assenti per sempre-rassegna stampa

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RASSEGNA STAMPA
Assenti per sempre
Buio totale sul palco del Teatro dei Filodrammatici. Un po’ decentrato un secchio di latta
ed un sacchetto di patate. Poi una luce, un ragazzo e il rumore di una radio.È in scena
“Assenti per sempre”, la ricostruzione degli avvenimenti accaduti in Argentina tra il 1976
e il 1983, ad opera del Processo di Riorganizzazione Nazionale, ovvero la dittatura militare instauratasi a seguito del colpo di stato del 24 marzo 1976 ai danni di Isabelita de
Perón. La rappresentazione, interpretata da Umberto Terruso e inscenata oltre che dallo
stesso Terruso anche da Andrea Lapi, ripercorre tutti i drammi di quei terribili anni: il potere militare, il terrorismo, i desaparecidos, la tratta dei neonati, ma anche l’innocenza e
la brutalità, la tortura, la fede cattolica, i voli della morte, e la passione per il calcio con
la vittoria della Coppa del Mondo nel 1978 ad opera della Nazionale Argentina. Come
illustrato sulle note di regia la messa in scena risulta semplice con la precisa intenzione
di far risaltare in modo particolare i contenuti del testo. Terruso, inoltre, sul palco si
sdoppia in due personaggi, alternando la figura di uno dei tanti desaparecidos a quella
di un ufficiale militare. Una specie di contraddittorio tra le parti in cui vengono esposti i
diversissimi punti di vista e le ragioni dei due personaggi. Da una parte l’innocenza, l’incomprensione e il dolore, dall’altra una cieca obbedienza ai vertici, la folle convinzione
di combattere una guerra civile dalla parte giusta, ed una superba freddezza nello svolgere il proprio lavoro, “solo un mestiere come tanti altri”. Ed ecco che all’equilibrio delle
iniziali motivazioni finisce poi per sgretolarsi, per spezzare l’ago della bilancia nella sola
ovvia direzione che la storia ci ha consegnato, ovvero quella della triste realtà dei desaparecidos e delle loro famiglie, vittime sacrificali di una dittatura sanguinaria. Molto buona la performance di Terruso in grado di passare agevolmente da un personaggio all’altro immedesimandovi. Decisamente positiva l’interpretazione del testo, quest’ultimo frutto di una ricerca accurata e minuziosa, rappresentato analiticamente e senza fronzoli, in
maniera essenziale e piacevole pur trattando argomenti delicati, riuscendo inoltre ad
esser culturalmente elevato e ricco di dettagli seppur breve. Infine risulta piacevolissima
anche l’idea dei numerosi intermezzi radiofonici, utili a creare la necessaria giusta atmosfera.
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Donato Panico
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Un solo attore sul palco – Umberto Terruso – e pochi elementi per creare la scena: una
radio, un bidone, una camicia, un paio d’occhiali e un sacco di patate. Questo è tutto il
necessario per uno spettacolo così duro e potente che ti arriva dritto al cuore, senza
scampo. Scena vuota, nera: il nero non può che richiamare il buio della paura – di non
sapere edel nulla. È disarmante la sincerità con la quale sono raccontati gli anni del terrore: la tratta dei neonati, la storia dei desaparecidos e le torture subite da migliaia di
oppositori al regime. Il testo è scritto dallo stesso Umberto Terruso, che ci racconta di
essere venuto a conoscenza di quegli avvenimenti leggendo Le irregolari di Massimo
Carlotto. «Sono stato fisicamente e psicologicamente fulminato da quel libro. Ho scoperto di non sapere niente di quella tragedia e così ho iniziato a informarmi, a raccogliere materiale e testimonianze, a leggere libri. Con tutto il materiale raccolto ho quindi iniziato a scrivere. Volevo raccontare tutto nei minimi dettagli: dando un nome ai responsabili delle torture». Per questo, ha deciso di partire per Buenos Aires dove ha visitato
l’Esma – il più grande e meglio organizzato campo di detenzione dell’Argentina – una
sorta di museo della memoria. In particolare il testo mette in scena due punti di vista:
quello di un giovane desaparecido e quello di un militare altrettanto giovane, colui che
decide e ordina le torture contro l’oppositore politico. È doveroso notare che il testo è
ricco di immagini che arrivano dirette al pubblico, non c’è bisogno d’altro per rimanere
impressionati. Un gioco di luci molto intenso – scelto dal regista Andrea Lapi – sottolinea ogni singola parola del monologo e non lascia spazio a dubbi e a sentimenti soft.
Lo spettacolo finisce come è iniziato, come un cerchio che si chiude: si ascolta la telecronaca di una partita di calcio, anzi della partita di calcio che proclamerà l’Argentina la
squadra più forte al mondo. Pièce che tocca in profondità l’animo umano, penetra e
sconvolge, facendo riflettere sul tema della violenza e, al contrario, sul valore della vita.
Alla fine si è costretti perfino a ragionare sul concetto stesso di libertà. Consigliabile per
tutti coloro che vogliono sentire, respirare e vivere un pezzo di storia.
Serena Zunino (persinscena.it)
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Buio totale sul palco della Sala Magma di Catania. Buio che profuma di paura, di smarrimento, di dolore, di rassegnazione. Inizia così “Assenti per sempre”, pièce di Umberto
Terruso, che in circa 50’, appassiona, inquieta, induce alla riflessione. Su una scena desolatamente vuota, così come la vicenda cruda ed arida narrata dall’unico interprete
(l’emozionato, coinvolgente e comunicativo Umberto Terruso) spiccano solo una radio,
un bidone, una camicia, un paio d’occhiali e un sacco di patate. Con la scorrevole regia
di Andrea Lapi, viene fuori una storia dai contorni agghiaccianti, ricostruita attraverso la
vita e le vicende parallele di due giovani: un desaparecido ed un militare. Le due vite, i
due drammi, le personalità opposte, la tragedia vissuta dal popolo in quegli anni, viene
ricostruita in toto dall’interprete Umberto Terruso e da Andrea Lapi, che propongono un
lavoro quasi fotografico, dall’impatto immediato, mai lento, che proietta lo spettatore nei
tragici fatti avvenuti in Argentina tra il 1976 e il 1983, ad opera del Processo di Riorganizzazione Nazionale, ossia la dittatura militare instauratasi a seguito del colpo di stato
del 24 marzo 1976 ai danni di Isabelita de Perón. Il lavoro, scritto e maturato dopo la
lettura di “Le irregolari” di Massimo Carlotto, che ricordiamo ha vinto nel 2009 – meritatamente – la borsa di lavoro Alfonso Marietti indetta dall'Accademia dei Filodrammatici
di Milano, attraverso l’interpretazione di Umberto Terruso, racconta le vite della vittima e
del carnefice, due giovani che narrano le loro debolezze, le loro abitudini, i loro amori
durante la dittatura argentina negli anni Settanta. Attraverso la voce, la gestualità di
Umberto Terruso che sulla scena cura ogni minimo particolare, col supporto di un gioco
luci molto intenso, del buio, dei commenti calcistici radiofonici, di rumori metallici, si assiste ad un monologo a due voci di grande effetto e che evidenzia anche gli aspetti più
crudi di un olocausto forse, troppo presto, dimenticato o da molti di noi ignorato o poco
conosciuto. La pièce ripercorre i drammi di quei terribili anni: il potere militare ed il terrorismo, i desaparecidos e a tratta dei neonati, ma anche la brutalità della tortura, la fede
cattolica, i voli della morte. Tutto intriso dei commenti calcistici sull’astro del momento,
Mario Kempes e della passione per il calcio e per la Nazionale Argentina. Intensa, vibrante, vissuta a 360 gradi, l’interpretazione di Umberto Terruso che rende vivi i due
personaggi: il giovane militare e carnefice Puma, che deve fare il lavoro sporco, che deve torturare e l’innocente vittima che ballava il tango e la vita e che invece muore, tra le
torture, proprio quando nel 1978 l’Argentina si laurea campione del Mondo battendo la
Francia. Il testo, che si avvale dell’ottima regia di Andrea Lapi, esalta nei due personaggi l’innocenza, l’incomprensione e il dolore, oltre che la cieca obbedienza ai vertici, al
grande capo Tigre, la folle convinzione di combattere una guerra civile dalla parte giusta
ed una freddezza nello svolgere il proprio lavoro, “solo un mestiere
come tanti altri”. Ottimo lavoro di ricerca, assemblato con intelligenza da Andrea Lapi ed
Umberto Terruso ed interpretato con grande pathos. Spettacolo molto apprezzato ed
applaudito dal pubblico in sala che colpisce dritto al cuore e che ti porta a ripensare ai
concetti di libertà e dittatura, facendoti respirare anche un pezzo di tragica, folle, storia
dell’umanità.
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Maurizio Giordano (dramma.it)