1) introduzione

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Transcript 1) introduzione

ECONOMIA ITALIANA
C.d.L. Economia Applicata
2013-2014
PROF. Lidia Mannarino
Organizzazione del corso
Lezioni:
• Lunedi h. 9,00-11,00
• Martedì h. 9,00 – 11,00
• Mercoledì h. 9,00-11,00
• AULA EP4
Ricevimento:
MARTEDI’ h. 15,00– 17,00, DiESeF 1° piano.
Testi:
• L’economia italiana del nuovo millennio, Carocci, 2009.
(Saltari E., Travaglini G.)
• Le radici del declino economico: occupazione e produttività
in Italia nell’ultimo decennio, ed. UTET, 2006. (di E. Saltari e
G. Travaglini)
• Altro materiale sarà distribuito a lezione.
PROGRAMMA:
Prima Parte:
• La prima parte del corso sarà indirizzata a
fornire una visione complessiva del
funzionamento del nostro sistema economico
e una prima consapevolezza dei problemi
strutturali che lo affliggono.
• Allo stesso tempo il corso si propone di
ricostruire i mutamenti intervenuti negli ultimi
decenni nel sistema economico, e quindi di
guardare alle origini dei problemi strutturali
che oggi occorre affrontare.
Seconda Parte:
La seconda parte sarà rivolta alla ricostruzione,
all’analisi e all’interpretazione dei principali
fatti stilizzati che hanno caratterizzato la storia
recente dell’economia italiana.
Tale analisi costituisce la base su cui viene
costruita la diagnosi dei mali dell’economia
italiana.
Su tale analisi è in corso un dibattito sulle origini
del declino economico dell’Italia.
• Negli ultimi venti anni il bilancio dell’economia italiana è
stato alquanto sconfortante. Il tasso di crescita è stato
basso sia rispetto all’esperienza del secondo dopoguerra,
sia nel confronto con gli altri paesi europei.
• L’Italia nel periodo 2001-2008 ha la crescita più
bassa della produttività del lavoro (0,04% medio
annuo contro l’1,7% della media dei trenta
paesi). (OECD)
• Se si considera invece il grado di innovazione tecnologica
e organizzativa (ciò che viene definita la produttività
totale dei fattori), si scopre che l’Italia si trova all’ultimo
posto nella classifica OECD.
pil reale
1600
1400
1200
1000
800
pil reale
600
400
200
0
• Un’espressione sintetica ma efficace
dell’OECD racchiude la situazione:
l’Italia è un paese in forte
rallentamento.
Si può parlare di declino?
• Declino assoluto o relativo?
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
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1996
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1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Tasso di crescita Pil reale
1960-2007
10
8
6
4
2
0
-2
-4
La regola del 70: quando è che un tasso di crescita è “alto” o
“basso”?
+2%, +5%, +0.9%: come si fa a dire se un tasso di crescita è alto o
basso?
La “regola del 70” ci dice: Quanti anni occorrono per raddoppiare
il Pil
Numero di anni = [70 diviso il tasso di crescita (in punti
percentuali)]
•
Per questo i cinesi sono tanto preoccupati di crescere solo
del 5%, invece che del 10% nel 2009
–
–
•
Prima: con crescita al 10% annuo, ogni 7 anni Pil raddoppiato
Ora: di anni per il raddoppio ce ne vogliono 14!
Se Pil cresce dell’1%, ci vogliono 70 anni per raddoppiarlo
–
–
Orizzonte generazionale di “stagnazione”
Così è stata l’Italia degli ultimi 15 anni!
Tasso di crescita del Pil pro-capite in Italia dal 1960 al 2011
9%
7%
5%
3%
1%
-1% 1960
-3%
-5%
-7%
1965
1970
1975
1980
1985
1990
1995
2000
2005
2010
• Il Pil pro capite è una grandezza importante
perché fornisce una misura della capacità
d’acquisto e quindi del benessere (seppure
soltanto economico) di cui ciascuno può
godere.
• Crescita del Pil pro-capite giù di 0.1 punti
percentuali l’anno, cioè -1 punto ogni 10 anni:
+5.5% negli anni ’50, +4.5% negli anni ’60,...,
+0.5% negli anni 2000.
• Però se si tracciasse lo stesso grafico per
Germania, Francia, Regno Unito Spagna, si
otterrebbe una figura molto simile. E’
un’implicazione del modello di Solow che la
crescita rallenti nel corso del tempo in economie
non soggette a rivoluzioni tecnologiche.
• Ma…..
Crescita del Pil pro-capite in Italia meno media((Fra,Ger,UK,Spa)
0,000
-0,010
-0,020
-0,030
-0,040
1951
1952
1953
1954
1955
1956
1957
1958
1959
1960
1961
1962
1963
1964
1965
1966
1967
1968
1969
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
1979
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
1995 l’anno a partire dal quale siamo andati peggio degli altri:
0,040
0,030
0,020
0,010
• La crescita relativa dell’Italia è sempre stata
inferiore agli altri quattro grandi paesi europei a
partire dal 1995.
• Dal 1995 ad oggi meno 15 punti di Pil rispetto
agli altri grandi paesi europei (1 punto
percentuale all’anno)
• L’opposto di quanto avvenne dal 1950 al 1995:
+23 punti rispetto agli altri. Dal 1995, ci siamo
rimangiati più di metà della rincorsa
• Fino al 2007 non si trattava ancora della riduzione
del livello assoluto del tenore di vita dell’italiano
medio, ma di una riduzione persistente della
nostra capacità di aumentarlo agli stessi ritmi di
paesi confrontabili con il nostro.
La scomposizione del pil-procapite
• componenti demografiche ed economiche.
• Il pil pro capite dipende infatti da tre elementi:
a) La quota della popolazione in età da lavoro (nella fascia di
età compresa tra i 15 e i 64 anni),
b) il tasso di occupazione
c) la produttività del lavoro (corrispondente al valore del
prodotto che ogni occupato produce).
Se moltiplichiamo la quota della popolazione in età da lavoro
per gli altri due elementi, cioè il tasso di occupazione e la
produttività del lavoro, otteniamo per definizione il pil pro
capite.
• Se prendiamo in considerazione i dati forniti dalla
Commissione europea (Annual macro-economic
database, AMECO), il Pil pro capite dell’Italia ai prezzi
del2000 è complessivamente aumentato tra il 1995 e
il 2007 di circa il 17%.
• Poiché il Pil pro capite è definito da un rapporto, la sua
dinamica dipende tanto dall’andamento del prodotto
interno lordo (PIL) quanto dai fattori demografici che
regolano l’andamento della popolazione.
• In effetti, nello stesso periodo il PIL italiano
complessivo è cresciuto in termini reali del 22%. Dato
che il Pil pro capite ha mostrato un aumento del 17%,
ciò significa che la popolazione è aumentata del 5%.
• In Italia la crescita è stata alimentata soprattutto
dall’aumento dell’occupazione e molto poco dalla
produttività del lavoro.
• La crescita dell’occupazione ha contato per circa
il 15% della crescita totale.
• Il contributo della produttività è stato invece assai
scarso. Tenendo conto che il periodo di
riferimento va dal 1995 al 2007 e che,
arrotondando, la crescita della produttività è
stata pari al 6% circa in tredici anni, se ne ricava
che questa è aumentata in media di meno di
mezzo punto percentuale all’anno.
Tante cose non vanno in Italia …
•
Scuola e università istruiscono poco e quindi non
aiutano la mobilità sociale
• Molti pubblici dipendenti sono (o sono ritenuti)
fannulloni
• I politici sono ritenuti una casta auto-referenziale (fa
leggi, inclusa quella elettorale, in modo da
rispondere solo a se stessa e non agli elettori)
• Molte imprese investono poco e non fanno ricerca.
Soprattutto le piccole
• Avvocati, notai, banche, assicurazioni, benzinai e
tassisti sono troppo tutelati da leggi e regolamenti
compiacenti.
Tutto vero e tutto dannoso per la crescita. Ma …
.. MA quelli elencati sono mali atavici d’Italia ..
Il funzionamento di
•
Scuola e università
•
Pubblica amministrazione
•
Sistema politico
•
Sistema (pubblico e privato) di ricerca e innovazione
•
Servizi alle imprese e ai consumatori
•
Dualismo territoriale (Nord-Sud)
è sempre stato lacunoso in Italia …
Anche quando eravamo i cinesi d’Europa.
Per spiegare le “barrette negative” dopo il 1995, bisogna rispondere
alla domanda: cosa è andato storto dopo il 1995 e che invece
andava bene prima del 1995?
Cosa è cambiato a partire dagli anni Novanta?
•
Non sembra azzardato definire epocali i
cambiamenti che si sono verificati negli anni
Novanta. Essi segnano un discrimine non solo nella
storia economica italiana ma anche in quella
dell’economia mondiale. È sufficiente fare un
elenco di questi cambiamenti per comprenderne la
portata effettiva.
Shock e produttività
• Alcuni shock recenti hanno mutato in modo
radicale le regole di governo dell’economia
italiana
• Questi shock hanno accentuato le debolezze
strutturali dell’economia italiana e causato la
stagnazione della produttività.
• E’ opinione ormai diffusa che l’andamento, a
partire dalla prima metà degli anni novanta,
dell’economia italiana rifletta problemi
strutturali irrisolti, resi più pressanti dai
notevoli cambiamenti che hanno
caratterizzato l’economia mondiale.
• Il deficit di crescita dell’economia italiana negli
ultimi decenni è riconducibile a caratteristiche
strutturali del sistema produttivo, per molti
versi immutate da decenni, che sono risultate
inadatte a fronteggiare le nuove pressioni
competitive e a sfruttare appieno le
opportunità
offerte
dall’innovazione
tecnologica e dall’integrazione economica
europea e mondiale.
Gli shock esogeni
• Banca d’Italia (2009), “Rapporto sulle
tendenze nel sistema produttivo italiano”,
(Introduzione,Cap.1, pag. 7-24), QEF n.45.
• Sito: www.bancaditalia.it ,Pubblicazioni:
Pubblicazioni economiche: Questioni di
economia e finanza (Occasional Papers)
• Introduzione del libro: L’economia Italiana del
nuovo millennio.
Gli shock “globali”
degli anni novanta
• 1. Globalizzazione. Integrazione del mercato
del lavoro (immigrazione), dei mercati dei beni
e di quelli finanziari. Nuovi competitors: Cina e
India
• 2. Nuove tecnologie (ICT): Una rivoluzione che
non ha interessato soltanto il come si produce
ma anche il che cosa, e la stessa
organizzazione dei processi produttivi.
Gli shock “locali”
• 3. L’Euro. Politica monetaria. La perdita della
sovranità monetaria. BCE e entrata in vigore
dell’euro dal 1999. Rinuncia al Tasso di
cambio: svalutazioni competitive
• 4. Cambiamento del quadro contrattuale che
regola il mercato del lavoro: l’insieme delle
riforme del mercato del lavoro che in Italia va
sotto il nome di pacchetto Treu e legge Biagi.
• Sebbene qualitativamente simili, le conseguenze
di questi shock variano tra i paesi avanzati per la
dimensione dell’impatto, che è dipeso dalle
specifiche caratteristiche strutturali
dell’economia: per l’Italia esso è stato
complessivamente più pesante. I dati aggregati
mostrano una situazione di preoccupante ritardo
di crescita, evidente nei difetti di efficienza del
sistema produttivo e di competitività dei prodotti
italiani.
1. La Globalizzazione
• Negli ultimi due decenni il processo di
integrazione economica internazionale,
indicato comunemente con il termine
“globalizzazione”, si è intensificato in misura
considerevole.
• Cosa ha comportato ciò per l’economia
italiana?
Aumento degli scambi mondiali
Tra il 1987 e il 2007 l’incidenza delle
esportazioni sul PIL mondiale è aumentata dal
18 al 31 per cento
I paesi emergenti e in via di sviluppo hanno
partecipato in misura crescente all’espansione
degli scambi: la loro quota sulle esportazioni
mondiali di beni è aumentata nello stesso
periodo dal 21 al 37 per cento.
La concorrenza sui mercati
internazionali e vantaggio comparato
• La struttura dei vantaggi comparati è stata profondamente
modificata dall’ingresso di un consistente gruppo di paesi quali la
Cina, l’India e i paesi ex-comunisti, dotati di un’ampia forza lavoro
ma di un limitato stock di capitale.
• Si stima che, in seguito al loro ingresso nel commercio
internazionale, la forza lavoro attiva nell’economia globale sia
sostanzialmente raddoppiata (Freeman, 2006).
• In base alla teoria della proporzione dei fattori, ciò dovrebbe
determinare una concorrenza più elevata per le produzioni a
maggiore intensità di lavoro e, in particolare, di lavoro non
qualificato. D’altro canto, le imprese operanti in settori a maggiore
intensità di capitale o di altri fattori più scarsi nella nuova economia
globale avrebbero maggiori opportunità di mercato.
• Un limite alla capacità competitiva del sistema
produttivo italiano è rappresentato dalla scarsa
specializzazione nei prodotti a elevato contenuto
tecnologico, causa ed effetto degli scarsi
investimenti in ricerca e sviluppo (R&S).
• In prospettiva, al pari dei settori tradizionali,
anche produzioni a tecnologia medio-alta, come
la meccanica e i mezzi di trasporto, potrebbero
soffrire la già significativa e crescente
concorrenza dei paesi emergenti (Felettigh et al.,
2006).
Cosa è cambiato dalla metà degli anni Novanta
Un esempio
1995: cosa ha avuto di speciale?
L’ultimo anno in cui la lira si è svalutata (del 10% circa) nei confronti
del marco tedesco
Con l’euro
•
01/01/2002: 1 euro = 0,78 dollari
•
2009 : 1 € = circa 1,30 dollari ; cioè apprezzamento del 66%
in 7 anni
•
Effetto sulla competitività?
–
–
–
Calo costo bolletta energetica:  competitività
Aumento costo del lavoro in dollari:  competitività
Effetto netto negativo per settori che usano poche materie prime
importate e molto lavoro (es. tessile ed abbigliamento)
Perché l’economia italiana è così
vulnerabile?
Lo stesso effetto dovrebbe valere per tutti i paesi
dell’area euro
Invece: la figura son le barrette positive e negative
dice che, dopo il 1995, la crescita dell’Italia è
stata sempre < di quella di Ger, Fra, Spa (e Uk)
Perché?
• Perché questa dipendenza dall’andamento del
tasso di cambio?
• Un sintomo dei problemi dell’economia
italiana?
Questione di “vantaggio comparato”
Economia italiana “schiava” del cambio perché
specializzata nell’export di beni con basso o medio
contenuto tecnologico
• basso: tessile ed abbigliamento, scarpe, pasta
• medio: macchinari per l’industria alimentare e altre
macchine utensili
In questi settori forte competizione sul prezzo
Questione di “vantaggio comparato”
Altri paesi europei specializzati nella produzione di beni più
sofisticati tecnologicamente (e difficili da copiare).
• Capacità competitiva non sul prezzo ma sulla qualità e sul
vantaggio tecnologico
• Soffrono meno della concorrenza dei nuovi arrivati nell’arena
internazionale (Cina e India, prima di tutto)
• Caveat: anche la moda italiana non compete sul prezzo ma
sulla qualità. Problema: quanti svedesi e tedeschi disponibili
a pagare 100 o 1000 volte di più (rispetto a un prodotto
Made-in-China) per un capo “firmato”? Qual è il mark-up
sostenibile per la moda italiana?
2. La rivoluzione tecnologica
• Il processo di convergenza delle economie
europee rispetto agli Stati Uniti in termini di
prodotto pro capite e di produttività del
lavoro, avviatosi negli anni cinquanta e
proseguito fino all’inizio degli anni settanta,
sembra essersi interrotto dalla seconda metà
degli anni novanta.
• Da allora gli Stati Uniti hanno visto crescere
output e produttività del lavoro a ritmi molto
più sostenuti che in passato e ben superiori a
quelli registrati nei principali paesi europei.
Questa accelerazione è stata attribuita in larga
misura all’introduzione delle TIC (cfr.Jorgenson
e Stiroh, 2000; Oliner e Sichel, 2000; OECD,
2003a; Visco, 2004).
• I paesi europei, e l’Italia in particolare, hanno tratto vantaggio assai
più tardi degli Stati Uniti del nuovo paradigma tecnologico associato
con le TIC (OECD, 2003a; Rossi, 2003; Visco, 2004).
• Secondo uno studio di Bugamelli e Pagano (2004) per il periodo
1995-97 le imprese manifatturiere italiane mostravano un ritardo
medio nell’adozione di TIC di circa sette anni rispetto alle imprese
statunitensi.
• Ciò rifletteva non tanto una specializzazione produttiva sbilanciata
verso i settori tradizionali, meno propensi a investire in TIC, quanto
la carenza di lavoratori qualificati e gli alti costi di aggiustamento
che seguono la necessaria riorganizzazione delle attività
dell’impresa (Bresnahan, Brynjolfsson e Hitt, 2002; Black e Lynch,
2001 e 2004). Conclusioni simili erano raggiunte da Fabiani,
Schivardi e Trento (2005) che individuavano nella dimensione di
impresa e nella disponibilità di personale qualificato i fattori
determinanti per l’adozione di TIC.
• Questo ritardo è stato in parte colmato nel corso di questo
decennio.
• Nel gennaio del 2008, la diffusione delle TIC “di base”
(computer, posta elettronica, connessione a Internet) ha
raggiunto livelli prossimi alla saturazione, con incidenze
superiori al 90 per cento sul totale delle imprese
informatizzate, indipendentemente dalla dimensione delle
imprese e dalla loro localizzazione (Istat,2008).
• È altrettanto elevato l’utilizzo di Internet per finalità a basso
contenuto interattivo, come l’accesso a servizi bancari o
finanziari, per la fruizione di servizi informativi offerti online dalla Pubblica Amministrazione o per promuovere i
propri prodotti e servizi attraverso il sito web.
Ma…..
• La frontiera tecnologica si è nel frattempo spostata in
avanti e, nonostante la sempre più ampia diffusione
delle TIC di base, permane un ritardo dell’Italia
nell’utilizzo delle tecnologie e dei servizi più avanzati.
Ne è un esempio la banda larga (Ciapanna e Sabbatini,
2008)
• I principali fattori che concorrono a determinare questa
situazione sono un problema culturale, che discende
dalla scarsa alfabetizzazione informatica della
popolazione, un problema orografico, reso più acuto
dall’assenza di incentivi economici a investire in aree
poco convenienti, e un problema strategico connesso
con la situazione di monopolio per l’ultimo miglio.
3. L’integrazione europea
• Grazie alla libera circolazione dei fattori della produzione, la realizzazione
di un mercato unico europeo dovrebbe aver sostenuto gli scambi
commerciali, promosso la concorrenza, favorito la specializzazione nelle
produzioni di vantaggio comparato. L’introduzione dell’euro nel gennaio
1999 ha rappresentato il culmine di tale processo. I benefici connessi con
l’adozione di una valuta comune – la riduzione dei costi di transazione,
l’eliminazione del rischio di tasso di cambio all’interno dell’area, la
maggiore trasparenza nei prezzi e nei costi – dovrebbero aver agito da
ulteriore stimolo al commercio internazionale e agli investimenti diretti
esteri.
• L’adozione dell’euro ha anche posto fine alla possibilità per i singoli paesi
di ricorrere a svalutazioni per fronteggiare perdite di competitività.
• L’adozione dell’euro ha anche significato perdita di sovranità della politica
monetaria e vincoli stringenti imposti alla politica di bilancio pubblico.
4. La riforme del mercato del lavoro
•
•
In Italia i risultati sono stati molto favorevoli in termini di occupazione, aumentata
complessivamente del 15 per cento tra il 1995 e il 2007, e di partecipazione, soprattutto femminile.
Questi andamenti contrastano con quelli insoddisfacenti della produttività. In parte, vi ha
contribuito la dinamica contenuta del costo di utilizzo del lavoro, che ha frenato la crescita
dell’intensità di capitale.
•
In parte, gli stessi nuovi assetti del mercato del lavoro potrebbero aver influenzato negativamente il
grado di efficienza produttiva e organizzativa delle imprese italiane.
•
Tra i molti canali che connettono la produttività delle imprese al funzionamento del mercato del
lavoro, due aspetti meritano attenzione:
a) la diffusione dei contratti di lavoro a termine
b) il ruolo della contrattazione decentrata.
•
•
•
In base all’evidenza disponibile, l’utilizzo dei contratti a termine si correlerebbe
negativamente con la produttività del lavoro, probabilmente per la minor
accumulazione di capitale umano per i lavoratori impegnati in azienda per un
periodo limitato, mentre l’adozione di politiche retributive aziendali, in particolare
se includono premi variabili, si assocerebbe a una crescita della produttività
maggiore.
•
•
•
•
Di fronte a questi eventi:
A) Come ha reagito l’economia italiana?
B) Qual è la situazione attuale?
C) Cosa possiamo aspettarci per il futuro?