ISSN 2035 – 5033 Trimestrale di Architettura a cura dei Dottori di

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Transcript ISSN 2035 – 5033 Trimestrale di Architettura a cura dei Dottori di

ISSN 2035 – 5033
BLOOM
Trimestrale di Architettura
a cura dei Dottori di Ricerca in Composizione Architettonica dell’Università degli Studi di Napoli
OTTOBRE/NOVEMBRE/DICEMBRE 2015
27
BUON 2016
COMMIATO CON UN NUOVO INIZIO
Alberto Cuomo
Con la fine dei corsi di Dottorato monodisciplinari, sostituiti da generiche e generaliste
Scuole di Dottorato di Architettura, BLOOM non può più reggersi sul lavoro editoriale
dei dottorandi, presi oltretutto dal seguire oziosi corsi, cattivi doppioni di quelli universitari. Sono stato per oltre venti anni coordinatore del Dottorato in Composizione Architettonica dell’Università di Napoli e, prima del mio incarico, agli allievi, già laureati, si chiedeva una tesi progettuale, nell’inutile ripetizione dell’esperienza del corso di
laurea. Da coordinatore, compresi che bisognava rendere più produttivi i tre lunghi anni che i giovani avrebbero dovuto trascorrere all’interno del Dottorato, richiedendo, invece che frequenze a corsi o repliche di esperienze trascorse, tesi di ricerca rivolte alla
pubblicazione e, pertanto, un impegno di studio su temi teorici. Ritenni cioè che i protagonisti del Dottorato dovessero essere loro, i giovani che si avvicinavano alla ricerca,
piuttosto che il collegio docente, pure formato, come era opportuno (e sarebbe opportuno) da docenti di cattedra. A questi doveva essere offerto solo il compito tutoriale
che, se si segue il senso del termine “tutor”, doveva consistere nell’offrire un sostegno
all’attività di ricerca svolta, senza imporsi alla libera aspirazione dei giovani di affrontare un tema di loro interesse seguendo proprie ipotesi interpretative. Del resto il carattere primo della ricerca è la libertà e ritenevo che il Dottorato che coordinavo dovesse
essere innanzi tutto una palestra per il libero esercizio dell’intelligenza, della curiosità
verso le varie interpretazioni dell’architettura e del progetto, nella loro comprensione e,
altresì, in posizione critica verso di esse e verso sé, circa il possibile transfert nei confronti dell’oggetto di studio, alimentata attraverso l’incontro con i docenti.
BLOOM ha avuto lo stesso carattere: dare spazio alle diverse riflessioni sul progetto di
architettura senza assumere privilegiate sue interpretazioni che dettassero una precisata
linea editoriale. Si è reputato, cioè, fosse il confronto, anche tra pensieri del tutto diversi e persino opposti, ad offrire maggiori consapevolezze al lavoro dell’architetto.
L’attività editoriale, cui si è dedicata la redazione, è quindi consistita nell’assicurare
uno standard, quantitativo e qualitativo, ai testi, ma non nello scegliere particolari visioni del progetto. Con il venir meno del Dottorato in Composizione Architettonica
questo lavoro non può essere più svolto, e, tuttavia, alcuni membri della redazione
hanno manifestato il desiderio e la volontà di far proseguire la rivista. Di qui la necessaria interruzione, costituita da questo numero, e il nuovo inizio di BLOOM, nel 2016,
in una nuova veste, in un formato cioè più facilmente scaricabile, e con la cadenza
quadrimestrale, meglio attuabile. BLOOM, naturalmente, continuerà ad essere aperta ai
giovani ricercatori, non solo napoletani, supportati dai docenti del Comitato Scientifico
che, gentilmente, si prestano ad offrire il loro supporto.
A voi tutti, cari lettori, auguri di buon anno.
Valerio Paolo Mosco
L’Ultima Cattedrale
Sagep Editore, Genova 2015
Giuseppe Terragni muore per un ictus
nel luglio del 1943 accasciandosi sul
pianerottolo delle scale della fidanzata, lasciate a casa porte e finestre
aperte e un pentolino sul fuoco acceso. Era stato rimpatriato dal fronte di
guerra russo nel gennaio dello stesso
anno, e sottoposto per tre volte a elettroshock. Questa è la storia del suo
ultimo progetto. In essa la rovina della guerra, ma anche la modernità come volontà di pace
Tommaso Ariemma
Anatomia della bellezza
Aracne edizioni, Roma 2015
Cosa ci rivela la diffusa pratica del
selfie? L’arte contemporanea ha davvero preso le distanze dalla bellezza?
Perché amiamo così tanto le storie?
La nostra società è davvero una società dello spettacolo? Il presente studio
affronta i pregiudizi che ormai permeano la visione dell’arte, della società e del rapporto con sé. Analizzando costumi, stili di vita e serie tv
di qualità, l’autore vuole fornire risposte a domande cruciali, per comprendere meglio il nostro tempo e il
nostro rapporto con la bellezza e la
sua molteplicità, una teoria generale
del bello che attraversa la storia
dell’arte, della moda, della cosmetica
e le teorie dei media e della narrazione. La tesi di Anatomia della bellezza
è che l’esperienza contemporanea del
bello si svolga su almeno quattro
fronti: quello eccessivo proprio della
lotta per la visibilità e per l’aspetto
corporeo;
quello
in
difetto
nell’esperienza dell’arte contemporanea; quello interno all’esperienza del
racconto; e infine quello per errore
nelle nuove narrazioni mediali.
mercantili che un autentico ethos rivolto alla libertà creativa. È la mappa
di queste possibilità che, indagando
anche sui moventi filosofici delle
nuove esperienze del progetto, questo
testo tenta di tracciare
Alberto Cuomo
La fine (senza fine) dell’architettura
Deleyva Edizioni, Cerveteri 2015
La sentenza hegeliana della morte
dell’arte rilevava come già nelle chiese gotiche, immerse nell’interiore e
nel traforo delle decorazioni in cui
“sparire”, l’architettura, non più depositaria di una arché fondativa, si
facesse mera techné, luogo di singolari affezioni. Il progetto moderno ha
tentato di ricostruire all’abitare i lineamenti di un principio attraverso
l’idea di un progresso rivolto a un
armonizzato mondo finale. Il fallimento del suo tentativo di ricostruire
“la casa di Adamo in Paradiso” è stato rilevato da Manfredo Tafuri, il quale ha letto nel residuale “piacere” dei
testi architettonici, un piacere privato
che, in “momenti di estatica solitudine”,
illudendo
di
recuperare
un’esperienza del tempo interiore non
coglie la propria estraneazione dalla
realtà. Sarà Rem Koolhaas, caricaturizzando il “tragico” dell'analisi tafuriana, verificata la “fine della guerra”,
a condurre quel piacere al mercato,
mentre, proprio perché necessitata a
misurarsi con il carattere “favolistico”
del nostro mondo, l’architettura, interrogandosi sui poteri che muovono
le sue definizioni, potrebbe partecipare piuttosto alla liberazione del desiderio. Per Tafuri la consapevolezza
della fine degli eroismi si manifestava
in opere dalla “inattuale purezza”. Ma
le formalizzazioni computerizzate
hanno tracciato un nuovo fronte tra
l’aspirazione alla libertà dei sensi e
quella di rendere il piacere strumento
di potere, obbligando l’architettura a
sporcarsi nel conflitto. Nella nuova
architettura si muove così sia il rischio di allestire schermi ai poteri
Peter Sloterdijk
Critica della ragion cinica
R. Cortina editore, Milano 2013
“Cinismo” è oggi sinonimo di insensibilità, di un'amara disponibilità a
farsi complice di qualsiasi cosa a qualunque prezzo. Ben altra natura possedeva il cinismo degli antichi, o
quello che Nietzsche chiamava cynismus, una forma estrema di autodifesa che opponeva alla minaccia dell'insensatezza sociale un nucleo irriducibile di sopravvivenza, la sfrontatezza
vitale di una filosofia vissuta. Se il
cynicus Diogene viveva in una botte,
il “cinico” moderno aspira invece al
potere e al successo. “Critica della
ragion cinica” parte da questa contrapposizione per rileggere l'intera
storia della filosofia, sottoponendo a
una serrata analisi il rapporto tra intellettuali e apparati di potere e il relativo strascico di sangue e ideologie.
Dalle esilaranti frecciate di Diogene
contro Platone alla rivisitazione del
Grande Inquisitore dostoevskijano, da
Nietzsche e Heidegger alle drammatiche parabole della repubblica di
Weimar e della rivoluzione russa,
Sloterdijk mette a nudo i rischi estremi della falsa coscienza. Sostenuto da
una inesauribile e travolgente forza
satirica, intreccia provocatoriamente
storia del pensiero e costumi sessuali,
moda, arte, ideologia e mass media. E
dopo aver tracciato una lucida diagnosi della catastrofe politico-morale
del nostro tempo, ci indica una possibile terapia, attraverso il coraggio sereno e consapevole di un nuovo cynismus. Quest'opera è stata accolta da
Jürgen Habermas come un “capolavoro di letteratura filosofica”.