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FORUM DI RIFLESSIONE E CONOSCENZA
SUL CORRETTO USO E ALLOCAZIONE DELLE RISORSE
IN ONCOLOGIA IN CAMPANIA
norme regolamentarie. Il medico prescrittore, qualora
non ritenga di poter utilizzare sui pazienti naïve il farmaco biosimilare, può prescrivere un originator e contestualmente motivare tale scelta. Queste, in sintesi, le
riflessioni emerse dal forum svoltosi a Napoli che ha
offerto l’opportunità di definire e commentare, in un
confronto costruttivo tra oncologi e rappresentanti del
mondo politico-sanitario, la composita realtà campana, anche nella prospettiva della sua rappresentazione
nell’altrettanto variegato scenario nazionale.
SEDE:
Napoli, 5 Dicembre 2013
PARTECIPANTI:
Grazia Arpino, Francesco Fiorentino, Piera Maiolino, Alfredo Marinelli, Floriana Morgillo, Luigi
Riccio
MODERATORI:
Eleonora Benfatto e Federico Mereta
Non solo una questione di risparmio
In ambito sanitario il provvedimento di revisione della
spesa pubblica approvato dal Parlamento ha imposto
un processo che ha messo in discussione non soltanto
l’impiego dei farmaci ma l’approccio clinico nella sua
globalità. Una logica, questa, pienamente condivisibile
anche in ambito oncologico, in cui l’individuazione e
l’attuazione di strategie di risparmio presuppongono
una valutazione critica dell’intero percorso diagnostico-terapeutico, senza trascurare opportunità e vantaggi di campagne e programmi mirati alla diagnosi
precoce. In ambito onco-ematologico l’esperienza con
i biosimilari è stata avviata in Campania nell’ottica di
un contenimento della spesa farmaceutica, in particolare per i fattori di crescita per la serie bianca e rossa
nel trattamento di pazienti naïve, tra cui filgrastim.
Nei centri campani è tuttora in corso una raccolta sistematica di dati di efficacia con l’impiego di questi
farmaci secondo le indicazioni regionali e non si registrano criticità particolari. Va tuttavia osservato che
gli oncologi, e più ancora gli ematologi, spesso non
aderiscono facilmente a queste sollecitazioni: a tale
riguardo va infatti precisato che, se hanno indubbiamente svincolato risorse, i biosimilari non vantano
ancora una cultura e una conoscenza sufficientemente
MEDICAL WRITER:
Piercarlo Salari
I farmaci biosimilari, se impiegati nel rispetto delle
indicazioni autorizzate, rappresentano un’opportunità
di razionalizzazione delle risorse in virtù della loro
maggiore convenienza economica rispetto ai rispettivi
farmaci originator. Tale spunto programmatico è stato
recepito e trova pieno riscontro nel decreto 27/2013
pubblicato dalla Regione Campania che, oltre a incentivare il ricorso ai biosimilari, si estrinseca anche in
due importanti considerazioni: da un lato, infatti, sottolinea come i dati finora raccolti dalla rete nazionale
di farmacovigilanza non abbiano documentato alcun
aumento di incidenza di reazioni avverse rispetto agli
originatori né tantomeno evidenze di inefficacia terapeutica; dall’altro il decreto, nato con la finalità di contenimento della spesa pubblica, salvaguarda in ogni
caso il diritto dei pazienti a proseguire il trattamento
con l’originator con cui avevano iniziato la terapia e
circoscrive l’impiego dei biosimilari soltanto ai pazienti naïve, cioè non trattati in precedenza. Fermo restando che il principio autoritativo, nell’adottamento del
comportamento prescrittivo che possiede il medico, è
incardinato nel riconoscimento della gerarchia delle
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ITALIAN HEALTH POLICY BRIEF
forti e radicate nei loro potenziali prescrittori, il cui orientamento è spesso
guidato dai risultati di studi clinici di
efficacia e tossicità rigorosi e su popolazioni di pazienti di numerosità tale
da fornire sufficienti rassicurazioni
conclusive. La quasi totalità dei biosimilari è priva di questo background
sperimentale e nel caso di alcuni anticorpi monoclonali, quando non sufficientemente purificati, possono dare
luogo a reazioni allergiche: si può
pertanto affermare che da un lato vi è
scetticismo nei confronti dei biosimilari per lo più alimentato dalla mancanza di dati, dall’altro il clinico può sulla
base del principio di appropriatezza
terapeutica decidere di utilizzare un
farmaco diverso che non ha un biosimilare.
L’impiego dei biosimilari tra barriere culturali e necessità di evidenze
Com’è noto, il concetto di biosimilare
non si sovrappone a quello di farmaco equivalente e in Campania, regione
in piano di rientro, sin dal 2009, l’introduzione di una serie di normative
ha cercato di ottimizzare le risorse
e di sensibilizzare i medici nei confronti delle potenzialità di risparmio
derivanti dai farmaci generici e dai
biosimilari, aiutandoli a fugare o ridimensionare dubbi e titubanze. Questo
approccio ha apportato uno stimolo
importante alla conoscenza e all’acquisizione di nuove informazioni sui
biosimilari, promuovendo tra il 2010
e il 2011 significative iniziative regionali nel campo della farmacovigilanza
attraverso la realizzazione di studi di
fase IV mirati a verificare la sicurezza
di questi farmaci e a definirne l’efficacia in rapporto a tipologie differenti
di paziente. Queste iniziative di studio
e al tempo stesso di regolamentazione
hanno portato oggi la Campania a una
percentuale di utilizzo dei biosimilari prossima a quella dei pazienti che
si affacciano al primo trattamento, e
dunque proprio all’obiettivo più funzionale a conseguire la massima efficienza di impiego di questi farmaci.
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Il nostro sistema di farmacovigilanza si
basa essenzialmente sulla segnalazione spontanea di eventi avversi a seguito dell’assunzione di farmaci da parte
del medico, del farmacista e degli operatori sanitari: un contributo politico e
culturale importante potrebbe scaturire dall’attenzione prestata dal clinico
in occasione dell’utilizzo del biosimilare e del follow-up e dall’opportuna
comunicazione alla Rete Nazionale di
Farmacologia dell’AIFA, attraverso i
responsabili aziendali di riferimento
di tutte le informazioni non solo sul
tipo di prodotto somministrato ma
anche sulle caratteristiche del singolo
paziente, al fine di elaborare un profilo di sicurezza il più possibile ampio
e dettagliato. Allo stesso tempo è opportuno fare in modo che il sistema
di valutazione dell’effetto del farmaco
si inserisca in un contesto non solo
nazionale ma anche europeo, al fine
di favorire la conoscenza dei possibili
eventi non attesi e definire indicazioni
terapeutiche e selezioni di target più
specifici.
Il processo prescrittivo e la libertà
del medico
Una considerazione importante riguarda poi la separazione della sfera
decisionale del singolo medico dai
“comportamenti di sistema”.
Il medico, infatti, deve operare secondo i criteri dell’appropriatezza prescrittiva, attenendosi cioè alle schede
tecniche che tracciano il profilo di
registrazione del farmaco. Il sistema,
invece, coinvolge altri stakeholder,
quali per esempio istituzioni, come
le regioni, e i controlli di spesa, che
possono avere diversi obiettivi. L’atto
medico, se inteso come strategia centrata prioritariamente su un obiettivo
clinico non consente, del resto, di
differenziare il prodotto utilizzato dal
risultato e si configura in una scelta
prescrittiva del tutto svincolata dalla
realtà clinica del singolo paziente, ma
incentrata unicamente su un criterio o
su un parametro oggettivo.
Se invece l’atto medico viene considerato in una prospettiva di finalità più
ampia, che contempla per esempio
l’outcome clinico e il miglioramento
della performance e della qualità di
vita dell’individuo, il singolo prescrittore viene sempre più responsabilizzato nell’impegno della spesa che
genera per lo Stato nella distribuzione
di un bene e di un servizio. A corollario di questa riflessione si potrebbe
anche aprire un ulteriore dibattito
sui determinanti del costo di un farmaco, spesso definito non in termini
di costruzione di mercato ma in base
al suo posizionamento sociale. A prescindere, però, da questi aspetti, è
fondamentale che l’oncologo medico,
già di per sé connotato da un profilo
burocratizzato, possa disporre di un
meccanismo agile di diffusione e condivisione delle informazioni sui biosimilari, in modo da favorire una politica che si potrebbe definire di ritorno e
non di rimbalzo: è questa la premessa
irrinunciabile per evitare costrizioni
normative e promuovere al contrario
la creazione di un corpo di solide evidenze autorevoli e condivise in grado
di offrire supporto nella prescrizione.
Va altresì sottolineato che in quest’ultima il medico mantiene un ruolo preminente e che la normativa nazionale,
a differenza dei farmaci generici, non
prevede la sostituibilità automatica nel
caso di farmaci biotecnologici.
Tutti i decreti regionali, per garantire
la massima efficienza delle prestazioni
e ricavare risorse dai biosimilari, salvaguardano infatti la libertà prescrittiva del medico il quale, qualora ravvisasse la necessità e documentando
la ragione, è autorizzato a ricorrere
all’originator (prodotto di riferimento
dei biosimilari) oppure ad altro farmaco branded (con diverso profilo clinico) anche per il primo trattamento.
A questo si aggiunge poi il processo
evolutivo delle esperienze cliniche a
cui si correlano modificazioni e adeguamenti degli schemi di trattamento. Nel caso dei fattori di crescita dei
globuli bianchi, ad esempio, dalla sola
finalità di ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia (neutropenia
febbrile) si è passati a porre in primo
ANNO IV - SPECIALE 2014
piano l’utilizzo ottimale della chemioterapia. Ciò è suggestivo di come l’attenzione clinica si sia progressivamente spostata verso obiettivi terapeutici e
outcome di più ampio e lungo respiro.
Il medico oggi è regolamentato grazie al sistema AIFA, che gli impone
l’assunzione di responsabilità civile e
penale e l’informazione del cittadino
circa la raccolta di dati sensibili nei
suoi confronti: questo sistema fornisce
informazioni che consentono di generare sistemi di inquadramento dei
fenomeni, di notevole utilità sia per
le istituzioni che sostengono la spesa
farmaceutica sia per lo stesso prescrittore, e deve essere perciò ulteriormente implementato. La regolamentazione
di alcuni processi della prescrizione,
però, è bene ribadirlo, è solo al fine
di prevenire fenomeni verificatisi nel
campo dei generici (per esempio statine, inibitori di pompa), e non di limitare il comportamento prescrittivo
del singolo medico. Spesso manca un
feedback ai prescrittori dell’impatto
della spesa farmaceutica, di cui è bene
invece abbiano contezza per poter governare al meglio la richiesta di salute:
a questo riguardo il registro AIFA è
un forte strumento di farmacovigilanza (post-marketing), a cui, oltre agli
eventuali effetti indesiderati, dovrebbero essere segnalati anche elementi
relativi a una mancata efficacia dei
farmaci, essendo prevista tra gli eventi
possibili a seguito di somministrazione
di farmaci anche la reazione avversa
di “Tipo F – failure”.
Libertà e responsabilità prescrittiva
del medico sono quindi due premesse
fondamentali e l’istituzione di un registro, oltre ad esserne formale garanzia,
si propone anche come un descrittore
di sistema, e cioè uno strumento di tutela per tutti gli attori del servizio sanitario anche in considerazione del fatto
che le indicazioni registrative dei farmaci, riportate in scheda tecnica, molte volte sono poco chiare e più ampie
rispetto a quelle estrapolate e dedotte
dagli studi clinici, che sono condotti, per necessità di procedura scientifica, su individui numericamente
La spesa farmaceutica campana alla luce degli orientamenti
pionieristici sulle indicazioni dalla spending review
Nel 2012, come riportato dal rapporto Osmed, i farmaci a brevetto scaduto
rappresentano ormai circa il 38,4% della spesa farmaceutica convenzionata,
in crescita del 6,4% rispetto al 2011, e il 55,3% delle dosi giornaliere totali,
in crescita rispetto al 2011 del +10,2%. La percentuale di spesa per i farmaci
equivalenti, esclusi quelli che hanno goduto di una copertura brevettuale, è
stata pari al 25,2% del totale dei farmaci a brevetto scaduto e i primi venti
principi attivi a brevetto scaduto rappresentano circa il 50% delle dosi giornaliere. Secondo Assogenerici, in Italia la quota dei medicinali equivalenti puri a
fine 2012 toccava il 16% dei farmaci dispensati a carico del Servizio Sanitario
Nazionale, ma rappresentava una spesa di poco superiore all’8% del totale.
Questa percentuale potrà registrare un ulteriore incremento se verrà seguito
l’esempio della Campania, che mette in campo queste misure per perseguire gli obiettivi di equilibrio dei conti previsti dal piano di rientro (giudicato
positivamente all’ultima verifica del Tavolo per la verifica degli adempimenti
regionali e del Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di
assistenza). Benché nel 2011 siano stati risparmiati 64 milioni e 718 mila
euro (pari a un calo della spesa del 6,6%) e le strutture pubbliche regionali,
sempre secondo il rapporto Osmed, siano tra quelle che hanno registrato il
maggior decremento nei consumi dei medicinali (-38,7%), la spesa farmaceutica convenzionata pro capite in Campania è di 165,3 euro e si colloca tuttavia
ancora tra le prime tre Regioni a più elevata spesa dopo Sicilia e Sardegna
(rispettivamente 180,5 e 170,6 euro pro capite). Il percorso di contenimento
della spesa è strutturato in tre fasi: riduzione entro fine anno di almeno un
terzo della differenza tra i consumi di generici attuali e quelli indicati negli
obiettivi; riduzione nel 2014 di altri due terzi e completamento nel 2015
dell’allineamento alle performance delle regioni più virtuose.
ristretti e selezionati e non rappresentativi dell’effettiva popolazione a cui i
farmaci possono essere tecnicamente
e normativamente prescritti.
Il decreto sull’uso dei biosimilari
Per quanto riguarda i biosimilari,
l’obiettivo dei direttori generali delle
aziende sanitarie campane, sancito
dal decreto firmato nel mese di marzo 2013 dal governatore della Regione, è rappresentato da un tasso di
utilizzo “pari almeno all’incidenza dei
pazienti naïve sul totale dei pazienti
dell’Azienda sanitaria stessa’’. Nel testo si precisa che il farmaco biosimilare “rappresenta un’opportunità di
impiego razionale delle risorse, nelle
indicazioni autorizzate, a ragione della
loro maggiore convenienza economica
rispetto al farmaco originator”, e che,
pur dovendo procedere con cautela
alla sostituzione tra originator e biosimilare, “per i pazienti di nuova diagnosi o naïve, invece, non vi sono motivi
per consigliare cautela nell’utilizzo dei
biosimilari, che rappresentano, pertanto, un’ulteriore opzione terapeutica”,
fermo restando la facoltà prescrittiva
del medico e la possibilità di utilizzare un farmaco non biosimilare sul
paziente naïve, fornendo motivazione scritta. Infine il decreto ricorda
come i farmaci biosimilari, secondo
i dati inseriti nella Rete nazionale di
farmacovigilanza (presso l’AIFA), non
presentano “un’incidenza maggiore
di segnalazioni di sospette reazioni
avverse rispetto agli originator e che
comunque non esistono evidenze di
inefficacia terapeutica dovute all’utilizzo dei farmaci biosimilari’’. Rimane
aperto uno spunto di riflessione formale e sostanziale sul testo del decreto in oggetto che seppur sancisce “rappresenta un’opportunità di impiego
razionale delle risorse”, chiede di fatto
“una motivazione scritta” al comportamento prescrittivo in indicazione del
medico, inserendo quindi un vincolo
sul cui principio di legittimità vale la
pena porsi qualche domanda.
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Italian Health Policy Brief
Editore
Anno IV
Speciale 2014
Direttore Responsabile
Eleonora Benfatto
Direttore Editoriale
Marcello Portesi
Altis S.r.l.
Via della Colonna Antonina, 52
00186 Roma
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Pier Luigi Canonico
Achille Caputi
Claudio Cricelli
Carlo Favaretti
Renato Lauro
Nello Martini
Antonio Nicolucci
Patrizio Piacentini
Annarosa Racca
Walter Ricciardi
Francesco Rossi
Mario Sorrentino
Federico Spandonaro
Ketty Vaccaro
Stefano Vella
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Aut. Trib. Milano 457/2012