 1806 ritorna a Milano. E a seguito della liberazione del Veneto dal dominio austriaco, corre a Venezia a rivedere la madre, il Cesarotti e la sua prima protettrice, Isabella Teotochi Albrizzi. Proprio dai colloqui con Isabella e con il Pindemonte nasce l ‟idea del carme Dei Sepolcri, edito nel 1807, quasi ad un tempo con l ‟Esperimento di traduzione dell‟Iliade di Omero. Continua intanto una vita piena di passioni e relazioni amorose con Marzia Martinengo, Maddalena Bignami e Francesca Giovio. Ottiene la cattedra di Eloquenza presso l ‟Università di Pavia, nel 1809 pronuncia, con grande successo, l ‟orazione inaugurale Dell‟origine e dell‟ufficio della letteratura. La cattedra tuttavia viene soppressa pochi mesi dopo. Foscolo ricade in nuove difficoltà economiche; si infittiscono le invidie, le maldicenze e gli attriti nell ‟ambiente letterario milanese, e alla fine viene meno anche l‟amicizia con il Monti. Continua la sua vita travagliata anche a Firenze dove intreccia altre relazioni amorose.

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Nell ‟ottobre del 1813, approssimandosi dopo la sconfitta di Lipsia il crollo del regime napoleonico, rientra a Milano per riprendere il suo posto nell ‟esercito e difendere il Regno Italico. Ma alla vigilia del giuramento di fedeltà all ‟Austria, tenendo fede ai suoi principi di “libero scrittore”, il 30 marzo del 1815, fugge da Milano e prende la via dell ‟esilio. Dapprima ripara in Svizzera, dove attende ad una nuova edizione dell ‟Ortis (1816), porta a termine la satira Ipercalisse e compone i discorsi Della servitù dell ‟Italia. Poi, dopo varie peregrinazioni, essendo perseguitato dalla polizia, si stabilisce alla fine del 1816 a Londra. Qui inizialmente viene accolto con favore nei circoli letterari e culturali, ma presto, per il desiderio di vivere in un ambiente di raffinata eleganza, si avventura in imprese economiche rovinose. Dopo aver passato un breve periodo in prigione a causa dei debiti contratti, è costretto a vivere sotto falso nome per non farsi raggiungere dai creditori. La vicinanza amorosa della figlia Floriana e l ‟affetto di alcuni pochi amici vengono a temperare la solitudine, i disagi, le tristezze e la malattia degli ultimi anni. Niccolò Ugo Foscolo muore, per idropisia, il 10 settembre 1827 nel sobborgo londinese di Turnham Green e viene sepolto nel vicino cimitero di Chiswick. Solamente, dopo l ‟unità d‟Italia, nel 1871, le spoglie sono state collocate a Firenze, nella chiesa di Santa Croce, accanto ai grandi italiani che aveva celebrato nel carme Dei Sepolcri. IL PENSIERO Foscolo nella sua concezione del mondo e della vita segue le dottrine materialistiche e meccanicistiche dell ‟Illuminismo, secondo le quali il mondo è fatto di materia sottoposta ad un processo incostante di trasformazione governato da leggi meccaniche. Anche l ‟uomo è soggetto alla stessa legge di dissolvimento della materia, perciò compiuto il suo ciclo biologico, si annulla completamente come individuo. Per i filosofi dell ‟Illuminismo questa concezione materialistica della realtà e dell ‟uomo era motivo di ottimismo perché liberava l‟animo dalle superstizioni, dalla paura della morte, inducendoli a vivere più serenamente, invece per il Foscolo queste teorie erano motivo di pessimismo e disperazione. La visione materialistica, lo porta a considerare l ‟uomo come prigioniero della natura, che, compiuto il suo ciclo vitale, piomba nel “nulla” eterno. Così il Foscolo considera la ragione un dono malefico della natura, causa di disperazione tale da trovare nel suicidio l ‟unica liberazione possibile. Tuttavia il Foscolo non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente, creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine ed un significato alla vita dell ‟uomo. Questi valori universali sono la bellezza, l ‟amore, la libertà, la patria, la virtù, l‟eroismo, la poesia, l‟arte, la gloria, tutti sentimenti che i filosofi materialistici e scettici chiamavano “illusioni”, cioè idee vane. Tra le “illusioni” la più grande per il Foscolo è la gloria poiché egli ha perduto la fede cristiana nell‟immortalità dell ‟anima, allora vede nella gloria l‟unico mezzo di sopravvivenza ideale dopo la morte. Per il Foscolo le illusioni, però, non furono mai una realtà assoluta ma spesso erano accompagnate dalla consapevolezza dei limiti della natura umana e dalla minaccia sempre incombente della morte e del nulla eterno. Le opere più importanti del Foscolo sono: “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, “Le Odi”, “I sonetti”, “I Sepolcri ” e “Le Grazie” (opera incompiuta). LE OPERE MAGGIORI Le ultime lettere di Jacopo Ortis Prima esperienza cospicua dell ‟operosità del Foscolo è costituita da “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, un romanzo epistolare a carattere autobiografico. Attraverso le lettere dirette da Jacopo all ‟amico Lorenzo Alderoni, il Foscolo narra le vicende dolorose dello spirito del suo personaggio, che è travagliato dalla sorte della sua patria, Venezia, vilmente ceduta all ‟Austria e da un suo infelice amore per una fanciulla, Teresa, già promessa sposa di un altro giovane. Jacopo Ortis così per sfuggire all ‟amore e alle persecuzioni viaggia per molte regioni d‟Italia; infine tornerà a trovare Teresa e deciderà di uccidersi . Il tono dell ‟Ortis è caldo, appassionato, ma quasi scontato infatti il personaggio non arriva al suo gesto attraverso un processo spirituale, ma ha già deciso il suicidio sin dalle prime pagine. Il valore dell ‟Ortis è principalmente autobiografico ed è facile riconoscere in Jacopo Ortis il Foscolo della giovinezza. Esso è uno dei libri più significativi della nuova letteratura ed ha un grande valore spirituale; rispecchia la concezione pessimistica del Foscolo nei confronti della vita. Troviamo quindi in quest Liberazione, nei confronti della vita; protesta nei confronti della natura che ha destinato l ‟opera il tono più alto del pessimismo foscoliano, il suicidio, considerato come una forma di liberazione e di protesta. ‟uomo all‟infelicità.

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I Sonetti Pur essendo contemporanei all ‟Ortis, I Sonetti , rappresentano il secondo momento dello svolgimento spirituale e artistico del Foscolo, quello del superamento del pessimismo e della virile accettazione della realtà. Nei sonetti maggiori il Foscolo appare mutato, disposto ad accettare virilmente la realtà e il dolore, essi sono quattro: “La Musa”, “A Zacinto”, “In Morte del fratello Giovanni” e “Alla sera”. In queste opere si nota che per il Foscolo le meditazioni sulla natura sono suggerite dalla vista di un paesaggio come avviene nel sonetto inquiete ed inghiottire tutto l “Alla Sera”. In esso è il calar delle tenebre, sia di un sereno tramonto estivo sia di una cupa sera invernale, le cui ombre che scendono dal cielo nevoso sembrano allungarsi ‟universo, a spingere i pensieri del poeta “sull‟orme che vanno al nulla eterno”. L ‟alternanza è costante, nei “Sonetti”, all‟immaginazione della tenebrosa sera invernale di “Alla Sera” si contrappongono le limpide nubi e le fronde di “A Zacinto” che evocano la serenità del paesaggio classico. Le odi Le odi del Foscolo sono due: momento dell “A Luigia Pallavicini caduta da cavallo” e “All‟amica risanata”. Esse sono considerate il primo manifestarsi del risorgere del Foscolo alla vita, il superamento cioè del ‟Ortis cupo e disperato fino al suicidio, con la consolazione del dolore nel culto della bellezza e nell ‟accettazione virile dell‟umana esistenza. L ‟ode “A Luigia Pallavicini” svolge uno dei motivi più cari al Foscolo, quello della bellezza “serenatrice”, sentita cioè, come balsamo e conforto dell ‟uomo; essa però è trattata superficialmente perché la bellezza è contemplata esteriormente come armonia di forma e piacere visivo, più che consolazione e lenimento del dolore, come invece avviene nella seconda ode “All‟amica risanata”. Rispetto alla prima, la seconda ode, alla bellezza “serenatrice” aggiunge un altro motivo quello della poesia “eternatrice”. La bellezza come tutte le cose di questo mondo è anch‟essa peritura, sottoposta alla legge universale della materia. Ma a salvarne lo splendore e il ricordo interviene la poesia, che le dona l ‟immortalità, poiché essa vince l‟oscurità e la morte. Quindi da queste opere si evince la concezione foscoliana della poesia, che è eternatrice, l ‟unica in grado di opporsi all‟immutabile destino umano. I Sepolcri Nati in seguito alla discussione sull Il carme de ‟editto di Saint-Cloud, in vigore in Francia fin dal 1804, che imponeva la sepoltura dei morti fuori dai centri abitati, in cimiteri pubblici. “I Sepolcri” è un opera didascalica e lirica; didascalica perché mira a inculcare il culto delle tombe, dimostrandone il valore ideale e l ‟utilità civile, ma è anche un opera lirica, perché esprime i sentimenti profondi del poeta, la sua concezione pessimistica, ma nello stesso tempo agonistica, eroica e costruttiva della vita. Il Foscolo afferma inizialmente che le tombe sono, dal punto di vista razionale, inutili, perché con la morte finisce tutto; ma contro le affermazioni della ragione insorge il sentimento, il quale afferma che le tombe sono necessarie, perché sono “

tramite di corrispondenza di amorosi sensi tra l ’estinto e i vivi”

, e segno della sopravvivenza ideale dell ‟estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l‟estinto abbia lasciato ai suoi un ‟eredità di affetti, ossia un buon ricordo di sé, altrimenti su di lui scende l‟oblio totale. Egli considera il culto dei morti nato con la civiltà e segno di civiltà. I sepolcri svolgono il motivo centrale del Romanticismo che consiste nel sentimento drammatico della vita confortato nella fede nelle “illusioni”. Il motivo unitario del carme è il sentimento della vita che trionfa sulla morte, accostato tuttavia al sentimento del dolore e del nulla eterno, infatti “I Sepolcri” sono pressoché la continua coesistenza dei due sentimenti di dolore e di morte, che si accompagnano come la luce accompagna l ‟ombra. Conclusioni Motivo centrale, quindi, della poesia del Foscolo è questa continua lotta tra: vita e morte; dolore e nulla eterno; elementi sublimemente accostati alla descrizione della natura che rappresenta la proiezione del proprio stato d ‟animo; questo permette che necessariamente si venga a creare un rapporto tra l‟individualità del poeta e la natura descritta. Così se nel sonetto “Alla Sera” il poeta si sofferma sulla descrizione di un paesaggio invernale che lo porta ad una attenta meditazione, nel sonetto “A Zacinto” Foscolo evoca un paesaggio prettamente classico, suggerito dalla descrizione del “greco mar”. Allo stesso modo ne “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” si rievocano i paesaggi romantici e cupi che richiamano quelli descritti da Ossian e così anche ne “I Sepolcri” in cui alla “deserta gleba”, simbolo di siccità e quindi di morte, si contrappongono visioni decisamente più serene suggerite dai cipressi, dai cedri, dalle fontane che rappresentano simboli evidenti di fecondità e quindi di vita.

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Appunti forniti dalla Prof.ssa C. Stanizzi ALESSANDRO MANZONI Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro, un uomo di mediocre cultura, ma benestante, della zona di Lecco, e da Giulia Beccaria, figlia del giurista Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell‟Illuminismo lombardo, l‟autore de Dei delitti e delle pene. In realtà Manzoni ebbe come padre naturale Giovanni Verri, che fu amante della madre. I genitori del Manzoni si separarono quando egli era ancora molto giovane. Per questo motivo dovette trascorrere l‟infanzia e la prima giovinezza, fino al 1801, in collegi di padri Somaschi (prima a Merate, poi a Lugano) e Barnabiti (a Milano), dove ricevette un‟educazione classica, ma dovette subire le rigide regole tipiche di quegli ambienti. Quando uscì dal collegio aveva sedici anni e si era convertito alle idee illuministiche. Si inserì presto nell‟ambiente culturale milanese del periodo napoleonico, strinse amicizia con i profughi napoletani Cuoco e Lomonaco, frequentò poeti già affermati e noti come Foscolo e Monti. Trascorse questo periodo lietamente, tra il gioco e le avventure galanti, ma dedicandosi anche al lavoro intellettuale e alle composizioni poetiche: l‟esempio più illustre è rappresentato dal poemetto Trionfo della libertà. Deluso dal giacobinismo scrisse sonetti e idilli, il più maturo dei quali sembra essere Adda (1803). L‟anno successivo terminò la stesura di quattro Sermoni: Amore a Delia, Contro i poetastri, Al Pagani, Panegirico a Trimalcione, composizioni satiriche influenzate dalle opere di Parini e Alfieri. Nel 1805 lasciò la casa paterna e raggiunse la madre a Parigi. Carlo Imbonati, compagno della madre dopo la separazione, era ormai morto. In suo ricordo, Manzoni scrisse un carme in 242 versi sciolti, intitolato In morte di Carlo Imbonati. Egli non aveva mai avuto un rapporto stretto con la madre, ma tra loro si creò ben presto una affettività intensa, che fu destinata a cambiare la vita dello scrittore. A Parigi frequentò ambienti intellettuali popolati da personaggi come Cabanys, Thierry, Tracy, di posizioni liberali e forte rigore morale. Il rapporto più importante, però, per Manzoni fu quello stretto con Claude Fauriel: attraverso un fitto scambio epistolare durato qualche anno, a poco a poco, questi divenne per il giovane Manzoni un importante punto di riferimento nella sua attività di scrittore. A Parigi, il contatto con ecclesiastici di orientamento giansenista incise anche sulla conversione religiosa, sul suo ritorno alla fede cattolica, Manzoni non ne parla molto e mantiene un certo riserbo sul percorso interiore. Dovette essere importante l‟influsso della giovane moglie, Enrichetta Blondel, figlia di un banchiere ginevrino, conosciuta a Blevia sulle colline bergamasche. Anche la Blondel subì un rivolgimento interiore significativo: sotto la guida dell‟abate genovese Eustachio Degola, si avvicinò al cattolicesimo e fece battezzare col rito romano la primogenita Giulia Claudia, convincendo il marito, in seguito, a risposarsi con rito cattolico. Precedentemente, infatti, il loro matrimonio era stato celebrato con rito calvinista. È da dire che, in Manzoni, la conversione si accompagnò al primo manifestarsi di certe crisi nervose, che poi lo angustiarono per tutta la vita. Nel 1810 lo scrittore lasciò Parigi per tornare definitivamente a Milano. La sua visione della realtà era ormai completamente improntata al cattolicesimo. Il mutamento si ripercosse anche sulla sua attività letteraria: smise di comporre versi dal tono classicheggiante, (l‟ultimo esemplare rimane Urania, un poemetto del 1809) per dedicarsi alla stesura degli Inni sacri ( 1812-1815), che aprirono la strada ad una successiva produzione di stampo romantico, oltre che storico e religioso. Una volta tornato in Italia, poi, Manzoni condusse la vita del possidente, dividendosi tra la casa milanese e la villa di Brusuglio. La sua esistenza fu dedicata allo studio, alla scrittura, alle intense pratiche religiose, alla famiglia che, nel frattempo, diveniva numerosa. Fu vicino al movimento romantico milanese e ne seguì tutti gli sviluppi (un gruppo di intellettuali si riuniva a discutere a casa sua), ma non partecipò mai, direttamente, alle polemiche con i classicisti e declinò l‟invito a partecipare al “Conciliatore”. Anche nei confronti della politica ebbe un atteggiamento analogo, di sinceri sentimenti patriottici e unitari, seguì con entusiasmo gli avvenimenti del 1820-1821, ma non vi partecipò attivamente e non venne colpito dalla dura repressione austriaca che ne seguì. Sono questi gli anni di più intenso fervore creativo, in cui nacquero le odi civili, la Pentecoste, le tragedie (Il conte di Carmagnola, Adelchi), le prime due stesure de I promessi Sposi (inizialmente intitolato Fermo e Lucia), oltre alle Osservazioni sulla morale cattolica, al Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, ai saggi di teoria letteraria sulle unità drammatiche e sul Romanticismo. Con la pubblicazione de I promessi sposi nel 1827, si può dire concluso il periodo creativo di Manzoni. Successivi tentativi lirici, come un inno sacro sull‟Ognissanti, rimangono incompiuti.

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L‟amicizia con Claude Fauriel venne sostituita da quella con Antonio Rosmini, un filosofo cattolico, che presto divenne la sua guida spirituale. Negli anni della maturità, la vita di Manzoni fu funestata da crisi epilettiche, una serie interminabile di lutti (la morte della moglie, della madre, di parecchi dei figli) e dalla condotta dissipatrice dei figli maschi. Nel 1837 si risposò con Teresa Borri Stampa, che morì poi nel 1861. Scrivendo nel 1842 Storia della colonna infame, Manzoni evita qualsiasi spunto narrativo, rimettendo in questo modo al lettore, posto di fronte alla crudezza di quanto accaduto, ogni giudizio. Il saggio è una cronaca asciutta e distaccata dei fatti che si svolsero intorno al processo ai presunti untori che ebbero la sfortuna di essere accusati di aver propagato la peste che sconvolse Milano nel XVII secolo. Ormai lo scrittore era divenuto un personaggio pubblico, nonostante il suo atteggiamento sempre schivo e appartato. Durante le Cinque giornate, nel 1848, seguì con vigore gli eventi politici, pur senza parteciparvi attivamente e diede alle stampe Marzo 1821, per anni tenuta nascosta. Quando il regno d‟Italia si ricostituì nel 1860, fu nominato senatore. Pur essendo profondamente cattolico, era contrario al potere temporale della Chiesa, e favorevole a Roma capitale. Nel 1861, infatti, votò a sfavore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, come tappa intermedia verso Roma. Nel 1872, dopo la conquista della città da parte delle truppe italiane, ne accettò la cittadinanza onoraria, con scandalo degli ambienti cattolici più retrivi. Negli anni della sua lunga vecchiaia fu circondato dalla venerazione della borghesia italiana, che vedeva in lui non solo il grande scrittore, ma anche un maestro, una guida intellettuale, morale e politica. Soprattutto il suo romanzo fu assunto nella scuola con tale funzione. Morì a Milano nel 1873, a ottantotto anni, nella casa di via del Morone, in seguito a una caduta che gli aveva provocato gravi sofferenze per due mesi. Gli furono tributati solenni funerali, alla presenza del principe ereditario Umberto. Verdi gli dedicò la sua Messa da Requiem al primo anniversario dalla morte. Fu sepolto nel cimitero monumentale della città. IL PENSIERO L‟ambiente culturale milanese e quello parigino instillarono nell‟animo del giovane Manzoni un insieme di ideali illuministici a cui egli sarebbe rimasto fedele sempre: libertà, fraternità e giustizia. L‟amicizia col Cuoco gli infuse invece l‟amore per la storia e la coscienza che tale storia fosse prodotta anche dalle masse. La vita delle classi popolari confluì nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia. Ne I promessi sposi il popolo sarebbe stato elevato al rango di protagonista di un‟opera letteraria. La sua conversione al Cattolicesimo non lo portò a tradire i valori dell‟Illuminismo: anzi, Manzoni riconobbe la loro presenza nel Vangelo; nel testo sacro era però bandita la violenza, professata invece dai rivoluzionari, ed egli non esitò a condannarla come tradimento dell‟umanità. Rigettò poi ogni forma di miserabile politica fatta di sopraffazione e vagheggiò un‟umanità redenta da un rinnovamento spirituale, dalla riscoperta di Dio. La fede consentì al Manzoni di superare il pessimismo dovuto alla presenza del male e del dolore nella storia, a cui nessuna filosofia avrebbe potuto rimediare. Il Dio-Provvidenza garantiva difatti il trionfo finale del bene nella storia. Il male era semplicemente frutto della libera volontà dell‟uomo. Così, nella Storia della colonna infame, raccontò il processo contro i presunti untori della peste, facendo ricadere tutta la responsabilità morale sull‟ignoranza dei giudici, sulle loro colpevoli decisioni. LA POETICA Manzoni espresse in maniera esemplare la sua poetica in una concisa dichiarazione del 1823: la poesia doveva proporsi “il vero per oggetto, l‟utile per iscopo e l‟interessante per mezzo”. Il punto focale della sua riflessione è il vero, di cui l‟utile e l‟interessante sono solo dei momenti, delle parziali manifestazioni. L‟utile coincide infatti con la moralità cristiana, con la capacità del poeta di far riflettere l‟uomo sulla sua vicenda terrena di peccato e redenzione, quindi sulla verità della sua vita. Anche l‟interessante è riconducibile al vero, perché solo un argomento desunto dalla storia dell‟uomo può realmente suscitare la sua curiosità e un piacere non effimero. L‟autore dei Promessi sposi si sforzò brillantemente di distinguere il vero poetico dal vero storico, giungendo così ad attribuire un ambito e una finalità specifica all‟attività artistica. Il poeta non deve offrirci una conoscenza esteriore dei fatti, collegati da rapporti causali e temporali: tale compito è assolto infatti dagli storici. L‟artista deve invece penetrare nel guazzabuglio del cuore umano, afferrando il processo spirituale che ha generato gli eventi e dunque il loro profondo significato. Il magistero che ci ha consegnato Manzoni si nasconde proprio nella sua capacità di scavo della coscienza, nell‟introspezione dentro le zone oscure dell‟Essere, alla ricerca di una traccia del divino. Il risultato non è però un‟arte religiosa, tutta incentrata sulla trascendenza: per citare il Sapegno, Manzoni

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tendeva ad una poesia “che avesse per oggetto la realtà umana, che aderisse alla vita per diventare a sua volta strumento di vita, patrimonio di civiltà per tutti”. Su queste basi avvenne il suo incontro con gli sviluppi più recenti della letteratura europea, cioè col Romanticismo, impegnato nella lotta contro il Classicismo. Così nella Lettera allo Chauvet sull‟unità di tempo e di luogo nella tragedia del 1820, Manzoni difese appassionatamente Il conte di Carmagnola, destituendo di ogni fondamento due capisaldi della poetica classicista, l‟unità di tempo e di luogo. Un letterato francese si era permesso di condannare la tragedia manzoniana proprio in nome del mancato rispetto delle sopradette unità aristoteliche che assegnavano alla tragedia una durata fittizia di 24 ore e fissavano la scena in un luogo determinato. Per il Manzoni, il rispetto pedissequo di tali indicazioni avrebbe contravvenuto alla suprema finalità dell‟arte che consisteva nella rappresentazione della verità storica e di quella psicologica. Orbene, nessuna delle due procedeva ad una velocità e ad un ritmo che potessero essere stabiliti una volta per tutte. Nella lettera Sul Romanticismo del 1823, fece aperta professione di fede nei confronti della nuova “scuola” e della sua poesia dal contenuto moderno, cioè morale, popolare, vero. In tale vocazione realistica, nei suoi accenti nazional-popolari, Manzoni si rivelava capostipite non solo del Romanticismo, ma anche del nostro Risorgimento. IL CINQUE MAGGIO - Analisi e commento Introduzione L‟ode è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19 luglio 1821) subito dopo la notizia della morte di Napoleone, giunta a Milano il 16 luglio, che doveva provocare nel poeta una notevole impressione che creò quello sgomento che sempre coglie gli uomini quando muoiono i grandi che sembrano indistruttibili, una certa commozione che nel Manzoni si traduce nella meditazione sulla vita e sulla morte, sulla fragile transitorietà delle glorie umane e terrene, sulla dolorosità della solitudine acuita dal ricordo delle grandezze passate e dall‟ansietà di un desiderio, talvolta potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone che scruta l‟orizzonte lontano sul mare), e infine la pacificazione nella Benefica Fede, con una preghiera “a speredere ogni ria parola” superando la condizione umana contingente nell‟attesa di raggiungere il

premio / che i desideri avanza

. Possiamo dividere l‟ode manzoniana, composta da 18 sestine per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche, comprendenti ciascuna 9 sestine:   la prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell‟uomo di fronte a se stesso, alla sua

storia

terrena, alla sua pensato un

gloria

umana, al

codardo oltraggio

una morte “incredibile”.

premio / ch’e follia sperar

; domina Napoleone e la sua storia, per il quale Manzoni non si era prodigato in elogi negli anni in cui dominò l‟Europa, e non aveva neanche quando il destino dell‟uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte alla morte di Napoleone il poeta e la terra tutta restano muti nella meraviglia un pò dolorosa di la seconda dal v. 55 alla fine, dominata dall‟incontro tra l‟uomo e Dio, la

benefica / Fede ai trionfi avvezza

, che sola può dare quel

premio / che i desideri avanza, / dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò

diversa. . I verbi al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso l‟intervento di una Forza esterna all‟uomo. Per questo, finita l‟escalation verso la disperazione, si impone una presenza Entrambe cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone ( mondo e della vita, lascerà nella storia un‟orma altrettanto grande.

Ei fu

un affidamento alla pietà di Dio all‟avvicinarsi della fine dei propri giorni. al v. 1,

E sparve

al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due centri costitutivi dell‟ode (l‟altro è Dio). Ciò che colpisce l‟immaginazione e la spiritualità del Manzoni non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra il Settecento e l‟Ottocento, o la storia dei fatti o delle idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell‟isola di Sant‟Elena, e la possibilità di un profondo pentimento maturato nella meditazione sulla sua vita passato e di Il poeta rimane muto ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei popoli e che racchiuse in sé le aspettative di un‟epoca; e allora non può che ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere del E quegli ultimi attimi sono fusi nell‟ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la

benefica Fede

nel Dio

che atterra e suscita / che affanna e che consola

.

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MARZO 1821 - Analisi e commento Introduzione L‟ode fu scritta da Manzoni in occasione dei moti carbonari piemontesi del 1821, quando l‟atteggiamento riformistico e liberale del giovane Carlo Alberto, erede al trono piemontese e Reggente in attesa dell‟arrivo del Re Carlo Felice di Savoia, che sembrava stesse per varcare il Ticino ed entrare con le armi in Lombardia per aiutare i patrioti a liberare il Lombardo-Veneto dall‟oppressivo dominio austriaco, aveva acceso le speranze dei liberali e di coloro che aspiravano all‟unificazione dei vari stati italiani sotto un‟unica bandiera. Ma le speranze vennero ben presto vanificate sia dall‟intervento di Carlo Felice che della polizia austriaca, che procedette a una dura repressione nella quale furono coinvolti, tra gli altri, Silvio Pellico e Federico Confalonieri. L‟entusiasmo di quei giorni venne quindi subito stroncato dagli eventi, ma l‟ode rispecchiò profondamente uno spirito che non verrà mai soffocato e che ha rappresentato uno degli elementi politici e culturali fondamentali dell‟Ottocento, elemento che, dopo circa trentanni di discussioni e approfondimenti, che toccarono non solo le sfere della politica e del diritto, ma anche quella della religione (pensiamo ad esempio al di

Neoguefismo

), a partire dal 1848 in poi, comincerà a trovare una sua qualche realizzazione, non appena i sentimenti liberali si diffonderanno nelle classi sociali medio-basse e diventeranno popolari, non appartenenti più a una ristretta élite. Nel timore di una perquisizione della polizia, il Manzoni nascose o addirittura distrusse il manoscritto dell‟ode, ma qualche copia venne conservata da amici, e fu pubblicata solo nel 1848, a cura del Governo provvisorio di Milano, a seguito del successo delle

legittimità Cinque Giornate

che facevano ben sperare in una felice conclusione della liberazione dallo straniero, devolvendo i proventi ai patrioti. Alla base dell‟ode si trovano, quindi motivi storici e politici e di esaltazione della libertà dallo straniero insieme a una presenza di Dio, viva e puntuale nelle vicende umane, una presenza che aiuta l‟uomo a combattere non solo per il personale riscatto dal peccato, ma anche in senso più universale a combattere per il riscatto della patria dallo straniero, portando gli uomini verso la creazione di un mondo in cui ci sia veramente un maggiore rispetto dell‟uomo per gli altri uomini, superando la barriera dell‟egoismo personale e dell‟interesse politico di una classe sociale che pensa solo e innanzitutto a mantenere il proprio potere. L‟ode è un appello alla libertà di tutti i popoli, che va al di là della polemica contro i princìpi (soprattutto quello ) sanciti dal Congresso di Vienna, princìpi che non tenevano conto delle nuove aspirazioni dei popoli e della nuova situazione europea, venutasi a creare sia con la

Rivoluzione francese

(sul piano ideologico e politico) che con la

Rivoluzione industriale

(sul piano economico); l‟ode è un appello, infine, contro ogni forma di violenza, ad abbandonare la via del male per seguire quella del diritto dei popoli, rivolto proprio a quei popoli e a quei governi che solo qualche anno prima l‟avevano sbandierato per liberarsi dall‟oppressione napoleonica. Per questo diventa fondamentale un concetto in questo appello: Dio protegge gli uomini oppressi, e come aveva già protetto a suo tempo i Tedeschi (accomunati agli Austriaci) così avrebbe protetto gli Italiani; ed è proprio il concetto della protezione degli oppressi che troverà la sua grandiosa e definitiva sistemazione ideologica ed artistica ne

I Promessi Sposi

. Il Poeta dedicò l‟ode a Teodoro Koerner, patriota e poeta romantico tedesco, autore di drammi e canti patriottici contro l‟oppressione napoleonica, morto combattendo nel 1813 combattendo nella battaglia di Lipsia, secondo il Manzoni. “In questa poesia il Manzoni esprime il proprio ideale nazionale unitario, fondato sull‟unità di lingua, di religione, di tradizioni, di stirpe e di aspirazioni, superando ogni forma politicamente gretta o vuotamente retorica dell‟ideale patriottico e incentrandolo su un‟effettiva comunione di vita, materiale e spirituale, del popolo, sancita da una tradizione nazionale (le

memorie

del v. 32). Altrettanto importante è l‟ammonimento rivolto agli stranieri che si sono serviti degli ideali nazionali per far ribellare i popoli a Napoleone, ma subito dopo hanno sostituito la loro oppressione a quella dell‟imperatore francese. Qui c‟è un‟altissima e nobile protesta contro la bassa politica della violenza e dell‟intrigo, totalmente opposta al messaggio cristiano. È la voce di un cattolico liberale, che esorta gli italiani a insorgere contro l‟oppressione in nome di un Dio che è amore ma anche giustizia. Il diritto alla libertà diviene così un dovere, un momento della lotta per l‟affermazione del bene contro il male; Il Manzoni, che nelle

Tragedie

esecra la guerra, non esita qui a invocare il Dio degli eserciti, a incitare gli Italiani a combattere in nome della giustizia. (Pazzaglia)

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IL CINQUE MAGGIO - Commento e parafrasi La lirica è stata scritta di getto da Manzoni subito dopo aver appreso, sulle colonne della «Gazzetta di Milano» del 17 luglio 1821, la

notizia della morte di Napoleone Bonaparte

, avvenuta il 5 maggio precedente. Obiettivo dell ‟ode non è tanto glorificar la figura straordinaria del generale francese, né suscitare la commozione per la sua morte (del resto, già con (v. 7) una

personale riflessione sui limiti dell

Marzo 1821

il poeta aveva chiarito di non essere tra gli ammiratori dei dominatori stranieri in Italia…), quanto sviluppare attraverso la figura di questo “uom fatale”

’agire umano e sul grande disegno della Provvidenza divina

, cui occorre, cristianamente, adeguarsi. Ed è a partire da questa lettura tra etica e storia della figura del generale francese che l ‟ode sviluppa tematiche che, negli stessi anni, troviamo sia nelle tragedie (il

Conte di Carmagnola

e l ‟

Adelchi

su tutte) sia nel

Fermo e Lucia

, primo nucleo dei

Promessi Sposi

. Metro: Strofe geminate di settenari, rimati secondo lo schema abcbde fghgie. I versi dispari sono

sdruccioli

, quelli pari sono

piani

, l ‟ultimo è

tronco

. vv 1-12 Napoleone è morto. Come il suo corpo è immobile dopo aver esalato l ‟ultimo respiro, dimentico della sua vicenda terrena e privo della tanta vitalità d ‟un tempo, così è rimasta sconvolta e smarrita tutta la terra alla notizia della morte di un uomo così potente, e resta muta, pensando all ‟ultima ora dell‟uomo fatale che è stato così importante, e non sa quando nascerà un altro uomo altrettanto grande che calpesterà la polvere da lui insanguinata. [Manzoni non ha il mito del grand ‟uomo ma del mistero del destino che dio riserva agli uomini attraverso questi grandi personaggi della storia, che sono stati feroci con gli uomini avversi alle loro idee. Un uomo della “Provvidenza” (“uom fatale”)? No, perché non era cristiano; sì, perché la Provvidenza ha propri disegni, che gli uomini di potere realizzano senza volerlo. Le sue idee borghesi erano più giuste di quelle aristocratiche, ma il modo di realizzarle era sbagliato. Però le idee sono rimaste. Manzoni non crede che il popolo possa liberarsi da solo dei propri tiranni, almeno non fino a quando continuerà a credere in questi eroi leggendari.] vv. 13-24 Il mio genio poetico (cioè io stesso) lo ha visto folgorante, vincitore ed in auge, ma ha taciuto e così ha continuato a tacere anche quando, con alterne vicende è caduto [sconfitta di Lipsia, esilio dell ‟isola d ‟Elba] ed è ritornato potente [i 100 giorni] e ricadde [a Waterloo, esilio di Sant‟Elena] e non ha unito la sua voce a quella di altri poeti che lo osannavano o lo condannavano. Così Manzoni dice che il suo spirito poetico pulito e limpido sia da servili lodi, che da vigliacchi oltraggi e solo ora, commosso per la repentina morte, scrive un ‟ode su quest‟ uomo così importante che forse resisterà nel tempo. [Manzoni diplomatico, attendista: non crede nei grandi eroi e fa fatica a credere nel popolo. Crede però che dalle vicende dei grandi eroi possa venir fuori una situazione favorevole al popolo, ma ci vuole il concorso della Provvidenza divina.] vv. 25-36 Ricorda le rapidissime campagne di Napoleone, come un fulmine, che coinvolsero tutta l ‟Europa fino all ‟Egitto, dall‟uno all‟altro mare. Alpi=Italia, Piramidi=Egitto, Manzanarre=Spagna, Reno=Germania, Scilla=Meridione italiano, Tanai=il Don della Russia. Fu vera gloria? Lasciamo ai posteri la difficile sentenza, mentre noi chiniamo il capo al divino fattore (dio) che volle in Napoleone, dar un segno più grande della sua forza creatrice. [Manzoni evita di dare giudizi come storico e come politico. Teme la censura austriaca? Da un lato lo esalta come militare, dall ‟altro si astiene dal giudicarlo come imperatore. Però aggiunge che in lui dio manifestò la sua grandezza. In che senso non lo spiega. Gli riconosce la capacità di realizzare in breve tempo ciò che pensava: cosa che il Manzoni non può riconoscere a se stesso. Vedendo questa grande capacità di coerenza tra teoria e prassi, Manzoni non può non immaginare che Napoleone fosse uno strumento nelle mani di dio.] vv. 37-48 La tempestosa e trepida gloria di un grandissimo disegno di guerra, l che sarebbe stato una follia sperare. ‟ansia di un cuore che serve impaziente [quando era solo un oscuro militare], pensando di divenire re e poi vi giunge e ottiene un premio Egli provò tutto: la più grande gloria dopo il pericolo, la fuga e la vittoria; provò ad essere re e fu anche

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esiliato, fu due volte sconfitto nella polvere (Elba e Sant ‟Elena) e due volte fu adorato come una divinità (Cento giorni e Waterloo). [Manzoni non fa un ‟analisi storica, ma mostra la gloria altalenante di un eroe indomabile, che non cedeva al destino avverso, come se sapesse di dover compiere qualcosa che sarebbe rimasto nella storia.] vv. 49-60 Egli pronunciò il suo nome: due secoli così diversi tra loro (Illuminismo ateo e materialista e la Restaurazione dell ‟Ottocento) si rivolsero a lui docili, come aspettando il loro destino; egli fece silenzio e si sedette tra loro come arbitro. Nonostante tanta grandezza, improvvisamente scomparve e finì la sua vita in ozio, prigioniero in una piccola isola ed egli suscita ancora grande invidia e profonda pietà, grande odio e grande amore. [Manzoni forse vuol far capire che un singolo eroe non può decidere le sorti dell e della Santa Alleanza.] ‟umanità. Occorre il concorso dei popoli, che però, nel caso di Napoleone, non fu sufficiente. Egli infatti improvvisamente scomparve, abbandonato da tutti, pur avendo ogni ragione contro la restaurazione aristocratica del Congresso di Vienna vv. 61-78 Come sul capo del naufrago si rovescia e pesa l ‟onda dove poco prima scorreva la vista del naufrago a cercare terre lontane, così sull ‟anima di Napoleone è sceso il peso delle memorie. Oh , quante volte egli ha iniziato a scrivere le sue memorie! E quante volte su quelle pagine cadde la sua stanca mano. Quante volte al tramonto stette con gli occhi bassi e le braccia conserte e lo assalì la malinconia e il ricordo del passato (che egli ora vede come inutile). [Ecco la parte fantastica, poetica del Manzoni, che fa seguire sempre alla parte storica.] vv. 79-96 E allora ripensò agli accampamenti sempre spostati da un posto all ‟altro, alle trincee, lo scintillare delle armi e l ‟avanzare della cavalleria e i suoi secchi comandi e come questi venivano soddisfatti rapidamente. Ah, forse a tanto dolore cadde il suo spirito e si disperò, ma valido venne l ‟aiuto di dio, che lo trasportò pietroso in un ‟aria più respirabile. E lo guidò per i floridi sentieri delle speranze verso i campi eterni (aldilà), lo guidò verso la beatitudine eterna, che supera qualunque desiderio umano, lo guidò verso quel luogo dove la gloria terrena non vale nulla. [Per il Manzoni cattolico, Napoleone è morto cattolico. Le sue idee non potevano essere realizzate sulla terra ma solo nei cieli. La sofferenza della sconfitta viene riscattata dalla beatitudine ultraterrena, proprio in quanto Napoleone sapeva di trasmettere idee più giuste di quelle reazionarie del clero e della nobiltà. Tuttavia Manzoni non può affatto sapere che Napoleone sia morto con la certezza religiosa d ‟aver compiuto una missione divina. Napoleone viene paragonato quasi a Cristo.] vv. 97-108 Bella, immortale, benefica fede, così solita a trionfare. Scrivi anche questo tuo trionfo, rallegrati perché nessuna personalità più grande si è mai chinata davanti alla croce. Tu, o fede, allontana dalle stanche spoglie di quest ‟uomo ogni parola malvagia: il dio che può tutto, che ci dà i dolori e ci consola, si è posato accanto a lui, per consolarlo nel momento della sua morte. [L ‟ode non poteva essere accettata dagli austriaci cattolici, proprio perché per loro Napoleone era ateo e illuminista, e Manzoni non poteva farlo passare per un credente migliore di loro. Tuttavia Manzoni racchiude la grandezza di Napoleone in un orizzonte mistico, che peraltro è di pura finzione. In realtà la grandezza di Napoleone fu quella d ‟aver diffuso idee borghesi (conseguenti alla rivoluzione francese) in un ambiente che era ancora profondamente conservatore. E i moti del 1820-21, 1830-31, 1848, 1860 61… gli daranno ragione. Gli aspetti relativi all ‟ateismo erano una conseguenza di queste idee illuministico-borghesi. Cosa che però Manzoni non può dire, benché lo pensi, poiché il suo appoggio all ‟Illuminismo e alla classe borghese era da parte di un intellettuale cattolico, che rifiutava non solo il terrore giacobino e la violenza napoleonica, ma anche uno sviluppo radicale della democrazia. Il popolo vien sempre visto con occhi paternalistici e bonari.] FONTE: www.homolaicus.com

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MARZO 1821 - Commento e parafrasi

Marzo 1821

appartiene alla fase poetica manzoniana di

ispirazione civile e patriottica

, insieme a

Aprile 1814

(sul tremendo linciaggio da parte della folla milanese del ministro delle finanze

Giuseppe Prina

, alla caduta del Regno d ‟Italia nell‟aprile del 1814)

Il proclama di Rimini

(che rievoca l ‟appello all‟indipendenza della peinisola lanciato da

Gioacchino Murat

, fedelissimo di Napoleone ed ex re di Napoli) e

Il cinque maggio

, in cui si ricorda la figura del grande generale francese. Questa ode venne scritta tra il reggente

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ed il

Carlo Alberto di Savoia 17 marzo del 1821

, sull ‟onda dell‟entusiasmo per il probabile intervento sabaudo (Vittorio Emanuele I il 13 marzo aveva abdicato in favore del fratello Carlo Felice, e il aveva manifestato simpatie per gli insorti). Tuttavia, Carlo Alberto tolse presto l ‟appoggio ai moti piemontesi, stroncando sul nascere le speranze e le illusioni che potesse unirsi alle forze lombarde per liberare il Nord Italia dal

dominio austriaco

. Secondo alcune fonti, la lirica venne distrutta in seguito ai

fallimenti dei moti

e per evitare possibili

ritorsioni austriache

(la battaglia di Novara, in cui gli insorti piemontesi sono sconfitti dalla truppe lealiste austriache, è dell ‟8 aprile 1821). Manzoni avrebbe poi riscritto a memoria l‟ode per pubblicarla nel

1848

, durante le

“Cinque giornate” di Milano

(18-22 marzo), come sintesi ideale tra i due momenti di lotta per l ‟indipendenza nazionale. L‟ode è introdotta da una articolata

dedica al poeta e patriota tedesco Karl Thedor Koerner

1 , morto durante la battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813), detta anche

“battaglia delle Nazioni ”

e considerata (oltre che la battaglia che causò la prima caduta di Napoleone e il suo esilio all ‟isola d ‟Elba) una fondamentale affermazione dell‟identità nazionale tedesca contro l‟oppressione napoleonica.

Metro

: strofe di otto

decasillabi piani

, tranne il quarto e l ‟ottavo tronchi, rimati secondo lo schema ABBCDEEC (come si vede, il primo e il quinto verso sono liberi, cioè non rimati; rimano tra loro solo nella prima strofe). Soffermandosi sulla sponda arida, rivolto lo sguardo al Ticino appena attraversato, pensando intensamente a ciò a cui stavano andando incontro, rassicurati nel cuore dall ‟antico valore [dell‟Italia romana], hanno giurato: che non accada mai più che questo fiume segni il confine tra due rive straniere: non ci sian più barriere all ‟interno dell‟Italia! Lo hanno giurato: altri valorosi hanno risposto a quel giuramento provenienti da altre parti d ‟Italia, affilando di nascosto le spade che ora levano alla luce del sole. Si sono già stretti le mani e hanno pronunciato il giuramento: insieme moriremo, o insieme vinceremo. Solo chi fosse in grado di dividere le acque della Dora Baltea, della Dora Riparia, del Tanaro e il suo affluente Bormida, del Ticino, dell ‟Orba le cui sponde sono ricche di vegetazione, quando si confondono confluendo nel Po; chi riuscirà a distinguere le rapide correnti del Mella e dell ‟Oglio quando al Po si mischiano e così i molti torrenti che già confluiscono nell ‟Adda, quello solo potrà dividere le genti insorte e farle ridiventare un volgo disprezzato, riportandolo al passato, infliggendogli gli antichi dolori: un popolo che sarà completamente libero solo se libero tutto dalle Alpi al mare; unito nelle armi, nella lingua, nella religione, nelle memorie, nel sangue e nei sentimenti. Con lo stesso volto sfiduciato e dimesso, con lo sguardo abbattuto e intimorito con il quale un mendicante tollerato per pietà sta in una terra straniera, allo stesso modo doveva stare in Lombardia il lombardo. Quello che volevano gli altri era legge per lui; il suo destino era un segreto di altri; il suo ruolo era servire e tacere. Oh stranieri, l ‟Italia ritorna a vendicare quel che gli compete, e si riprende la propria terra; oh stranieri, andatevene via da una terra che non vi ha dato i natali. Non vedete che tutta la gente insorge dal Cenisio fino alla Sicilia? non la sentite vacillare infida sotto il peso dell ‟oppressione straniera? Oh stranieri, sulle vostre bandiere sta il disonore di un giuramento tradito; un giuramento da voi pronunciato vi porta ad una guerra ingiusta; voi che tutti insieme avete gridato in quei giorni: Dio rifiuta il dominio straniero; tutte le genti siano libere e che muoia la ragione ingiusta all ‟origine della guerra.

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Se la terra dove avete portato sofferenze si rivolta ai vostri oppressori, se la faccia degli stranieri tanto amata vi appariva in quei giorni, chi vi ha detto che le sofferenze degli italiani non avrebbero portato mai a niente? chi vi ha detto che Dio che ha ascoltato i vostri lamenti, non avrebbe ascoltato anche i nostri? proprio quel Dio che chiuse le acque del Mar Rosso sui crudeli Egiziani che inseguivano gli Ebrei, quel Dio che aveva messo nelle mani della forte Giaele il martello e che aiutò a dare il colpo [a Sisara]. Quello che è il padre di tutte le genti, che non ha mai detto ai Tedeschi: andate, raccogliete i frutti che non avete coltivato, stendete la mano: vi do l ‟Italia. Cara Italia! ovunque il grido di dolore della tua schiavitù è arrivato; ovunque l ‟umanità ha ancora speranza: ovunque la libertà è già fiorita, o dove ancora nel segreto matura, in ogni dove gli uomini piangono la loro sventura, lì non c ‟è nessun cuore che non batta per te. Quante volte hai aspettato sulle Alpi l ‟arrivo di una bandiera amica! quante volte hai voltato lo sguardo ai due mari deserti! ecco, infine, le tue stesse genti, tutte unite intorno alla tua bandiera, forti e spinte dalle loro sofferenze, si sono levate pronte a lottare. Adesso, o forti, vediamo sul vostro viso la rabbia che avete tenuto nascosta dentro di voi: si combatte per l ‟Italia, vincete! La sorte dell‟Italia dipende da voi. O grazie a voi la vedremo libera, seduta accanto agli altri popoli liberi, o di nuovo si troverà sotto il dominio straniero, più vile, più sottomessa e più derisa di prima. Oh giornate della nostra rivincita! oh sventurato chi le udirà da lontano, come un uomo straniero che le sente raccontate da altri! chi narrerà questi fatti ai propri figli dovendo aggiungere sospirando: io non ero lì; chi la bandiera vincitrice quel giorno salutato non avrà. FONTE: manzoni.letteraturaoperaomnia.org

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GIACOMO LEOPARDI Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno 1798. Sua madre, Adelaide dei marchesi Antici, era nota per la sua esagerata parsimonia, al punto (si dice) da rallegrarsi della morte di un figlio neonato, in prospettiva del risparmio che ne sarebbe derivato. Forse per compensare questa maniacale avarizia, suo padre, il conte Monaldo, nobile reazionario e intellettuale conservatore, si dedicò a dissipare la fortuna di famiglia. In compenso accumulò una vastissima biblioteca. Cresciuto con una rigida educazione religiosa, Giacomo Leopardi al posto dei giochi dell ‟infanzia lesse tutti i libri della fornita biblioteca di suo padre. A 15 anni conosceva già diverse lingue e aveva letto quasi tutto: lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia). Nei sette anni che seguirono, Leopardi si buttò in uno studio sufficientemente convincente da ingannare un esperto. “matto e disperatissimo”, in cui tradusse i classici, praticò sette lingue, scrisse un dotto testo di astronomia e scrisse un falso poema in greco antico, Il culto della gloria generava nel giovane Leopardi un forte desiderio di primeggiare, che lo spingeva a cimentarsi in opere di vario genere. Risalgono a questo periodo le tragedie

La virtù indiana

e

Pompeo in Egitto

;

La storia dell ’astronomia dalla sua origine fino all’anno 1811

(1813); il

Saggio sopra gli errori popolari degli antichi

(1815) e infine l ‟

Orazione degli italiani in occasione della liberazione del Piceno

(1815). Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio “dall‟erudizione al bello ”, ossia dallo studio alla produzione poetica. Tra le prove poetiche più originali, ricordiamo l‟idillio

Le rimembranze

e la cantica

Appressamento della morte.

e iniziò la stesura dello

Zibaldone

; sempre in questo periodo s ‟innamorò della cugina del padre, Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia

Diario del primo amore

e

L ’elegia prima

. Non gli fu concesso di uscire di casa da solo finché non compì vent ‟anni. Le sue ambizioni accademiche furono compromesse dall ‟insistenza del padre perché diventasse sacerdote. Esasperato dall‟ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi piani. Cominciò a soffrire di una salute cagionevole, che egli attribuì ai suoi studi sregolati. Aveva una vista debole, soffriva d ‟asma ed era effetto da una forma di scoliosi. Si autodefiniva un “sepolcro ambulante” ed era consapevole dell‟effetto che il suo aspetto provocava sulle persone che incontrava. Ciò nonostante, non cessò di invaghirsi di fanciulle che non ricambiavano il suo affetto o lo ignoravano totalmente. Del „18 sono le canzoni “civili”

All ’Italia

e

Sopra il monumento di Dante,

nonché lo scritto

Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica,

testi nei quali è già presente il cosiddetto pessimismo storico, ossia quell ‟atteggiamento agonistico verso la società contemporanea, considerata come corruttrice dei valori autentici della natura. Persa la fede, Leopardi rivolse le sue attenzioni alla filosofia sensistica e materialistica (Pascal, Voltaire, Rousseau). Si compì così la sua conversione filosofica. A questo periodo (1819-1823) appartengono anche la composizione degli idilli

L ’infinito, Alla luna

e altre

Canzoni

(pubblicate poi a Bologna nel 1824). Quando finalmente, nel 1822, i suoi genitori gli concessero di far visita a un cugino a Roma, la capitale lo deluse e perfino lo disgustò. Tuttavia i suoi scritti trovarono numerosi estimatori nei migliori circoli letterari di Roma, molti dei quali egli trovava insopportabili, né si curava di dissimulare il suo fastidio. Nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove nel 1824 iniziò a comporre le Nel 1825 Leopardi riuscì a lasciare Recanati grazie all Carlo Pepoli e pubblicò un ‟edizione di

Versi Operette morali

e la formulazione del “pessimismo cosmico”: la Natura veniva accusata di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato. ‟avvio di una collaborazione con l‟editore milanese Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, a Bologna (dove conobbe il conte ), a Firenze (dove incontrò Manzoni e scrisse altre due operette morali) e a Pisa (dove compose

Il risorgimento

e

A Silvia

). Mangiava disordinatamente, prediligendo i dolci, si lavava poco e si cambiava raramente d ‟abito. Ridicolizzava chi gli stava antipatico, non importa quanto lo ammirassero, e diceva “peste e corna” sia della visione secolare e liberale del mondo che della consolazione della religione. Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì la produzione lirica che aveva iniziato a Pisa con l ‟approfondimento delle tematiche della «natura matrigna» e della caduta delle illusioni. Nel „30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze, dove iniziò una vita di più intesi rapporti sociali. Qui s ‟innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall ‟amore per lei gli ispirerà il ciclo di

Aspasia

) .Nel 1831 uscì la prima edizione dei

Canti

. Aggravatasi la sua malattia agli occhi, nel 1833 si trasferì a Napoli. Durante questo soggiorno napoletano Leopardi approdò a un nuovo senso della comune sorte degli uomini, ossia a quel senso della solidarietà umana fondata sulla conoscenza del d custodire. “vero”. Quando la sua salute peggiorò, gli amici e la sorella Paolina lo assistettero con grande affetto. Un attacco ‟asma ebbe la meglio su di lui, esaudendo l‟unico desiderio che pensava un uomo potesse sinceramente

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Morì a Napoli, dove infuriava il colera, il 14 giugno del 1837. Venne sepolto nella chiesetta di San Vitale e nel 1839 le sue spoglie vennero trasferite presso la cosiddetta “tomba di Virgilio” a Mergellina. L ‟INFINITO - Analisi e commento

«Sempre caro mi fu quest ’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell ’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l immensità s e il naufragar m ’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa ’annega il pensier mio: ’è dolce in questo mare»

Parafrasi Questo solitario colle (monte Tabor) mi è sempre stato caro, insieme con questa siepe e gli alberi che nascondono allo sguardo una cosi grande parte dell ‟orizzonte più lontano. Ma sedendo dietro la siepe e immaginando col pensiero io mi costruisco nella mente spazi illimitati, che vanno oltre la siepe, silenzi sconosciuti agli uomini e una quiete profondissima, tanto che, davanti a questo infinito provo sgomento.Non appena però sento il fruscio del vento che passa tra le piante, io paragono l ‟infinito, all‟eternita‟ che racchiude i tempi passati e la vita presente, di cui mi arrivano le voci e i rumori. Cosi, in questa immensità formata dall ‟infinito dello spazio e dall‟infinito del tempo, si annega ilmio pensiero. E il naufragare, l ‟annientarmi in questo mare mi è dolce ENJAMBEMENT= interminati spazi-sovrumani silenzi ANASTROFE=sempre caro mi fu quest Antitesi= questa siepe-quella, quell ‟ermo colle IPERBOLE= Sovrumani-profondissima-interminati ‟infinito silenzio-quella voce morta- stagione viva METONOMIE= cor v8, animo “morte stagioni” v12 METAFORA= mare in cui annega il pensiero e poi naufraga OSSIMORO= lega un verbo come naufragar appartenente alla sfera della morte all ‟aggettivo dolce INVERSIONI= V4-7 v 9-13 CHIASMO= V14 POLISINDETO= congiunzione “a” ripetuta al v11-13 Grande impiego di dimostraticvi come “ questo e quello” SIEPE= limite della possibilità di conoscenza umana Il brano può essere ripartito in quattro sezioni, ognuna delle quali è marcata dalla presenza di uno o più dei pronomi aggettivi dimostrativi Nei versi 1-3 abbiamo rappresentata la realtà fisica: il poeta è sul colle (questo) accanto alla siepe (questa) nei versi 4-7 il poeta, sedendosi dietro la siepe immagina nel suo pensiero un panorama così grande da poterlo identificare con l ‟infinito; egli dunque si trova Nell‟irrealtà Nei versi 7-13 richiamato dallo stormire del vento fra le fronde degli alberi il poeta torna nella realtà Nei versi 13-15 l ‟irrealtà è cosi piacevole da essere considerata l‟unica realtà possibile. Fonte: www.controcampus.it Le proprie esperienze e la voglia di raccontare emozioni, sensazioni, ricordi e sentimenti costituiscono il terreno sul quale nasce la nuova poesia di Giacomo Leopardi, espressa con forza e vigore negli

Idilli

, componimenti in endecasillabi sciolti nei quali i riferimenti storici e culturali (ridotti al minimo) lasciano il passo all ‟

io

più profondo e interiore. Giacomo sceglie l ‟

idillio

per avvalersi di una poetica libera da vincoli,

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perciò capace di riportare alla luce quelle sensazioni ineffabili, cui dedicava un ‟ampia riflessione nell‟ambito della sua

teoria del piacere

, ora indagata rispetto alla natura e ai moti emozionali dell ‟anima. Le

Operette morali

, il libro “più caro dei miei occhi” come ebbe a definirlo lo stesso Leopardi, sono una raccolta di prose (ventiquattro ) tra satiriche, fantastiche e filosofiche, scritte tra il 1824 e il 1832, dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla “prigione” di Recanati. Molte delle

Operette

sono dialoghi, i cui interlocutori sono personaggi fantastici o mitici (Ercole e Atlante, il mago Malambruno e il diavolo Farfarello, la Natura ed un ‟anima, la Terra e la Luna, un folletto ed uno gnomo, la Moda e la Morte, la Natura ed un Islandese), oppure personaggi storici (Colombo e Gutierrez, Plotino e Porfirio), oppure ancora personaggi storici ed esseri bizzarri o fantastici (Federico Ruysch e le sue mummie, Torquato Tasso e il suo genio familiare). Altre invece sono esposte in forma narrativa, come la

Storia del genere umano

e

La scommessa di Prometeo

(specie di racconto filosofico alla Voltaire). Altre infine sono prose liriche (

L ’elogio degli uccelli, Il cantico del gallo silvestre

), raccolte di aforismi (

Detti memorabili di Filippo Ottonieri

) e discorsi che si rifanno alla trattatistica classica (

Il Parini, ovvero della gloria

). Le

Operette

se fine dell riflettono stati d Leopardi, scolaro del ‟animo e atteggiamenti sentimentali e mentali diversi, anche perché in esse si accavallano due posizioni diverse del Leopardi di fronte alla vita: pessimismo storico e pessimismo cosmico. ‟700 sensista, aveva posto, come fine dell‟uomo, il piacere raggiungibile nello stato di natura, perduto poi per colpa di un processo storico falsato e distorto. Ma, più avanti nel tempo, avvertì che ‟uomo è il piacere, e questo gli è negato, vi è un contrasto tragico tra ciò a cui l‟uomo aspira e ciò che può raggiungere, e si convinse che un essere che non può raggiungere il fine per cui è stato creato, è “naturalmente” cioè necessariamente infelice. IL PASSERO SOLITARIO - Analisi e commento Tutta la poesia è costruita su una similitudine tra il comportamento del passero e quello del poeta: come il passero trascorre solitario la primavera, spandendo il suo canto per la campagna, così Leopardi trascorre solo, incompreso e sentendosi estraneo nel suo luogo natale, la giovinezza. Il passero non avrà rimpianti, perché ha vissuto secondo natura, mentre il poeta sente che, se giungerà alla vecchiaia, rimpiangerà le gioie di cui non ha goduto. La struttura della poesia è simmetrica: la prima strofa è dedicata al passero e alle sue abitudini di vita, la seconda al poeta, la cui condizione è associabile a quella del passero, mentre la terza svolge il confronto, confrontando la vecchiaia di entrambi: infatti, se per l'uccellino la vecchiaia è solo la parte finale della vita che il destino gli ha concesso, per il poeta invece è una “detestata soglia”, fonte di pentimenti e rimpianti. Si tratta di una lirica che nasce dalle più profonde contraddizioni (pessimismo vs gioia di vivere, vecchiaia vs giovinezza, dolore e rifiuto della vita vs amore per l'esistenza, follia vs solitudine). Il tema principale, che è quello della lacerazione tra la gioia di vivere e l'angoscia generata dalla riflessione sulla realtà, si articola principalmente proprio attraverso un contrasto tra la vecchiaia, vissuta come “detestata soglia” e il rimpianto della giovinezza, considerata “il tempo migliore” e come tale associata alla primavera. Al rimpianto si aggiunge la nostalgia del tempo perduto, di una vita straordinariamente ricca di emozioni lasciate, non vissute e quindi rimpiante. Leopardi, in questo suo efficace autoritratto giovanile, non attribuisce la sua infelicità alla natura o alla società, ma alla sua insicurezza e al suo senso di impotenza che gli impedivano di rapportarsi con gli altri e di partecipare alle gioie della vita. La giovinezza non è vista attraverso il filtro del ricordo, come in altri idilli, ma rivissuta (si noti l'uso dell'indicativo presente) come se fosse ancora attuale. ALLA LUNA - Analisi e commento

In questa poesia si affronta il tema del ricordo ( poetico”, come leggiamo nella nota dello

La ridondanza

era il titolo originale) che trasforma la realtà, migliorandola. Infatti il ricordo, anche se è triste e doloroso, ha un potere consolatorio e la rimembranza rende poeticissimo ogni oggetto, in quanto “è essenziale e principale nel sentimento

Zibaldone

del 14 dicembre 1828. La lontananza nel tempo, come quella spaziale, rende le immagini indeterminate, quindi particolarmente poetiche. La poesia, come tutti primi idilli, è costruita sull'opposizione tra il presente e il passato. In questo caso ai sentimenti dell'anno precedente, quando il poeta ammirava la luna piena di angosce, e quelli del momento presente. Il dolore è sempre lo stesso, nulla è cambiato nella vita di Leopardi, ma il ricordo addolcisce la tristezza, perché appartiene al tempo della gioventù, quando c'era ancora tanto spazio per la speranza, data dalle illusioni, contrapposta alla memoria, che ha ancora un percorso breve dietro di sé. Gli ultimi due versi sono stati aggiunti, con ogni probabilità, in un momento successivo per prendere le distanze dalle illusioni giovanili: infatti, compaiono solo nell'edizione dei “

C

anti” del 1845. Con la luna, la sua interlocutrice prediletta, il poeta instaura un dialogo affettuoso, chiamandola 34

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T serale 2014/15 “graziosa” e “diletta”, poiché si illude che essa possa partecipare al suo dolore: siamo ancora nella prima fase della politica leopardiana, quella in cui la natura è considerata una madre benigna. Dieci anni dopo, infatti, nel “Canto notturno di un pastore errante dell'Asia”, la luna sarà totalmente indifferente al dolore del poeta, ormai giunto alla fase del pessimismo “cosmico”, in cui la natura è “madre di parto e di voler matrigna”. Il componimento “Alla luna” appare dolce e pacato, caratterizzato da quell'atmosfera di “vago e di indefinito”, che per Leopardi e sommamente poetica. Angoscia e dolcezza coesistono tranquillamente, poiché il ricordo mitiga il dolore e provoca sentimenti di pacatezza: a creare tale atmosfera contribuisce anche la frequente allitterazione della cons “Canzoniere”. onante “l”. Lo stile è letterario e nel componimento sono presenti diversi riferimenti alla tradizione di cui possiamo citare sicuramente il Petrarca del

IL POSITIVISMO Il Positivismo è un movimento filosofico e culturale ispirato ad alcune idee guida fondamentali, riferite in genere all ‟esaltazione del progresso e del metodo scientifico, che nasce in Francia nella prima metà dell‟800 e che si diffonde nella seconda metà del secolo a livello europeo e mondiale. Henri de Saint-Simon introdusse per la prima volta il termine Positivismo che si configura come un movimento per certi aspetti simile all ‟Illuminismo, di cui condivide la fiducia nella scienza e nel progresso e per altri affine alla concezione romantica della storia. Positivo vorrà dire allora: • ciò che è reale, concreto, sperimentale, contrapponendosi a ciò che è astratto; • Nel Positivismo si possono distinguere due fasi: • ciò che è utile, efficace, produttivo in opposizione a ciò che è inutile. nella prima metà del XIX secolo, ad iniziare dal periodo della Restaurazione, il Positivismo si presenta come il progetto di superamento della crisi politica e culturale seguita all ‟Illuminismo e alla Rivoluzione francese, tramite un programma politico antiliberale e venne diffuso da Auguste • Comte quando nel 1830 pubblicò il primo volume del Corso di filosofia positiva; nella seconda metà dell d ‟Ottocento il Positivismo rappresenta l‟elaborazione ideologica di una borghesia industriale e progressista per cui, in particolare in Inghilterra, ma anche nel resto ‟Europa, trova corrispondenze con l‟affermazione del pensiero economico del liberismo. È in questa fase che il Positivismo si caratterizza per la fiducia nel progresso scientifico e per il tentativo di applicare il metodo scientifico a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Il Positivismo diviene la cultura predominante della classe borghese e ha rappresentato anche e in modo rilevante gli ideali borghesi quali l ‟ottimismo nei confronti della moderna società industriale e il riformismo politico in opposizione al conservatorismo e nello stesso tempo al rivoluzionarismo marxista fortemente critico nei confronti del moderno sistema industriale che non teneva conto dei mentre è limitatamente presente in quelli meno sviluppati come l Il Positivismo si sviluppa in un periodo in cui l C ‟Italia. sta attraversando un periodo di pace che favorisce la borghesia nell “costi umani” collegati allo sviluppo economico. Non a caso il Positivismo si diffonde soprattutto nei paesi più progrediti industrialmente ‟Europa, dopo la guerra di Crimea e quella Franco-prussiana ‟espansione coloniale in Africa e in Asia e nella contemporanea evoluzione del capitalismo industriale in un fenomeno economico internazionale. ‟è una profonda trasformazione anche nei modi di vita della città, dove si verificano, in pochi anni, cambiamenti più incisivi di quelli avvenuti nei secoli precedenti con le innovazioni tecnologiche dell ‟uso della macchina a vapore, dell ‟elettricità, delle ferrovie che mutano profondamente non solo le dimensioni spazio temporali ma anche quelle intellettuali. Tutto questo porterà nei primi anni del nel baratro della Prima guerra mondiale. „900 a quella esaltazione delle “magnifiche sorti e progressive” raggiunte dall‟Europa della “Belle Epoque” che si avvia al crollo delle illusioni Assumendo come spartiacque le teorie di Charles Darwin, secondo la tradizione, il Positivismo è stato diviso in due correnti fondamentali: • Positivismo sociale, nella prima metà del XIX secolo, che ha come rappresentanti Saint-Simon, Auguste Comte e John Stuart Mill; • • Positivismo evoluzionista con Herbert Spencer, il materialismo tedesco e Roberto Ardigò . Per certi aspetti il Positivismo appare una originale riproposta del programma illuministico con cui presenta delle affinità quali: la fiducia nella ragione e nel sapere al servizio dell ‟uomo come mezzi per conseguire la “pubblica felicità”, obiettivo questo fallito dagli illuministi per cui i positivisti si propongono di portare ordine, tramite il metodo scientifico applicato in ogni campo delle conoscenze umane, per una riorganizzazione globale della società resa caotica dalle rivoluzioni che l ‟hanno sconvolta;

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• esaltazione della scienza vista in contrapposizione alla metafisica: il metodo scientifico avrebbe • dovuto sostituire la metafisica nella storia del pensiero; una visione laica e tutta immanente della vita dell ‟uomo in contrasto con i pensatori cattolici. Il Positivismo ebbe per le sue concezioni più importanti, una dimensione internazionale: la biologia darwiniana, si diffuse in Europa e in America settentrionale e le nascenti scienze della sociologia, psicologia, antropologia diedero avvio in Occidente a nuovi settori di studio dell ‟uomo; ma anche per gli aspetti minori e negativi, come la fiducia acritica e superficiale nella scienza, il pensiero positivista ebbe vasta risonanza sino a divenire un fenomeno di costume per la borghesia colta occidentale. Il Positivismo influì fortemente nella cultura ottocentesca sino a divenire una “moda culturale” tanto che si può parlare di una dell “civiltà positivistica” che ha improntato di se correnti culturali come il realismo, il verismo, la nuova pedagogia incentrata su una scuola inoltre al Positivismo la codificazione delle “laica” e su una didattica “scientifica”. Nonostante i suoi aspetti critici il Positivismo ha lasciato in eredità alla cultura moderna la considerazione ‟importanza per la conoscenza e per la trasformazione della società della ricerca scientifica. Dobbiamo “scienze umane” della sociologia e della psicologia. IL REALISMO LETTERARIO Il nuovo pensiero scientifico e filosofico ebbe immediati riflessi sulla letteratura del tempo, anche se non bisogna dimenticare che una tendenza realistica era già presente nel Romanticismo: ne sono un esempio Manzoni, Dickens, Stendhal, Balzac, ritenuto infatti il precursore del Realismo vero e proprio della seconda metà dell ‟Ottocento; la differenza tra il Realismo romantico e quello positivistico consiste nel fatto che il primo fu illuminato da una concezione religiosa e idealistica della vita, mentre il secondo fu materialistico e scientifico. In precedenza la letteratura aveva avuto come protagonista l ‟uomo, ritenuto un essere privilegiato, dotato di spirito, autocoscienza e libero arbitrio, dominatore della natura e della storia. Con l ‟avvento del Realismo, invece, l ‟uomo viene considerato una creatura come le altre, sottoposta agli stessi condizionamenti, come dice Hyppolite Taine (1828-1893), dell ‟ereditarietà (la race), dell‟ambiente (il milieu), del momento storico (il moment). La letteratura che lo rappresenta deve quindi essere realistica, abbandonando il suggestivo, il sentimentale, il fantastico e attenendosi al positivo, al reale, all • • l il reale-positivo come oggetto; ‟impersonalità dell‟opera d‟arte. ‟oggettivo. Rispettando tale concezione la poetica del Realismo si fonda su due principi fondamentali: Attenendosi al primo principio gli scrittori posero l ‟attenzione sulle classi più umili, in quanto più vicine alla “natura” e al “vero”, così facendo essi rappresentarono l‟arretratezza e la miseria delle plebi, del proletariato e della piccola borghesia richiamando lo stato al dovere di realizzare l ‟uguaglianza ed il benessere, ovvero, come dice il De Sanctis, di “calare l‟ideale nel reale”. Per quanto riguarda invece il secondo principio, esso venne interpretato diversamente dai naturalisti e dai veristi: i primi lo esasperarono, riducendo l ‟opera d‟arte ad una rappresentazione fotografica e scientifica della realtà, i secondi lo considerarono un freno al soggettivismo dello scrittore. Al fine di rispettare questi due principi venne abbandonato il romanzo storico e ci si rivolse a quello sociale, vennero esclusi i lirismi, le rievocazioni autobiografiche, i commenti dello scrittore e furono inoltre inseriti l ‟uso di un linguaggio semplice e popolare, con l‟introduzione di termini e costrutti dialettali, di monologhi e dialoghi, e la descrizione particolareggiata di paesaggi, personaggi e ambienti. Il Realismo fu dunque l ‟indirizzo generale della cultura europea della seconda metà dell‟‟800, esso comunque si adeguò alle particolari condizioni politiche, economiche e sociali di ciascun popolo e assunse in rapporto ad esse caratteristiche diverse. Il Realismo letterario sorse in Francia, dove assunse il nome di Naturalismo, ed ebbe il suo precursore in Honoré de Balzac (1799-1850), autore di una serie di romanzi che vanno sotto il titolo generale di “Commedia umana”; uno dei suoi scrittori più significativi fu invece Gustave Flaubert (1821-1880), autore del celebre romanzo “Madame Bovary”. Egli a differenza di Stendhal e Balzac, che intervenivano nel corso della narrazione con commenti e giudizi, si limitò a scegliere i fatti e a tradurli in linguaggio, convinto che la perfetta espressione di un fatto bastasse ad interpretarlo; lo scrittore doveva quindi rinunciare a confessarsi e a prendere posizione, vivendo unicamente in funzione dell ‟opera. A tale concezione, che può essere considerata una prima definizione della teoria dell ‟impersonalità, Flaubert giunse reprimendo le tendenze romantiche del suo temperamento senza tuttavia sopraffarle completamente. Altra importante figura del Naturalismo fu Emile Zola (1840-1902), considerato per esattezza il suo caposcuola: egli tentò di dare una veste teorica al movimento, giustificando la trasposizione del metodo sperimentale dall ‟ambito delle scienze fisiche a quello dei fenomeni morali e spirituali. Seguono poi Alphonse Daudet (1840-1897), Guy de Maupassant (1850-1893), i fratelli Edmond (1822-1896) e Jules (1830-1870) de Gouncourt.

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Dalla divulgazione dei prototipi francesi e dalle discussioni condotte da filosofi e storici circa la portata dello scientismo positivista francese prese le mosse il Realismo letterario italiano, che va sotto il nome di Verismo e i cui maggior rappresentanti furono Luigi Capuana, considerato il teorico riconosciuto del Verismo, Giovanni Verga e F. de Roberto. Naturalismo e Verismo furono due momenti letterari affini , che ebbero in comune i due canoni del Realismo letterario, ma che essendosi svolti in ambienti culturalmente, economicamente e socialmente diversi finirono con il differenziarsi assumendo caratteristiche proprie. Prima di tutto erano differenti gli ambienti e le classi sociali oggetto di studio: i naturalisti ritraevano la vita dei quartieri periferici delle grandi metropoli e dei bassifondi di Parigi, popolati da esseri depravati, emarginati, abbrutiti dalla miseria, dall ‟alcool e dal vizio, in contrasto con la borghesia affaristica. L ‟Italia, a causa del ritardo del suo sviluppo industriale non aveva grandi metropoli né bassifondi periferici nelle sue città, perciò i veristi ritraevano la vita stentata e primitiva della piccola borghesia e delle classi più umili, quali pescatori, contadini, minatori, ecc. Differente era inoltre il porsi dei veristi e dei naturalisti di fronte alla realtà: l ‟atteggiamento dei naturalisti era attivo, polemico, provocatorio, volto alla denuncia delle ingiustizie sociali, accompagnata dalla fiducia ottimistica nel loro superamento; quello dei veristi era invece più contemplativo, volto a ritrarre le miserie degli umili senza volontà di denuncia, e soprattutto senza fiducia nel loro riscatto. Altra differenza è il rapporto tra lo scrittore ed il pubblico: i naturalisti operavano in una società più solidale, matura ed evoluta, sensibile all ‟ansia di rinnovamento da loro auspicata; i veristi operavano invece in una società ancora arretrata, sia a livello di plebi, incapaci di recepire un messaggio di riscossa ad esse rivolto, sia a livello della borghesia e dell ‟aristocrazia, sorde ai problemi sociali. Infine, il naturalismo assunse subito un carattere nazionale in quanto operante in una nazione socialmente omogenea quale era appunto la Francia; il verismo ebbe invece un carattere meridionale, regionale, dialettale. Dopo l arcaico, immobile e chiuso in una sorta di fatalistica rassegnazione. ‟unità rimasero infatti le vecchie strutture economiche, aggravate dalla differenza di sviluppo tra Nord Italia in ascesa e il Sud rimasto A prescindere da tali differenze il naturalismo ed il verismo ebbero comunque il merito di aver reagito all ‟inconcludente sentimentalismo del secondo romanticismo per una concezione più concreta, vigorosa ed operosa della vita; di aver riaperto all ‟arte il campo del reale; di aver evidenziato le miserie e le pene delle classi più umili e di aver infine creato una lingua ed uno stile più semplici, agili, vigorosi e popolari. Il Realismo inglese: Thomas Hardy Nella seconda metà del XIX secolo, ovvero verso la fine dell ‟età vittoriana, il romanzo inglese assunse caratteristiche chiaramente differenti da quelle della prima metà del secolo: gli scrittori cessarono di considerarsi degli intrattenitori o dei riformatori sociali, quali erano stati, ad esempio, Dickens e Thackeray, furono sempre più influenzati dai grandi scrittori continentali come Flaubert, Tolstoy e Dostoevskij e mostrarono una tendenza verso il realismo (lontana però dai canoni del naturalismo) visibile specialmente in George Elliot (1819-1880), pseudonimo di Mary Ann Evans, ed in Thomas Hardy (1840-1928), con cui sembra culminare quella tradizione realistica del romanzo ottocentesco, che aveva avuto inizio con il realismo romantico di Dickens. Hardy è uno dei migliori esempi di romanziere della fine dell ‟epoca vittoriana. Il suo primo successo, “Via dalla pazza folla ” (1874), è già caratterizzato da quella visione amara e desolata della vita, in cui l‟uomo è schiacciato da un fato indifferente o spesso ostile, che caratterizzerà le opere successive, e che assumerà accenti sempre più foschi. Egli si presenta come un narratore onnisciente e mostrano un certo tipo di stoicismo nell ricchezza delle immagini e l ‟accettare l‟inevitabile. accrescere il realismo delle sue descrizioni. “riservato”, mostra un atteggiamento compassionevole verso i suoi personaggi, i quali non perdono mai la dignità morale e Per la descrizione delle scene egli si serve di una tecnica di tipo cinematografico: inizia con una visione panoramica, per poi focalizzare i vari elementi, attraverso un dettagliato primo piano. Con questo tipo di descrizione, egli riesce a dare una percezione della scena attraverso i sensi: vista, udito e perfino tatto. La ‟uso del linguaggio parlato contribuiscono poi a creare un‟intensa atmosfera e ad La stagione realistica russa Un interessante caratteristica dell ‟età del Realismo è l‟allargamento della geografia letteraria dell‟Europa, che ora comprende anche la Russia. Alla nascita del Realismo narrativo russo concorrono numerosi fattori quali, ad esempio, il naturalismo satirico di Gogol ‟, il realismo sentimentale di Balzac, ma soprattutto la nuova attenzione ai problemi sociali. Tra le costanti di questa realtà letteraria si possono indicare un atteggiamento di comprensione verso tutti gli esseri umani, la volontà di portare alla ribalta gli aspetti finora sottaciuti e più infamanti della realtà russa, una relativa trascuratezza per la costruzione e l ‟intreccio narrativo a favore della psicologia, dell ‟introspezione e dell‟analisi sociale, ed infine l‟impegno a scegliere i soggetti esclusivamente dalla realtà contemporanea. Tra i nomi più importanti troviamo quello di Aksakov, il quale rappresenta un momento di pura oggettività,

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aliena da motivazioni ideologiche riscontrabili invece in Goncarov e Turgenev. La stagione del realismo russo culmina però in L. Tolstoj (1828-1910) e in Dostoevskij (1821-1881), il quale partito dall ‟iniziale influsso di Gogol‟, Balzac, Dickens, giunse, sotto l‟impulso di una profonda crisi religiosa e di una fortissima tendenza all ‟introspezione, a risultati che si pongono all‟inizio del moderno romanzo psicologico. EMILE ZOLA Emile Zola nacque a Parigi nel 1840, a seguito della prematura morte del padre iniziò a lavorare in giovane età impegnandosi in umili lavori e, in seguito, come pubblicitario e giornalista nutrendo la sua passione per la letteratura. Venne attratto dal Positivismo. Le sue prime opere “Teresa Raquin” e “Rougon-Macquart, storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero esprimeva liberamente, scrisse ” presero in esame tutti gli strati sociali attraverso le vicende dei protagonisti. Tra i venti romanzi ebbero grande successo soprattutto “Il ventre di Parigi”, “L‟Assommoir “ e “Germinale”. Emile Zola è il più grande esponente del Naturalismo francese. Autore che si “il Manifesto” francese. Espose le sue idee nel “Romanzo sperimentale”, opera vicina al mondo della scienza dove si ricalcavano le teorie della sperimentazione alla ricerca della verità. Questa narrazione descriveva le situazioni nella loro realtà e i protagonisti parlavano con un linguaggio non artificioso. Elaborò la teoria del romanzo sotto l ‟influsso del pensiero deterministico di Hippolyte Taine il quale riteneva che il comportamento dell ‟uomo e la sua produzione artistica fosse determinata da tre elementi fondamentali al di fuori dell ‟uomo stesso: la razza, l‟ambiente e il contesto storico nel quale vive. Zola si interessa anche agli studi di fisiologia di Claude Bernard che sosteneva esistere uno stretto legame tra lo studio della psiche e la fisiologia, quindi molte reazioni dell ‟uomo dipendono dalla sua natura fisica. Per Zola scrivere un romanzo sperimentale significava lavorare in due direzioni: l ‟osservazione della realtà come può fare lo scienziato e quindi capire questi uomini approfondendo l ‟essere umano da ogni punto di vista, sia con se stesso ma anche nel rapporto che ha con l tutti i dati e osservazioni, conoscendo l ‟ambiente circostante. Secondo Zola chi si accinge a scrivere un romanzo sperimentale prima di avvicinarsi alla stesura del romanzo deve possedere ‟uomo come vive, come si comporta e con chi vive. Lo stile del romanzo sperimentale è impregnato di vitalità perché vengono messi in evidenza degli aspetti di un tale realismo che dà la sensazione di essere di fronte a personaggi esistenti in un ambiente reale e non immaginario. Il romanzo sperimentale di Zola è un connubio tra romanzo scientifico e la sua stilistica indisciplinata. L ‟autore si serve di molte immagini, simboli e metafore per evidenziare il malessere della sua società. Per rendere evidenti certi problemi l ‟autore esaspera le situazioni e i comportamenti. Alla denuncia del malessere sociale cresciuto con l ‟industrializzazione e il cattivo rapporto tra l‟imprenditore e il lavoratore, l ‟autore associa le condizioni disumane delle persone che dalle campagne si sono trasferite nelle periferie delle grandi città per lavorare nelle fabbriche con la perdita della personalizzazione che si ha lavorando con le macchine, alle problematiche interne dovute alle negative esperienze di vita passata dei protagonisti. Morì a Parigi nel 1902. L ‟ASSOMMOIR - Analisi e commento In questo brano di Emilio Zola, appartenente alla corrente del naturalismo, l'autore narra uno dei momenti più tragici della già disperata vita della protagonista Gervasia, una donna a cui la vita non ha risparmiato sofferenze e delusioni. Si ritrova una sera ad andare alla ricerca del marito in una bettola, rifugio di alcolisti della società operaia parigina della fine dell ‟‟800. Il senso di sottomissione al marito e il disgusto per l'ambiente della taverna chiamata “L‟Assommoir” (l ‟Ammazzatoio, per la morte dello spirito e del pensiero del genere umano che viene attuato in esso) sono sopraffatti dalla curiosità della donna di comprendere fino dove si possa spingere l ‟autoannullamento del marito. Entrata nella locanda, Gervasia viene assalita dal disgusto per la visione del locale, degli strumenti della distilleria e dei molteplici personaggi imbruttiti dalla schiavitù del bere. La stanchezza di vivere ai margini, di lottare senza ottenere risultati e della scarsa considerazione per la figura femminile, fanno porgere l'indifeso fianco della donna al carnefice nemico: il desiderio di non lottare e di non vedere più brutture fanno sedere la donna al tavolo dei bevitori dove il marito ha già perso il lume della ragione. I loro destini si uniscono e quel momento rappresenta la partenza per il viaggio senza ritorno dell'annientamento della donna. Un viaggio iniziato addietro, dove questa fermata temporanea conferma l'inesorabile capolinea di morte ai margini della società. L'atteggiamento della protagonista nei confronti dell'uomo assume due differenti aspetti: l'attesa del marito a casa, la delusione del procrastinarsi dell'appuntamento che l'avrebbe condotta ad un attimo di svago, il ripensare a tutti i sacrifici che gli gravano la vita di duro lavoro e la rinuncia ad attimi di spensieratezza. Il fatto di andare ad affrontarlo alla taverna dove stava dilapidando quella parte del salario che avrebbe potuto spendere per accompagnarla al circo accresce ulteriormente la sua collera. La paura di subire

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maltrattamenti per la sua “discesa” in campo nel locale è ridimensionata dal desiderio di rivalsa e giustizia fomentato dalla collera. La situazione cambia con l'entrata nell ‟“Ammazzatoio”. L'ambiente influisce sul suo temperamento, la visione negativa stempera le sue lire e l'atteggiamento di rivalsa finora provato nei confronti dell'uomo viene ad annullarsi per l'effetto dell'alcol che assume; la donna accetta di divenire spettatrice passiva e vittima del vizio che cancella le sue delusioni. L'ambiente viene descritto dall'autore con dovizia di particolari. Tutto viene preso in considerazione, dalla struttura del locale all'aria che vi si respira, dei colori cupi agli scarsi contorni visibili appena illuminati dalla fioca luce, dall'odore ripugnante dei mobili impregnati di esso a quello dei frequentatori, uomini sporchi trascurati che sono un tutt'uno con l'ambiente che li ospita e che solo lui può cogliere. Il fumo avvolge tutto nella sua coltre e tutto sembra uniformare. Gli uomini sono ai tavoli con le loro brutture fisiche e morali, soggetti schiacciati dalla nuova società industriale che tutto chiede ai lavoratori in cambio di una misera sopravvivenza. Dietro a tutto ciò lo spettro della sagoma dell'alambicco, il vero sovrano di quel microambiente, il silente detentore del potere sul controllo della mente dei malcapitati frequentatori. La sua struttura, i suoi dubbi e le sue spirali, il riflesso della debole luce sul rame della cisterna panciuta gli fanno assumere connotati di un mostro che si nutre delle vite di chi è schiavo del vizio. Tutte queste impressioni negative si pacano nella mente di Gervasia quando l'alcol passa dalle viscere al sangue ed è la donna stessa ad abbracciare la sconfitta per non vivere più negativamente la sua esistenza. La tipologia naturalistica della letteratura viene evidenziata nel brano di Zola per l'utilizzo del linguaggio popolare e diretto, privo di artifici. I termini utilizzati sono quelli del ceto popolare dell'ambiente di lavoro manovale e le caratterizzazioni dei soggetti sono dedotte dalle loro qualità fisiche e dalla povertà di spirito. Ritengo che l'autore in questo capitolo del racconto, omaggi la protagonista perché la rende cosciente della negatività dell'ambiente che la circonda e la conduce, sì alla schiavitù del vizio, ma la pone come una vittima che non implode nell'estrema volgarità. Proseguendo nella lettura del libro si vedrà soccombere Gervasia alla bassezza più profonda della figura femminile e con sé tutto l'ambiente che la circonda, compresa la figlia che scapperà per divenire ballerina dalla dubbia moralità (come se le caratteristiche negative si tramandassero geneticamente da genitori a figli, come Zola sosteneva). L'evoluzione negativa della vicenda è anche l'espressione dello stile naturalista, causa-effetto. Zola narra cronologicamente le sventure della lavandaia, dall'umile partenza all'illusoria salita dell'autonomia lavorativa, dal risentire delle prime problematiche allo sprofondare nel baratro senza uscita. È da notare anche la grande capacità di Zola di non porsi mai come giudice delle persone e delle situazioni. L'autore lascia il libero arbitrio espressivo ai soggetti della storia e delle loro discussioni-situazioni il lettore può trarre delle conclusioni o dei giudizi, che sono quelli che vuole trasmettere in definitiva l'autore. “L' Ammazzatoio” è indiscutibilmente un titolo esplicito ed esaustivo, condivido pienamente la scelta “ad effetto ” dell'autore. Personalmente lo ritengo anche un titolo contemporaneo (come titoli che sovente incontriamo nella produzione letteraria e cinematografica contemporanea). Ritengo Zola, tra gli autori finora studiati, quello più attuale come stile narrativo e tematiche. Sicuramente questa mia opinione è determinata dal degrado che incombe nei nostri giorni. Il disagio sociale ottocentesco, rappresentato dalla separazione marcata tra ricchi, lavoratori e poveri, nel nostro secolo si è “spalmata” tra nuovi sottogruppi. Ai ricchi e poveri si interpongono i lavoratori sottopagati, i lavoratori in cassa integrazione o licenziati, il disoccupato, il delinquente “per scelta di vita” o quello “costretto dalla vita”. La negatività di un periodo storico non svanisce con esso, può trasformarsi ma quasi mai scompare. È lodevole in Zola la capacità di catturare le sfumature del linguaggio degli aspetti fisici degli ambienti poveri come un attento osservatore che si siede e, accuratamente, prende nota di tutto ciò che lo circonda o sente. Attraverso queste osservazioni possiamo renderci conto degli aspetti negativi della società a cavallo tra l' ‟800 e il ‟900. Il mondo del lavoro, lo sfruttamento degli uomini, la perdita di speranza in un futuro migliore e l'accettazione della ingloriosa sopravvivenza, la condizione della donna paragonabile ad elemento di contorno che non ha diritto a migliorarsi e deve solo assecondare il capofamiglia o la società che detengono gelosamente le chiavi della sua esistenza. avt GUY DE MAUPASSANT Nacque nel 1850 in Normandia da una famiglia della piccola nobiltà di provincia. I suoi genitori si separarono e fu cresciuto dalla madre che era frequentatrice dei salotti letterari di Flaubert che l ‟aiutò nell‟educazione del figlio e lo instradò agli studi letterari. Nel 1980 Zola gli diede la possibilità di pubblicare il suo primo romanzo “Palla di sego” che poi farà parte della raccolta “Le serate di Médan”. Incoraggiato dalla buona accoglienza del pubblico si dedicò molto alla composizione e scrisse trecento racconti distribuiti in quindici raccolte nei dieci anni successivi. Scrisse sei romanzi tra cui “Una vita”, “Bel-Ami” e “Pierre e Jean”. Esuberante e passionale non condusse una vita monotona per le sue passioni trasgressive e per il suo bisogno di

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spostarsi sovente. Sono riferite anche problematiche allucinatorie. Nel 1892, dopo un tentato suicidio fu ricoverato in una clinica psichiatrica dove morì nel 1893. Il suo romanzo più conosciuto è sicuramente il protagonista lo scopo giustifica i mezzi. “Bel-Ami”. È ambientato a Parigi nel 1870. Narra la storia di un giovane di umili origini, Georges Duroy, proveniente dalla provincia, che aspira al successo e al danaro. Per Sebbene Maupassant viene allevato dal Naturalismo di Zola, il suo stile non attinge al naturalismo scientifico ma è più vicino alla lezione di semplicità e oggettività di Flaubert. Nei suoi racconti appare evidente una visione fantastica simbolica della realtà che anticiperà nuovi gusti letterari. L ‟autore si pone come spettatore di eventi che possono sfociare in tragedia senza che nessuno possa intervenire per mutare il destino; i protagonisti abbracciano le categorie di tutti i livelli sociali che compongono la società francese, personaggi gretti ed egoisti che popolano il periodo della Terza repubblica. LUIGI CAPUANA Nacque nel 1839. Siciliano come Verga, si era trasferito a Firenze dopo aver lavorato come giornalista e scrittore a Catania. A Firenze aveva collaborato al giornale insegnò all Le sue opere più importanti sono articoli critici di letteratura contemporanea “La Nazione” come critico letterario. Su consiglio di Verga, che aveva conosciuto a Firenze nei circoli letterari, si trasferì a Milano nel 1887 dove lavorò al “Corriere della Sera”. In seguito si trasferì a Roma dove diresse “Il Fanfulla della domenica”. Insieme ad amici e colleghi letterari si interessò alla corrente letteraria proveniente dalla Francia, particolarmente alle opere di Zola, dei fratelli Goncourt, contribuendo alla conoscenza del naturalismo in Italia. Tornato in Sicilia ‟università di Catania e con Verga dettò la poetica del verismo. “Studi sulla letteratura contemporanea”, con la raccolta di saggistica, “Per l‟arte”, un‟analisi su “Gli ismi contemporanei” (verismo, naturalismo, positivismo, eccetera) dove fu molto critico nei confronti del naturalismo. Le opere di narrativa di Capuana non ebbero un grande successo. Furono vicine al verismo, perché i soggetti si avvicinavano alle caratteristiche del naturalismo francese nonostante le ambientazioni si discostassero da quelle tipiche della narrativa francese perché non precise e generiche e i personaggi risultassero artificiosi. Nel naturalismo francese l ‟analisi scientifica sosteneva la veridicità della realtà e dei personaggi ma questa obiettività, razionalità e rigore non sono presenti nelle opere di Capuana. Il primo romanzo tipicamente verista fu “Giacinta” e venne pubblicato dopo che Verga aveva già realizzato numerose opere. L ‟opera “Il marchese di Roccaverdina” del 1901, ambientata in Sicilia, è sicuramente il componimento più famoso ma che lo allontana dal verismo poiché Capuana si sofferma sulla psicologia dei personaggi, come nella scelta stilistica degli scrittori russi Dostoevskij e Tolstoj, preferendo lo studio introspettivo. Capuana morì a Catania nel 1915. IL MARCHESE DI ROCCAVERDINA - Analisi e commento Il protagonista è il Marchese di Roccaverdina, Antonio Schirardi, un latifondista che si innamora di una giovane contadina. La giovane, Agrippina Solmo, rispettosa e devota nei confronti del signore, a causa delle differenze sociali non può sposare il marchese ma viene data in nozze dal marchese al fattore Rocco Criscione con l ‟obbligo di vivere come fratello e sorella anziché come marito e moglie. Il marchese, accecato dalla gelosia perché conscio dell ‟improponibilità della situazione, uccide Rocco. La morte del fattore non viene attribuita al marchese ma al contadino Neli Casaccio. Nonostante il marchese ha timore che l Silvio, il quale però non gli da l ‟infamia del delitto possa sporcare il suo nome si sente in obbligo di confessare la sua colpa al prete del paese, Don ‟assoluzione. In lui cresce anche il timore che il prete possa rivelare il suo segreto, questo è l del dramma ‟aspetto del dramma introspettivo del personaggio. Nel frattempo il contadino accusato del delitto muore di tifo ma, nonostante non vi siano più testimoni, nel marchese cresce il rimorso (aspetti similari “Delitto e castigo” di Dostoevskij) che lo porterà alla pazzia. Viene allontanato da tutti e l‟unica persona che si prende cura di lui è Agrippina. I temi fondamentali del romanzo sono il turbamento psicologico e il rimorso. GIOVANNI VERGA È l ‟autore più importante di questo periodo. Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di nobili latifondisti con propensione per le idee liberiste. Trascorse la gioventù a Catania frequentando la scuola del letterato Antonino Abate il quale lo indirizzò verso gli ideali patriottici e la narrativa francese romantica con cui si cimentò scrivendo i suoi primi romanzi. “Amore e patria” fu il suo primo romanzo di ambientazione storica. Nonostante la sua passione per la letteratura s ‟iscrisse alla facoltà di legge ma, grazie agli avvenimenti della liberazione della Sicilia da parte delle truppe di Garibaldi, abbandonò gli studi arruolandosi nella Guardia Nazionale. Lo spirito patriottico prese il sopravvento e lui fu protagonista di quegli avvenimenti. Tra il 1861 e il 1863 Verga pubblicò altri romanzi storico-patriottici, ma decise di allontanarsi da Catania per recarsi a Firenze, poiché la realtà provinciale non lo soddisfaceva, decidendo di ampliare i suoi spazi

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frequentando altri letterati e arricchendo le proprie esperienze. In questa occasione conobbe Luigi Capuana con cui intraprese un ‟amicizia che durò tutta la vita. Durante la sua frequentazione fiorentina scrisse un romanzo, “Una peccatrice”, a tematica romantica, con cui ottenne un discreto successo e ampi riconoscimenti in ambito letterario. Seguì un periodo di trasferimenti tra Firenze e Catania con la seguente trasferta a Milano, nel 1872, poiché centro culturale più importante del momento e dove si verificavano gli incontri e gli scambi di opinione a cui lui teneva tanto. A Milano conobbe i fratelli Boito, Emilio Praga e da altri esponenti della Scapigliatura milanese che era il corrispondente italiano del simbolismo francese con i suoi poeti maledetti. Frequentando i salotti milanesi pubblicò tre romanzi borghesi dove i temi predominanti furono quelli dell ‟amore e della passione “Eva”, “Tigre reale” ed “Eros”. A Milano ebbe anche modo di leggere le opere dei grandi naturalisti francesi tra cui Balzac, Flaubert, i fratelli Goncourt, Zola e Maupassant da cui venne influenzata la sua futura produzione. A Milano, dopo aver scritto la novella “Nedda” che si avvicinava alla corrente del naturalismo, nel 1874, contribuì alla nascita del verismo e la sua opera “Rosso Malpelo” ne fu testimone. Da lì a poco si cimentò nella stesura di cinque romanzi (la raccolta de compimento e le prime due opere furono “Il ciclo dei Vinti”) che trattavano le sorti di personaggi che non riuscivano a sollevarsi dal decadimento della loro condizione. Questa raccolta non venne portata a “Mastro don Gesualdo” e “I Malavoglia”. Seguì l‟adattamento teatrale della sua famosa novella Non concluse “Cavalleria rusticana” e altre novelle (“Vita dei campi”, “Novelle rusticane”, “Vagabondaggio”) che possono essere paragonate alle opere-denuncia dei naturalisti francesi. Nel 1893 Verga ritorna a stabilirsi a Catania, a questo nuovo trasferimento coincide però una crisi creativa. “Il ciclo dei Vinti” ma compose dei drammi teatrali tra cui “La Lupa” tratto da “Vita dei campi” e “Dal tuo al mio”. Quest‟ultimo componimento rappresenta l‟ambiente siciliano con le sue problematiche sociali che si verificarono subito dopo l ‟unità d‟Italia, la liberazione non era stata recepita da alcuni operai e contadini siciliani che si erano ribellati ad essa. Verga vive questa situazione e la rappresenta secondo il suo pensiero che lo porterà ad essere convinto sostenitore dell ‟interventismo nel primo conflitto mondiale. Nel 1920 fu nominato senatore, morì a Catania nel 1922. Giovanni Verga (approfondimento) Nacque a Catania, il 2 settembre 1840, da una famiglia di proprietari terrieri di origini nobili e liberali. Il suo patriottismo è originario dall'infanzia trascorsa nella città natale, in contatto con il letterato Antonio Abate. La sua prima opera, il romanzo il giornale “Amore e patria”, è ricca di questi sentimenti. Abbandonò gli studi di legge per dedicarsi interamente agli eventi storici legati alle imprese di Garibaldi, aderì alla Guardia Nazionale e fondò “Roma agl‟italiani”. Nel 1865, stanco della sua vita popolare, si trasferì a Firenze, che nel frattempo era divenuta capitale d'Italia e frequentò i salotti letterari, stimolato dall'intense attività sociali e politiche che avvenivano nell per tutta la vita. È proprio nel soggiorno fiorentino che pubblicò il romanzo ‟allora capitale. Proprio a Firenze conobbe il concittadino letterato Luigi Capuana con cui mantenne buoni rapporti “Una peccatrice” che lo fece conoscere al grande pubblico. Dopo numerosi spostamenti tra Firenze e Catania, si trasferì definitivamente a Milano nel 1872, città che era divenuta il centro dell'attività culturale e politica del paese. A Milano conobbe i fratelli Boito e numerosi esponenti della scapigliatura milanese; in questo periodo pubblicò tre romanzi densi di sentimenti e di amore passionale ( “Eva”, “Tigre reale” ed “Eros”). Si avvicinò alla corrente del naturismo e, insieme a Capuana, contribuì alla nascita del verismo. Collegabili a questo suo impegno sono le opere “Nedda” e “Rosso Malpelo”. A seguire pubblicò il ciclo narrativo composto dai cinque romanzi ( “Il ciclo dei vinti”) che narravano la lotta per la vita in differenti classi sociali. Sono di pochi anni a seguire le pubblicazioni di novelle Gesualdo “Vita dei campi”, “Novelle rusticane” e “Vagabondaggio”; i primi due romanzi del “Ciclo dei vinti”, “I Malavoglia” e “Mastro Don ”; l'adattamento teatrale della “Cavalleria rusticana”. Nel 1893 fece ritorno a Catania dove lo colse un periodo di crisi creativa alla quale infierì una controversia legale intentatagli da Mascagni per l'adattamento teatrale della “Cavalleria rusticana”. La sua attività letteraria rallentata di questo periodo vede solo la stesura teatrale de “La Lupa” (tratto da “Vita dei campi ”) e “Dal tuo al mio”, che manifesta la sua opposizione all'ideologia socialista. Nasce in lui lo spirito reazionario, già manifestato con il suo pensiero di repressione verso i fasci siciliani e con l'appoggio dell'impiego dell'esercito per contrastare i movimenti operai milanesi. Agli albori della prima guerra mondiale, il suo pensiero si allinea a quello degli interventisti. Nel 1920 viene nominato senatore. Morì a Catania nel 1922. I MALAVOGLIA - Analisi e commento Nel capitolo primo del romanzo “I Malavoglia”, “La famiglia Malavoglia”, Giovanni Verga introduce i componenti della famiglia Toscano, questo in effetti era il vero nome che apparteneva alla famiglia nei registri parrocchiali. Verga sposa l'usanza popolare di attribuire un nomignolo ad ogni personaggio, usanza

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che contraddistingueva le vere opposte caratteristiche dell'interessato: i Malavoglia erano in realtà una famiglia umile ma laboriosa e seria, con caratteristiche adeguate al contesto sociale ed economico del Meridione italiano di fine ‟800. Ogni personaggio viene descritto dall'autore in rapida sequenza:  padron ‟Ntoni, il rappresentante di una famiglia che, nei tempi passati, era rappresentata da molti nuclei familiari straziati a Trezza (Acitrezza) ma che nel romanzo di Verga era rimasta unica nel paese. Padron ‟Ntoni spiega la tenacia e la resistenza della sua famiglia alzando il pugno, forte e sicuro come un legno di noce, al cielo e proclamando che per controllare un remo le cinque dita si  devono aiutare l'una con l'altra; Bastianazzo, il figlio Bastiano, grande e grosso ma succube al comando del padre. Talmente rispettoso nei confronti di esso che non aveva obiettato la scelta della sposa per suo conto;  la Longa, moglie di Bastianazzo, donna minuta (e da questa caratteristica nomignolo di opposta descrizione); dedita ai lavori domestici, a salare le acciughe e a fare figli;  - - i nipoti ‟Ntoni, il più grande, di vent'anni. Un ragazzo svogliato e disinteressato a tutto, solitamente preso a scappellotti dal nonno; Luca, ritenuto dal nonno più giudizioso del fratello maggiore; - - Mena (Filomena) soprannominata Sant'Agata, per la sua dedizione alle faccende di casa e al telaio; Alessi (Alessio), il più piccolo dei maschi, che il nonno definiva tale e quale lui (questa impressione verrà confermata dagli eventi; Alessi sarà l'unico nipote in grado di riacquisire le proprietà di padron ‟Ntoni che saranno messe in vendita per disavventure economiche della famiglia); - Lia (Rosolia) una bambina con fattezze di transizione tra l'infanzia e il divenire donna. I malavoglia reggono il loro tenore economico con un'attività di pesca; considerando il periodo storico e l'ambiente sociale del Meridione italiano non è un lavoro facoltoso ma in grado di permettere un minimo sostentamento efficace per la numerosa famiglia. I problemi sorgeranno con l'evolversi della storia e, di particolare rilievo, sarà l'acquisto di un carico avariato di lupini che innescherà la caduta economica della famiglia. Vediamo che il brano e ricco di citazioni e proverbi popolari che, trasmessi dai personaggi non letterati, aumentano la loro saggezza basata sull'esperienza di vita. Detti popolari che denotano “il vivere semplice ma onesto ” di ceti sociali che non hanno conosciuto gloria e fasti ma che hanno dedicato la loro esistenza all'onestà e all'amore verso la famiglia:       “Per menare il remo…” il valore della famiglia unita, dove tutti componenti collaborano e si aiutano; “Gli uomini sono fatti…” all'interno della famiglia ogni componente occupa il proprio posto gerarchico e deve rispettare le posizioni; “perché il motto degli…” i detti popolari che hanno origine dagli antenati sono veritieri perché soggetti ed esperienza; “Senza pilota barca…” è necessaria una guida alla famiglia che sia in grado di controllarla e guidarla; “Per far da Papa...” ogni incarico, o responsabilità, necessita di esperienza per compiti di livello inferiore o gavetta, per comprendere tutti i livelli di applicazione; “Fa il mestiere che sai…” applicati nel lavoro secondo le tue possibilità e conoscenze, senza esagerare o avventurarti in situazioni di cui non hai esperienza. Al limite, se non ti arricchirai con il   tuo lavoro, potrei vivere serenamente; “Contentati di quel che t'ha…” sii soddisfatto dell'impegno dei genitori, perché il loro lascito più importante sarà quello di averti educato come uomo onesto; “Chi ha carico di casa…” il responsabile di una famiglia non può tralasciare nessun particolare perché ha la responsabilità verso essa e i suoi componenti. In questo brano l'autore esalta i valori della famiglia e il senso di responsabilità e il controllo di essa. Vediamo che le umili origini, coadiuvate da un impegno costante nel lavoro con dedizione, hanno dato la possibilità ai Malavoglia di mantenere un tenore, sì modesto, ma sereno. La visione pessimistica della vita prende campo quando, nonostante il ligio comportamento dei protagonisti, le avversità e la sfortuna della vita bussano alla porta: la partenza di uno dei nipoti per l'esercito, che priva delle braccia-lavoro di un componente; il carico avariato dei lupini; la perdita del figlio maggiore in mare. Tutte situazioni che determineranno la perdita di controllo di quell'equilibrio che aveva regolato la stabilità familiare. La tecnica narrativa dell'autore è caratterizzato dalla sua eclissi, Verga si ritrae e cela il suo pensiero. Lascia il primo piano ai personaggi e dona loro la libertà di recitare la loro vita reale. I protagonisti parlano la lingua del tempo, del luogo e delle loro capacità espressive. Li vediamo rifarsi ai detti popolari e caratterizzare aspetti riscontrabili sono nel loro contesto sociale e territoriale. Anche i riferimenti storici sono limitati alla

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condizione di influenzare l'ambiente familiare. La partenza del nipote per la Lega Navale viene ricordata solo per il disagio arrecato dalla famiglia e non per l'importanza dell'evento storico dell'Unità d'Italia. Il disagio con il prete e la sua non ritenuta idonea salita ad incarichi comunali, colloca la figura di padron ‟Ntoni alle considerazioni del periodo del punto di vista storico; il collegare i sui capelli raccolti alle capigliature dei reazionari francesi fa comprendere la difficoltosa formazione politica italiana, accentuata particolarmente nel Meridione. avt LA SCAPIGLIATURA Fu un movimento che nacque nella seconda metà dell ‟ottocento ed ebbe come centro creativo la città di Milano. Prese il suo nome dal romanzo di Cletto Arrighi “La scapigliatura e il 6 febbraio”. Fu un movimento tipicamente italiano che prese spunto dall riferire all ‟esperienza francese bohemienne (boemo-zingaro, ossia uomo libero). Il bohemienne fu il tipico artista parigino, libero da ogni schema, che esprimeva la sua ribellione verso la società e il rivendicare un suo comportamento libero. Questo fenomeno, sotto molti aspetti, si può ‟esperienza dei poeti maledetti e dei simbolisti francesi. Fu un modo di protestare verso la società e contro un certo tipo di novità del periodo che loro non accettavano. Era espressa come una forma di ribellione verso il conformismo e i loro autori potevano essere considerati estranei al periodo e pronti ad esperienze nuove. Le novità da loro espresse furono in contrasto con l ‟attività letteraria del periodo e degli autori (come Manzoni) e della corrente del positivismo. Contemplando la teoria del vero e del reale si distaccarono dalle tesi degli altri osservatori. Tra gli artisti scapigliati vi furono artisti di varie esperienze: scrittori, poeti, musicisti e pittori. Avevano tutti il desiderio di fare della loro arte la vita e vivere per l d del macabro, dell ‟arte, questi due aspetti furono molto importanti e anche affrontare la vita con questo spirito tante volte tormentato interiormente. Erano anticonformisti e scandalosi come gli artisti ‟oltralpe Baudelaire, Verlaine o Rimbaude. Per il periodo storico, ebbero grande importanza perché nei circoli del loro movimento si scambiarono opinioni e idee. Un loro pregio fu anche quello di aver fatto conoscere autori e opere europee come quelle dei simbolisti francesi o di Edgar Allan Poe con il suo gusto ‟orrido e della spettacolarizzazione delle situazioni drammatiche. Gli scapigliati furono ostili soprattutto con il romanticismo. Riconobbero che l per la questione dell ‟Italia era un paese dove molte esperienze non si erano potute fare perché molto arretrato dal punto di vista economico-sociale, religioso e ‟unità territoriale che aveva influenzato molto lo scambio delle esperienze. Dimostrarono questo disagio verso la modernità proposta dagli industriali e che già aveva preso campo negli altri paesi poiché il progresso aveva agevolato solo determinate categorie sociali mentre altre erano rimaste escluse dalla fase del miglioramento. Il disagio divenne la loro bandiera di battaglia come lo era per i veristi. Rifiutarono i valori della classe dominante quindi l - ‟efficienza, la produttività e le regole. I principali motivi a cui si ispirarono gli scapigliati furono: le esperienze quotidiane, anche quelle più triviali; - - l ‟anticonformismo e la ribellione contro la società borghese; la predilezione per il patologico, l ‟orrido, il macabro; - il dualismo tra il bene e il male, la virtù e il vizio, la bellezza e la corruzione e la degradazione. Il linguaggio utilizzato nello stile degli scapigliati fu quello normale che non raggiunge una perfezione, ricercarono il suono e la musicalità del verso che era anticonvenzionale, usarono il dialetto e forme estreme. Tra gli esponenti più significativi della scapigliatura ricordiamo Emilio Praga, pittore e poeta milanese che morì giovane, distrutto dall ‟alcol e in miseria, la cui poesia “Preludio” raccoglie le ideologie della scapigliatura, il rifiuto della tradizione (rappresentata da Manzoni “tu puoi morir!… Degli antecristi è l‟ora!”); il romanziere e poeta milanese Iginio Ugo Tarchetti, anch Falstaff di Verdi. ‟esso seguace dell‟orrido e del macabro, antimilitarista convinto; Arrigo Boito, musicista e librettista, autore di Mefistofele e dei libretti di Otello e Una corrente meno estremista della scapigliatura, che si riavvicina al classicismo e alla tradizione, è rappresentata da autori come Giosuè Carducci. PRELUDIO - Analisi e commento Preludio fu composta nel novembre del 1864, è quindi tra le ultime poesie, in senso cronologico, della raccolta. E ‟ una delle più famose liriche di Praga e della scapigliatura. Costituisce una sorta di manifesto nel quale lo scrittore sottolinea l ‟opposizione personale ai valori e alla poesia del recente passato. Il tema principale, che indica nella poesia, è la conflittualità dell Praga, furono animati dall ‟uomo contemporaneo. Polemizza aspramente con Manzoni, glorificato e adorato poeta di un passato ormai inattuale, infatti gli Scapigliati, tra cui lo stesso ‟esigenza di novità e di rottura col passato. La poesia, posta all ‟inizio della raccolta Penombre (1864), ha il valore di un manifesto poetico. Vi si trovano temi e movenze comuni agli scapigliati: la coscienza di un ‟irreparabile crisi di ideali e del tramonto di ogni fede, il sentirsi “generazione bruciata”, il gusto delle proclamazioni genericamente blasfeme, del

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sovvertimento anarchico del costume borghese, l languido e sentimentale (le ebbrezze dei bagni d ‟affermata esigenza di dire il vero, sia in senso oggettivo (addentrandosi nella zona irrazionale e tormentata della coscienza) sia in senso oggettivo (riproducendo una realtà che si vive squallida e moralmente repellente). Nelle due strofe finali si avverte un romanticismo ‟azzurro portano fino al pianto e ad una tenera autocommiserazione. Il satanico Praga era in fondo, come altri Scapigliati, un idealistico nostalgico portato ad una nuova ricerca di nuovi valori in una nuova prospettiva individualistica. Praga è uno degli scrittori più rappresentativi della Scapigliatura perché mostra come la ribellione, che espresse in termini esasperati, fosse incapace di giungere ad una critica veramente rivoluzionaria della società, alla creazione di una nuova ideologia. Schema metrico: 8 quartine. Ogni quartina è composta di 3 endecasillabi piani (con l ‟accento sulla penultima sillaba) e di un verso più breve, alternativamente un settenario piano e un quinario piano (ABab, CDcd). IL DECADENTISMO Il Decadentismo può essere considerato il superamento del Positivismo. La parola Decadentismo deriva dal francese “décadent”, con riferimento al poeta francese Verlaine dalla lirica “Languore” (definizione del suo stato d ‟animo nei confronti della società contemporanea: “Sono l‟Impero alla fine della decadenza/che guarda passare i grandi barbari bianchi [i popoli germanici che invasero l stava per terminare. ‟impero romano]”). Decadenza usata da Verlaine stava a significare che un certo tipo di cultura e tradizione ormai aveva fatto il suo corso e Le tematiche fondamentali di questi poeti erano rifiutare la morale borghese e porsi al di fuori della norma, quindi loro non si riconoscevano negli ideali della società e si definivano “decadenti” sia per essere considerati diversi dagli altri componenti della società che avevano preso come riferimento il progresso tecnologico, sia nei confronti della tradizione culturale che finora si era affermata. Il termine decadentismo viene spiegato sotto due aspetti fondamentali: la stagione della sensibilità, del gusto e della natura che si imposero nella seconda metà dell ‟‟800 principalmente in Francia e nel resto d‟Europa, e poi come movimento culturale letterario che si affermò in tutta Europa sulla base del rifiuto della tradizione letteraria precedente. Non si può considerare come fenomeno unico il decadentismo perché da esso nascono numerosi diversi tipi di esperienze letterarie. Col decadentismo venne pian piano meno quella definizione di uomo intellettuale, colto e di cultura che apparteneva alla classe dirigente, anche perché erano ancora poche le persone non appartenenti alle classi abbienti che potevano permettersi l ‟acculturamento. I letterati aderirono ai movimenti ed alle correnti con le loro sedi, statuti, finanziatori, editori e riviste che pubblicarono le loro opere ma vi furono anche autori che decisero di intraprendere carriere autonome che gli permettessero di percorrere un cammino indipendente. Per questo motivo la libertà fu l divulgazione, come la rivista ‟ideale condiviso da questi poeti. Per quanto riguarda la diffusione delle idee del decadentismo numerose riviste e giornali contribuirono alla “Le Décadent” fondata a Parigi nel 1884 da Verlaine stesso e dai poeti a lui vicino. I testi che possono essere considerati manifesti programmatici sono “I fiori del male” di Baudelaire e l ‟”Arte poetica”di Verlaine. Per quanto riguarda la narrativa possiamo ricordare “A ritroso” di Huysmans considerato il testo simbolo di tutto decadentismo insieme a quello più rappresentativo de “Il ritratto di Dorian Gray ” di Oscar Wilde che rappresenta il personaggio decadente per eccellenza. Nel giro di pochi anni quella fiducia limitata riservata alla tecnologia, alla scienza e al progresso venne intaccata da nuove intuizioni filosofiche e da nuove teorie scientifiche. Venne messa in discussione la fiducia del pensiero positivista dalla corrente del nichilismo (dal latino nihil, “nulla”), ossia la dottrina che nega l‟universalità e il valore assoluto di qualsiasi vanità e il valore intrinseco delle convinzioni delle persone. Il maggiore rappresentante del nichilismo fu Friedrich Nietzsche, il filosofo che interpretò questa crisi nella fiducia, nella ragione e nel progresso. Nietzsche analizzò a fondo gli aspetti dell ‟uomo a lui contemporaneo e formulò il concetto di “superuomo” (uomo nuovo, libero, indipendente), che verrà preso ad esempio dai dittatori del „900 ma utilizzato per diffondere negatività e supremazia. Il superuomo di Nietzsche darà sfogo a tutte le sue risorse per esprimere le sue doti migliori e capacità per realizzarsi al meglio, per costruire una vita straordinaria. Ogni superuomo si intreccia anche con la volontà di potenza e di tendenza di quest‟individuo, anziché rimanere statico, lo porterà a voler tirare fuori il meglio da sé per realizzare se stesso sotto ogni aspetto. Il concetto di “spirito dionisiaco” (dal dio Dionisio senza freni, potente, amante della musica e della vita sfrenata, che si contrappone al dio greco Apollo amante dell ‟arte e dell ‟armonia). Secondo il pensiero di Nietzsche, Dionisio incarna lo spirito istintivo dell‟uomo, la parte più sfrenata, violenta e potente dell ‟animo umano mentre Apollo rappresenta la calma, la tranquillità, la compostezza e l ‟equilibrio. Altro concetto che venne riconsiderato fu quello del tempo. Il filosofo francese Henri Bergson, incarna la tradizione spiritualistica in cui scienza e religione non sono in contrasto ma procedono di pari passo, con la sua teoria sul tempo afferma che questo sfugge alle regole matematiche perché abbiamo due tempi: quello cronologico, come successione di eventi uguali e misurabili e il “tempo interiore” fatto di stati simultanei dove passato, presente e futuro si intrecciano con simultaneità.

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Nel campo della scienza umana fu molto importante l ‟esperienza della psicanalisi scoperta da Sigmund Freud che affermò che l ‟inconscio condiziona tutta l‟attività dell‟uomo cosciente. Secondo questa teoria l ‟inconscio è più importante della coscienza poiché indica l‟insieme dei processi psichici che rimangono sotto la soglia della coscienza. Non possono essere conosciuti volontariamente, perché rimossi, ma è necessario che lo faccia un esperto, lo psicanalista, che utilizza dei mezzi per far affiorare dalla coscienza ciò che è stato rimosso. Questa realtà interna fa parte dell ‟Es (corrisponde agli istinti e alle pulsioni più profonde, le paure, tutto ciò che ci infastidisce e che abbiamo rimosso), del Super-Io (l ‟insieme delle regole, convenzioni sociali, insegnamenti, regole familiari imposte fin dalla nostra nascita) e dall ‟Io (la parte cosciente dell‟uomo, che si sforza per raggiungere un certo equilibrio tra il Super-Io e l ‟Es). L‟Io è impegnato in un lavoro profondo e quando non riesce ad equilibrare gli altri due aspetti subentrano le nevrosi. Secondo Freud tutta l ‟attività dell ‟inconscio, quella che non affiora alla coscienza, è causa di malattie psichiche quali l‟isteria e le depressioni. Albert Einstein, con la sua teoria della relatività, esprimendo l ‟equivalenza tra la massa e l‟energia diede luogo alla teoria che rivoluzionò il mondo della fisica. I caratteri fondamentali del decadentismo furono:  la critica al mondo borghese;  l ‟anticonformismo;       l l il rifiuto del positivismo; il rifiuto dell ‟impegno politico e sociale dell‟artista; il concerto dell ‟artista che è unico ed eccezionale; ‟artista è anche un veggente perché riesce a capire delle verità nascoste, vedendo oltre; ‟artista è esteta, alla ricerca del bello e dell‟arte; la decisione di descrivere la realtà non attraverso realtà oggettive ma criteri soggettivi, quali la razionalità e la bellezza vissuta in maniera soggettiva e l ‟intuizione. I temi ricorrenti del decadentismo furono:  il rifiuto dei valori;  l ‟interiorità;    l la malattia e la morte; La superiorità e lo stato privilegiato; ‟alterazione della coscienza per sfuggire alle prigioni della vita (con l‟utilizzo di droghe, alcol e costumi impopolari;  il vitalismo, che è l ‟argomento centrale dell‟opera dannunziana, si traduce nell‟esaltare la vita senza alcun freno ed è legato al concetto di superuomo;  il sogno, spiegato da Freud come qualcosa di irrazionale e che, se compreso, aiuta a capire gli aspetti della vita perché attività dell ‟inconscio;  il vagheggiamento di epoche e paesi lontani, esotismi che si narrano in racconti di viaggi in terre lontane. Tra le figure del periodo decadente troviamo:  il poeta maledetto, la cui figura più rappresentativa è sicuramente Oscar Wilde;  l ‟esteta, di cui lo stesso protagonista Dorian Gray del racconto di Oscar Wilde incarna il culto del bello. Personaggio aristocratico, corrotto che ama circondarsi di oggetti preziosi e raffinati. Ricerca per tutta la sua vita l ‟ebbrezza di tutto ciò che può procurargli piacere e quindi si allontana dalla vita comune delle altre persone;   il superuomo, rappresentato dalle gesta di D ‟Annunzio; il malato, quasi sempre presente nelle opere di narrativa del „900, sono personaggi con malattie dei tempi moderni, da ipocondriaci vivono con queste malattie vere o inventate;  l ‟inetto, rappresentativo dell‟epoca moderna. In contrapposizione al superuomo l‟inetto si arrende e non si assume nessuna responsabilità, nevrotico e debole lo troviamo nel romanzo Zeno ” di Svevo e ne “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello; “La coscienza di  la donna ambigua e sensuale come Ippolita Sanzio nel romanzo “Trionfo della morte” di D‟Annunzio, solitamente queste donne contrastano il protagonista in modo tale da non fargli raggiungere i suoi  scopi. Tra le correnti più importanti del decadentismo ricordiamo: il Preraffellismo, tra i cui esponenti troviamo il pittore e poeta Gabriel Rossetti. La caratteristica di questa corrente è il ritorno ai caratteri tipici del medioevo rifacendosi alla semplicità pittorica dei pittori di quel periodo, la semplicità dell ‟arte nell‟espressione artistica;  il Parnessianesimo, riguarda la seconda metà dell‟‟800 questo movimento si richiama ad alcuni poeti che inseguono una poesia colta e raffinata badando alla struttura e alla forma. Si rifanno all'arte per l'arte, ossia l'arte fine a se stessa e separata dalla vita e dai valori morali, senza funzione educativa.

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 Il Parnessianesimo ci ricorda l ‟epoca classica del periodo greco che è alle basi del nostro classicismo; i Simbolisti, di cui il maggior rappresentante è Baudelaire. Gli aspetti che ci interessano maggiormente sono gli approcci di questi poeti maledetti verso la società moderna, che si estraniano ed esasperano il loro modo di vivere. Anche Verlaine analizza queste tematiche. CHARLES BAUDELAIRE Poeta francese, considerato il precursore del simbolismo. Amante dell'estetismo rinnovò la tradizione poetica tanto da essere indicato come l'iniziatore della poesia moderna. Elaborò il concetto di poesia pura, ossia la poesia fine a se stessa formulata amando il componimento e senza preoccuparsi del fine istruttivo. I simbolisti ricercano la musicalità, la purezza della forma e la loro sensibilità fuori dal comune traspare dalle forme. Lo stato d'animo di queste persone, perennemente in preda al vizio, è pervaso dalla malinconia. Nella lirica “Spleen” di Baudelaire il sentimento di noia è preponderante. La noia di carattere esistenziale è tipica di parecchi personaggi del ‟900 ed è definita dai critici “come una disperazione senza via d'uscita” che non ha un riferimento completo ma fa parte di questa esistenza, un'esistenza che non dà soddisfazione. Alla base della poesia di Baudelaire c'è la poetica delle “corrispondenze”. Nelle corrispondenze la natura è rappresentata come un tempio, un luogo del sacro e del mistero, da cui trarre ispirazione e da cui nascono parole libere e di illusione. L'uomo fa parte del mistero della natura e avverte che tra tutti gli elementi presenti in natura ci sono delle corrispondenze. L'uomo comune non riesce ad interpretarle mentre il poeta è in grado di raccogliere questi aspetti. Quest'intuizione poetica la troveremo anche nel Pascoli, che può essere considerato un poeta simbolista (nella sua poetica “del fanciullino” dirà che proprio questo suo modo di vedere le cose, come un bambino che è al di fuori dalle convenzioni sociali, che guarda le cose, anche le più piccole, con gli occhi meravigliati, stupefatto anche dalle cose minime ed essenziali come un adulto non è più in grado di fare). IL SIMBOLISMO Nac que come movimento poetico in Francia alla fine dell'‟800. Si basò sulle teorie del decadentismo, il rifiuto della scienza, delle teorie positivistiche, la realtà che non è sempre quella che si percepisce, il valore che provengono dall'interiorità stessa d ell'uomo. Con la raccolta poetica “I fiori del male” Baudelaire inaugurò la stagione dei poeti maledetti che vivevano una vita sregolata, abusavano di alcol e droghe e rifiutavano la morale della borghesia. In quest'opera il tema fondamentale è l'alienazione dell'individuo in una società che non riconosce, viene messa in evidenza il degrado morale dell'uomo, l'eccezionalità del poeta, viene adottato un nuovo stile musicale. Questi versi assumono un'importanza fondamentale nella storia letteraria perché il modo personale di vedere del poeta il quotidiano e il vizio viene esaltato. PAUL VERLAINE Per quanto riguarda Verlaine il linguaggio è evocativo, richiama altre situazioni, è musicale, usa versi e suoni brevi e fluidi. Per questo autore la descrizione della realtà non deve essere corrispondente ma deve trasmettere le impressioni che il poeta percepisce dalla stessa, quindi suscitare emozioni e stati d'animo. Le parole devono evocare delle situazioni (“il potere evocativo delle parole” che ritroveremo in Montale e Quasimodo con l'ermetismo) assumendo diverse sfumature e significati tante quante vuole trasmetterne il poeta. ARTHUR RIMBAUD Amico di Verlaine, con la sua breve attività letteraria riuscì a rivoluzionare la poesia moderna per il suo modo di indagare l'ignoto e a fondo negli aspetti abbandonandosi a visioni allucinatorie. STÉPHANE MALLARMÉ È considerato il simbolista per eccellenza, la sua concezione della figura del poeta è importante perché riesce a indagare nei significati più reconditi dei simboli e delle corrispondenze tra le cose. I temi essenziali della sua poesia sono quelli dell'elevazione dalla normalità, di andare oltre la vita reale e di cogliere il mistero che vi è nelle cose andando nell'essenza di esse. Tra le sue opere più fam ose ricordiamo il poemetto “Il pomeriggio di un fauno ” in cui si concentrano poesia, musica e cultura. In questo poema è rilevante la compenetrazione tra uomo e natura, come unica cosa, il “panismo” (dal dio Pan) che verrà affrontato anche nella poetica di D'Annunzio.

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LE VARIE CORRENTI DEL DECADENTISMO Le tendenze del decadentismo non possono essere considerate di un'unica tipologia perché raggruppano numerose correnti. Con il Simbolismo ne sono stati protagonisti personaggi che si sono voluti allontanare dai normali schemi e che hanno voluto utilizzare una loro forma espressiva (come gli Scapigliati ed i Simbolisti). Il punto comune è stato il contrastare le nuove tendenze offerte dal progresso portato all'esasperazione, sostenendo che vi fossero delle incongruenze in ciò che stava avvenendo. Si avvertivano i miglioramenti a cui andava incontro la nuova società; le tecnologie e le nuove scoperte portavano benessere che per molti non era inteso come il massimo valore; alcune persone avevano migliorato il loro stile di vita mentre altre vivevano ancora in condizioni molto precarie. Come le correnti letterarie, che nascono in contrapposizione al positivismo, anche le nuove correnti politiche come il socialismo, il marxismo, i movimenti operai e sindacali cercano di evidenziare le situazioni di disagio perché non c'è un modello di società che possa andare bene per tutti. Molti aspetti del decadentismo possiamo trovarli anche in autori più moderati. Oltre agli autori critici del periodo ve ne furono altri che attinsero qualcosa dalle novità non tradendo la nostra tradizione culturale poiché ritenevano la nostra classicità un valore. Carducci, Pascoli e D'Annunzio furono il connubio tra la nostra tradizione e gli elementi nuovi introdotti da esperienze culturali diverse. Carducci rimase più ancorato alla tradizione non prendendo gli schemi delle novità ma alla metrica classica, come nelle “Odi Barbare”, mantenendo i temi caratteristici della poesia del ‟900 ed esprimendo l‟interiorità, i propri sentimenti, gli affetti per i propri cari, l'ambiente e la natura. Questi sentimenti sono anche rappresentati nelle liriche di Pascoli. Altra necessità di esprimere le vicende del quotidiano nell'essenzialità è riscontrabile nell'Ermetismo di Ungaretti. L'essenzialità dell'ermetismo di Ungaretti è determinato dal volere del poeta di dare la massima importanza alla parola che rinchiude in sé molti concetti. Non sono necessari i virtuosismi della metrica perché si ritiene che una parola possa rinchiudere in sé molti aspetti e significati. Di contro, l'esaltazione del progresso trova la sua massima espressione nel Futurismo che esalta tutto ciò che è nuovo. Le novità rappresentate dalla velocità e dalla magnificenza delle opere sono sostenute da questa corrente che ha come organo di diffusione “Il Manifesto” di Marinetti. GIOVANNI PASCOLI Nacque nel 1855, a San Mauro di Romagna, da una famiglia numerosa, quarto di dieci figli. Suo padre Ruggero era amministratore della tenuta La Torre dei principi Torlonia. Giovanni fu instradato agli studi classici presso il collegio dei Padri Scolopi di Urbino. Gli eventi della sua vita condizionarono molto la sua esistenza e principalmente la sua opera. L'evento tragico del 10 agosto 1867, la morte del padre ucciso al ritorno dalla fiera di Cesena, lo segnò per sempre, anche perché non si seppe mai il motivo e i colpevoli di questo delitto (le più probabili cause vennero ricondotte a gelosie nell'ambito lavorativo o l'essere testimone di traffici irregolari). Altri lutti che funestarono la vita del poeta furono prima la morte della sorella e poi della madre, a breve distanza di tempo anche quella del fratello. I rimanenti fratelli si stabilirono a Rimini e Giovanni, dovendo lasciare gli studi a causa della situazione economica, li riprese e concluse in seguito a Firenze. Nel 1873 vinse una borsa di studio con la quale ebbe la possibilità di iscriversi alla facoltà di lettere all'università di Bologna dove fu allievo di Giosuè Carducci. Nell'ambiente universitario Pascoli fece parte di alcuni movimenti studenteschi socialisti e, coinvolto in scontri con movimenti opposti, venne arrestato nel 1879 e condannato a tre mesi di carcere. Quest'esperienza e la paura di compromettere la sua carriera mirata alla docenza, gli fecero abbandonare l'attività politica e si dedicò con maggiore impegno agli studi. Si laureò all'età di 27 anni e incominciò ad insegnare nei licei. Il primi incarichi di docenza gli vennero assegnati inizialmente nei licei di Matera, in seguito gli venne assegnato l'incarico a Massa dove si stabilì con le sole due rimanenti sorelle, Ida e Maria. Con le due donne il poeta diede vita alla sua concezione di famiglia, di nido familiare. La parola “nido” racchiuse, per Pascoli come per altri autori, il significato di famiglia intesa come punto d'appoggio, ritrovo di affetto e di forza per proseguire il cammino. Il matrimonio della sorella Ida venne vissuto dall'autore come un tradimento degli ideali familiari, stesso sentimento venne approvato dalla sorella Maria quando si paventò il possibile matrimonio del fratello con una loro cugina. Per questo gruppo familiare, che aveva perso prematuramente gran parte dei componenti, ogni possibilità di ulteriore divisione veniva vissuta come una minaccia al tentativo di mantenere unita l'entità superstite. Nel 1887 Pascoli si stabilì a Livorno dove nel 1891 pubblicò, presso l'editore Giusti, la prima raccolta di poesie con il titolo latino “Myricae” (in riferimento ai semplici arbusti che nascono spontanei). Il nome della raccolta fa già intuire l'amore del poeta verso la semplicità e purezza delle cose. L'anno seguente la raccolta venne ulteriormente ampliata e vinse un premio internazionale di poesia latina ad Amsterdam, questo riconoscimento gli venne attribuito per ulteriori tredici edizioni. Dopo il matrimonio della sorella Ida, Pascoli e la sorella Maria si trasferirono a Castelvecchio di Barga dove pubblicò la prima edizione dei “Poemetti” e nello stesso anno venne nominato professore ordinario di

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letteratura presso l'Università di Messina dove rimase fino al 1903 per poi trasferirsi all'università di Lucca. A cavallo della fine dell'‟800 e gli inizi del ‟900 pubblicò “I canti di Castelvecchio” con numerose riedizioni. Opere che seguiro no furono “I poemi conviviali”, “Odi e inni” e il saggio che racchiude la sua poetica “Il fanciullino ”. Ne “Il fanciullino” è racchiuso il concetto di poeta secondo Pascoli; in questa opera l'autore spiega che il poeta riesce a carpire il linguaggio nascosto e misterioso delle cose che ci circondano. Questo modo di vedere il mondo, la natura e le persone è proprio del poeta che sa cogliere la profondità e la bellezza della natura. Solo chi ha l'animo semplice di un fanciullo può cogliere il lato misterioso della vita e delle cose, questa semplicità d'animo di un bambino rimane inalterata nel poeta. Questo concetto è alla base della poetica di Pascoli e ci fa comprendere che Pascoli è il poeta della semplicità, della purezza e la meraviglia per tutto ciò che ci circonda. L'uomo crescendo, nel tempo, perde la spontaneità di visione del bambino ma questa dote rimane immutata nel poeta. Altri saggi oltre “Il fanciullino” sono “Minerva oscura”, “Sotto il velame” e “La mirabile visione”. Nel 1905 Pascoli subentra a Carducci nella cattedra dell'università letteraria di Bologna, seguirono i saggi “Canzoni di re Enzio” e i “Poemi italici”. Sempre più vicino all'ideologia nazionalista aderì all'impresa coloniale dell'Italia, convinto che la colonizzazione avrebbe permesso all'Italia di uscire dalle problematiche della disoccupazione. Quest'opinione lo portò ad esporre numerosi discorsi di sostegno alla politica coloniale come ne “La grande Proletaria si è mossa ” del 1911. Nel 1912 si ammalò e morì a Bologna. Sua sorella Maria, a seguire, pubblicò postume molte poesie giovanili riunite nelle raccolte “Poesie varie”, “Poemi del Risorgimento”, e i “Carmina” (raccolte di poesie in latino). La raccolta più conosciuta è senza dubbio “Myricae” dove i temi che ispirano l'autore solo i temi familiari, della campagna, delle piccole cose di tutti i giorni e degli affetti intimi. Accanto a questi temi troviamo il dolore, il tema del “nido” legato al concetto di famiglia e di lutti che ne hanno segnato profondamente il percorso. In alcune di queste poesie è possibile ravvisare lo stile degli Impressionisti che esprimono con i loro quadri il loro personalissimo modo di vedere il mondo. Questa singolare caratteristica è similare nella poetica di Pascoli con il suo cimento nel dare musicalità alle parole con una nuova sintassi e metrica. Le opere scritte in latino trasmettono la preparazione classica del poeta in contrapposizione alla sua opera semplice; il suo linguaggio ricercato in endecasillabi sciolti, che determinano eleganza al verso, fanno comprendere la sua preparazione approfondita e la sua curiosità per i nuovi movimenti letterari. Pascoli, dopo le esperienze politiche giovanili, riprese queste tematiche con il discorso del nazionalismo e dell'affermazione dell'Italia come paese forte, come nazione che si stava costruendo. Visse il fenomeno del proletariato, della disoccupazione, dei lavoratori che per lui rappresentavano un problema di grave sofferenza; quando scrisse “La grande Proletaria si è mossa” cercò di capire come queste persone che erano stata lasciate alla loro sorte avevano bisogno di un cambiamento e di una possibilità di nuovo lavoro. IL FANCIULLINO - Analisi e commento In quest'opera Pascoli declama la capacità del poeta di esprimersi con l'intimità dell'animo tipica del bambino, come un fanciullo sa cogliere la gioia e la malinconia degli eventi è capace di essere allegro e di addolcire anche il dolore. Lo scopo importante del poeta è quello di dover aiutare il popolo ispirandolo a buoni e civili costumi, quindi relegandolo alla funzione di educatore. La poesia è la vera espressione del fanciullino che è in noi e dentro di noi vi è un fanciullino che non solo ha brividi (come credeva Cebes Tebano, personaggio dell'opera “Fedone” di Platone). Ne “È dentro di noi un fanciullino” vi è la sintesi del suo modo di pensare alla poesia. Il poeta deve far emergere quella parte che ha dentro di sé, il sentimento e di modo di vedere le cose tipiche del bambino, che procedendo nella crescita si perdono. Anche il modo di vivere il dolore e la gioia di un bambino sono differenti da quelli di un adulto ma il poeta li mantiene vivi in sé e riesce a comunicarli trasmettendoli agli altri. La teoria del fanciullino è legata anche al suo linguaggio; un linguaggio che evoca, suggerisce, rappresenta e descrive. Pascoli è ricco, allusivo ed è poeta perché riesce a svelare l'interiorità delle cose. Ogni cosa nasconde in sé qualcosa di bello che il poeta riesce a svelare. La poesia di Pascoli è libera e spontanea, dà libero sfogo all'immaginazione e non è contenuta negli schemi tipici della ragione; è frutto di sentimento, di passione e di vivere la vita in modo non razionale. Ciò rappresenta la novità stilistica proposta da Pascoli. X AGOSTO - Analisi e commento Fra tutte le poesie che si riconducono alla tematica della famiglia, del dolore e del lutto familiare, questa è quella più significativa. La notte di San Lorenzo, quando è più frequente il fenomeno delle scie delle stelle cadenti, per Pascoli simbolicamente rappresenta un cielo che piange. Un cielo che comprende il dolore dell'autore e che si trasforma in dolore universale nei confronti dell'umanità.

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L'autore sembra conoscere il segreto di questo pianto di stelle perché il poeta deve porsi nella ricerca del segreto delle cose: “… io lo so perché…”. Prima di svelare l'arcano Pascoli racconta di una rondine uccisa nel provato per la sua famiglia per l'uccisione del padre. tornare al suo nido (dove il “nido” assume il significato di “famiglia”). Utilizza il paragone della rondine uccisa per far comprendere il dolore Questa poesia è stata composta e pubblicata nel 1896 s ulla rivista “Il Marzocco” ed in seguito inclusa nella quarta edizione di Myricae nella sezione “Elegie”. Predominante in questa poesia è il parallelismo tra l'uccisione del padre e l'uccisione della rondine con tutti i collegamenti che seguono: la rondine che tornava a casa per portare la cena ai rondinini che l'aspettano mentre il padre tornava a casa da una fiera portando in dono le bambole alle sorelle. Il motivo centrale di questa lirica e la malvagità umana che non risparmia neanche le persone buone e che sono vittime della cattiveria. Le due creature innocenti sono accomunate dalla morte e diventano il simbolo dell'ingiustizia del male che regna nel mondo, definito “atomo opaco” (la poesia di Pascoli è estremamente simbolica ed evocativa, in essa troviamo anche i caratteri dell'impressionismo). La rondine tornava al tetto, un uomo al suo nido. L'autore scambia i termini tetto-nido per rafforzare l'analogia e il parallelismo tra la morte della rondine è quella dell'uomo. Il “nido” per Pascoli è la famiglia, il rifugio dove ci si ritrova negli affetti, un nido da lui stesso ricreato dopo la morte di gran parte dei componenti della sua famiglia con le sorelle Ida e Maria. La lirica si porta in questa dimensione, non è solo lui a soffrire. La malvagità è di tutta l'umanità e a soffrire è tutto l'universo rappresentato da questo cielo di stelle che quando cadono sembrano piangere. Pascoli spiega appunto che il cielo sembra piangere stelle per la malvagità dell'uomo, in questo modo il suo dolore diventa un dolore universale e il cielo partecipa con il suo pianto di stelle. X AGOSTO (approfondimento) Una rondine ed un uomo, due figure che vivono la loro esistenza nello stesso mondo. Due corpi diversi con differenti capacità e di intelletti distanti. L'istinto guida una, la ragione conduce all'altra. Il pathos, il logos e l'amore sono ponti che collegano le loro esistenze. La rondine e l'uomo volano alto e attraversano il ponte in un tutt'uno. Il loro amore li conduce alla casa-nido dove i loro affetti li attendono. Un abbraccio, un insetto, una carezza, un pigolio; sfaccettature di vita quotidiana che confrontate con il metro della ragione o dei sentimenti assumono differenti valori. Come paragonare un uomo ad un animale? Come attribuire uguale valore al pensiero di un uomo colto all'istinto di un animale? Valutando l'amore che un essere può donare è il metodo che è suggerito da Pascoli, che ci permette di comprendere come l'amore per gli affetti familiari assuma un ruolo di connessione tra le due esistenze. Una così semplice da sembrare inutile e ininfluente per la complessità dell'universo, l'altra così importante da costituire le fondamenta di una famiglia. Casa-nido, nido-casa; due mondi confinati di aspetto differente eppure così simili da essere accomunati nel rendere il concetto di famiglia, di focolare, di affetti, di protezione e di amore. Pascoli svela il suo intimo concetto di interpretazione della famiglia e la sensazione di protezione che ne deriva da essa. La data strugge il cuore dell'autore, una beffarda coincidenza. La notte del martirio di San Lorenzo, dove anche il cielo piange con le sue lacrime di stelle, è l'anniversario della morte del padre del Pascoli. La morte dell'uomo che faceva ritorno al tetto per riabbracciare i cari portando dei doni, come quella della rondine che faceva ritorno al nido dei suoi piccoli per sfamarli. Una luce abbagliante, un buio profondo. Un vortice di immagini che scaturiscono da spente pupille. Come in un film introspettivo, dove il pensiero del regista è rappresentato più dai fermo-immagine, dai silenzi e dai forti contrasti che dalle parole e dalle azioni, ecco allargarsi l'immagine. Degli occhi immobili forzati in un'espressione di stupore, il volto stupefatto e quel becco rivolto al cielo che protende ad esso l'insetto, come alla ricerca di qualcuno che possa recapitarlo ai piccoli. Le ali e le braccia spiegate al suolo, come crocifissi e donate al sacrificio sulla croce. Drammatiche pose assunte da corpi inermi. Il tempo di realizzare, il tempo di perdonare, il tempo di disperarsi per non poter raggiungere i piccoli, il tempo di rammaricarsi per non poter più accarezzare le teste dei figli; un attimo è tutto svanisce, tutto quello che rimane è un corpo disteso al suolo mentre immaginiamo l'anima staccarsi da esso e urlare al cielo il proprio dolore. L'intensità e la drammaticità del Pascoli sono profonde perché sono nel profondo dei suoi sentimenti che vanno da esplorare. Nell'alto del cielo possiamo librare il volo di analisi dei sentimenti, nel cielo che tutto sembra guardare. Dall'alto si è spettatori di un dramma, la morte di un uomo e di un animale, entrambi genitori mossi da eguali sentimenti di passione ed amore per la famiglia. L'insetto e le bambole, il cielo non può dirigere un vento provvidenziale che riconduca i doni ai figli. Può solo guardare passivamente e piangere con le sue stelle. Lacrime splendenti che trafiggono l'animo di chi rimane e donate al suolo che abbraccia corpi immobili, il suolo di questa terra di malvagità che non è null'altro che un atomo opaco nell'immensità dell'universo. L'autore si chiede se gli altri pianeti siano in grado di rendersi conto della malvagità che regna sulla Terra, il nostro pianeta che si autocelebra su altri mondi sicuramente più puri del nostro.

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Il poema “X Agosto” viene composto nel 1896 da Pascoli e pubblicato lo stesso anno sulla rivista “Il Marzocco ”. Viene incluso in seguito nella raccolta, dalle molteplici edizioni, “Myricae” (dal nome della pianta erbaccia rustica). Questa fase produttiva dell'autore è legata all'osservazione ed all'analisi del mondo contadino con incursioni nella sua vita familiare. Gli aspetti della vita rupestre sono narrati con immagini e suoni reali puri che si allineano al pensiero del Pascoli. Il nido assume la connotazione simbolica del nucleo familiare e la famiglia quella del nido dove i componenti della famiglia trovano protezione, amore, collaborazione, sostentamento e sicurezza. La verità, nascosta fino alla conclusione del poema, riguardante le lacrime versate dal cielo sotto forma di stelle, svelano la causa componitiva incentrata sulla malvagità che regna nel mondo. La metrica del brano è rappresentata da sei quartine in decasillabi e novennari a rima alternata. La forma espressiva da inizialmente scorrevole, diviene lenta, maggiormente cadenziale per l'aumento della punteggiatura e delle pause che inducono alla riflessione sul pensiero dell'autore. Nei primi due versi della prima quartina troviamo una consonanza della lettera “l” e un'assonanza tra le parole “arde e cade”. Tra il primo e secondo verso, sempre della prima quartina, troviamo l‟enjambement “tanto-di stelle”. Nella terza quartina troviamo la metonimia “e il suo nido è nell'ombra, che attende-che pigola sempre più piano ” dove non è il nido che pigola nei piccoli dentro di esso. La similitudine delle figure della rondine e dell'uomo è sottolineata dagli stessi termini utilizzati dall'autore nella seconda e quarta quartina: “Ritornava/tornava”, “tetto-nido/nido-tetto”, “l'uccisero”, “il portare il verme portare due bambole ” (sostentamento comune). Similitudine sintattica ed espositiva è rappresentata dalla seconda e quarta quartina confrontate con la terza e la quinta. Entrambe le coppie esprimono causa-effetto; la rondine fa ritorno con il pasto, viene uccisa, i piccoli sono condannati a morire; il padre fa ritorno a casa, viene ucciso, i familiari sono condannati a vivere senza la guida paterna. avt L'ASSIUOLO - Analisi e commento La lirica si apre con la descrizione di una notte chiara dove si avvertono presenze (introduce la novità apportata da Pascoli dei suoni onomatopeici). È una notte che sembra magica, che porta a pensare qualcosa di bello. Il cielo è chiaro e gli alberi sembrano ergersi verso la luna per vedere l'alba. L'atmosfera sembra incantata e resa magica dal rumore del mare e dai misteriosi suoni che provengono dall'erba e dai cespugli. A questo momento estatico, di bellezza e di attesa, subentra l'angoscia che nasce nell'udire un suono che determina un senso di impotenza. Il verso dell'uccello, che si scaglia nella notte, sembra un cattivo presagio. L'ambiente cambia aspetto. La notte porta questa angoscia nell'animo umano, il senso di morte (che è sempre presente nella poesia di Pascoli). La lirica si distacca piano piano dalla dimensione della realtà per arrivare alla dimensione simbolica, della suggestione che ha in quel momento il poeta. Ci sono motivi descrittivo-pittorici e caratteristiche di musicalità nuova dettata dai versi e dai suoni. La lirica si arricchisce di pennellate pittoriche perché la tipologia di descrizione della realtà è consona alla pittura impressionistica. Il poeta sembra cercare qualcosa che apparentemente non si vede, che è oltre la realtà e l'apparenza, approfondendo questi aspetti. Questa poesia venne composta nel 1897 e venne introdotta nella raccolta Myrice, nella sezione “In campagna”. IL GELSOMINO NOTTURNO - Analisi e commento I g elsomini notturni, detti anche “le belle di notte”, aprono i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti. Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni, altrimenti detti “palloni di neve”, perché fiori bianchi di forma sferica.

Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio: solo in una casa ancora si veglia: i rumori sommessi, che ne provengono, non turbano la pace notturna, paiono un bisbiglio di voci. Nel nido i piccoli dormono sotto le ali della madre.

Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che fa pensare all‟odore di fragole rosse. Mentre nella casa palpita ancora la vita e una luce splende nella sala, l‟erba cresce sulle fosse dei morti.

Un‟ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla mente l‟immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare.

Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé. La luce accesa nella casa sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne . E‟ chiara l‟allusione agli sposi che si uniscono nell‟oscurità. Al sopraggiungere dell‟alba si chiudono i petali e il fiore “cova” “nell‟urna molle e segreta” “non so che felicità

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nuova”. Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo della sposa, ora madre. Il poeta, immerso in un‟atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia rassicura quando la vita consueta cessa. L‟ora della vita notturna è anche un‟ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti. Il buio avvolge le cose in un profondo silenzio, cui si contrappone il misterioso agitarsi della vita “là” nella casa: Il bisbiglio desta fascino e curiosità: “è indice di una presenza umana che si accorda con l‟atmosfera di arcani silenzi e di attese inespresse” Nei versi successivi appare l‟immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre. Affiora l‟idea nte del nido come rifigio sicuro, tema caro al poeta. La musicalità dei versi crea un‟eco suggestiva, un‟atmosfera sospesa, incantata, di seduzione, di fascino, di veglia, contrapposta al torpore e al sonno. Nella sinestesia “

l’odore di fragole rosse

”, in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore rosso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell‟attrazione, della tentazione sensuale che si accosta, nei versi successivi, al risplendere della luce nella sala, alla curiosità per la vicenda degli sposi. Ma su tutto si diffonde un senso di mistero per il compenetrarsi inesplicabile di vita e morte: “

nasce l’erba sopra le fosse”.

L‟ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, potrebbe allora tradurre in immagine il senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall‟eros, avverte rispetto alla propria famiglia di origine. Ma subito ricompaiono immagini apparentemente rassicuranti del nido. Le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento analogico come una del tremolio della luce stellare.

chioccetta

La lirica si chiude nuovamente con un ossimoro: “ , che in un‟aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi come una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva All‟intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al mistero della vita che continua a palpitare nel buio.

E’ l’alba

”, il momento del risveglio, e “

si chiudono i petali un poco gualciti

. “

Nell’urna molle e segreta

”, che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude una nuova vita,

si cova “non so che felicità nuova”

. “ E‟ qui il segreto della lirica, nel miracolo notturno della gestazione di una nuova vita. Un altro gelsomino si apre e, come l‟erba silenziosa sopra le fosse, va segretamente dal nulla verso la rinnovata fertilità. In quel dolce silenzio, in quell‟ombra profumata dalla sconosciuta felicità.

passione

del fiore, quando l‟ultimo lume è spento nella casa, forse comincia a germinare, anche nel grembo della madre, un nuovo essere, capace di arrecare una Le nozze dell'amico Emanuele Briganti costituiscono un momento di riflessione per il poeta, per la sua vita che è lontana dall'amore coniugale. Lui desiderava ardentemente costruirsi un suo nucleo familiare ma i suoi timori lo portarono a rinunciare a quel progetto, ciò determinò un continuo e profondo senso di malinconia. In questo poema è molto presente la sua attenta visione alla simbologia naturale e, attraverso questi elementi naturali, lui evoca altre sensazioni utilizzando le figure retoriche, le analogie la fonetica e il suono delle parole e dei versi.

Figure retoriche La Metrica: Sei quartine di novenari. Rime alternate ad eccezione del 23° verso. Nella poesia vi è alternanza tra suoni duri e morbidi. Enjambements: tra i versi 3 e 4, 9 e 10, 13 e 14, 15 e 16, 17 e 18, 21 e 22. Personificazioni: là sola una casa bisbiglia. Un'ape tardiva sussurra Passa il lume su per la scala; Similitudine: come gli occhi sotto le ciglia Metonimia: le farfalle crepuscolari Sinestesie: l'odore di fragole rosse (sensazione visiva "rosse" + sensazione olfattiva "profumo") va col suo pigolio di stelle (sensazione visiva "luce intermittente" + sensazione olfattiva "pigolio pulcini")

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Metafore: Un'ape tardiva sussurra (rappresenta il poeta escluso dall'attività amorosa di quella casa) La Chioccetta per l'aia azzurra dentro l'urna molle e segreta (l'utero appena fecondato) LA MIA SERA - Analisi e commento Anche in questa poesia sono presenti suoni, simbologie e gli aspetti tipici della poesia pascoliana. Il componimento è basato sul momento dell'arrivo della sera, quando il cielo sembra presagire una situazione serena e pacifica. Nel parallelismo di Pascoli il giorno rappresenta la giovinezza dell'autore che è stata funestata da lutti e da dolori. L'età matura subentra alla giovinezza e con essa l'autore raggiunge la serenità, è proprio la serenità che simboleggia la sera. La lirica è composta da cinque strofe formate da novenari ed un senario che termina con la parola sera. È una specie di ritornello; una promessa, una speranza e l'augurio che la sera gli possa portare la pace e la tranquillità che lui ha tanto desiderato. Ne “La mia sera” ci sono diverse figure retoriche che possono essere evidenziate:      tacite stelle, sinestesia che avvicina la sfera sensoriale dell'udito a quella della vista; nella prima strofa troviamo, al suo inizio e alla sua fine, il chiasmo (incrocio tra parole) giorno-stelle; sono presenti onomatopeiche dei suoni; metafore (similitudini senza “ come”); alliterazioni (ripetizioni di alcune lettere) per creare i suoni. Poemetti I “Poemetti” raccolgono numerosi racconti brevi che vennero pubblicati in prima edizione nel 1897 (12 brani) e nel 1900 c on l'aggiunta di altri racconti. Nella veste definitiva furono divisi in due raccolte: i “Primi poemetti” del 1904 e i “Nuovi poemetti” del 1909. ITALY - Analisi e commento Fa parte dei “Primi poemetti”, composto da 450 versi e diviso in due canti. È un componimento ispirato all'emigrazione degli italiani verso l'America, problema molto sentito dall‟autore. In esso si narra la storia di Ghita e Beppe, due fratelli che ritornarono dal loro lungo periodo di emigrazione negli Stati Uniti, in Ohio. Con loro giunge anche la nipotina Maria, detta Molly, ammalata di tubercolosi e che, grazie al buon clima della Garfagnana, riesce a guarire. Nel racconto, Netta, la madre dei due fratelli, rappresenta la diversità della provincialità italiana paragonata ad un paese evoluto come l'America. Molly, americana di nascita, non comprende la lingua italiana e a causa delle differenze con il suo paese progredito non si adatta alla vita italiana di paese. Traspare evidente il senso di disagio della bambina, la quale è portata a pensare che tutta la realtà italiana sia riconducibile all'aspetto di quel paese e a quella casa rurale. La differenza tra il mondo sviluppato e quello contadino è sottolineato anche dalla lingua, la nipotina e la nonna non riescono a comunicare. In questo brano appare palese l'aspetto multilinguistico di Pavese e la sua caratteristica di porre il linguaggio nella sua purezza espressiva per la componente verista che traspare. Il titolo, volutamente dall'autore in inglese, rafforza il suo convincimento favorevole per le colonizzazioni e unioni tra i popoli.

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GABRIELE D'ANNUNZIO Nacque a Pescara, nel 1863, da una famiglia agiata. Il padre, Francesco Rapagnetta, aveva aggiunto al proprio cognome quello di uno zio che l'aveva adottato, D'Annunzio. Gabriele alla nascita venne registrato solo con quello dello zio. Frequentò gli studi elementari privatamente ed in seguito conseguì la licenza liceale presso il Reale Collegio Cicognini di Prato. Dedito agli studi riscosse molte soddisfazioni e già in giovane età scrisse una lettera al poeta Carducci. Raccolse le sue prime poesie in un libro finanziato dal padre, intitolato “Primo vere”. Questa sua prima pubblicazione ottenne numerosi consensi e curiosità poiché il giovane autore attribuì le liriche ad un giovane poeta morto in un incidente a cavallo. Nel 1881 si trasferì a Roma e venne subito accolto nei salotti letterari. Collaborò con giornali e riviste pubblicando articoli di critica letteraria ed artistica. In questo soggiorno, oltre che dedicarsi all'attività letteraria, visse numerose avventure sentimentali e una vita dispendiosa all'insegna del divertimento. Nel 1883 sposò la duchessina Maria Hardouin di Gallese, dalla quale ebbe tre figli. Quattro anni dopo intraprese una relazione durata cinque anni, con Barbara Leoni che gli ispirò i personaggi femminili dei romanzi “Il piacere ” e “Il trionfo della morte”. Nel 1891, a causa dei suoi debiti, si trasferì a Napoli dove conobbe e amò Maria Gravina Cruyllas, da cui nacque la figlia Renata. Da questo soggiorno ebbero origine i romanzi “L‟innocente” e “Il trionfo della morte” e la raccolta poetica “Poema paradisiaco”. Da Napoli ritornò in Abruzzo per qualche anno e da lì si diresse per un lungo viaggio in Grecia. Nel 1897 conobbe l'attrice teatrale Eleonora Duse con la quale visse un'intensa e lunga relazione. Di quel periodo fu anche il suo tentativo di farsi eleggere come deputato nelle liste di destra ma, in contrasto con le leggi liberticide, si schierò con la sinistra. Nel 1898 si trasferì con la Duse nella lussuosa villa “la Capponcina” nei pressi di Firenze e trasformò questa con i dettami del gusto decadente. Di quel periodo fu l'intenso impegno dedicato al teatro, ispirato dalla sua relazione con la Duse che interpretò numerose sue opere, realizzando numerosi drammi in prosa e versi diretti ad un pubblico di massa. Un'intensa produzione poetica, i primi tre libri delle “Laudi”, precedettero di poco la fine del rapporto co n l'attrice a causa della pubblicazione del romanzo “Il fuoco”, in cui si narrava molto dettagliatamente aspetti privati della loro relazione. Altre relazioni con donne di rilievo sociale seguirono negli anni a venire presso la residenza della sua villa. D opo la pubblicazione nel 1910 del romanzo “Forse che sì forse che no”, D'Annunzio si trasferì a Parigi per sfuggire a numerosi creditori e lì rimase fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Nel 1914 collaborò per la realizzazione del film muto “Cabiria” che riscosse un notevole successo anche oltre oceano. Da acceso interventista, nel 1915 intrattenne numerosi discorsi a favore della partecipazione dell'Italia nel conflitto, questi vennero raccolte nel volume “Per la più grande Italia”. Questo suo impegno lo portò alla consacrazione di poeta “vate”, profeta della patria in grado di guidare la nazione verso un glorioso destino nazionalistico ed imperialistico. Con l'entrata in guerra dell'Italia, nonostante la sua età matura, decise di arruolarsi e partecipò a numerose azioni belliche che gli accreditavano meriti e onori. Famosi furono i suoi interventi in azioni belliche quali la “beffa di Buccari” (incursione con motosiluranti nel golfo del Carnaro, sulla costa della Dalmazia) e il “volo su Vienna” (dove per dimostrare il coraggio del popolo italiano fece piovere sulla capitale asburgica una pioggia di volantini propagandistici). Altra importante impresa, a guerra finita, nel 1919, fu l'occupazione della città di Fiume; secondo il pensiero del poet a la vittoria italiana fu una “vittoria mutilata ” per il mancato riconoscimento dei meriti di guerra non ottenuti dalla classe dirigente italiana nei trattati stipulati a fine conflitto. Occupò la città con legionari a lui fedeli per oltre un anno, fino a che il governo italiano non lo costrinse a ritirarsi per non violare i trattati internazionali. L'impresa di Fiume, dai forti connotati populisti e nazionalisti, lo avvicinò al nascente partito fascista. Il suo forte sostenimento al movimento intimorì Mussolini che vedeva in lui un avversario interno alla corrente. Per non coinvolgerlo troppo, senza renderlo pubblicamente un avversario, Mussolini lo emarginò dalla vita politica regalandogli un imponente villa sul Lago di Garda dove il poeta, con la sua compagna Luisa Baccara trascorse gli ultimi anni occupato nel suo allestimento a “casa-museo”. Morì il 1 marzo del 1938 e donò questa dimora al popolo italiano dandole il nome di “Vittoriale degli Italiani”. Le raccolte poetiche Le prime due raccolte di poesie risalgono al periodo adolescenziale:   “Primo vere”, del 1879, pubblicata nel periodo del liceo. Riscosse critiche presso i professori per l'eccessiva libertà dei temi e del linguaggio e per la forte sensualità. La metrica è influenzata da quella “barbara” carducciana e i versi sono densi di entusiasmo giovanile e tratti personali; La raccolta “Canto novo”, nel 1882, è un'opera di realizzazione più matura. In essa la tecnica compositiva tradizionale è affiancata da uno stile nuovo: la natura viene personificata e diviene simbolo di energia vitale con sensualità ed erotismo, non mancano toni intimistico-malinconici. Nel 1896 una seconda edizione venne fortemente rielaborata e pubblicata.

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   Nel 1883 accese critiche accolsero la pubblicazione della raccolta di p temi riguardanti la lussuria e un linguaggio artificioso; oesie “Intermezzo di rime” poiché opera tipicamente decadente densa di scene di distruzione, corruzione ed erotismo. Una seconda edizione del 1894, intitolata “Intermezzo”, venne influenzata dalla poesia simbolista con Le poesie contenute in “Isaotta Guttadauro ed altre poesie”, del 1886, furono opere dense di languore, erotismo e mondanità; Nel 1892 videro compimento le “Elegie romane” (che D'Annunzio aveva iniziato a comporre dal 1887), componimenti classici ispirati al modello del Carducci e dalla storia sentimentale con Barbara Leoni, sullo sfondo di una Roma seducente. Le novelle: La raccolta “Terra vergine” nel 1882 si ispirò alle novelle veriste del Verga, i racconti in essa contenuti trattano istinti vitali ed erotici forti, talvolta bestiali; “Il libro delle vergini” e “San Pantalone”, del 1884 e 1886, non si discostano dalla morbosità di “Terra vergine”. Queste due raccolte verranno riunite nelle “Novelle della Pescara”, del 1902. D'Annunzio si ispira anche alla letteratura russa per l'indagine psicologica dei personaggi. In essi possiamo ritrovare gli stati alterati e patologici di alcune figure di Dostoevskij e Tolstoj. Da questo studio nacquero due opere: “Giovanni Episcopo” e “L'innocente”. “Giovanni Episcopo” narra la sudditanza psicologica del protagonista, un uomo bravo e onesto, nei confronti di Giulio Wanzer, che era divenuto l'amante della moglie. La mitezza del protagonista si trasforma ben presto in un atteggiamento molto poco tollerante nei confronti dell'avversario fino al raggiungimento del degrado totale con il compimento dell'omicidio dello stesso. In questo romanzo ritroviamo le caratteristiche fondamentali dei lavori di Dostoevskij, il carattere buono e mite che a seconda degli eventi e delle offese e umiliazioni ricevute si trasforma in personaggio che trova una forza inusuale per reagire. Nel romanzo protagonisti. “L'innocente” il protagonista è Tullio Hermil, esponente del bel mondo romano che aspira ad essere un buono e puro e che volendo recuperare il rapporto coniugale, si spinge fino all'omicidio. In queste opere troviamo una psicologia contorta che deturpa l'animo dei Per quanto riguarda la composizione poetica, un'altra raccolta che si rifà alla letteratura russa, è il “Poema paradisiaco ” caratterizzato da forme colloquiali che si riconducono ad una narrazione in versi. Nel “Poema paradisiaco ” i temi trattati sono quelli familiari, l'innocenza e la purezza che si discostano con i caratteri erotici e trasgressivi precedentemente trattati dall'autore. Un altro filone trattato da D'Annunzio è quello che riguarda il superuomo di Nietzsche. Il poeta rimane affascinato da questa teoria e colloca idealmente la caratteristica del superuomo per antonomasia al poeta. Per D'Annunzio il poeta è un essere superiore (contrastando l'opinione di Pascoli che colloca il poeta come fanciullo innocente che guarda con i suoi occhi puri i fenomeni del mondo). Il poeta si deve ritenere un essere superiore perché svincolato da ogni regola morale, come ritenevano i Simbolisti, e cultore del bello. Un superuomo con una sua precisa idea politica, aggressiva ed imperialista. Inoltre il superuomo di D'Annunzio si identifica in una classe sociale privilegiata, violenta e raffinata. Seguendo queste idee progetta una serie di romanzi: i  “Romanzi della rosa", i “Romanzi del giglio" e i “Romanzi del melograno". Il concetto del superuomo vedrà nascere anche numerose opere teatrali e un ciclo di sette raccolte poetiche, le "Laudi". Non tutte queste opere vengono però portate a compimento. Il superuomo è incarnato nelle figure di quattro protagonisti: "Il trionfo della morte" narra l'amore folle di Giorgio Aurispa per Ippolita, dove il sentimento torbido morboso condurrà ad un omicidio-suicidio;  “Il piacere” e “L'innocente”, che fanno parte dei “Romanzi della rosa” (la rosa incarna il senso di piacere e voluttuosità), dove ne “Il piacere” il protagonista Andrea Sperelli è un uomo molto sensibile, intellettualmente molto arguto ma privo di carattere e volontà, che non riesce a realizzare la vita che vorrebbe non raggiungendo gli obiettivi prefissati.  Claudio Cantelmo è il protagonista de "Le vergini delle rocce". La sua unione con una nobile donna gli fa sognare di generare un figlio di sangue puro, futuro re di Roma, in grado di far risorgere la potenza latina. In questo romanzo esalta l'ideologia nazionalistica e antidemocratica di una patria per pochi eletti, ideologia che andava ad affermarsi e diffondendo nella società italiana negli anni antecedenti il conflitto mondiale.  Nel romanzo "Il fuoco" è trattata l'esaltazione dell'estetismo e del superomismo del protagonista Stelio Èffrena. Quest'opera fa parte dei “Romanzi del melograno” (frutto simbolo di vitalità e di gioia). È un'opera autobiografica che trae ispirazione dall'amore e passionalità dell'autore verso la compagna Eleonora Duse.

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 "Forse che si forse che no" è l'ultimo romanzo che consacra l'ideologia del superuomo, dove l'aspetto della tecnologia avanzata e l'esaltazione della velocità, della macchina e dell'aereo vedono nel protagonista Paolo Tarsis, un aviatore, un uomo ossessionato dall'amore per le due sorelle Inghirami che ostacolano i suoi sogni di grandezza. D'Annunzio prende spunto e ispirazione dalla produzione artistica del periodo, rimane profondamente influenzato dal decadentismo e dalle varie forme che questo movimento ispira. Incarna la figura dell'eroe decadente poiché raffinato, amante del bello, aristocratico distaccato dalla mediocrità e dalla massa, esaltato dalle esperienze che vive e che vuole vivere. Tutta la sua vita può essere considerata grandiosa. Il prototipo dell'eroe decadente a cui lui si ispira è il protagonista di “A ritroso” di Huysmans, che impersona l'ideale della sensualità e della ricercatezza. La vita intesa come opera d'arte trova fondamento nel suo essere esteta e amante dell'arte, letteratura, poesia e tutto ciò che lo circonda. Tutto si concretizza con un'estenuante ricerca del piacere dei sensi. L'incarnazione letteraria è nel personaggio di Andrea Sperelli, de “Il piacere”. L'aspetto di esteta di Sperelli, tuttavia, si limita sì distinguendosi dalla mediocrità ma confermandosi come un perdente perché lo conduce alla solitudine, con la chiusura nel suo mondo fittizio colmo di menzogne. D'Annunzio, con questa indagine psicologica del protagonista, smaschera la sua fragilità rivelando la trasposizione del suo alter ego. Altro aspetto della sua evoluzione politica è l'ispirazione al modello wagneriano, fondato sulla ricerca del teatro con una perfetta fusione tra parole, musica e danza. Le “Laudi” (del cielo, del mare, della terra e degli eroi - titolo completo) sono la raccolte poetiche della maturità. Inizialmente pensata per essere sviluppata in sette volumi, corrispondenti alla costellazione delle Pleiadi (Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taigete e Selene), il progetto non venne ultimato e vennero completati solo i primi quattro volumi. D'Annunzio si ispirò ad un paesaggio mitologico, come quello dell'antica Grecia, rivisitando il superomismo con la narrazione di eroi e celebrando il progresso tecnologico e il sentimento di nazionalismo che andava affermandosi nel paese. La raccolta trova l'ispirazione del nome nel “Cantico delle creature” di San Francesco e ripropone la contemplazione del creato e della natura. I primi tre vol umi della “Laudi” vennero pubblicati in contemporanea, nel 1903.  Il primo, “Maia” propone il culto degli eroi antichi e include due componimenti che costituiscono la premessa al ciclo delle “Laudi”. Di questi, quello più vasto (8000 versi), “Lode alla vita” celebra il superuomo narrando la gloria di Ulisse nell'antico mondo greco che riscatta l'uomo dal degrado e dalla decadenza.  Nel secondo libro, “Elettra”, vengono osannati dall'autore i grandi della letteratura e della storia come Dante, Garibaldi, Verdi e Vittorio Emanuele III (spazia su differenti periodi temporali e ideologie). In questo volume vengono trattate anche tematiche storiche riguardanti città come Ferrara, Pisa e Ravenna (... liriche delle città del silenzio - antiche regine decadute di cui si rievocano i felici trascorsi).  “Alcyone”, il terzo volume (a detta di tanti critici, il migliore), trovò l'ispirazione dopo una vacanza dell'autore con Eleonora Duse in Versilia. Diviso in cinque sezioni e costituito da 88 liriche viene introdotto dalla poesia “La tregua” e chiuso da un commiato. Le cinque sezioni sono separate da un “ditirambo” (poesia lirica corale della letteratura greca espressa in più voci in onore del culto dionisiaco) che rappresentano il momento di grandezza, di ebbrezza ed entusiasmo in opposizione ad Apollo e preciso riferimento al pensiero di Nietzsche. Queste liriche trovano ambientazione in un periodo preciso dell'anno (prima sezione-giugno, seconda sezione-luglio e così via fino al giungere dall'autunno) divenendo il diario del superuomo. La massima vitalità del poeta è espressa con la stagione estiva dove il pieno processo produttivo corrisponde alla potenzialità massima della natura. Questa simbiosi è esaltata dal sentimento del panismo, con il sentirsi del poeta un tutt'uno con l'ambiente che lo circonda, considerando l'estate come un'entità divina. L'autunno, con la sua malinconia, conclude l'esaltante arco psichico-letterario. Lo stile di D'Annunzio, dal punto di vista formale, è molto raffinato. Usa una rinnovata metrica tradizionale introducendo molti aspetti nuovi come il verso libero di varie misure tipico della poesia moderna del ‟900. La sua poesia può essere definita anche evocativa poiché le parole riportano a momenti, il verso fluisce con una ricercata musicalità grazie anche ai suoni delle parole che conducono il lettore ad elaborare un concetto collegato alla natura (corrispondenza dell'animo del poeta con ciò che ci circonda). “La sera fiesolana”, contenuta nell'“Alcyone” fu composta presso “la Capponcina”, pubblicata nel 1899 nella “Nuova Antologia” e, di seguito, inserita nelle “Laudi”. Il poeta, nella sua intimità, immagina di parlare alla sua

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donna mentre la osserva e, insieme a lei, contempla un dolce paesaggio collinare dopo la pioggia, al tramonto di una sera di giugno. La sera assume delle sembianze umane e viene personificata e rapportata ad un effetto tranquillizzante e rasserenante, portatrice di mistero (riferimento al Pascoli). Ne deriva il senso di bellezza e d'armonia che il poeta trasmette attraverso la fonetica dei versi. Il ritmo delle parole, e l'effetto creato da queste, è evidenziato dall'assenza completa di punteggiatura dei primi versi. Nonostante questa licenza poetica l'autore è stato in grado di rendere fluido il periodo. Le tre strofe lunghe sono intercalate dal “Laudate”, per rivolgersi alla sera come ad una persona, come nell'opera di San Francesco. Le prime due strofe si aprono con gli aggettivi “fresche” e “dolci”, parole riferite anche alla donna amata. Le emozioni dell'autore vengono trasmesse dalle similitudini che descrivono la trasformazione del paesaggio con l'arrivo della sera che preannuncia con il suo torpore l'arrivo dell'estate. La luna ha un effetto positivo sugli uomini perché con il suo sorgere tutto si lenisce e si calma. I versi a seguire sono dominati dalla pioggia, a cui è collegato un sentimento di dolcezza. Il commiato lacrimoso della primavera, che bagna tanti aspetti della natura che assumono sembianze umane (i nuovi germogli di pini come rosee dita). Nella terza strofa la sera è vissuta come qualcosa di misterioso, come le promesse che porta con sé. Il ruolo del poeta è quello di interpretare il mistero che lo circonda, perché essendo immerso nella natura più di ogni altro può comprendere quest'aspetto e lo può esprimere (il potere della parola poetica). La musicalità dei versi e resa anche da questo linguaggio molto raffinato, nello stile utilizzato si ritrovano molte assonanze, ripetersi di suoni e l'uso della figura retorica di non concludere il verso al termine del periodo ma di perseguirlo nel verso successivo. Nelle lodi della sera si possono evincere le sensazioni sensoriali, comprese le olfattive e di tatto, che trasportano il lettore nell'ambiente per goderne gli aspetti. Il considerare la sera come la morte di una situazione temporale la accomuna con il sentimento dell'amore e sminuisce la sensazione di disagio di una conclusione. Da grande cultore riesce a riportare la considerazione sacra dell'ulivo per gli antichi greci con il sentimento di fratellanza verso le piante espresse nelle laude francescane al creato. Oltre le parole assumono notevole importanza le immagini, rivelando un'attenzione impressionistica all'ambiente. IL PIACERE - Analisi e commento “Il verso è tutto” è il primo brano dell'opera in cui il protagonista, Andrea Sperelli, elogia la forza e la capacità del verso. Per D'Annunzio l'arte stessa ha una grande importanza, lui considera la vita come un'opera d'arte e allo stesso modo anche la poesia. L'arte “è tutto e può tutto” è l'enunciazione della poetica del decadentismo quale uno dei concetti più importanti, considerare l'arte come uno dei valori più assoluti. Già nelle prime frasi del brano si può evidenziare il linguaggio utilizzato dal poeta, artificioso, appariscente e ricco di virtuosismo. Sono presenti anche molte figure retoriche che aumentano l'enfasi e la musicalità molto ricercata e raffinata. Se l'arte deve tramandare una buona impressione questo è il compito anche della poesia che, oltre che evocare, deve trasmettere delle belle emozioni con la musicalità, il ritmo e la ricerca delle parole che assumono un'importanza fondamentale.

“Nella imitazione della Natura nessuno strumento d’arte è più vivo, agile, acuto, vario, multiforme, plastico, obbediente, sensibile, fedele. Più compatto del marmo, più malleabile della cera, più sottile d’un fluido, più vibrante d’una corda, più luminoso d’una gemma, più fragrante d’un fiore, più tagliente d’una spada, più flessibile d’un virgulto , più carezzevole d’un murmure, più t erribile d’un tuono, il verso è tutto e può tutto.”.

Con questo lungo elenco di aggettivi il poeta vuole accentuare l‟aspetto de “Il verso è tutto”. LA PIOGGIA NEL PINENTO - Analisi e commento La pioggia nel pineto composta da D'Annunzio nel 1902 e incl usa l'anno seguente nell'“Alcyone” (nel terzo libro delle “Laudi”) è una lode celebrativa della bellezza della natura. Il poeta concentra la sua “attenzione lirica” alle stagioni estivo-autunnali. Il pensiero e il corpo dell'autore sembrano amalgamarsi con l'ambiente fino a sposarsi con esso per vivere e provare le stesse sensazioni. Questo sodalizio di sensi arricchisce l'animo del poeta e la sua percezione del mondo. In questa vacanza, iniziata sulle colline di Fiesole all'inizio dell'estate e conclusa sulle coste versiliane in autunno, l'autore spiega come l'uomo può raggiungere l'essenza della natura abbandonando il limite della dimensione umana. La pioggia nel pineto è il poema più noto e rappresentativo della raccolta; in esso l'autore fa comprendere come l'uomo può entrare in contatto con la natura avviando un processo di naturalizzazione e, di conseguenza, invitando la natura stessa ad un processo di avvicinamento a se. L'autore e la sua compagna si avviano ad un processo empatico che li porta a condividere aspetti segreti e nascosti. D'Annunzio

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contempla i cambiamenti naturali e la sua donna assume i connotati di tutti gli elementi che compongono la natura. La pioggia accarezza i fiori, le piante e i frutti ed essi vengono a rappresentare la donna. L'imperativo “Taci” iniziale indica l'ordine di prepararsi al processo di trasformazione, il passaggio al rito di iniziazione e di comprensione che viene ordinato alla donna (e ai lettori). Questo momento è così profondo che deve essere vissuti in silenzio assoluto. Il poeta invita la donna a “focalizzare” nel silenzio i suoni che abitualmente verrebbero trascurati. Vengono definiti suoni “inusitati” (poco usati-suoni nuovi) della natura, come parole sussurrate da gocce e foglie che arrivano fino al confine del bosco. L'invito ad ascoltare è rivolto dall'autore alla donna più volte; Ermione, figlia di Elena e Menelao della mitologia greca, è il nome che D'Annunzio le attribuisce e il livello culturale ed artistico dell'attrice Eleonora Duse spiega il riferimento referenziale dell'autore. La donna-compagna vivrà un'intensa relazione sentimentale che determinerà uno scambio complice di affetti ed esperienze. Fin dai primi versi della lirica si attiva il processo di trasformazione della coppia. A seguire di un elenco di piante e fiori viene narrata la trasformazione dei volti della coppia che assume connotati di elementi naturali del bosco. La donna viene paragonata e descritta con gli aspetti della natura: “volto come una foglia”, “profumo emanato dei capelli come quello delle ginestre”. Le similitudini della lirica dipingono la donna come una pianta verdeggiante che nasce dalla corteggia di un tronco come una ninfa, il cuore di essa vive una nuova vita e ricorda il frutto della pesca, gli occhi ridenti si trasformano anch'essi per sposare la nuova dimensione. L'autore descrive accuratamente il temporale estivo e grazie all'uso di onomatopee e di un linguaggio accurato e attento lo rende pregevolmente musicale. Non si limita a narrare musicalmente il suono della pioggia ma, con l'adozione di stile panistico, si avvicina con un contatto estremo alla natura riuscendo a far comprendere al lettore il collegamento panistico-metaforico dell'uomo e della donna. L'espressione massima di quest'aspetto è raggiunto quando l'autore descrive il raggiungimento del contatto del suo spirito con la natura. Un altro aspetto che analizza il poema è l'amore ma questo viene sempre descritto sotto l'aspetto di contatto con la natura. La pioggia non ringiovanisce solo le piante ma anche i sentimenti degli amanti che sono ora consapevoli di aver vissuto e continuare a vivere una bella storia, paragonabile ad una favola. Il poeta applica una grande tecnica di studio della lirica con la frantumazione e brevità dei versi, con le ripetizioni che creano un grande affetto musicale. Con l'imitazione dei suoni della pioggia si crea una melodia che viene arricchita da un nuovo lessico. Questa tecnica che arricchisce i poemi viene utilizzata da D'Annunzio avendola appresa dai simbolisti francesi. Figure retoriche:  allitterazioni, il poema è ricco di allitterazioni e suoni fonici;  onomatopee, “Fresche le mie parole, ti sien come il fruscio che fan le foglie” (imitazione del suono delle foglie);  metafore, “soglie,cerule”, “beva la sperata pace”, “grandi e umidi occhi ove si tace/l'acqua del ciel”;     similitudini, “come il fruscio”, “come la pioggia”, …; personificazioni, “Luna”, “o Sera”, “pini vari novelli rosei diti”, “fratelli olivi”, …; anafore, “ti sien come…”, “Laudata sii…/o Sera”; enja mbements, “foglie/del gelso”, “soglie/cerule”, “si tace l‟acqua del cielo”, “fonti eterne”, “novelle, consolatrice”. avt

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