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AMICI

di

FOLLEREAU Per i diritti degli ultimi

N. 2 febbraio 2014

GIOVANI

: il futuro è di tutti

LASCIA UN SEGNO PER LA VITA

Fare testamento significa costruire legami, preoccuparsi degli altri, essere solidali. Manifestare le proprie volontà è un segno di grande responsabilità e amore. Il testamento è un atto di vita. I lasciti testamentari costituiscono uno dei mezzi più sicuri ed efficaci per contribuire ai progetti di cura dei malati di lebbra, a favore degli emarginati e degli ultimi. Nel corso dell’attività della nostra Associazione, molti sostenitori hanno deciso lasciti testamentari per i nostri progetti. Abbiamo potuto così curare molte migliaia di malati, abbiamo reso possibile il loro reinserimento, abbiamo contribuito a costruire il futuro per tantissimi bambini. Per aiutare i nostri sostenitori in questa importante scelta, Aifo ha realizzato una Guida per i lasciti testamentari, semplice e chiara, che può essere richiesta. È attivo inoltre un servizio gratuito di consulenza sui lasciti testamentari, cui è possibile rivolgersi per chiarimenti. Puoi telefonarci o scriverci, oppure visitare il nostro sito. Potrai scoprire i tanti modi per aiutarci ad aiutare gli altri.

e-mail: [email protected] www.aifo.it

Editoriale

Un punto fermo da non dimenticare

pace mondiale.

L

a salute è uno stato di completo benessere fisico mentale e sociale e non soltanto assenza di malattia o di infermità - è un fondamentale diritto umano e che il raggiungimento del più alto livello possibile di salute è uno dei più importanti obiettivi sociali nel mondo.

Mi sembra molto importante ricordare l’art. 1 della Dichiarazione della Conferenza di Alma Ata del 1978, sull’Assistenza sanitaria primaria, in questo mese di febbraio dedicato ai malati, in questo anno in cui la crisi economica sembra motivo valido per ignorare anche diritti già conseguiti. Tutti dovremmo rileggere gli atti della Conferenza che segna un momento storico importante ed entusiasmante: la Comunità mondiale prende atto dei problemi delle nuove nazioni appena uscite dal colonialismo e resesi indipendenti, e riconosce che c’è una grande diseguaglianza nell’accesso alla salute fra le diverse popolazioni del mondo, ma anche all’interno dei singoli paesi.

LA SALUTE È UN DIRITTO FONDAMENTALE, CI RICORDA LA CONFERENZA INTERNAZIONALE DI ALMA ATA DEL 1978. LA FAME NON È UNA MALATTIA, MA QUANTE MALATTIE PROCURA LA FAME? ABBIAMO MAI SERIAMENTE PENSATO CHE LA SALUTE POSSA CONTRIBUIRE ALLA PACE MONDIALE?

La promozione e la protezione della salute della popolazione è essenziale per lo sviluppo economico e sociale e contribuisce ad una migliore qualità della vita e alla

Abbiamo mai seriamente pensato che la salute può contribuire alla pace mondiale? Completo

benessere fisico, mentale e sociale che riguarda la salute, ma anche la possibilità di mangiare (la fame non è una malattia, ma quante malattie procura la fame?), il lavoro, la famiglia, l’ambiente e, in tutto questo,

la partecipazione attiva della persona

paese.

cosciente della sua importanza nella costruzione della sua vita e del suo La Conferenza detta politiche e metodi che hanno influito in modo fondamentale sul miglioramento della salute nei giovani paesi in via di sviluppo e che sarebbero stati utilissimi anche per quelli sviluppati, se tanti interessi finanziari e di casta non avessero bloccato la loro attuazione.

Ricordo l’entusiasmo con cui, in quegli anni, noi volontari e cooperanti cercavamo di essere all’altezza di questo meraviglioso compito: dare una mano a popoli che volevano cominciare ad essere protagonisti dopo una lunga stagione di oppressione. Importanza alla medicina comunità.

primaria preventiva, vaccinazioni, formazione a tutti i livelli, sanità per tutti, ma sempre con grande coinvolgimento della Mi è sembrato importante ricordare alcuni dei principi fondamentali su cui anche oggi si basano i Progetti Aifo. Salute, formazione, sviluppo, coscienza dei propri diritti sono da sempre collegati nei nostri Progetti, sia che si tratti di lebbra, di disabilità, di infanzia, di medicina di base. Non solo vincere la malattia e la fame, ma liberare l’uomo: renderlo protagonista attivo, costruttore cosciente della propria vita e della propria società.

Anna Maria Pisano

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Profezia

Il futuro è di tutti

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Primo piano

Imparare le buone pratiche dal Sud del mondo

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Un omicidio premeditato

Mark Miller e Carlo Enrico Confalonieri Intervista a Francesca Ortali (Aifo) a cura di Nicola Rabbi Nicola Rabbi e Luciano Ardesi

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Dossier

Una nuova governance della salute globale

Nicoletta Dentico

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Progetti

Arte e cultura per ridare dignità a bambini e adolescenti

Tino Bilara

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I libri illuminano Korogocho

Geoffrey Kibigo

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Strumenti

La connettività per diventare cittadini attivi

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Esperienze

Francesco riscalda la folla con il sorriso

Gabriella Melli Luciano Ardesi

Profezia

Fonte: Giovanni Dall’Orto, 23/06/2007

Il futuro è di tutti

IL DISCORSO SUI GIOVANI È SPESSO UNA RINUNCIA A GUARDARE IN FACCIA LA REALTÀ E ALL’IMPEGNO CONCRETO

di Mark Miller e Carlo Enrico Confalonieri *

“ N basta il online.

on c’è lavoro, la società fa schifo, la politica ha rovinato il paese e cambiarla è impossibile: bisogna mandare a casa tutti i politici e i loro discorsi sui giovani”. Così la pensa la maggioranza dei ragazzi italiani. Ma la lista è molto più lunga: la scuola non prepara al lavoro, la vita costa troppo, il tirocinio è una presa in giro; non

curriculum

perché bisogna essere raccomandati, non esiste la meritocrazia e si premiano piuttosto le pagliacciate. I giovani vogliono distanziarsi da questa società e ricercano soddisfazioni altrove, in altri ambiti: con gli amici, all’estero, Negli ultimi cinquant’anni vi sono state innumerevoli novità che hanno trasformato profondamente gli equilibri sociali. Novità nell’ambito scientifico, internazionale, religioso, sessuale e tecnologico che hanno interessato i genitori prima, e che si ripercuotono ora sui figli. Molte di queste novità hanno cancellato certezze, e distinguere giusto e sbagliato è diventato più difficile. È chiaro che la Chiesa non riesca più ad avere il ruolo di guida spirituale che aveva. Anzi essa viene criticata ferocemente e alcuni valori tipicamente cristiani hanno perso rilevanza, come il senso del dovere, mentre altri sono stati storpiati, come il senso dell’amore.

Sembra che il centro possa essere solamente il “tutto e subito” e tramite il web i giovani ricevono un mare di informazioni, opportunità ed emozioni che possono sedurli, sviarli, assuefarli e rendere il mondo reale più lontano e scomodo. Le associazioni lamentano un forte calo di partecipazione: sembra impossibile coinvolgere i giovani. Sono annoiati da tutto e ogni problema può essere risolto con l’appagamento offerto da un microprocessore che, a costo del proprio preziosissimo tempo, permette di porre in

stand by

la propria vita. La soluzione? Limitare il tempo di connessione alla Rete, acquisire capacità di filtraggio e rendere il mondo reale più soddisfacente di quello virtuale. Inoltre nemmeno quest’ultimo è esente da problemi. Basti pensare al

digi stress

: un impegno incessante ad alimentare costantemente le proprie 10.000 connessioni di amicizie. Si assiste ad un esibizionismo crescente al fine di ottenere quel successo che rende invidiosi i propri compagni. Purtroppo i genitori mancano spesso nell’essere presenti nella vita e nei problemi dei figli e nel dare loro linee guida, lasciando che sia qualcun’altro ad occuparsene e magari Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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Profezia

incolpando ingiustamente gli insegnanti. Laddove la famiglia è carente, aumenta nei giovani il bisogno di appartenenza; acquisiscono così sempre più importanza gli amici e gli ambienti di cui ci si fida ciecamente, mentre si diffida di tutto ciò che è esterno. Nei nostri coetanei però vediamo insaziabile questa sete di verità, inappagabile questa ricerca di realtà, che infiamma i loro cuori contro queste prigioni apparenti ed insegna loro il sapore della vita. È quindi compito di tutti vivere e insegnare la fiducia nel futuro. Bisogna sperare ed educare a sperare! Non si può ripetere all’infinito: “C’è la crisi, c’è la crisi”. Nonostante la crisi, riusciamo comunque a vivere dignitosamente, ad andare a scuola, ad avere del cibo in tavola. Progresso non significa aumentare la propria ricchezza materiale, attraverso il furto recidivo verso chi non può difendersi. La qualità della vita è qualcos’altro. In questa “società del fiato corto”, dove non si guarda oltre il primo ostacolo, forse la crisi può aiutarci a far nascere nuovi “grandi ideali”, a recuperarne alcuni perduti e a capire quali sono i veri bisogni di un individuo.

Sia i giovani che gli adulti devono reagire. Come ha detto papa Francesco, dobbiamo andare controcorrente rispetto a questa tendenza molle e lasciva dell’essere passivi, senza forza critica. Dobbiamo rompere questo giovani.

loop

perpetuo di rassegnazione. Dobbiamo: il futuro è di tutti; non solo dei In concreto, bisogna assolutamente rendere i giovani parte integrante della società. La scuola deve avvicinarsi al mondo del lavoro e si deve valorizzare il tirocinio e lo stage. Inoltre i giovani devono disporre di esperienze concrete di volontariato per la loro formazione e la crescita personale. Le attività caritative devono entrare ancora più profondamente in relazione con il percorso scolastico che ogni giovane si trova ad affrontare. Quanto sarebbe contento il nostro Raoul!!!

Serve quindi più dialogo tra le generazioni. Un detto afferma: “I giovani hanno la forza, ma non i soldi; gli adulti hanno i soldi ma non il tempo e gli anziani hanno il tempo ma non la forza”. Sapete dirci come si risolve questo dilemma? Infine serve davvero uno sguardo verso la realtà concreto e coerente. Come si può chiamare ragazzo un 40enne? La memoria di tutti coloro che sono venuti prima di noi ci ammonisce: il cuore della singola persona non cambia, ma il cambiamento proviene dalla libertà che appartiene alla sua scelta. ■ *Gruppo giovani I for Aifo

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

Primo piano

Fonte: archivio fotografico di Aifo

Imparare le buone pratiche dal Sud del mondo

IN TEMPO DI CRISI I PROGETTI DI COOPERAZIONE SONO UN’OPPORTUNITÀ ANCHE NEL NORD

Intervista a Francesca Ortali (Aifo) a cura di Nicola Rabbi

A ifo lavora da oltre cinquant’anni in aeree e paesi diversi con progetti innovativi adatti alle singole realtà locali. In questo momento di crisi economica è opportuno chiedersi se queste esperienze possono essere utili anche all’Italia e all’Europa. Cosa può essere “portato indietro”? In altre parole ci interroghiamo su un possibile ritorno di alcune metodologie applicate in questi anni nei paesi nel Sud del mondo. Su questi argomenti abbiamo intervistato

Francesca Ortali

, responsabile dell’ Ufficio progetti esteri di Aifo.

Tu conosci a fondo tutte le attività che Aifo progetta e realizza. Credi che questo “ritorno indietro” di esperienze maturate altrove sia possibile?

Bisogna partire da un po’ più lontano per poter rispondere. In generale è cambiato il concetto di cooperazione tra Nord e Sud del mondo che non viene più vista come un dare semplicemente, uno scambio asimmetrico tra chi ha (soldi, competenze, tecnologia…) e chi non ha. In tutti questi anni di lavoro non l’ho mai vissuta così, e oramai si comincia a pensare in termini diversi dove lo scambio e gli aiuti sono reciproci. In questo ambito è possibile pensare a qualcosa che ritorna indietro nel paese da cui è partito l’aiuto. Di fatto, Aifo ha sempre lavorato in questo modo ed è anche per questo motivo che mi ritrovo in sintonia strategica.

Come avviene questa modalità?

Nel nostro lavoro la parola chiave è partnership, non un semplice aiuto specializzato ma un’azione trasversale, che riguarda sia una parte che l’altra. Quindi una collaborazione vera con i gruppi, gli enti e le istituzioni nei luoghi dove lavoriamo. Questa accentuazione della partnership presuppone uno scambio consapevole in tutte e due le direzioni: a questo punto allora diventa importante domandarsi che cosa vale la pena di provare nel nostro paese di ciò che abbiamo visto funzionare altrove. Nel 2010 Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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Primo piano

è uscito un bel libro intitolato

Turning the world upside down

dove Nigel Crisp, un noto esperto della salute a livello globale, descrive i sistemi sanitari dei paesi africani e racconta quelle buone pratiche che potrebbero essere adottate in occidente. Il libro è anche un sito dove le ricerche vengono continuamente aggiornate (www.ttwud.org).

Ma da queste, chiamiamole, collaborazioni, quali idee o pratiche possono essere importate nel nostro paese? Ci sono strumenti o metodologie che potrebbero essere utili in questo momento di crisi economica ed anche sociale?

Penso di si, anche se non è facile dare una risposta diretta a una domanda come questa. Metodologie come la riabilitazione su base comunitaria (Rbc) possono essere utilissime anche da noi, ma per adesso sono ipotesi che vanno sviluppate. La Rbc è una metodologia molto complessa che si adatta alle varie culture in cui viene applicata e col termine riabilitazione s’intende non solo quella sanitaria ma una riabilitazione che riguarda la persona in modo integrale, sotto ogni suo aspetto. Quindi oltre la salute anche l’educazione, il lavoro e le relazioni sociali; del resto questi sono i punti fondamentali su cui si basa la Rbc, a cui dobbiamo aggiungere l’ e di mobilitazione sociale.

empowerment

che riguarda più l’aspetto di presa di coscienza dei propri diritti

Hai da raccontarci qualche esperienza concreta che si è svolta in Italia?

Da queste metodologie vengono fuori strumenti pratici, come il manuale che ho elaborato con Giampiero Griffo (membro del (l’

empowerment Disabled Peoples’ International

- DPI) sull’esperienza in Mongolia per il rafforzamento appunto) delle persone disabili e delle loro organizzazioni. Il libro, tradotto in 5 lingue, è stato utilizzato nella provincia di Milano per la formazione degli operatori socio-sanitari e per le organizzazioni di persone con disabilità. La guida è composta da moduli pensati proprio per la formazione di operatori. A Milano abbiamo utilizzato il modulo riguardante la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità; era il 2007 e la Convenzione era appena stata approvata e stava per essere ratificata in Italia. L’altro modulo applicato in quell’occasione riguardava la capacità di

leadership

di persone con disabilità all’interno delle associazioni.

La riabilitazione su base comunitaria in una società complessa come quella italiana dove i servizi socio sanitari sono così sofisticati, a cosa può servire? Può contribuire al miglioramento dei servizi?

Sono convinta di si, è una sfida, ripeto, che è appena iniziata e tutta da giocare. Il sistema socio-sanitario italiano come quello europeo è sofisticato e all’avanguardia ma è “schiacciato” sulle cure specialistiche che vengono svolte

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014 in strutture centralizzate come gli ospedali. La Rbc si basa invece sulla decentralizzazione, e va in senso opposto rispetto a quello che succede oggi in Italia. La Rbc opera dove ci sono le persone, non accentra le sue azioni in centri di salute o in ospedali.

Oltretutto non si può ridurre la Rbc al solo aspetto sanitario ma è molto di più: le risonanze e gli altri esami diagnostici tecnologicamente avanzati si fanno nei centri specializzati ma il benessere psico-fisico degli individui passa anche per la loro educazione, le relazioni sociali, il lavoro. Anche per quanto riguarda l’aspetto propriamente medico, lo strumento che ancora ci guida è la Dichiarazione di Alma Ata, adottata alla Conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria nel 1978. Nella Dichiarazione si parla di prevenzione e partecipazione delle varie parti sociali. Anche se in Italia è già prevista la partecipazione del cittadino al sistema sociosanitario, una strategia come la Rbc può dare una mano in più. Occorre però un cambiamento di mentalità ed è questa la difficoltà maggiore; la Rbc punta al cambiamento di mentalità di politici, amministratori tecnici… Per sperimentarla più concretamente bisognerebbe trovare una Asl o un comprensorio di comuni interessato, fare una mappatura del territorio, delle risorse sanitarie, sociali, educative e di come queste varie forze possono essere messe in rete per rinforzarsi l’una con l’altra. ■

Fonte: archivio fotografico di Swan&Koi

Primo piano

Un omicidio premeditato

LA PENA DI MORTE TRA ERRORI GIUDIZIARI, PAURE E FURBIZIE. E NON È ANCORA FINITA

di Nicola Rabbi e Luciano Ardesi

Fonte: google.it

S hujaa Graham dimostra molto meno dei suoi 63 anni anche se porta una barba folta e bianca, è un uomo imponente che si muove cauto e che, quando comincia a raccontare, è già in un preciso stato d’animo: il dolore, la paura, l’umiliazione dovuti all’esperienza subita. Si fa fatica a sostenere le lacrime che, lentamente ma in continuazione, scendono dagli occhi di quell’omone, e lo accompagnano per tutto l’incontro organizzato a Bologna dalla Comunità di Sant’Egidio.

Shujaa è una delle 20 persone condannate a morte da un tribunale degli Stati Uniti, poi riconosciute innocenti e liberate. Tutto questo risale a più di trent’anni fa e noi ci aspettiamo un uomo anziano e pacato che ci dica semplicemente che la pena di morte è un’aberrazione anche di fronte a qualsiasi reato. Invece ci accorgiamo subito che le nostre aspettative sono completamente sbagliate e che la pena di morte, anche se schivata, è qualcosa che entra comunque dentro per non andarsene più.

La sua storia è quella di un bambino nato in una famiglia afroamericana povera della Louisiana dove i suoi genitori raccoglievano il cotone. La mancanza di lavoro spinge parte della famiglia ad emigrare a Los Angeles dove Shujaa comincia a frequentare una gang di giovani criminali. Entra ed esce prima dal riformatorio poi dalla prigione dove infi ne rientra con un ergastolo per via dell’ennesima rapina (un bottino da 35 dollari). Nel carcere un incontro fortunato lo porta a riconsiderare tutta la sua vita. Comincia a leggere, studiare, si politicizza avvicinandosi al movimento delle Black Panther, diventa un difensore dei diritti dei detenuti. Nel 1973 durante una rivolta viene uccisa una guardia bianca; testimoni corrotti lo accusano di esserne l’autore. Giudicato colpevole da una giuria di soli bianchi, è condannato a morte nel 1976. Grazie all’opera di sensibilizzazione di alcuni giovani la sua sentenza viene ridiscussa fi no ad arrivare alla scarcerazione nel 1981. Durante questo periodo Shujaa non ha aspettato solo la sua morte ma è anche stato sottoposto a torture fi siche e psicologiche da parte degli agenti carcerari. Il dopo non è stato facile, anche se ha sposato un’infermiera, conosciuta quando era detenuto, e da cui ha avuto tre fi gli. Ha proseguito il suo cammino diventando un testimone instancabile della violenza nelle carceri nei confronti dei detenuti afroamericani e battendosi in tutto il mondo per l’abolizione della pena di morte in ogni paese. Durante l’incontro, uno dei presenti ha chiesto se la sua emozione fosse sempre così intensa: “Ogni volta è così - ha risposto - non posso dimenticare non soltanto quello che è capitato a me, ma anche a tutti gli altri”.

La storia di Shujaa, come quella di altri innocenti condannati a morte, è uno degli argomenti più forti contro la pena capitale. In un tribunale, l’errore umano è sempre dietro l’angolo, ma è possibile porvi rimedio.

Fonte: google.it

Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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Primo piano

Nel caso della pena di morte, se effettivamente eseguita, questo non accade. Non è il solo paradosso. Se la pena deve – o dovrebbe - servire a riscattare l’errore, allora chi è giustiziato non potrà mai redimersi.

Secondo Amnesty International, su 198 paesi, quasi la metà (97) ha abolito la pena capitale per qualsiasi reato, 8 la mantengono solo per casi eccezionali (in caso di guerra, ed es.), mentre 35 sono abolizionisti di fatto perché da almeno dieci anni non hanno pronunciato o eseguito condanne a morte. Ciò significa che oltre i 2/3 reati diversi dall’omicidio.

A 250 anni esatti da

Dei delitti e delle pene

di Luciano Ardesi

, pubblicato nei primi mesi del 1764, di strada se ne è fatta. Gli argomenti di Cesare Beccaria sono di una straordinaria modernità, eppure non riescono a sconfiggere paure e spirito di vendetta. Gli antiabolizionisti ricorrono sempre meno al paradosso che “per restituire la vita, è necessaria la morte”, per questo preferiscono l’argomento della deterrenza. Peccato che nessun dato abbia mai potuto confermare che la pena di morte costituisca un valido mezzo dissuasivo. Per lo scrittore Albert Camus, un criminale “temerà la morte dopo il giudizio, non prima del delitto”. Beccaria sosteneva che non importa la durezza della pena ma la sua certezza. La lezione, che vale non solo per la pena capitale, è stata ignorata. Di fronte al ripetersi dei reati, anche i meno gravi, si continua ad invocare l’inasprimento delle pene, in una spirale senza fine, col risultato paradossale che l’illegalità e la violenza possono aumentare. La storia che non ci viene raccontata è che l’inseguimento dela “pancia” della gente da parte dei politici serve loro non solo ad auto-assolversi, ma a mantenere quello stato di illegalità di cui non pochi approfittano grazie alla rimozione di controlli effettivi qiustificati da pene sempre più severe!

“Non uccidere” non sembra essere un argomento sufficiente ad abolire lo Stato assassino. Del resto se si ammettono eccezioni, ad esempio per la guerra, perché non ammettere, in certi casi,anche quella della pena capitale? La fede non sembra essere stata sempre capace a porre una diga a questa disumanità. La Chiesa ha praticato nel passato la pena capitale, il Catechismo non la esclude completamente. Eppure “chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” diceva Gesù a chi voleva lapidare, secondo la legge di Mosé, l’adultera che gli avevano condotta Scribi e Farisei (Gv, 8.7). La pena di morte continua ad essere immaginata come l’ultima spiaggia per affrontare nuove emergenze, come il terrorismo. A questo proposito, quante volte l’abbiamo sentita invocare nell’Italia dei Beccaria e della Toscana, primo stato abolizionista (1786)? Soprattutto - abolita legalmente - la pena di morte rispunta in tutti i paesi, incluso il nostro, per via extragiudiziale: squadroni della morte, servizi segreti, la stessa polizia, o – ultimo ritrovato – i droni. Tanto non sono forse solo macchine? (ma lo è anche la ghigliottina! Senza dimenticare quella implicita nelle condizioni di detenzione, dei lavori forzati). Scriveva Bobbio trent’anni fa: “la differenza tra uccidere e il lasciar intenzionalmente morire non è moralmente rilevante”. ■

Fonte: google.it

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

DOSSIER

Fonte: archivio fotografi co di Swan&Koi

UNA NUOVA GOVERNANCE DELLA SALUTE GLOBALE

Le risposte allo smantellamento dei sistemi di copertura sanitaria universale e alla crescente privatizzazione

di Nicoletta Dentico*

U

n Mondo in lacerante transiZione

Viviamo in un tempo segnato da forti patologie globali. Le tre grandi crisi che assediano il mondo – la crisi fi nanziaria e la recessione economica, la crisi del clima e delle risorse energetiche, la crisi alimentare prodotta dalla fi nanziarizzazione del cibo – stanno producendo ovunque una progressiva erosione dei diritti acquisiti. La disoccupazione è sempre di più una minaccia sociale per i paesi industrializzati, come lo è la fame nel sud del mondo. A fronte del potere scatenato della speculazione fi nanziaria e dell’élite imprenditoriale globale, arretra la capacità dei governi di agire nell’interesse pubblico e della legalità, di governare la partita a favore delle società. Le banche dettano legge ancora, malgrado siano state la causa prima della crisi nel 2008. La

polis

si indebolisce sotto i colpi di ricette depressive somministrate per risanare la fi nanza pubblica, terapie d’urto che mettono a dura prova la tenuta di interi paesi. Ma questo è anche un tempo di straordinarie opportunità. Un forte senso di interdipendenza abita il pianeta, anche grazie alle nuove tecnologie della comunicazione che, lo abbiamo visto con le vicende da

wikileaks

a

datagate

molte piazze in cui gli , possono scardinare le vecchie dinamiche del potere. La bipolarità che ha retto il mondo con la Guerra fredda, l’unipolarità affermatasi dopo il crollo del Muro di Berlino, hanno fi nalmente ceduto il passo ad un assetto del mondo multipolare, con l’emersione dei paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), e l’affacciarsi di nuove alleanze regionali, ad esempio in America Latina. La società civile ha un ruolo sempre più visibile e coeso sul fi lo di una rabbia che si fa corpo nelle

indignati

lanciano la sfi da alla concentrazione dei profi tti e alla fi nanziarizzazione dell’economia. Nessuno può dire se il coro che si è levato nel 2011 in Europa e negli Stati Uniti, fi no ad Israele e l’America Latina, sia un episodio passeggero o l’inizio di una nuova presa di coscienza che fa centro sul bene comune. Sappiamo però che l’indignazione è una risposta necessaria a fronte Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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DOSSIER

Fonte: archivio fotografico di Aifo

delle crescenti disuguaglianze nel mondo. Una virtù preziosa, un antidoto all’indifferenza che uccide libertà e democrazia.

Una necessaria retrospettiva storica

Chi, in questo contesto, governa le sorti della salute nel mondo? Le colossali transizioni descrivono in buona parte una trama di sperequazione sociale e di esclusione, ciò che comporta profonde conseguenze sullo stato di salute del mondo. La transizione epidemiologica sempre più preoccupante verso le malattie croniche anche nei paesi a basso reddito, e la crescente rilevanza dei disordini mentali, sono solo due esempi. Le ricette dell’ con la

spending review austerity

non si abbattono solo sulle politiche nazionali in campo sanitario (lo abbiamo visto nella Grecia in bilico, ma anche in Italia ) ma sugli assetti stessi di

governance

della salute, man mano che il ruolo del settore pubblico cede il passo agli attori privati ed alle assicurazioni, sempre più ghiotte di investimenti nel campo sanitario, oggi il secondo

business

globale dopo il commercio delle armi. Se tentassimo di fare una rapida retrospettiva storica sulle politiche che hanno guidato la salute nel mondo nei decenni successivi alla creazione nel 1948 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), la sola istituzione con il mandato di promuovere il massimo standard di salute per tutti e dunque di formulare appropriate politiche pubbliche in materia su scala mondiale, potremmo tracciare tre linee di demarcazione fondamentali. L’

approccio sviluppista

, fondato sulle politiche pubbliche degli anni ‘60 e ‘70, in coincidenza con il processo di decolonizzazione di molti paesi del Sud del mondo, e su una decisa leadership da parte dell’Oms, caratterizza in prima battuta le politiche sanitarie. Il processo di affermazione della salute come diritto raggiunge in questi decenni il massimo

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014 sviluppo. Sono gli anni in cui l’Oms contribuisce al dibattito sullo sviluppo e sul Nuovo Ordine Economico Internazionale (Noei) e definisce su questa linea il concetto di farmaci essenziali (1977); gli anni della Conferenza di Alma Ata che afferma la

primary health care

e lancia lo slogan mobilitante della “Salute per tutti entro l’anno 2000” (1978); gli anni in cui l’agenzia dell’Onu si attiva con molta lena alla produzione della prima regolamentazione, il codice di condotta che regola il marketing dei sostituti del latte materno, infierendo un primo colpo alle già disinvolte pratiche delle industrie del latte artificiale (1981). Con gli anni ’80 cambia il vento. Inizia a soffiare la

svolta liberista

come risposta alla recessione mondiale dovuta alle crisi petrolifere. Politiche ultraliberiste si affermano negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, e soprattutto in seno alle organizzazioni finanziarie (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale). Lo smantellamento del settore pubblico in ambito sanitario prende il sopravvento. La Banca Mondiale irrompe a tutto campo nel finanziamento della salute internazionale, con effetti di notevole indebolimento della funzione stessa di autorità dell’Oms. La salute diventa un fattore variabile dell’economia. Prendono forma i programmi di aggiustamento strutturale, dal volto variamente “umano”, gli investimenti sociali subiscono il contraccolpo delle ricette imposte dall’esterno e l’accesso alla salute diventa sempre più selettivo, valutato sul criterio del ritorno sull’investimento. La narrativa della salute come diritto cede il passo alla preminenza della crescita economica. Con la caduta del Muro di Berlino e il crollo dei regimi comunisti filosovietici, prende avvio negli anni ’90 la

liberalizzazione dei commerci

come priorità assoluta delle relazioni internazionali. Le nuove istituzioni volte a promuovere la globalizzazione economica, prima fra tutte l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), furono create per applicare gli standard dei paesi avanzati su scala globale, in cambio di aperture dei mercati e della libera circolazione delle merci. Una asimmetria istituzionalizzata nel nome della regola

one size fits all

, la stessa misura per tutti. Peccato che gli standard commerciali siano in genere assai più vantaggiosi per i paesi ricchi, in modo da impedire ai paesi del Sud globale un percorso di sviluppo autodeterminato e progressivo. I pervasivi processi di privatizzazione affermano sulla scena il ruolo delle Organizzazioni non governative (Ong), sempre più professionalizzate e internazionali, sempre più a vocazione umanitaria. La filosofia dello sviluppo ha perso attrattiva, la vocazione a cambiare gli scenari del mondo si acquieta nell’opzione di un adattamento

DOSSIER

delle regole del gioco per il contenimento del danno che esse provocano sui diritti fondamentali dell’individuo. di

il rUolo della filantropia nella gover nance della salUte globale

Il nuovo millennio segna una svolta nel campo della salute globale. Fallito l’obiettivo della salute per tutti entro l’anno 2000, annunciato nel 1978 alla conferenza di Alma Ata, e di fronte alla assai poco contenibile pandemia dell’HIV/AIDS, una nuova forma

governance

della salute comincia ad affermarsi con una variante ibrida: i partenariati pubblico-privati (PPPs) su scala globale. I partenariati publico-privati sono iniziative in cui attori d’interesse pubblico, imprese del settore privato e/o organizzazioni della società civile formano alleanze per conseguire un obiettivo: intrecciano le rispettive competenze, condividono rischi, responsabilità, risorse, costi e benefici. Sebbene non esista ancora, in seno alle Nazioni Unite, una definizione condivisa su questi modelli pubblico-privati, risulta ormai inconcepibile una qualsiasi azione di salute globale – inclusa la cooperazione sanitaria - senza il ricorso a questa formula. Le PPPs sono una logica risposta ai cambiamenti strutturali nel rapporto fra stato, mercato e società. Il loro vantaggio comparativo sta nello slittamento della

governance

dagli assetti istituzionali basati su strutture formali – come i governi e le agenzie dell’Onu - a coalizioni funzionali ed iniziative

multi stakeholder

(con più compartecipanti), che fanno leva su complementarietà professionali per ottenere maggiore impatto. Sono le Nazioni Unite oggi a promuovere il modello delle con l’avvio del dei singoli paesi.

partnerships Global Compact

inaugurato trionfalmente per gli Obiettivi del Millennio. Del resto (Patto Globale) alla fine degli anni ’90 l’Onu ha istituzionalizzato il ruolo del settore privato nella gestione delle sfide fra ricchi e poveri non solo tra paesi diversi, ma anche all’interno In parallelo, l’insorgere della filantropia in risposta all’evidente fallimento sia del mercato che delle politiche pubbliche favorisce il successo di una nuova forma di egemonia economica denominata

venture philantropism

, una forma di

business

ben sofisticata per ottenere defiscalizzazioni e visibilità nell’ottica di una strategia egemonica di controllo delle politiche globali. Con la riattivazione della filantropia, nuovi attori spesso contigui alla cultura di mercato – uno fra tutti, la Bill and Melina Gates Foundation (BMGF) – hanno inaugurato una nuova generazione di iniziative sanitarie a discapito dell’Oms, che progressivamente ha perduto terreno nella concorrenza spietata sulla scena internazionale negli ultimi decenni.

Fonte: archivio fotografico di Aifo

Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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DOSSIER

PERSA NELLA FOLLA

L’Organizzazione Mondiale della Salute un tempo dominava le risorse globali per la salute. Nuove potenti organizzazioni e crescenti programmi nazionali di aiuto l’anno superata.

1.2

1.0

0.8

0.6

0.4

0.2

0

WHO USA FRA NGOs UNFPA PAHO JPN ITA UNICEF

1990

SWE

3 2 1 8 7 6 5 4

Anno di fondazione 2002 Anno di fondazione 1994 Anno di fondazione 2000

2010

USA GFATM NGOs WHO BMGF UK GAVI IBRD EC UNFPA

* Le cifre relative ai paesi rappresentano l’aiuto bilaterale. I dati 2010 rappresentano stime preliminari.

bMgf

Bill & Melinda Gates Foundation;

ec

European Commission;

fra

France;

gavi

Alliance (formerly the Global Alliance for Vaccines and Immunisation);

gfatM

Global Fund to Fight AIDS, Tuberculosis and Malaria;

ibrd

International Bank for Reconstruction and Development;

ita

Italy;

Jpn

Japan;

ngos

Other non-governmental organigations;

paHo

Pan-American Health Organization;

sWe

Sweden;

Unfpa

United Nations Population Fund;

Unicef

United Nations Children’s Fund;

UK

United Kingdom;

Usa

United States;

WHo

World Health Organization.

La salute fa da apripista nel momento in cui le istituzioni pubbliche come l’Oms ricevono sempre meno fondi dai governi, ma sono chiamate ad una espansione del loro portafoglio di intervento. La Fon dazione di Bill Gates è il secondo maggior finanzia tore dell’Oms dopo gli Stati Uniti. Nel 2009 le fon dazioni private contribuivano il 21% del budget totale dell’Oms. Chi governa, dunque, la salute? Le tendenze alla privatizzazione sono sotto gli occhi consenzienti di tutti. Il rischio è che i governi abbiano ceduto la par tita del diritto alla salute e servano solo il business che si muove nel settore sanitario. Convince poco la mobilitazione dell’Oms e dei governi a favore della copertura sanitaria universale

(Universal Health Coverage)

come orizzonte per il futuro nel momento in cui le politiche di austerity producono lo smantella mento dei sistemi universalistici esistenti (ad esem pio in Gran Bretagna e in Grecia) e mettono a repen taglio la salute di milioni di persone. Dal canto loro, i paesi a basso reddito restano sempre più lontani dalle decisioni in materia sanitaria, in un gioco della geopolitica che è un piano inclinato: alcuni vincono sempre, altri sono sempre destinati a perdere. ■ *Presidente dell’Osservatorio sulla Salute Globale

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

Arte e cultura per ridare dignità a bambini e adolescenti

L’esperienza formativa nel comune di Abaetetuba, Stato del Parà in Brasile

di Tino Bilara

Progetti

progetto Aifo intende sostenere il programma della Pamen denominato “Bambino e adolescente: ogni giorno che passa sempre più persona,” nonché intensificare le azioni di sensibilizzazione sociale e delle istituzioni competenti perché siano rispettati i diritti di bambini e adolescenti. Aifo ha contribuito alla costruzione della “Lar dos Meninos”, un Centro Educativo di “Arte e Cultura” dove vengono realizzati laboratori artistici e culturali per rafforzare il processo di inclusione sociale dei minori. Si tengono anche corsi di formazione degli educatori della Pamen e incontri con le famiglie dei bambini e degli adolescenti.

Ana è una coordinatrice della Pastorale. Ha 45 anni, ha iniziato otto anni fa come educatrice e ora il suo compito è quello di aiutare i coordinatori dei singoli quartieri di Abaetetuba a programmare le attività e a risolvere i problemi dei bambini che frequentano i laboratori.

Anche lei ha una storia di difficoltà e povertà alle spalle. “I problemi che le persone devono affrontare nei loro quartieri - dice - sono l’alcoolismo, la droga, la violenza, anche quella sessuale”. Le visite che gli assistenti domiciliari fanno nelle case dei bambini servono proprio a capire la loro situazione. “Non sempre è facile aiutare questi ragazzi - continua a raccontare Ana - nel 2012 due giovani seguiti da noi sono finiti nel giro della droga e forse per questo sono stati uccisi”. Fortunatamente i successi non mancano, e il centro si avvale delle esperienze positive. Maria de Fatima ha A illeciti.

baetetuba è un municipio dello Stato del Pará in Brasile, nella lingua Tupí vuol dire “uomo onesto, forte e valente”. In realtà la situazione sociale ed economica della regione è caratterizzata da un alto tasso di disoccupazione e dall’abbandono scolastico da parte dei minori, costretti da subito a lavorare per contribuire al bilancio famigliare. In molti casi i bambini finiscono sulla strada facendo lavori Aifo interviene ad Abaetetuba con la “Pastoral do Menor”, (Pamen) un’organizzazione senza fine di lucro formata da una rete di educatori e collaboratori volontari. Creata nel 1992 dalla Diocesi di Abaetetuba, opera nel campo dell’assistenza a bambini e adolescenti (7-17 anni) mediante azioni sanitarie, sociali ed educative. Il

Fonte: archivio fotografico di Aifo

Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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Progetti

cominciato da subito una vita in salita. Nata in una famiglia povera in una delle numerose isole vicino a Abaetetuba, ha 9 fratelli. Suo padre ne abusa sessualmente fin da bambina e la minaccia di morte nel caso lo vada a raccontare. Viene data in affido ad altre famiglie ma non riesce a dimenticare la sua situazione. Quando un giorno assiste al tentativo di abuso da parte del padre ad una sorella minore decide di raccontare la sua storia ad un educatore della Pastoral do Menor, che l’aiuta a denunciarlo. Nonostante l’uomo sia arrestato, la situazione per lei non migliora, anzi la madre l’accusa di essere responsabile di quanto accaduto. Grazie al sostegno della Panem, Fatima riesce a recuperare fiducia e stima in se stessa, cominciando un percorso all’interno dell’organizzazione. Riprende a studiare, partecipa alla formazione fino a diventare lei stessa educatrice di bambini e adolescenti che hanno situazioni famigliari difficili. La Pastorale per Fatima e per tutti i casi simili al suo, diventa una vera e propria seconda famiglia dove il minore in difficoltà può cercare di costruirsi una vita onesta e, in alcuni casi, cominciare ad aiutare altre persone.

Diversa e dall’esito ancora incerto è invece la storia di José. Nasce in una famiglia numerosa e povera con un padre alcolizzato e una madre che per paura e per dipendenza economica accetta questa difficile situazione famigliare. È anche un bambino poco accudito che finisce per frequentare gli spacciatori vicini di casa. È più sicuro usare un bambino di 6-7 anni come corriere della droga piuttosto che un adulto, così José comincia a farlo, e a poco a poco questa diventa la sua vita normale, l’unica che conosce.

Quando la madre lo iscrive ad un doposcuola, José viene in contatto con la Pastoral de Menor e comincia a fare esperienza di un vivere diverso, dove gli adulti non bevono o si drogano ma hanno atteggiamenti amichevoli nei suoi confronti e lo aiutano nei suoi problemi. Frequentando questo ambiente si accorge di avere un grande interesse per la musica e per le arti. Poi la situazione famigliare precipita e i suoi genitori si separano: di fronte a questa rottura la sua reazione è quella di scappare di casa, non trovandosi bene né con il padre né con la madre.

Questa volta però la vicenda ha conseguenze negative per José che viene coinvolto in traffici illeciti. Arrestato, finisce in prigione. Recentemente gli educatori hanno ricevuto una sua lettera dal carcere, ecco uno stralcio: “...Sono in un Centro di Detenzione e sto pagando per qualcosa di cui non avevo valutato le conseguenze. So una cosa però, quando uscirò di qui voglio incontrarvi di nuovo e avere ancora l’opportunità di una vita diversa. Non ho dimenticato tutto quello che mi avete detto e insegnato...”. ■

Fonte: archivio fotografico di Aifo

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

Progetti

I libri illuminano Korogocho

Come una baraccopoli della capitale del Kenya si è data strumenti comunitari per migliorare la propria vita

di Geoffrey Kibigo

P della uò sembrare un azzardo la realizzazione di una biblioteca a Korogocho, una delle maggiori baraccopoli (oltre 150 mila abitanti) alla periferia di Nairobi, la capitale del Kenya. Caratterizzata da una selva di lamiere e fango, completamente priva di servizi essenziali come acqua potabile e corrente elettrica, la baraccopoli trova la sua maggiore “risorsa” nella discarica nei pressi della quale è stata costruita. Eppure il progetto

Mwangaza Community Library

sta vincendo questa sfida con una straordinaria esperienza partita con il sostegno di Aifo e dell’iniziativa “Biblioteche solidali” del Comune di Roma. Aifo opera fin dal 2003 in questo difficilissimo contesto urbano con un progetto per la riabilitazione fisica, sociale ed economica, su base comunitaria, di donne, bambini e persone con disabilità. L’intervento è condotto attraverso un’organizzazione locale, la Koskobar-K (Korogocho Slum Community Based Rehabilitation - Kenya), con base a Korogocho, ufficialmente riconosciuta dal governo keniota.

Mwangaza

funzione.

in lingua swahili significa luce e questo la dice lunga sul senso del progetto: vuol portare la luce alle persone che vivono a Korogocho, una luce che si manifesta sotto la forma dell’educazione e dell’informazione. Anche lo slogan che accompagna questo progetto, “Nuru ya Korogocho” ovvero “Luce di Korogocho”, ne sottolinea la La biblioteca ha aperto i battenti nel marzo del 2012 ed è situata ai bordi dello e dei dvd.

slum

di Nairobi, diventando così la meta anche di ragazzi e bambini che studiano nei quartieri vicini a Korogocho. Per accedervi basta pagare una piccola retta annuale, dalla quale sono però esentate le persone disabili. La struttura non riceve finanziamenti pubblici e queste entrate assieme ad altre previste per il futuro (consulenza per l’uso del proprio telefono cellulare, attività di copisteria e stampa...) servono al mantenimento della struttura e per l’acquisto e la manutenzione dei libri La biblioteca offre numerosi servizi culturali alla comunità e nei suoi locali ha sede anche un centro di riabilitazione per persone svantaggiate che lavorano all’interno di laboratori di sartoria, fabbricazione di candele e tipografia. La biblioteca ha però bisogno di risorse aggiuntive per nuove acquisizioni, per aggiustare le finestre e sistemare la rete fognaria. Attualmente la biblioteca dispone di circa 2.900 libri, di vari dvd e ogni giorno acquista due quotidiani nazionali. É anche un punto internet a cui si può accedere pagando una piccola somma.

Fonte: archivio fotografico di Aifo

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Progetti

Mwangaza

è soprattutto la risposta ad una sfida, quella di sopperire alla mancanza di spazi dove i bambini possano studiare, di offrire ai ragazzi una struttura ricreativa, e di dare, più in generale, alla popolazione dello slum un luogo dove potersi informare. A Korogocho le famiglie sono composte da molti figli e le case dove abitano si riducono spesso ad un’unica stanza, per questo la possibilità di aver un luogo tranquillo dove studiare è un’esigenza molto sentita. Spesso i bambini e i ragazzi non hanno la possibilità di studiare proprio per mancanza di spazi che nemmeno la scuola pubblica può offrire. “La biblioteca mi permette di fare i compiti – dice Achola Samuel Omondi, uno studente di 16 anni – a casa non riesco a fare bene il mio lavoro, c’è troppa confusione; qui posso trovare anche altri libri che io non possiedo”. Molti dei libri della biblioteca riguardano infatti le materie che gli studenti studiano a scuola.

La biblioteca ha ufficialmente un orario, apre alle 8 e chiude alle 18; in realtà, per venire incontro alle esigenze degli studenti, è piuttosto elastico. Spesso i tre volontari che la gestiscono la tengono aperta fino a tarda sera. É soprattutto durante le vacanze scolastiche che

Mwangaza

ha il suo picco di utenti; in quei giorni i posti a sedere non bastano più e i ragazzi si mettono sul pavimento per proseguire i loro studi. Il centro si è aperto anche a chi non studia ma ha altre esigenze. Mancano infatti nello

slum

i luoghi dove riunirsi e parlare, ecco allora che fuori dall’edificio è stata allestita una grande tenda dove potersi incontrare. Spiega Richard Omwele, un residente: “Eravamo abituati a incontrarci nelle nostre case o semplicemente all’aperto. Adesso invece la biblioteca ci offre una tenda per le riunioni e anche le discussioni si fanno meglio. Ci sentiamo più liberi di parlare e abbiamo una certa

privacy

che prima all’aperto non avevamo”.

Mwangaza

infine è anche un centro di riabilitazione per persone con disabilità che frequentano corsi di formazione per la fabbricazione di candele, di sartoria, di artigianato. Racconta Morris Obiero: “Sono venuto in biblioteca sperando di leggere il mio giornale preferito e invece ho seguito il corso di formazione su come fare le candele! Questo ha migliorato la mia situazione economica, ha rivoluzionato la mia vita ...”. ■

Fonte: archivio fotografico di Aifo

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

Fonte: archivio fotografico di Aifo

Strumenti

La connettività per diventare cittadini attivi

STRUMENTI A DISPOSIZIONE DI TUTTI PER CAMBIARE INSIEME. A COMINCIARE DA UNA LETTURA: LA COSTITUZIONE

di Gabriella Melli

N ell’era del web ci siamo abituati al termine connet tività in relazione ai nostri dispositivi possibilità per superare la crisi.

Il richiamo è alla

Partecipazione online

. Nella Pubblica amministrazione indica la necessità di passaggi sempre più veloci per snellire la burocrazia. Ma la connettività può essere intesa – nell’ultimo Rapporto Censis del dicembre scorso - come scambio nei vari sottosiste mi della vita collettiva, quelli più attivi che mostrano, anche con micropratiche, individuali o in piccoli gruppi, che il bene collettivo è non solo un obiettivo comune, ma forse l’unica : coinvolgimento responsa bile dei cittadini nella risoluzione di problemi, con percorsi da intraprendere insieme a istituzioni e altri attori sociali. Un compito difficile? Non proprio. Se ci guardiamo intorno, ci accorgeremo di essere nell’ottima compagnia di tante persone che mettono in campo esperienze che stimolano azioni ripro ducibili di cambiamento. Perché lo fanno? Connettersi ad azioni che producono al ternative, diventare protagonisti dei mutamenti sociali, senza subirli, ma orientarli verso la sostenibilità e un nuovo umanesi mo fa bene. Partecipare rinforza l’autostima e il senso di com petenza, diminuendo il senso di impotenza che immobilizza il nostro paese.

Albert Einstein

(Il mondo come io lo vedo)

considera la crisi come “la più grande benedizione per le persone e per le na zioni, perché la crisi porta progressi” e conclude “finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla…”. Non è un rimprovero che meritiamo e, insieme, un invito irresistibile all’azione?

Ci sono tanti contributi che pongono l’accento sulle oppor tunità della crisi. Le falle evidenti del sistema capitalistico e l’ascesa di nuovi paesi che rivendicano un ruolo nel mercato globale, potrebbero portare a riconsiderare l’economia in chi ave più inclusiva e sostenibile. Il processo è lungo ma è già in Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014 19

iziato, anche se poco visibile. C’è chi sostiene che i mass media instillino una depressione globale volta a creare un autoritario governo planetario, basato su austerità e paura... Al di là dei catastrofismi, un punto fermo da cui partire è:

informarsi

one con quelle altrui. La connettività, riferita ai .

Per partecipare al cambiamento, è necessario accrescere le proprie competenze, ampliare le conoscenze, metterle in relazi-

social network

e alle potenzialità della rete, ci mette in contatto con infiniti punti di vista. Piuttosto che rimanere intimiditi dalla mole dei contenuti, si può affrontarli cercandone i punti di contatto: il bene comune è davvero tale se raccoglie consenso da più parti. Basta cercare su internet parole chiave come

sidiarietà cittadinanza at tiva, sostenibilità, democrazia partecipativa, diritti umani, sus-

, ecc. Si individuerà facilmente un filo rosso che lega ideali, argomentazioni ed esperienze, già realizzate o a cui si può contribuire. Un filo rosso accompagna, del resto, la storia dell’umanità da quando qualche ominide ha ritenuto oppor tuno mettersi insieme agli altri per difendersi dalle belve feroci, mantenere acceso un fuoco, rendere vivibile l’ambiente: ogni componente contribuiva attivamente alla vita comunitaria.

Nel nostro passato più recente c’è uno strumento dalla lungi miranza sconcertante: la Costituzione. Apparirà presto chiaro, anche se non è mai una lettura leggera, visto il linguaggio for male e aulico, che la

cittadinanza attiva

, come oggi la chiamia mo, la tutela dei diritti e la connettività sono fondamenti della vita sociale, come ben esplicitato nell’articolo 118, che obbliga lo Stato a favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Si scoprirà che c’è un invito continuo al cittadino a diventare protagonista, a porsi in modo interlocutorio nei confronti delle istituzioni ed a riappropriarsene, a fare del loro funzionamento una priorità. Interessante è anche un processo ancora incompiuto, che va da un welfare assistenzialistico a un welfare sociale, che si concretizza in azioni di democrazia diretta. Sono tanti i co muni che, grazie al web, chiedono ai cittadini di contribuire ai lavori per la stesura dei Piani di Zona, il bilancio partecipativo, misure introdotte in Italia dalla legge (328/2000) che ha rior dinato i servizi sociali e che promuove “la partecipazione attiva dei cittadini”. Occuparsi in modo diretto del territorio in cui si vive è un impegno a portata di mano.

La lettura dei testi normativi in materia sociale, che ritenia mo tediosa, è un invito continuo a prendere parte al processo politico, e fornisce strumenti per esigere il diritto a partecipare alle politiche pubbliche. Che aspettiamo ad accogliere questo invito? Anche qui il web ci aiuta ad entrare in contatto con persone, gruppi, enti che si occupano della gestione del ter ritorio, evidenziando la necessità di riappropriarsene, perché ogni cittadino faccia della “cosa pubblica” una “cosa propria”, da reclamare e difendere.

Nel testo costituzionale è possibile rintracciare molti al tri concetti che hanno anticipato le battaglie per i diritti e la nascita della coscienza civile che, negli anni ‘60 e ’70, avrebbe portato grandi cambiamenti. É in quel periodo che comincia ad affermarsi una visione globale dei destini dell’umanità, e a diventare evidente che, come sosteneva Follereau, è necessa rio curare le lebbre del mondo: la malattia nei paesi poveri e l’indifferenza in quelli ricchi. ■

La connettivit@ Aifo

Aifo valorizza le iniziative “dal basso” volte all’interesse comune e produce strumenti per renderle accessibili, con speciale attenzione a studenti e docenti. Per loro percorsi educativi, con particolare riguardo ai diritti umani: ogni azione di cittadinanza presuppone il rispetto della persona nella sua globalità. Sul sito www.aifo.it, da poco rinnovato, una miniera di spunti. L’attivazione a livello locale è fondamentale. La costruzione di comunità responsabili, la partecipazione degli esclusi, la creazione di capitale sociale, l’innovazione culturale e sociale, la partecipazione nella definizione e monitoraggio delle politiche sono parte integrante della sua

mission

, che accoglie la dimensione glocale, dall’individuo alla comunità. Grazie a cittadini attenti e sensibili si sono liberate risorse per progetti in tanti paesi. La GuidAgenda 2014 è l’ultimo esempio di

empowerment

dei volontari. Uno strumento pratico che, proponendo nuovi stili di vita e l’uso consapevole delle nuove tecnologie, mostra la possibilità di una nuova coscienza condivisa, evidenzia l’importanza della partecipazione femminile e di tutti coloro che vivono in uno stesso territorio, non solo autoctoni, non solo “abili”.

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Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

Fonte: archivio fotografi co di Aifo

Esperienze

FRANCESCO RISCALDA LA FOLLA CON IL SORRISO

AIFO ALL’UDIENZA DEL 4 DICEMBRE A PIAZZA SAN PIETRO, UNA GIORNATA INDIMENTICABILE

dal nostro inviato Luciano Ardesi

I l sorriso di Francesco è come un raggio di sole che riscalda e illumina l’anche l’angolo più freddo e in ombra della piazza. Si capisce che i suoi occhi cercano la gente mentre percorre la gimcana disegnata tra la gente venuta a vederlo. “Siamo noi che, sul sicomoro, siamo stati visti da Bergoglio, siamo stati noi gli invitati” dice Sergio venuto col gruppo Aifo di Vedano/Monza. E la gente risponde all’invito con applausi, saluti a braccia alzate – come siamo ormai abituati a conoscerlo – per porgergli i bambini. “Si conferma che questo papa non vuole stare solo, ma aprirsi a più gente possibile” commenta Mattia di Roma, abituato ad osservare con la cinepresa come le persone si muovono. Chi conosce i segreti della piazza, si è preparato, di buon mattino, a disporsi lungo le transenne del percorso, e al sole, magari anche lontano dal sagrato dove il papa tiene la sua omelia, ma più vicino a Francesco, con quel suo sporgersi quasi a voler salutare uno per uno. I gruppi Aifo si sono preparati per tempo. Luigi di Roma li ha attesi tutti, con l’invito per entrare nella piazza e un primo sorriso che ci riscalda in questa mattinata romana limpidissima, ma molto rigida. La piazza accoglie chiunque abbia il cartellino giusto, ma o si entra a falange o ci si disperde. Malgrado i disagi per i viaggi, talvolta lunghi e con gli inevitabili ritardi, come sperimenta Mariella dalla Sardegna, e che possono signifi care anche una notte alla stazione ad aspettare un treno come sanno Susi e Anna Maria dalla Liguria. Sono tutti qui per non lasciarsi scappare un’occasione unica come quella off erta da Francesco. L’appuntamento è stato pazientemente preparato da Federica e Maurizio, Cinzia da Bologna ha raccolto le adesioni, ora l’attesa è lunga e diciamo pure raggelante per chi si è trovato nello spicchio sempre in ombra della piazza malgrado un sole smagliante, ma non proprio ecumenico. Molti hanno una propria strategia della sopravvivenza in calore e calorie. Simona telefona per cercare di ritrovarsi insieme almeno alla fi ne dell’udienza. Sono segnali di fumo quelli che escono dalla sua bocca perché confi nata nella Siberia della piazza.

Il movimento è dapprima impercettibile, poi è una ola di teste, braccia e mani. Il papa sta entrando. La prima cosa che colpisce è il sorriso. Sì, il papa si illumina a contatto con la gente. Chi può sale in piedi sulle sedie per cogliere l’attimo. Agostino da Caserta, immancabile quando si tratta di immortalare con la macchina fotografi ca, ha un bel da fare per bucare il muro di teste e di braccia levate. Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014

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Esperienze

I cellulari sono puntati verso la bianca figura del papa che serpeggia tra la folla. È il momento più esaltante, più coinvolgente. Luigi, che finalmente può anche lui entrare nella piazza, vede “in tutti i soci la mia stessa gioia e la mia stessa emozione”. Libero, di Latina, nota però una certa stanchezza sul viso di Francesco ed anche la sua solitudine dopo “questi mesi di pontificato affrontati da solo lancia in resta”.

L’omelia sulla Resurrezione della carne si svolge sul sagrato. Francesco legge, ma quando alza lo sguardo dal foglio che tiene davanti e parla direttamente alla piazza allora non solo il suo viso si illumina, ma la sua voce prende calore, le sue parole ti trasportano. “Ci credete o no?” domanda ad un certo punto.

Sìììììììì

, risponde la folla.

La gioia del Vangelo

, l’Esortazione apostolica che ha pubblicato dieci giorni fa, la si legge sulle sue labbra.

L’omelia viene riassunta nelle diverse lingue, e si elencano i gruppi presenti. La piazza risuona qua e là delle grida di chi viene citato. L’entusiasmo delle scuole è il più contagioso, gli applausi si allargano a tutta la piazza mentre i maxischermi diffondono le immagini dei gruppi che si agitano. È il momento che Patrizio, dell’ufficio di Bologna, sta aspettando, stendardo col simbolo Aifo aperto tra le mani.

Associazione italiana amici di R...

inizia a scandire il microfono e Patrizio è già sulla sedia allarga le braccia il più possibile, urla di gioia, il logo Aifo campeggia ora sui maxischermi. “Ero stra-super-felicissimo – dice Patrizio – ho esultato moltissimo come un tifoso allo stadio quando la sua squadra del cuore ha segnato un gol”. Spiega che si è preparato perché aveva già sperimentato come dare visibilità ad Aifo quando, molti anni fa, papa Wojtyla era andato a Bologna per incontrare i giovani. “Ero presente – ricorda - con un grandissimo ombrellone bianco con tanti grandi adesivi dell’Aifo che ebbe tanta visibilità perché avevo tenuto l’ombrellone sempre aperto”. Mark del gruppo di Monza e unico rappresentante del gruppo Giovani lo ha visto così: “il mio vicino ha letteralmente iniziato a saltare sulla sedia sventolando la bandiera dell’AIFO. Ed esortava me ad imitarlo!!!”. Patrizio è un po’ l’eroe, il portabandiera Aifo della giornata.

“Dopo l’udienza Francesco è sceso a piedi della scalinata – ricorda Antonio di Monza - per incontrare i disabili. Come accompagnatore di Paolo, il nostro socio sulla carrozzina, mi sono trovato con lui in prima fila”. Il papa si è soffermato con ognuno di loro. “Mi ha messo a mio agio a tal punto che prima gli ho preso la mano sinistra poi la destra – ricorda emozionatissimo Paolo, in carrozzina dal 2008 ma con una lunga storia alle spalle – e gli ho sussurrato: un grosso favore, una benedizione particolare per un amico colpito da tumore. Mi ha benedetto all’istante, poi il nulla. Nel senso che non ricordo più nulla”. Ricorda bene invece Antonio che gli era accanto: “mi ha tenuto la mano, gli ho parlato, mi guardava negli

22

Amici di Follereau N. 2 / febbraio 2014 occhi e mi rispondeva. Non un saluto frettoloso e formale, ma un colloquio breve e partecipato”. “Sebbene ci stiamo abituando ad avere un papa incredibile come Francesco – aggiunge Mark - mi ha stupito comunque come lui si fermasse a parlare con la gente”. Sergio non può fare a meno di osservare che il suo modo “lo fa sentire vicino, quasi potessi invitarlo al bar per continuare ad ascoltarlo o dirgli qualche cosa che ti era sfuggita”.

Alla fine l’invito di Simona da una parte, il freddo e il richiamo del sole dall’altra, hanno la meglio sulla dispersione e tutti i partecipanti Aifo, o quasi, si ritrovano insieme per l’immancabile foto di gruppo. ■

Fonte: archivio fotografico di Aifo Fonte: archivio fotografico di Aifo Fonte: archivio fotografico di Aifo

Amici di Follereau

Mensile per i diritti degli ultimi, dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo) Via Borselli 4-6 – 40135 Bologna Tel. 051 4393211 – Fax 051 434046 [email protected] Lettere alla Redazione: [email protected] www.aifo.it

direttore responsabile

Mons. Antonio Riboldi

direttore

Anna Maria Pisano

Con oltre mille luoghi di appuntamento ogni anno, la GML è il momento più bello ed importante della vita dell’Associazione. Testimonia l’impegno e la solidarietà di tante persone, donne e uomini, giovani e meno giovani, che riempiono con i banchetti le piazze e i luoghi di aggregazione di città e paesi.

Anche quest’anno si prolungherà oltre la giornata del 26 gennaio. Per realizzare i banchetti, ordinare il materiale, andare sul sito www.aifo.it; scrivere una e-mail a [email protected]; N. Verde 800 55 03 03. Per conoscere gli appuntamenti nella vostra città e nel vostro quartiere visitate il sito www.aifo.it

MIELE E GADGET NELLE PIAZZE ITALIANE

Nella Giornata mondiale dei malati di lebbra, 26 gennaio 2014, migliaia di volontari sono tornati in piazza per offrire

“il miele della solidarietà”

, e altri prodotti il cui ricavato fi nanzierà i progetti socio-sanitari promossi da Aifo in molti paesi del Sud del mondo, in cui la lebbra è ancora un problema.

Tra i gadget distribuiti ricordiamo le penne, le pinzette di legno e i portachiavi prodotti dalla

cooperativa campi d’arte

persone a rischio di esclusione.

, nel laboratorio che mira all’integrazione sociale e lavorativa di

Aifo ringrazia per la loro collaborazione

redazione

Luciano Ardesi (Caporedattore), Nicola Rabbi

progetto grafico e impaginazione

Swan&Koi srl

Hanno collaborato a questo numero

Tino Bilara, Carlo Enrico Confalonieri, Nicoletta Dentico, Geoffrey Kibigo, Gabriella Melli, Mark Miller, Anna Maria Pisano

fotografie

Archivio fotografico Aifo, Google immagini Per la copertina si ringrazia Salvo Lucchese.

abbonamenti

Le attività dell’Associazione sono il frutto della solidarietà e della condivisione di coloro che la sostengono.

Puoi contribuire anche tu, sottoscrivendo l’abbonamento ad Amici di Follereau Ordinario 13 € / Simpatizzante 18 € / Sostenitore 30 € Tiratura xxxx copie Chiuso in tipografi a il xx/xx/xxxx Il numero di Febbraio è stato spedito il xx/xx/xxxx

stampa

SAB – Trebbo di Budrio (BO)

postalizzazione

DATA MEC srl, via Speranza, 31 – 40068 San Lazzaro (BO) Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana (USPI) Autorizzazione del Tribunale di Bologna N. 2993, del 19 aprile 1962

APPELLO Cancelliamo la lebbra dal Brasile

Il Brasile rappresenta il secondo paese al mondo per numero di casi di lebbra. Ogni anno infatti ci sono circa 30.000 nuovi malati di lebbra, di cui circa il 7% sono bambini. Un tuo aiuto economico, anche piccolo, è di enorme importanza e può fare la grande diff erenza nei nostri sforzi quotidiani per diminuire i nuovi casi di lebbra e per migliorare la qualità della vita delle persone colpite dalla malattia.

Per un aiuto concreto: • 130 euro per la cura delle complicazioni causate dalla malattia ad una persona • 40 euro per la formazione in servizio del personale sanitario locale

COME FARE LA TUA DONAZIONE

• Bollettino postale n. 7484 intestato ad AIFO - Onlus, Bologna • Conto Banca Popolare Etica IBAN: IT 89 B 05018 02400000000 505050 • Carta di credito American Express, Visa, MasterCard telefonando al n. verde Aifo • Pagamento periodico bancario - RID - richiedendo il modulo al n. verde Aifo Numero verde 800550303 Le donazioni devolute in favore delle attività Aifo sono fi scalmente deducibili