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Autismo Toscana, 26-28 marzo 2014
Dal paziente autistico al cittadino: il lavoro
L’evoluzione dell’autismo nell’età adulta:
è possibile una vita felice?
Francesco Barale
Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento.
Laboratorio Autismo - Università di Pavia
Fondazione Genitori per l’Autismo ONLUS
RSD “Cascina Rossago”
STALLA
L’evoluzione degli autismi:
aspetti generali da considerare
1.L’ eterogeneità degli autismi: delle basi etiologiche,
dei percorsi patoplastici, della loro espressione
(rapporto non lineare tra etiopatologie ed
evoluzione), dei livelli e delle aree di
compromissione, sintomatologie prevalenti, gravità,
evolutività intrinseca…
.
2.Eterogeneità….ma anche specificità…

L’evoluzione degli autismi: aspetti
generali da considerare
3. L’autismo non è un semplice insieme di deficit
cognitivi o di comportamenti atipici secreti da cervelli
alterati, ma una evoluzione atipica: la costruzione di
“mondi” di esperienza particolari, a partire da una
debolezza originaria dell’intersoggettività.Tra
etiopatogenesi e concreti autismi, tra fattori di
vulnerabilità genetica ed espressione fenotipica, c’è
di mezzo una cascata complessissima di fenomeni
di varia natura…
4. La co-morbidità…..(“nature never draws a line
without smudging it””, L. Wing 2006)

Evoluzione degli autismi nell’età adulta:
tra eterogeneità e specificità. Le
implicazioni

Implicazioni dell’eterogeneita….
Implicazione della specificità….
Implicazioni della soggettività autistica….
Implicazioni della co-morbilità



Evoluzione dell’autismo: una
ulteriore considerazione


…molte cose possono cambiare nel corso della vita
dei bambini autistici che diventano grandi:
sintomatologie prevalenti, tipologie degli stili di
relazione, comorbidità, capacità di adattamento ed
espressive, perfino il livello cognitivo (sia in meglio
che in peggio: Schopler e Mesibov 1983; Sigman e
Cap 1997; Howlin 2004)
i giochi non sono mai fatti del tutto! l’evoluzione delle
diverse forme di autismo nell’età adulta mantiene
comunque un margine non solo di flessibilità ma
anche di imprevedibilità….
Necessità di correlare gli studi
sull’evoluzione e sugli interventi agli
studi biologici
Necessità di correlazioni più precise tra patofisiologie, evoluzione,
risposte ai trattamenti
Nei decenni scorsi sono stati individuate alcune caratteristiche
“nucleari” del funzionamento autistico (i problemi di EF, di
coerenza centrale, di TOM, del self/other mapping e delle basi
dell’intersoggettività, del concatenamento intenzionale) e avanzate
ipotesi circa le loro basi: disfunzionalità o connettività atipica,
iperconnettività locale e under-connectivity di grandi network
neurali. Più recentemente dalle discipline di base (e dai modelli
animali) arrivano ipotesi interessanti sulle basi neuroevolutive, di
organizzazione sinaptica, all’origine di questa connettività atipica..
Ma quasi nulla si sa dell’evoluzione di questi aspetti nel ciclo di
vita….
……”dogmatism fluorishes in direct
proportion to ignorance…”
(D.O. Hebb, Textbook of Psychology,
Saunders, 1966)
Cosa succede ai bambini autistici
quando diventano grandi?
Il controverso problema degli “autismi transitori”. La diagnosi di
autismo ha poi una caratteristica instabilità nei primi anni di vita:
Sigman e Ruskin (1999) trovano il 17% di bambini che “escono
dalla diagnosi” entro i 10 anni in una coorte di 56. Il dato è
confermato da Fein e coll (2005 e 2006). Sutera e coll: circa il
20% (17 casi su 90) dei bambini diagnosticati autistici a 2 anni
a 4 anni è uscito dalla diagnosi. Fein e coll (2012) hanno
confermato definitivamente il dato.
Le caratteristiche dei bambini che “escono” dalla diagnosi: l’uscita
dalla diagnosi non è correlata alla gravità dei singoli sintomi
autistici, né alla messa in atto di EIBI in quanto tali, ma al QI e
alla presenza di particolari caratteristiche: capacità di iniziativa
motoria, di reciprocità, di imitazione…Anzi, proprio queste
stesse caratteristiche predicono una buona risposta agli EIBI !
Nei casi di autismo con regressione (set back phenomenon), vi è
spesso un andamento irregolare “a denti di sega” dello sviluppo
delle competenze durante i primi 2-3 anni, prima della
regressione (magari innescata da banali eventi di vita) e del
consolidamento del quadro autistico (Muratori e Maestro 2006).
In sostanza: vi è,talvolta, un periodo di plasticità e instabilità degli
assetti neurobiologici in cui la vulnerabilità all’autismo non si è
ancora pienamente espressa. Di qui, a maggior ragione,
l’importanza di intervenire precocemente per sviluppare
l’intersoggettività.
:
Cosa succede ai bambini autistici
quando diventano grandi?
Ma una volta consolidata, la diagnosi ha invece una
elevatissima stabilità nel ciclo di vita: i bambini
autistici da grandi non diventano un’altra cosa:
diventano adulti autistici in più del 90% dei casi
L’autismo è “almost always a lifelong disabling
condition” (F. Volkmar 2006)
L’autismo non è “infantile” (l’aggettivo infatti scompare
dal DSM nel 1987)
“Cosa succederà?” Un problema
centrale: l’eterogeneità degli autismi


Tuttavia, all’interno di questa “disabling
condition”, i percorsi evolutivi sono i più
diversi
Questa ampia variabilità dei percorsi evolutivi
autistici è essa stessa espressione
dell’eterogeneità del costrutto “autismo”, via
finale comune, in realtà, di molteplici percorsi
etiopatogenetici.
Evoluzione dell’Autismo. Lineamenti
generali. Gli studi di outcome
Cosa ci dicono intanto gli studi di outcome?
Essi iniziano ben presto….con Itard e Pinel…
Gli outcome sono diversissimi: vanno, in termini di
funzionamento globale, da una piccola percentuale
di esiti ottimi (o addirittura di uscita dall'autismo: di
pochi punti ma presente in tutti gli studi più estesi)
ad una maggioranza di esiti meno buoni o
decisamente cattivi.
Evoluzione dell’Autismo : i fattori
predittivi tradizionali
Erano considerati tradizionali “predittori”: QI e
presenza di linguaggio comunicativo a 5
anni. La prognosi dei soggetti con ritardo
mentale importante è quasi invariabilmente
quella di una scarsa autonomia. Quella del
25-30 % di persone autistiche senza ritardo
e’ la più varia: ma anche tra queste meno di
un quinto raggiunge una effettiva autonomia
e solo un terzo ha un outcome definibile
“buono” (Howlin 2006)
Il “nucleo centrale”

La disabilità autistica in sostanza permane
nei suoi aspetti nucleari (l’area
dell’intersoggettività) anche in assenza di
ritardo mentale e anche in presenza di
capacità cognitive elevate e di apprendimenti
comportamentali più adattativi

“Autismo” e “ritardo mentale” sono costrutti
diversi: il cuore del problema non è cognitivo
(se non estendendo questo termine al
costrutto “largo” di “cognizione sociale”)
Influenza delle comorbidità. Neurologiche:
l’epilessia è 40 volte più frequente che nella
popolazione generale (Tuchman e Rapin 2002).
Ma anche mediche e psichiatriche…
Circa 1/5 delle persone con autismo
sviluppa un’altra patologia psichiatrica,
nel corso della vita, indipendentemente
dall’epilessia (Rutter et al 2011)
Disturbo autistico e co-morbidità
psichiatrica
Particolarmente elevata è la comorbidità nelle persone
autistiche HF e Asperger (depressione, quadri
paranoici, evoluzioni psicotiche sfumate)
De Micheli, Ucelli et al 2012: tutti i soggetti già
diagnosticati (diagnosi clinica, ADI e ADOs) come
autistici HF o Asperger presso 2 altri centri sono stati
sottoposti ad un 2° assessment (presso CIRDIP
Università di Pavia) con una batteria che comprende:
AAA (Empaty Quotient e Asperger Quotient), SCID 1
SCID 2, SWAP, SCLSO, SASS, Hamilton 1 e Hamilton
2, Kennedy Asse 5 quotient , VGF
2/3 dei soggetti HF già diagnosticati hanno almeno un
altro disturbo su Asse primo. Alcuni più di uno
4/5 hanno almeno 1 disturbo su Asse secondo. Diversi
più di uno.
Il funzionamento globale non è proporzionale al
livello cognitivo e linguistico (per la presenza
particolarmente importante, nell’autismo, di
comportamenti disadattivi e, contemporaneamente, la
debolezza dei comportamenti adattivi)
La rappresentazione complessiva può sembrare a
prima vista piuttosto pessimistica….
Criticità degli studi di outcome:
sono adeguati?
E’ in corso una riflessione radicale sui criteri finora usati
per l’outcome delle condizioni autistiche. Negli ultimi 2
decenni questi criteri (e, con essi, l’intera letteratura
sull’outcome) si sono via via perfezionati e hanno
guadagnato in precisione, specificità e reliability.
Tuttavia l’outcome delle persone autistiche ha
continuato ad essere definito in stretto rapporto con gli
standard di adattamento «normale» e gli obbiettivi di
raggiungimento di autonomie delle persone non
autistiche. Nella quasi totalità questi standard e questi
obbiettivi sono di fatto inaccessibili alla quasi totalità
delle persone con autismo.
Già negli anni ‘90 (Halpern1993) era stata rilevata questa
incongruenza, assieme all’esigenza di introdurre nella misurazione
degli outcomes parametri relativi alla qualità della vita e
all’esperienza soggettiva (Quality of life as conceptual framework
for evaluating transition outcomes).
Diversi autori recenti (Billstedt et al 2011; Henninger e Taylor,
Autism, 2013) hanno ripreso il tema e messo in luce come pensare
e misurare l’outcome delle persone con autismo sulla «normalità»
delle persone senza autismo comporti alcuni rischi importanti.
Il primo è quello di distorsioni nella progettualità abilitative
complessive (impostate sulle aspettative sociali «standard» invece
che sul benessere e i bisogni individuali), in alcuni casi perfino a
costo di violente forzature «adattative», non rispettose delle
caratteristiche specifiche delle persone con autismo.
Il secondo è quello di oscurare e far ritenere poco importanti, non solo
nei progetti abilitativi ma nella comprensione stessa delle diverse
traiettorie evolutive, dimensioni invece fondamentali, come quella del
benessere personale, dell’esperienza soggettiva, della qualità di vita.
Il terzo rischio, correlato ai precedenti, è che omologare in una unica
immagine negativa (mancato raggiungimento degli obbiettivi standard)
outcomes di fatto molto diversi tra loro fornisce un comodo alibi al
disinteresse dei sistemi sanitari («tanto, c’è poco da fare»).
Viene spesso obiettato che man mano che entrano nell’età adulta
popolazioni di bambini autistici che, come è auspicabile, sempre più
hanno beneficiato di sistematici interventi precoci la grande
maggioranza di outcomes «poveri» e «molto poveri, stabile da 30 anni in
tutti i lavori che utilizzano i criteri «adattativi» tradizionali, potrebbe
sostanzialmente modificarsi.
E’una obiezione debole: al momento niente di più che una speranza; e i
pochi dati a disposizione, anzi, inducono a non farsi troppe illusioni.
Alcuni studi recenti quindi hanno cominciato ad integrare
negli studi tradizionali di outcome, accanto ai tradizionali
obiettivi adattativi di indipendenza, dimensioni che
riguardano la qualità di vita e il rapporto tra persona autistica
e il suo ambiente, largamente assenti nella letteratura
precedente; ad esempio, la considerazione «of the fit between
individuals and their environment» (Henninger e Taylor,
Autism 2013), o misure delle caratteristiche «autismfriendly» dei contesti e di come queste caratteristiche dei
contesti correlino col benessere, la qualità di vita, la
possibilità che le persone con autismo possano esprimere le
loro personali caratteristiche, abilità e competenze. (Bilstedt,
Gilberg e Gillberg, Autism 2011).
Evoluzione e setback
phenomenon

Vi è una differenza significativa tra
autismi con o senza setback
phenomenon: gli autismi con
regressione brusca tendono ad avere
una maggiore frequenza di epilessia,
maggiore compromissione linguistica e
sociale e, globalmente, una evoluzione
peggiore.
Evoluzione dell’Autismo : nuovi fattori
predittivi
Evidenze emergenti suggeriscono quali fattori
predittivi dell'evoluzione competenze
relazionali ed empatiche che sfuggono alla
misura grezza del QI e alla presenza "on off"
del linguaggio comunicativo a 5 anni (Sigman
1998; Koegel, 2000): abilità imitative,
aspetti di flessibilità cognitiva, abbozzi di
capacità di joint attention, di interattività, di
interesse alle emozioni altrui, iniziativa negli
scambi, iniziativa motoria.
Una parentesi sull’imitazione: un
fenomeno “primario” ?(Rogers 2006)
Lo sviluppo di capacità di imitazione di gesti e stati del
corpo correla con lo sviluppo di capacità di
interazione sociale (Sigman et al 1984, Smith e
Bryson 1994, Nikopulos et al 2003) e di “mappatura
degli schemi sé-altro”. Viceversa, l’assenza di abilità
imitative correla con un outcome cattivo
Lo sviluppo di capacità imitative fortemente correla e
addirittura predice lo sviluppo linguistico (Stone et al
1997, Wertet al 2003)
La presenza e l’attivazione di abilità imitative
determina la risposta agli interventi psicoeducativi e
la generalizzazione degli apprendimenti
L’imitazione. Un fenomeno
“primario”?


Studi di MEG e RMf hanno evidenziato atipie di
funzionamento in compiti di imitazione (Nishitani et
al 2004; Williams et al 2006; Dapretto et al 2006):
ipoattivazione dei circuiti “specchio” e iperattivazione
di altri circuiti. Le atipie sono proporzionali al livello di
autisticità
Zwaigenbaum, Bryson, Szatmari e coll (2005) in uno
studio clinico su una estesa popolazione a rischio
(fratelli) hanno dimostrato che l’assenza di
imitazione o problemi nell’imitazione precedono
l’emergenza di chiara sintomatologia autistica!
Principi di intervento: centralità
dell’imitazione, della reciprocità e
dell’intersoggettività



Le implicazioni per le strategie abilitative sono
importanti: si tratta innanzi tutto di cercare di attivare
il più precocemente possibile questo “motore”
dell’apprendimento sociale, di facilitare tutti i
comportamenti prosociali, interattivi,
contestualizzanti e di pragmaticità condivisa.
Coinvolgimento, attivazione e modulazione della
comunicazione emotiva. Sollecitazione alla
interazione “partecipata” (anche da parte del
terapeuta),alla reciprocità e alla iniziativa.
Contesti il più possibile naturalistici


Ciò va fatto molto attivamente, perché la debolezza
interattiva, imitativa e di iniziativa autistica “genera” a
cascata l’ esclusione da esperienze imitative ed
interattive normali e produce difficoltà sempre
maggiori negli scambi socio-comunicativi.
A fronte di ciò, diversi studi (Dawson et al. 1990,
Escalona et al. 2002) hanno mostrato invece che
bambini autistici, pur non iniziando lo scambio
imitativo, provano piacere ad essere imitati, cercano
di proseguire l’esperienza e rispondono aumentando
il comportamento imitativo
Evoluzione dell’ Autismo ed
interventi.
E' tuttora difficile stabilire un rapporto tra tipologie di
trattamenti ed esiti complessivi. Ciò sia a breve che
a lungo termine
A breve termine hanno portato prove di efficacia sia
alcuni trattamenti intensivi comportamentali precoci
(EIBI, Early Intensive Behavioral Interventions), sia
altri interventi meno intensivi e/o di tipo evolutivo,
focalizzati sull’intersoggettività, la joint attention e la
comunicazione.
Tuttavia non vi è alcuna evidenza di una “gerarchia”
di efficacia complessiva tra i diversi trattamenti
intensivi precoci (LGISS, 2012)
Evoluzione dell’ Autismo ed
interventi: Una recente metaanalisi
“..there is a strong evidence that EIBI (Early Intensive
Behavioral Interventions) is effective for some, but
not all children…and there is a wide variability in
response….there is also a need to demonstrate that
EIBI is substantially more effective than alternative,
high quality autism specific interventions…there
is a good evidence now, from a number of
randomized control trials, that other less intensive
interventions, particularly those focused on
communication and joint social interaction can
have a significant positive impact…”(Howlin,
Margiati e Charman, AJDD, 114, 1, 2009)
Autismo in età adulta. Fattori
predittivi ed interventi
A lungo termine, poi, la linea evolutiva di fondo sembra
ancor meno correlabile al tipo di trattamento.
Paradossalmente ciò è vero soprattutto per i casi che
vanno molto bene: nello studio di popolazione di Lotter
gli esiti "ottimi“ (vera indipendenza) erano l’8%. Questo
8% comprendeva autistici trattati nei modi più diversi.
In realtà è più facile indicare i predittori di un outcome
povero (QI>70, grave compromissione del linguaggio,
epilessia o altre comorbidità importanti) che quelli di un
outcome buono.
Autismo in età adulta
Chi aveva ragione? Itard o Pinel ?
Ovviamente gli interventi sono tutt’altro che
ininfluenti: influiscono intanto in modi diversi
sulla fisionomia delle abilità facilitate….
….vale a dire sui diversi aspetti di quella cosa
complessa ed eterogenea che è l’autismo…
Complessità dell’autismo,
complessità degli interventi
“..autism is a complex and heterogeneous disorder
characterized by impairments in social behavior,
communication and many aspects of learning, together
with fundamental problems in acquiring functional,
adaptive and flexible behaviors. Behavioral
approaches are an important element of any
comprehensive program (especially in the early
years), but other elements that focus more
specifically on social development and
communication will also be required for optimal
effectiveness” (P. Howlin et al., 2009)
Autismo in età adulta
ed interventi. Pinel o Itard?
La linea evolutiva di fondo inoltre sembra almeno in
parte in relazione non tanto alle singole tipologie di
interventi (al “marchio”) quanto alla loro precocità,
costanza, sistematicità, non genericità, coerenza e
durata nel tempo, in una atmosfera di sostegno. Se
questo avviene, le persone autistiche possono
continuare a lungo un loro percorso di crescita,
anche oltre l’età evolutiva.
Interventi precoci e Autismo in età
adulta
Cominciano a comparire evidenze che interventi abilitativi precoci
e specifici (sia di tipo comportamentista che evolutivo)
continuati coerentemente nel tempo, possano sortire esiti
lievemente migliori.
Dove ciò è attuato, nella scala degli esiti in termini globali di
autonomia e capacità adattive (“molto basso/
basso/mediocre/buono”), cioè nella OORS (Overal Outcome
Rating Scales) che Howlin e coll (2004) hanno elaborato
operazionalizzando specifici obbiettivi di indipendenza (nella
vita, nel lavoro, nelle amicizie…) vi è un lento ma significativo
spostamento verso l’alto delle relative percentuali (Howlin
2006)
Un periodo molto delicato:
l’adolescenza autistica
La maggioranza di adolescenti autistici non presenta
modificazioni più drammatiche degli altri coetanei ed
in alcuni casi addirittura presenta miglioramenti
inaspettati. (Kanner e al 1972; Rutter e Bartak 1973;
Wing e Wing 1980; Mesibov 1983; Park 1983)
Tuttavia in almeno il 30 % dei giovani autistici si ha un
importante peggioramento (Kobayashi et al 1992,
Ballaban-Gil et al 1996, Wing e Shah 2000) e in
alcuni casi la comparsa di sintomi (Seltzer et al 2003)
non presenti nell’infanzia
L'adolescenza autistica: un percorso
quasi impossibile
Il processo adolescenziale, le differenziazioni
che esso richiederebbe, i cambiamenti legati
alla montata pulsionale, impattano in un
apparato mentale e in un sentimento del sé
fragili e indifferenziati
Impossibile accesso ai “mediatori sociali” del
processo adolescenziale (gruppo dei pari
ecc.)
Percezione dolorosa della propria diversità
Vuoto di prospettive esistenziali
Depressione
L’adolescenza autistica: il vuoto di
prospettive esistenziali
Le forme sociali del “diventare adulti” sono del resto
inaccessibili…
Diminuisce la tolleranza sociale: anche nei casi in cui
frequenza e gravità dei comportamenti problema
diminuiscono essi sono meno tollerati socialmente….il
burden famigliare è il più grave di tutte le disabilità….
Di fronte all’adulto autistico ed ai suoi genitori si apre un
terribile vuoto conoscitivo, simbolico, di contesti, servizi
e dispositivi di intervento..
…o almeno vuoto di interventi pensati in un ottica
evolutiva.
La drammatica discontinuità
alla fine dell’età evolutiva
Una vera “terra di
nessuno”……testimoniata dalla diffusa
“sparizione” delle diagnosi…e, con esse,
soprattutto, della specificità del problema
e delle progettualità…
Il “dopo di noi”…e la prospettazione
impossibile del futuro…embricazioni
intrafamiliari sempre più patogene…
Eppure….
Evoluzione dell’autismo nell’età
adulta. Ciò che è possibile….
E’ dimostrato che quando adeguati servizi, contesti
e specificità di interventi sono mantenuti (Seltzer
2003, Orsi et al 2014) ed è mantenuta una
prospettiva verso una «adultità autistica» l’evoluzione
può proseguire anche oltre l’età evolutiva
Numerosi studi di follow up testimoniano la possibilità di
un significativo miglioramento, nel corso del tempo,
in età giovane-adulta e adulta, in diverse aree
sintomatologiche (core e non-core) e competenze
(Kanner et al 1972; Schopler et al 1980; Kobayashi
et al 1992; Piven et al 1996; Byrd et al 2002; Seltzer
et al 2003)
Evoluzione dell’autismo nell’età
adulta. Ciò che è possibile….
…nella comunicazione verbale e non verbale, nell’uso
appropriato degli oggetti, nella tolleranza ai
cambiamenti, nei livelli di partecipazione ad attività
collettive (Mesibov, Schopler et al. 1989)……
…in tutti i dominii indagati dalla ADI-R (comunicazione,
reciprocità ed interazione sociale, repertorio ristretto
e ripetitivo di interessi) (Seltzer 2003)….
…in tutte le aree della Vineland (Orsi, Barale, Ucelli et
al 2008); nei comportamenti adattativi e nella qualità
di vita (Orsi, Ucelli et al. in press)….
Le evidenze: Scale Vineland, uno studio
di follow up
Orsi, Pace, Ucelli & Barale 2008
Confronto dei dati raccolti a T1 con quelli
rilevati a 2 anni di distanza (T2) in un campione
di 20 soggetti.
 Scale Vineland (Sparrow et al., 1984): intervista
semi-strutturata somministrata al caregiver.
Comportamento adattivo suddiviso in 4 aree:

 Comunicazione
 Abilità quotidiane
 Socializzazione
 Abilità motorie
t(19) = 3.21, p < .001
t(19) = 4.44, p < .001
t(19) = 3.14, p < .01
t(19) = 4.63, p < .001
Il miglioramento può continuare!
Ma, se contesti e modalità di intervento
rimangono adeguati, dati ancora più
significativi si ottengono sul lungo
termine ….
L’utilità di un coerente intervento di lunga
durata: le evidenze
Tutti gli ospiti di Cascina Rossago sono stati valutati nel corso degli
anni trimestralmente per registrare le variazioni nei comportamenti
sia adattivi che disadattivi utilizzando una batteria di strumenti che
comprende:
Aberrant Behavior Checklist (ABC) – Community Version (Aman &
Singh, 1994).
• Diagnostic Assessment for the Severely Handicapped (DASH II) –
Sezione “Problemi comportamentali” (tr. it. Guaraldi et al., 2002).
• Adaptive Behavior Scale (ABS) – Residential and community, Part I
(Nihira, Leland & Lambert, 1993; forma breve di Hatton et al., 2001).
Il campione
• N = 23 (18 M, 5 F).
• Età media: 30 anni.
• Diagnosi di autismo secondo i criteri del
DSM-IV.
• Punteggio CARS medio: 41.20.
• Età mentale VABS media: 50.47 mesi.
Analisi delle subscale: ABC
L’ABC è composto da 5 subscale: irritabilità/agitazione,
letargia/ritiro sociale, comportamenti stereotipati,
iperattività, linguaggio inappropriato.
• Nessuna correlazione significativa con i valori delle
CARS.
• Regressioni multiple gerarchiche. La sola subscala
“irritabilità/agitazione” rilevata a T1 spiega una
percentuale unica della varianza dell’ABC a T2
controllando per le altre subscale rilevate a T1: 11.4%,
ΔF(1,17)= 6.61, p<.05.
Analisi delle subscale: DASH-II
5 subscale: comp. autolesionistico, controllo degli
sfinteri, condotta alimentare, disturbi del sonno, comp.
sessuale.
Quali spiegano una percentuale unica di varianza ad un
anno di distanza controllando per le altre subscale e per
i punteggi alla CARS? Regressioni gerarchiche:
• Autolesionismo: 12.3%, ΔF(1,17)= 9.64, p<.01
• Controllo degli sfinteri: 10.5%, ΔF(1,17)= 8.27, p<.05
• Disturbi del sonno: 5.8%, ΔF(1,17)= 4.57, p<.05
Analisi delle subscale: ABS
3 subscale: autosufficienza personale, autosufficienza
nella vita di comunità, responsabilità personale e sociale.
Quali spiegano una percentuale unica di varianza ad un
anno di distanza controllando per le altre subscale e per i
punteggi alla CARS? Regressioni gerarchiche:
• Autosufficienza nella vita di comunità: 5.2%, ΔF(1,17)=
12.54, p<.01
• Responsabilità personale e sociale: 2.0%, ΔF(1,17)=
4.94, p<.05
Risultati
Serie di ANOVA ad una via a misure ripetute.
• ABC-CV. Effetto del tempo statisticamente significativo
(decremento dei punteggi):
• sulla scala totale, F(4,19) = 3.22, p<.05, multivariate η2
= .404;
• sulla scala letargia, F(4,19) = 4.15, p<.05, multivariate
η2 = .466;
• sulla scala stereotipie, F(4,19) = 2.74, p=.059,
multivariate η2 = .366;
• sulla scala linguaggio, F(4,19) = 3.50, p<.05,
multivariate η2 = .424.
• ABS. Effetto significativo del tempo (incremento
dei punteggi):
• sulla scala totale, F(4,19) = 6.94, p<.001,
multivariate η2 = .594;
• sulla scala «autonomie personali», F(4,19) =
3.74, p<.05, multivariate η2 = .441;
• sulla scala «vita di comunità», F(4,19) = 4.89,
p<.05, multivariate η2 = .507;
• sulla scala «indipendenza», F(4,19) = 2.68,
p=.063, multivariate η2 = .361;
Evoluzione dell’autismo nell’età
adulta. Ciò che è possibile….
Questi dati dimostrano che sono possibili miglioramenti
significativi anche in aree che costituiscono il “nucleo
duro” dell’autismo in età adulta: le difficoltà nella
reciprocità sociale e comunicativa ritenute in genere
altamente stabili (Beadle-Brown et al. 2002; Billstedt,
Gillberg & Gillberg 2007), oltre che miglioramenti nei
comportamenti problema; e, soprattutto, nella qualità di
vita complessiva.
Dunque: non è vero che dopo l’età evolutiva non
siano più possibili interventi abilitativi…. Non è vero
che nessuna ulteriore crescita di competenze è
possibile in età adulta.
Oltre l’età evolutiva: «vuoti a
perdere»?
Non è vero che agli adulti con autismo si possa
solo erogare generica «assistenza».
L’opinione che dopo l’età evolutiva non ci sia più niente
di significativo da fare dovrebbe essere annoverata tra
le numerose false credenze che avvolgono
l’autismo. Una falsa credenza nefasta, che
«giustifica» discontinuità e cadute di progettualità
specifiche oltre l’età evolutiva, che rischiano di
annullare anche le acquisizioni precedenti
Nell’autismo, i giochi non sono mai del tutto fatti!
Non si «guarisce l’autismo», ma c’è moltissimo da fare
per le persone autistiche e per la loro qualità di vita.
Evoluzione dell’autismo: la
responsabilità dei sistemi di cura
…molte cose dunque possono cambiare nel corso della vita dei
bambini autistici che diventano grandi: sintomatologie prevalenti,
tipologie degli stili di relazione, comorbilità, capacità di adattamento
ed espressive, perfino il livello cognitivo (sia in meglio che in
peggio: Schopler e Mesibov 1983; Sigman e Cap 1997; Howlin
2004).
L’evoluzione delle diverse forme di autismo nell’età adulta
mantiene, in contesti «autism-friendly», inoltre un margine di
flessibilità, perfino negli aspetti nucleari, che comportano variazioni
importanti nella qualità di via complessiva …
Del destino delle persone adulte con autismo sono in larga
misura responsabili i sistemi complessivi di cura e la loro
capacità di dare risposte e organizzare contesti adeguati alle
esistenze autistiche anche in età adulta
Marco 2006->2002->2006. Il gesto, il sè corporeo, il sè agente.
Funzioni esecutive, concatenazione intenzionale. Trasformazioni
… e i risultati nefasti della “terra
di nessuno”
A fronte di queste evidenze, la maggioranza degli
studi testimonia che dove invece non siano
mantenuti, nell’età adulta, contesti ed interventi
adeguati, gli esiti tendono ad essere “poveri” o
“molto poveri” (Wing, 1971; Lotter, 1978; Engstrom
et al., 2003; Howlin et al., 2004; Billstedt et al., 2005;
Billstedt et al., 2007, Margiati 2014) con frequente
aumento delle manifestazioni non core dell’autismo
e peggioramento della qualità della vita in pazienti e
caregivers (Mugno et al., 2007), aggravamento dei
sintomi core (Gillberg & Steffenbaun, 1987;Billstedt
et al., 2007), comparsa importante di co-morbidità.
I nefasti effetti della “terra di nessuno”
Deterioramento” e scomparsa delle
competenze acquisite sono tipiche delle
collocazioni istituzionali, ma anche delle
ancor più frequenti “istituzionalizzazioni a
domicilio” (quando cioè non esiste
progettualità specifica verso l’età adulta).
Ma un’ altra evidenza importante da segnalare
è questa: non bastano buoni interventi
infantili per modificare l’evoluzione!!!
Come vedete da questa citazione….
Una considerazione importante
“On the whole, it would appear that the
huge increase in educational facilities for
children with autism over the past 3
decades has not necessarily resulted in
significant general improvements in
outcome for adults”
(Howlin et al., 2004)
In sostanza….
L’autismo è un’ area in cui l’adeguatezza di
interventi e contesti fa davvero radicalmente
la differenza
E’ una illusione pensare che il destino delle
persone autistiche in età adulta cambi con
interventi solo nell’infanzia: la continuità è
fondamentale
Non si guarisce dall’ autismo, ma si può fare
molto per la qualità di vita complessiva delle
persone autistiche.
Autismo in età adulta. Il pessimismo
dell’intelligenza
Tuttavia, anche nelle condizioni migliori, la
disabilità sociale rimane (Beadle-Brown et al.
2002) il nucleo duro e profondo dell’evoluzione
dell’autismo nell’età adulta. Esso può essere
significativamente
mitigato,
ma
comunque
permane, a prescindere dalle performance
cognitive, dalle abilità acquisite
interventi
e dagli
Evoluzione dell’ Autismo nell’età
adulta. Partire dalla realtà…..
Molti autistici potranno fare anche importanti progressi,
ma pochissimi diventeranno effettivamente autonomi.
Quasi tutte le persone con autismo avranno bisogno,
da adulte, per esprimere la propria umanità, di
contesti facilitanti ed organizzati, a diversi livelli di
protezione, a seconda del “loro” autismo.
Anche per le persone autistiche “high functioning” vi è
una discrepanza spesso irriducibile tra capacità
cognitive e sociali e capacità adattative in genere
(Siegel 1996, Klin 2004). Su 68 adulti con QI >50
Howlin trova che solo il 4% vive indipendentemente,
soli il 13 % ha un lavoro relativamente indipendente,
Ideologie, belle parole e difficili
pratiche
meno della metà ha amicizie o relazioni significative.
Nel complesso il 57% di questo campione
relativamente HF ha poor o very poor outcome!
Risultati simili in Eaves e Ho (2008) e Esbensen et al
(2010).
L’inclusione sociale delle persone con autismo è
dunque un problema particolarmente difficile
E se non si vuole solo fare bei discorsi ideologici o
andare incontro a fallimenti, della socialità vanno
ricreate e facilitate continuamente le condizioni.
Per sua natura l’autismo è un «problema limite» per le
tradizionali strategie di riabilitazione psicosociale
Ideologie, belle parole e difficili
pratiche
Qui sono i fondamenti stessi della socialità e dell’intersoggettività
ad essere radicalmente fragili.
L' "inclusione" delle persone autistiche deve dunque fare i conti con
questo nucleo profondo dell’autismo.
Ciò rende necessario tenere insieme entrambi i versanti del
problema: quello del lavoro sulle persone autistiche (per
facilitarne le competenze sociali) e quello sui contesti. Con
l’autismo non è mai né solo un problema di generica “inclusione o
solo di specifiche “tecniche” di interventi.
Tra generica “inclusione” e feticismo del singolo intervento
“tecnico” c’è sempre, in mezzo, fondamentale, il problema dei
contesti di accoglimento dell’esperienza autistica.
Problema che ha un duplice versante: etico e tecnico.
Autismo in età adulta:
la centralità del contesto
L' "integrazione" delle persone autistiche deve dunque
fare i conti con le difficoltà connesse a questo nucleo
profondo dell’autismo. Ciò rende necessaria e centrale
la riflessione sui contesti. Con l’autismo non è mai né
solo un problema di generica “inclusione”…… né solo
di specifiche “tecniche” di interventi.
Tra generica “inclusione” e feticismo del singolo
intervento “tecnico” c’è sempre, in mezzo,
fondamentale, il problema dei contesti di accoglimento
dell’esperienza autistica
Che ha un duplice versante: etico e tecnico.
Contesti per l’autismo: il versante
etico. Un esempio paradigmaico
Nessuno del resto chiederebbe ad un disabile motorio di
essere lui ad adattarsi a contesti pieni di barriere. Perchè
allora pretendere che persone per le quali la socialità,
implica difficoltà non inferiori a quelle di uno scalone per
un disabile motorio, siano loro ad adattarsi ad una
generica socialità? A reticoli caotici, instabili, incoerenti di
relazioni, interventi… servizi? Che spesso generano solo
ulteriore sofferenza, impotenza, umiliazione, ritiro: la
normale condizione di infelicità della maggior parte degli
adulti autistici, anche HF….
Vi è uno studio significativo: si tratta dell’unico studio
della letteratura che riporta un outcome decisamente
buono in un campione (41) di adulti autistici con QI >70
Centralità dei contesti. Il versante
etico
In questo studio (Farley MA, Fombonne E et al, Twenty-year
outcome for individuals with autism and average or near-average
cognitive abilities, Autism Research, 2009) più della metà dei
soggetti raggiunge un lavoro indipendente, più della metà un very
good o good outcome, solo il 17% un poor o very poor outcome.
Anche se più della metà vive con i genitori, la maggior parte
partecipa a varie attività sociali, da quelle della Chiesa ad attività
marziali…Perché questo dato così diverso da quelli che avete visto
prima, da quelli di Howlin e da tutti gli altri, anche recentissimi??
La risposta forse sta forse nella particolare popolazione dello studio:
tutti persone appartenenti ad una comunità religiosa molto coesa,
un contesto che dà importanza fondamentale alla integrazione di
ciascuno con la comunità, non come forzoso adattamento, ma a
partire dal rispetto e dalla valorizzazione delle specifiche
caratteristiche personali di ciascuno, disabili compresi.
Centralità del contesto: il versante
tecnico
Il versante Tecnico: come è noto ciò che è “naturalmente evidente”
per le persone non autistiche (che si formano automaticamente
«forward models» dell’esperienza, decifrano le intenzioni, non
hanno problemi di ToM o di coerenza centrale..) deve essere “reso
evidente” per le persone autistiche. E non è mai “evidente una
volta per tutte”.
Ciò implica organizzare contesti che tengano conto delle difficoltà
nucleari delle persone con autismo: ricchi di stimoli significativi ma
non caotici, adeguati ai bisogni di prevedibilità, comprensibilità,
coerenza, strutturazione ed organizzazione, dove ci sia attenzione
costante al problema della comunicazione….
Si tratta dunque di progettare non solo apprendimenti di competenze
(dai risultati spesso instabili e non generalizzabili) ma contesti di
vita pensati sulle caratteristiche dell'autismo in cui anche….
L’ evoluzione dell’autismo
Interventi e contesti
…anche quelle competenze faticosamente apprese possano
essere supportate, sedimentarsi, rafforzarsi trovare migliore
efficacia ecologica.
La generica immissione nella socialità di per sé, in quanto tale,
non è affatto utile, spesso anzi è dannosa.
Della socialità vanno in continuazione create, facilitate e
sostenute le condizioni, lavorando su entrambi i versanti: i
soggetti autistici e i contesti. Ciò vale, in modi diversi, sia per
i soggetti low functioning che per quelli high functioning!
(Howlin 2006).
L’inclusione va governata tecnicamente.
Tutti i dati a disposizione sui fallimenti dei tentativi di inclusione di
adulti con autismo anche senza deficit cognitivi in contesti
non “adatti” lo dimostrano.
“La realtà per una persona autistica è una massa
interattiva e confusa di eventi, persone, luoghi,
rumori e segnali. Niente sembra avere limiti netti,
ordine o significato. Niente è prevedibile. Gran parte
della mia vita è stata dedicata al tentativo di scoprire
il disegno nascosto in ogni cosa. Routines, scadenze
predeterminate, percorsi e rituali aiutano a introdurre
un minimo di ordine in una esperienza
inevitabilmente caotica..”
(T. Jollife, in T. Grandin Thinking in Pictures, 1995)..”
Abilitazione e riabilitazione per le
persone autistiche: quale inclusione?
Le persone autistiche sono molto differenti tra di loro.
Dunque non c’è una soluzione buona per tutti
Negli high functioning dovono essere continuamente
sostenute soprattutto la comprensione delle regole
implicite della socialità, degli stati mentali altrui e tutta
la struttura pragmatica, interattiva e comunicativoaffettiva del linguaggio a.”…Per loro, includibili
(spesso, non sempre) in contesti comuni, occorre un
lavoro di… “mediazione culturale”…
Nei low functioning sono invece in questione la capacità
stessa di organizzare in modo coerente l’esperienza,
di comprendere e prevedere il mondo….
Dall’evoluzione dell’autismo ai
contesti
…l’intero “chaining intenzionale”, sia in entrata che in
uscita, le capacità di “funzioni esecutive”, di
esperienza basale di un sé in grado di interagire in
modo prevedibile nel mondo interumano…
Per queste persone è necessaria la “creazione” di
contesti adatti, di vita e lavoro vero, che consentano
di progettare una adultità autistica….
Ovviamente il lavoro di interfaccia e “mediazione
culturale” necessario per rendere efficace l’inclusione
sociale di una persona high functioning è diverso
dalla vera “creazione” di contesti di vita e
integrazione adatti per persone autistiche con ritardo.
Quali contesti per l’autismo
Ma alcune caratteristiche sono comuni….
In termini generali, cos’è un “buon contesto” per l’autismo?
Una letteratura ventennale ne ha definito le caratteristiche: costanza,
strutturazione, stabilità, continua organizzazione, introduzione di
stimoli e di attività le più significative possibili (e le più adeguate alle
attività e alla vita reale di persone adulte) ma tarati sulle abilità
presenti o emergenti e proposti secondo modalità e tempi che
tengano conto sia della disabilità comunicativa che della difficoltà
delle persone autistiche a formarsi dei modelli anticipatori
dell’esperienza e dell’azione, di comprendere con fluidità e
spontaneità il significato di ciò che accade negli scambi
interpersonali, di immaginare le intenzioni e gli stati mentali
altrui…In sostanza contesti in grado di introdurre e sostenere
costanza, coerenza, prevedibilità, comprensibilità e significatività
strutturalmente fragili nell’autismo, di monitorare e ben interpretare i
comportamenti problema (analisi funzionale del comportamento)
.
Quali Contesti per l’autismo. Principi generali
In tali contesti le persone autistiche possono apprendere molte
cose, sviluppare competenze anche sorprendenti, diverse a
seconda del grado di compromissione cognitiva, raggiungere
qualità di vita soddisfacenti ed esprimere la loro particolare
umanità, anche se non raggiungono, nella maggioranza dei casi,
gli obbiettivi di autonomia e indipendenza delle persone a sviluppo
normotipico. In caso contrario il loro destino è spesso miserevole.
C’è un altro lavoro importante che vi voglio segnalare: Billstedt,
Gillberg e Gillberg, Aspects of quality of life in adults diagnosed
with autism in childhood: A population based study, Autism, 2011.
Questo lavoro rivisita un grande studio di outcome precedente
(Billstedt et al, Autism after adolescence. Population-based study
13-to 22-year follow up study of 120 individuals with autism, JADD
2005). Lo studio del 2005 valutava l’outcome in base al….
raggiungimento degli «obbiettivi» tradizionali di autonomia e
autosufficienza (lavoro, relazioni, abitazione) e dava una immagine
«catastrofica» dell’outcome dell’autismo: 78% poor o very poor, nessuno
good. Cosa fanno ora Gillberg e coll? Introducono, accanto ai vecchi, nuovi
parametri che riguardano non il raggiungimento astratto di obbiettivi
«impossibili», ma l’ esperienza soggettiva e la qualità di vita. In primo luogo
una nuova misura chiamata «Autism-Friendly Environment», che, su una
scala tra il «very good» e il «very poor», «misura» il contesto, in base a : 1.
Staff e caregivers hanno una specifica conoscenza dell’autismo? 2. E’
praticata una «educazione strutturata permanente»? 3. Sono previsti
programmi individualizzati e pensati per i singoli? 4. Le attività
occupazionali e quotidiane sono aspecifiche o corrispondono al livello di
capacità dei singoli? 5. Qual’ è la qualità di vita globale raggiunta? Accanto
a questa misura «dei contesti» introducono una valutazione (da «very
good» a «very poor») del benessere delle persone autistiche nei diversi
contesti.
I risultati sono drammaticamente diversi da quelli
pessimistici dello studio, sulla stessa popolazione, del
2005!
A parità di «non raggiungimento» di quegli obbiettivi
impossibili, le traiettorie di vita delle diverse persone
con autismo, la loro qualità di vita, il loro benessere e la
possibilità di esprimere la propria particolare umanità
variavano fortemente in funzione dell’assetto «AutismFriendly» oppure no del contesto.
In questi contesti, pensati per l’autismo, il 91% dei
caregivers indicava come «good» o «very good»
l’outcome complessivo.
Contesti per l’autismo. L’effetto
deleterio di contesti caotici,
aspecifici e disorganizzati
contesti viceversa non autism-friendly, caotici,
disorganizzati, genericamente inclusivi o di
“intrattenimento” sono deleteri. Alimentano i vissuti di
“antropologo su Marte”, di impotenza, isolamento,
incomprensione, passività, paura. Accentuano la
segmentazione e la de-significazione autistica
dell’esperienza, la chiusura nelle routines,
ostacolano l’utilizzazione delle residue capacità
imitative, di interazione, curiosità, rendono
intollerabili le variazioni; ..tutti aspetti che
presuppongono una forte coerenza di fondo e una
forte significatività riconoscibile del contesto
Effetti nefasti di contesti caotici e
disorganizzati: le evidenze
Anche su questo tema ci sono evidenze….
Una ricerca pilota italiana con la Stress
Survey Schedule (Orsi et al. in press)
La SSS (Groden et al., 2001) è l’unico test
standardizzato esistente al momento per la misura
del distress nell’autismo: valuta 8 aree (tipi di
stressor): cambiamenti, attesa e incertezza, eventi
sgraditi, eventi graditi, contatto sensoriale,
alimentazione, interazioni sociali, rituali.
strumento autocompilato (o somministrato al
caregiver); 49 item valutati su scala Likert a 5
passi.
Validazione della traduzione italiana (backtranslation)

Risultati - SSS



Interraters reliability buona; coeff. di
Spearman-Brown: 79% per la scala composta,
compreso tra 58% e 83% per le subscale.
Coerenza interna molto buona; α di Cohen: .90.
Regressione per valutare l’impatto delle
subscale sul punteggio totale: significativo con
p<.001 per tutte le subscale (nessuna
percentuale di varianza spiegata da CARS ed
età, nelle regressioni gerarchiche multiple).
[segue...]
30,0
25,0
23,8
24,6
23,1
20,0
14,2
15,0
11,7
10,2
10,0
6,4
5,0
3,1
tu
a
Ri
cia
ni
so
li
li
e
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a
At
t
Ca
m
bi
am
en
t
i
in
ce
rt
ez
za
0,0
Regressione lineare; variabile dipendente: scala composta. Distribuzione dei
coefficienti β std. per le singole subscale (espressi in % di varianza spiegata).
Correlazione parziale tra comp. disadattivi e
distress, controllando per la CARS
ABC
(T2)
DASH-II
(T2)
Cambiamenti
.49*
.28
Attesa e incertezza
.57**
.40+
Eventi sgraditi
.37
.13
Eventi graditi
.32
.17
Contatto sensoriale
.46*
.20
Alimentazione
.61**
.39+
Interazioni sociali
.32
.19
Rituali
.49*
.31
Alcuni stressors, sia endogeni (sensibilità ai
cambiamenti e presenza di rituali) che esogeni
(sovrastimolazione sociale, frustrazioni) incidono più
di altri sui comp. problema; meno rilevante il
verificarsi di eventi graditi o sgraditi. Alcuni
comportamenti disadattivi sono possibili target di
intervento mirato: autoaggressività (fattore che più di
ogni altro spiega il livello di comp. disadattivo, sia
all’ABC che alla DASH); problemi del sonno; controllo
sfinterico.
(SSS, studio pilota, Orsi et al. in press).
Il distress, nell’autismo, è fortemente
correlabile all’organizzazione o ai
momenti di disorganizzazione del
contesto.
Un inciso per psichiatri e amministratori: la
necessità di interventi e contesti specifici….
Contesti e servizi per l’autismo troppo spesso si appiattiscono da
un lato su quelli generici per le disabilità e il ritardo mentale
dall’altro su quelli per le “psicosi” (ciò a seconda che prevalga il
deficit o la bizzarria-isolamento). La scarsità stessa di risorse
induce all’omologazione in contenitori generici. Ma anche un
certo ritardo culturale della psichiatria italiana opera nella
stessa direzione. Sono ancora molto diffusi, del resto,tra gli
operatori dei servizi psichiatrici (e perfino della NPI), molteplici
pregiudizi infondati: ad esempio che l’autismo, sia una
condizione “infantile”, che nell’età adulta esso si “trasformi” in
qualcos’altro (ritardo mentale, “psicosi” o disturbi di
personalità…), che la sua origine sia “psicologica”….Scarsa
conoscenza esiste delle sue caratteristiche precipue e nucleari,
di cui occorrerebbe viceversa tener conto….
….un inciso per gli psichiatri…

Mescolare persone con autismo a
persone con disturbi psicotici o gravi
disturbi di personalità dovrebbe essere
considerata una autentica
“malpractice”!
Un altro aspetto da
considerare…
Dagli anni ‘80, contestualmente alle prime evidenze
sull’evoluzione dell’autismo nell’età adulta, assieme al
tema del contesto si fa inoltre strada quello della
necessità, in età adulta, di una tensione abilitativa non
astratta, ma strettamente integrata ai progetti di vita.
Non vi è nulla di più assurdo infatti, per una persona
adulta con autismo, non solo di contesti di puro
«intrattenimento», ma anche di interventi tecnici
(qualunque sia il loro «marchio») condotti fuori da una
coerenza tra strategie abilitative, contesti di vita e
prospettive esistenziali.
Ma come?
Contesti per l’autismo: i rischi di
un “eccesso” di strutturazione…



perdita di spontaneità e di visione finalizzata
“naturale” (già fragili)
alimentazione di sentimenti di passività e di
inefficienza di “se come soggetto
interagente”
accentuazione delle radicali strategie
ossessive autistiche (frammentazione,
isolamento,decontestualizzazione
dell’esperienza…)
Una strutturazione ben temperata
Cura e attenzione per le soggettività e il
contenitore affettivo collettivo
Principio ecologico: strutturazione
naturalistica ed ecologica del contesto,
stretta connessione tra attività abilitative e
progetto complessivo di vita
Fare assieme
.
L’attenzione per la soggettività
I rischi della situazione attuale:
1. Medicalizzazione e psichiatrizzazione precoce. L’idea del
«disturbo» da correggere occlude la percezione che si tratta
innanzitutto di «mondi», con specifiche caratteristiche, da
comprendere.
2. La difficoltà interattiva induce a interventi educativi eterodiretti,
che sottintendono l’idea che i soggetti autistici non siano in grado
di significare, a loro modo, il mondo (o che questo sia irrilevante),
ma debbano semplicemente essere «formattati» e adattati
3. Estensione di trattamenti educativi «somministrati» in assenza
di pensiero sulla relazione, come se si rivolgessero non a soggetti
ma a «cervelli rotti» da rieducare. Queste metodologie di
intervento curiosamente finiscono con il replicare proprio il
famigerato concetto bettelheimiano di «fortezza vuota»
Queste impostazioni, che purtroppo stanno dilagando, prima
ancora che deboli sul piano psico-pedagogico (non c’è
apprendimento ed educazione efficace possibile, neppure nei
disabili, senza dimensione emozionale ed affettiva, senza
l’attivazione di processi comunicativi) e discutibili sul piano etico
(come tutti i metodi di intervento che non considerano la persona,
per favorire o sviluppo del suo potenziale, nel rispetto delle sue
specificità) hanno forti limiti proprio sul piano tecnico e scientifico.
Poco più di 10 anni fa, nel 2002, R. Vianello, introducendo la
traduzione di E. Ziegler e D. Bennet-Gates, Personality in
individual with mental retardation, Cambridge University Press,
1999, che riassume la quarantennale ricerca della scuola di Yale di
E. Zieger, richiamava l’attenzione sullo “sconcertante divario …..
…tra lo sviluppo della ricerca sull’importanza, nelle persone con
disabilità cognitive, dei sistemi motivazionali, di personalità e del
sé, e la scarsa o nulla ricaduta di tale sviluppo nei luoghi e tra
coloro che di quelle disabilità si occupano».
La presenza di disabilità cognitiva “mangia tutto”; tutto viene ad
essa ricondotto e la percezione stessa dei mondi personali messa
da parte. Grave errore, anche tecnico, perchè…
 “la personalità e i processi motivazionali del sistema del sé
costituiscono il fulcro attorno al quale ruotano tutti gli altri
processi psicologici, pedagogici e di autoregolazione volti a
potenziare il comportamento nelle persone con ritardo mentale”
(Switzly, “Motivazione intrinseca e processi del sistema del sé in
persone con ritardo mentale”, in E. Ziegler e D. Bennet-Gates,
cit).
Non per nulla tutto un filone della psicologia contemporanea ha
correlato, anche nelle persone con disabilità, la considerazione di
questi aspetti (motivazione intrinseca ecc.) non solo all’ efficacia
degli apprendimenti ma anche al benessere e alla qualità di vita
(Deci E.L., Ryan R.M. 1991)
I diversi tipi di disabilità pongono del resto diversi problemi
abilitativi anche in relazione ai diversi stili personologici. Costrutti
come gli stili che Ziegler ha definito “Tendenza alla reazione
negativa”, “Tendenza a farsi guidare dall’esterno”, “Tendenza alla
reazione positiva”, “Aspettativa di successo e motivazione di
competenza” dovrebbero/potrebbero diventare costrutti che
consentono una modulazione di interventi, strategie abilitative e di
relazione più rispettosa delle singole caratteristiche.
Il divario denunciato è ancora maggiore quando è presente una
grave disabilità comunicativa, come nell’autismo, per le specifiche
difficoltà nella socialità che lo caratterizza: in questi casi le persone
sono ancor più spesso trattate come se non fossero dei soggetti
portatori, come tutti, di un’esperienza ed è particolarmente
frequente una deriva di interventi e contesti verso una “adaptation”
che non solo trascura gli aspetti personologici, ma neppure si
interroga sugli aspetti di stentata comunicazione o comunque di
segnale che i comportamenti problematici spesso hanno. Il rischio
dunque è quello di trattare i soggetti disabili non come persone,
che esprimono a loro modo e nei loro limiti disfunzionali una loro
embrionale soggettività, ma come cervelli rotti o mal programmati
che secernono un agglomerato insensato di deficit comportamentali
e cognitivi da correggere o silenziare in qualche modo.
Una strutturazione “ben temperata”.
Strutturazione e soggettività
Coerenza di fondo e strutturazione non sono solo una
questione di organizzazione “esterna”.
Il rischio di trascurare soggettività e dimensione
personologica è elevatissimo dove ci si occupa di
disabilità gravi, dove invece cura e attenzione per le
soggettività sono tanto più importanti proprio perché in
presenza di sé feriti e fragili
Strutturazione del contesto implicano la costruzione e
l’alimentazione continua della sua coerenza affettiva,
il governo delle sue dinamiche, della trama delle
rappresentazioni condivise, delle sensibilità agli
aspetti personali..
Una strutturazione ben temperata. La
soggettività
Le tradizionali, indispensabili, tecniche comportamentistiche sono
sistematicamente utilizzate trasponendole in un registro
fortemente relazionale.
Ad esempio, la classica analisi funzionale dei “comportamenti
problema” è il punto d’avvio di un sistematico lavoro per
sviluppare, nell’équipe e in équipe, una “teoria della mente”
delle esperienze delle persone autistiche, per organizzare
quella trama ipotetica di significati condivisi che consente di
pensarli come “soggetti”, non come “emettitori” di
comportamenti. Trama condivisa e costantemente in
elaborazione nelle quotidiane discussioni di gruppo e che fa
parte della costruzione della coerenza (affettiva) di fondo del
contesto
Intervento educativo,
soggettività, persona
Importanza centrale viene data alla motivazione, al
coinvolgimento in attività significative, alla attivazione
e modulazione della comunicazione emotiva, alla
sollecitazione dell’interazione e dell’iniziativa
L’ intervento educativo, nel suo complesso, dalla
progettazione delle attività,al monitoraggio, alla
valutazione, non si riduce meccanicamente al
bilancio delle abilità” (presenti, assenti o emergenti)
ma tiene conto della dimensione personologica, oltre
che delle caratteristiche nucleari dell’autismo.
Una strutturazione ben temperata. Il
principio ecologico
“principio ecologico” vuol dire stretta e costante connessione tra
attività abilitative, interventi educativi e progetto complessivo di
vita. L’intervento educativo non riguarda mai competenze
astratte, ma la vita di tutti i giorni (quella che Canevaro chiamò
una volta “la psicomotricità dello spazzolino da denti”). Ma tutte
le attività hanno questa impronta: il lavoro non è “ergoterapia” o
“terapia occupazionale” ma “lavoro vero” (nei limiti individuali), la
musica non è “musicoterapia”, ma suonare insieme…l’attività
sportiva o di gioco non è “…terapia”, ma basket,
trekking…l’allevamento e la cura degli animali non sono “pet
therapy”, ma lavoro in stalla…. E’ un altro aspetto della
coerenza e dell’organizzazione del contesto, che garantisce
significatività e comprensione della significatività.
Una strutturazione ben temperata. Principio
ecologico, “fare assieme”, imitazione.
Se il principio ecologico è al centro del “cosa” dell’intervento educativo,
il “fare assieme” e l’imitazione sono al centro del “come”.
Nel “fare assieme” o “problem solving condiviso” l’intervento educativo
non “somministra” dall’esterno compiti: è innanzitutto interazione e
recupero comune di significatività (pur utilizzando tutto
l’armamentario di tecniche comportamentali)
Il principio del «fare assieme», fondamentale per sviluppare
generalizzazioni e abbozzi di una autentica autonomia che si
sviluppi dall’interno e non venga solo fragilmente «appiccicata»
dall’esterno, è peraltro centrale da sempre in tutte le grandi
pedagogie interattive, che non si limitano ad «addestrare»
dall’’esterno, ma partono dalla soggettività e dalla costruzione di
una «alleanza educativa» (Montessori, Bruner, Wallon, Decroly,
Wygotskij…..Micheli)
….secondo quel fondamentale principio, che dovrebbe
valere per tutti, disabili e non disabili, che
« l’ intervento educativo non è solo formazione dal di
fuori: è innanzi tutto svolgimento dal di dentro. Non c’è
educazione che non si basi sullo sviluppo e sul rispetto
delle caratteristiche naturali, che non abbia un senso
per chi ne è coinvolto, suscitando in lui motivazioni ed
interessi e non sia solo o prevalentemente un
soggiogamento delle inclinazioni naturali e di
sostituzione, al loro posto, di abiti acquisiti attraverso la
pressione esteriore o un insieme di punizioni e
ricompense» (J. Dewey, Esperienza ed Educazione)
Importanza dei contesti
 “in contesti adatti e strutturati, in cui altre persone
attivamente iniziano l’interazione e mantengono la
prossimità (è ciò che noi chiamiamo “fare assieme”)…le
persone autistiche rispondono alle proposte di
coinvolgimento sociale molto di più di quanto si
pensi….interagiscono in modi inaspettatamente
coerenti …eseguono compiti anche
complessi…viceversa hanno molte difficoltà ad
iniziare loro stesse l’interazione e a mantenere
coinvolgimento e coerenza se collocati in contesti
non strutturati”(M. Sigman 2001)
L’alternativa non urbana
-
-
Perché “l’alternativa non urbana” è, da questi punti di
vista, particolarmente interessante per l’autismo?
Innanzi tutto perché è un modello non velleitario, non
ideologico di “inclusione sociale”, rispettoso delle
caratteristiche delle persone con autismo. Il contesto
rurale della cascina risponde con facilità alle
caratteristiche generali che dovrebbe avere un
“contesto sufficientemente buono” per l’autismo: è
semplice e ad un tempo ricco di stimoli e attività
significative, di cui si vede l’inizio, la fine e il fine…è
fortemente coerente,ha una ritmicità e prevedibilità
naturale che va incontro ai bisogni di autistici di
coerenza, comprensibilità…
Una opzione possibile: l’alternativa
“non urbana”. L’esperienza di Cascina
Rossago
Le farm communities: contesto particolarmente adatto
all’autismo nell’età adulta, sia come percorso di
emancipazione dalle/delle famiglie sia per lo sviluppo
di modalità di intervento fondate sui principi descritti:
organizzazione di insiemi coerenti e significativi,
principio ecologico, fare-assieme…Va incontro
facilmente ai nuclei fondamentali della disabilità
autistica e alle condizioni perché queste persone
vivano bene tra noi e possano esprimere la loro
umanità
(Giddan e Giddan 1996; Barale e Ucelli 2006; Mesibov
2011)
…un po’ di storia
1. radici molteplici del “modello non urbano” e del movimento delle
“farm community”
2. impronta anti-istituzionale iniziale, ribellione al destino
manicomiale…iniziativa “dal basso.
Sommerset Court (Inghilterra1974); Rusty’s Morningstar Ranch (USA
Arizona 1980); Dunfirth (Irlanda 1982); Ny Allerodgard (Danimarca
1982); Bittersweet Farm (USA Ohio 1983); La Garriga (Spagna
1984); Leo Kannerhuis (Olanda 1987); La Pradelle (Francia
1987); Hof Meyerwiede (Germania 1988); Carolina Living and
Learning Center (USA North Carolina 1990); Cascina Rossago
(Italia 2002).
3. Caratteristiche comuni:
a)
individuazione del contesto rurale come quello più adatto;
b)
insediamenti abitativi non “istituzionali”, ma aperti e famigliari;
c)
arco esteso di attività adatte sia a low che high functioning
(agricoltura, allevamento, trasformazione dei prodotti);
d)
strutturazione del contesto;
e)
progettazione individualizzata degli interventi e delle attività;
f)
attenzione alla dimensione ludico-espressiva del piacere, delle
motivazioni;
g)
“lavoro vero”;
h)
importanza centrale della comunicazione;
i)
costante apertura all’esterno e al territorio (non luoghi di
“intrattenimento”);
j)
principio “ecologico”;
k)
“fare-assieme” come cardini degli interventi.
Cascina Rossago propone un
intervento ecologico
• Lavoro agricolo, attività terapeutiche educative,
spazi e tempi del vivere quotidiano, occasioni di
integrazione nel territorio, costituiscono una realtà
di esistenza e di cura globale.
• Ogni apprendimento ed intervento educativo è
contestualizzato ed ha un significato riconoscibile.
Il lavoro
Insieme alle attività della
vita reale e all’abitare
diventa uno dei
passaggi obbligatori
per poter rispondere
alla domanda “cosa
farò da adulto”.
Il contesto rurale della cascina risponde
con facilità alle caratteristiche generali
che dovrebbe avere un “contesto
sufficientemente buono” per l’autismo: è
semplice e ad un tempo ricco di stimoli e
attività significative, di cui si vede l’inizio,
la fine e il fine…è fortemente coerente,ha
una ritmicità e prevedibilità naturale che
va incontro ai bisogni di autistici di
coerenza, comprensibilità…
La raccolta del fieno
La raccolta delle mele
Falegnameria
Sul «lavoro» delle persone autistiche: una
riflessione e alcune considerazioni
«politicamente scorrette».
Tante volte in questi anni abbiamo dovuto confrontarci con una
osservazione: il lavoro vero dovrebbe essere retribuito e inserito nei
«normali» scambi economici. Quindi, anche le persone autistiche, se
si vuol dare veramente ad esse dignità di «lavoratori», dovrebbero
essere inserite, in qualche modo, in quei circuiti. Il condizionale è
d’obbligo, dato che il lavoro, ahinoi, manca per tutti, figuriamoci per
persone così fragili! Ma non è questo il solo aspetto di questa
osservazione su cui vorrei ragionare con voi.
Vi è in essa infatti, insieme, un aspetto importante e il rischio di una
deriva «adattativa»
Cosa ci proponiamo infatti dal lavoro? Quale lavoro? Se la finalità è
cercare di ampliare il più possibile le capacità sociali delle persone
autistiche e il sentimento basale di autostima che il lavoro consente,
esso può essere perseguito in modi diversi.
Ad esempio, a Cascina Rossago il lavoro, che parte da quanto le
persone sono in grado di fare, dalle loro caratteristiche e nel rispetto
di esse, ha un forte valore comunitario, identitario e sociale, dentro e
fuori la Cascina, anche se i nostri lavoratori non sono «pagati» e il
compenso di ciò che fanno non è direttamente monetario. Molte
iniziative sono in corso…
Vi sono altri modi. Il lavoro che svolgono diverse cooperative sociali
«B» sfugge ad esempio a quell’obiezione. In diversi casi è un lavoro
eccellente, comunque difficile e particolarmente delicato nel caso
dell’autismo, per le difficoltà sopra dette.
Vi sono tuttavia anche molti casi, invece, in cui l’obiettivo perseguito
sembra non tanto quello di offrire un lavoro significativo, favorire
nelle persone autistiche il benessere personale e l’espressione
della propria umanità, ma l’adattamento in quanto tale; in cui magari
l’ item «lavoro» può essere valutato come fair o good alla OORS di
Howlin, ma attraverso inserimenti meccanici in attività ripetitive e
demotivanti, che corrispondono a condizioni di sostanziale infelicità
(un paio di ore ad attaccare francobolli ….)
Situazioni in cui è assai dubbio che a quel lavoro (anche se inserito
in un circuito economico «vero») corrisponda alcun vero significato;
che anzi spesso utilizzano, a scopo «adattativo» proprio la
passività, la frammentazione dell’esperienza, l’isolamento,
l’ossessività e la deprivazione di senso autistica; in cui rischiamo si
smarrire proprio il nucleo di significato più profondo di ciò che
cerchiamo nel lavoro.
Al limite estremo di questa ideologia dell’adattamento per
l’adattamento, ci sono quei casi in cui persone adulte con autismo
sono «collocate» in attività (in genere piuttosto tristi e ripetitive) in
aziende che vengono «pagate» dai servizi sanitari perché le
facciano lavorare, o meglio, il più delle volte perché facciano finta
di farle lavorare come finti lavoratori «normali», cui girare poi parte
di quel che le aziende ricevono come finto stipendio. In sostanza:
«far finta di essere normali».
Certo, in alcuni casi può andar bene anche questo, faute de mieux.
Ma, ripeto, dobbiamo intenderci: «quale lavoro»? che significato?
Vi proponiamo su questo tema la riflessione che un grande filosofo
contemporaneo ha dedicato al lavoro a Cascina Rossago:
«…a Cascina Rossago il lavoro è un tratto fondamentale e
costante. Tutti lavorano, in modo proporzionato alle loro capacità,
alle loro attitudini, in una necessaria connessione operativa con
tutti. Ma in che senso lavoro?
Niente a che fare con l’ergoterapia o con attività astrattamente
decontestualizzate..si tratta di lavoro vero, nel senso delle cose
che sono da fare e che non è possibile rinviare o trascurare; lavoro
che concerne in modo evidente e diretto la vita comunitaria del
gruppo, qualcosa del cui significato e della cui importanza si ha
sempre immediata e palpabile evidenza. Se si riflette su questo
dato, si comprende quanto il nostro concetto di lavoro, così come
lo frequentiamo nelle nostre società economicamente avanzate, si
sia allontanato dalla sua base originariamente comunitaria e dalla
sua essenzialità vitale…raggiungendo livelli di astrazione
impensabili: nessuno più può vedere direttamente con i suoi occhi
l’utilità collettiva del lavoro che compie…ognuno lavora per se
stesso, per il suo privato profitto, confidando nella sensatezza
(spesso in vero problematica) del tutto al quale appartiene…
Esperimenti come quello di Cascina Rossago riconducono i suoi
partecipanti alla percezione delle radici dell’umano convivere,
immettendo le azioni quotidiane di tutti in una sensatezza collettiva
di mezzi e di fini che la complessità della vita sociale moderna ha di
fatto oscurato, quando non dimenticato del tutto. La condizione di
vita di Cascina Rossago non è allora affatto una dilatazione,
sospensione o rarefazione dei rapporti sociali, al contrario,
riconduce i rapporti sociali e le esigenze economiche alla loro
originaria radice di senso, alla loro necessità e bontà costitutiva, alla
loro genuina radice comunitaria, dove la relazione e lo scambio, il
sostegno e il soccorso si rivelano fattori imprescindibili del successo
immediato di ciò che si fa e per le esigenze ritornanti della vita di
tutti i giorni».
Carlo Sini, in L’Orchestra Invisibile di Cascina Rossago, Jaca Book, 2014.
“From shared actions to shared
minds”
Tra le caratteristiche nucleari dell’autismo messe di recente in luce
va ricordata la difficoltà (secondo Rizzolatti per un difetto dei
circuiti mirror) nel percepire il “why”, l’intenzione delle azioni e
nell’inserirlo spontaneamente nelle sequenze motorie
intenzionali, sia nell’esecuzione che nella comprensione. Al
posto di insiemi coerenti e gestaltici, le sequenze sono
frammentate…assemblate pezzetto dopo pezzetto
Cominciano tuttavia a comparire dati sperimentali (Boria e al.2009)
che indicano come persino questa tipica frammentazione, la
difficoltà ad introdurre fluidamente la “finalità” (il why) nella
comprensione immediata delle azioni osservate e nella
spontanea programmazione di quelle eseguite, è sensibile al
contesto…. si riduce o scompare se la sequenza motoria è
inserita in un contesto significativo e pragmatico condiviso
il “perché” dell’azione e il ruolo del
contesto :“from shared actions to
shared minds”


…. In un ricco contesto pragmatico condiviso
perfino persone autistiche molto gravi
identificano l’intenzione….riescono a
comprendere “cosa” e “perché….ad
organizzare sequenze coerenti…
Cascina Rossago: Cristiano in stalla
Cascina Rossago: gli alpaca
Cascina Rossago: la tessitura
Stalla Cristiano
Un inciso sulle stereotipie
Mi è capitato recentemente di leggere, con un certo raccapriccio,
alcuni interventi, che sostenevano l’opportunità di una
«soppressione» comportamentale delle stereotipie, come se
fossero delle escrescenze da estirpare. La rozzezza di interventi di
tale natura su fenomeni così complessi come le stereotipie (che
sono ben altro che automatismi insensati, come una letteratura
centenaria sul tema indica) non meriterebbe neppure una replica,
sul piano scientifico; purtroppo è necessario farne cenno, come
esempio tipico di quell’atteggiamento generale insieme eticamente
riprovevole e tecnicamente inadeguato che ricordavamo:
l’atteggiamento di chi accosta i mondi autistici senza attenzione e
rispetto per le loro specifiche modalità di funzionamento e non si
pone il problema di come organizzare, proprio a partire da quella
specificità, occasioni e spazi di incontro, di apprendimento, di
espansione di capacità….
Un inciso sulle stereotipie
«molti bambini con autismo sviluppano manie e stereotipie…alcuni
insegnanti fanno l’errore di cercare di eliminare queste fissazioni
mentre invece dovrebbero cercare di svilupparle e incanalarle in
attività costruttive….le manie forniscono una grande
motivazione…» (T. Grandin, Emergence. Labeled Autistic,1993)
«non preoccupatevi che ripetizione o ritualità possano alimentare le
stereotipie o i comportamenti ossessivi. Anzi, proprio il fatto che
rituali e routine vengano prodotti spontaneamente dimostra che
questo è uno specifico modo di funzionare del bambino autistico,
che quindi va rispettato e messo al servizio dei bisogni di sviluppo
ed apprendimento» (E. Micheli e C. Xais, Gioco e interazione
sociale nell’autismo, 2001)
J. Carr, Il problema di comportamento è un messaggio, Eikson,
1998
Alpaca
TESSITURA
Tessitura
CERAMICA
…ancora sul “problem solving
condiviso”
Contesti coerentemente organizzati da questi principi
consentono apprendimenti “naturalistici” anche
sorprendenti. E, all’osservatore, consentono quella
che Enrico Micheli ha chiamato «la sorpresa di
constatare, oltre al deficit, la piacevole scoperta di
imprevisti elementi positivi da incrementare»
Cascina Rossago: risvegli
Cascina Rossago: apparecchiatura
In pizzeria
Risvegli
Apparecchiare
In pizzeria
MUSICA

E persino tolleranze sensoriali
sorprendenti….
Cascina Rossago: basket
Basket
…addirittura abbozzi di identità sociale…
Cascina Rossago: il “manutentore”
Il “manutentore”
Un aspetto da ricordare: autismo di
laboratorio e autismo ecologico
Da tempo è riconosciuta la discrepanza tra quanto si
vede in laboratorio e quanto si vede in contesti
ecologici:
Da tempo è riconosciuto che le strategie artificiali di
apprendimento utilizzate in laboratorio o attraverso
metodologie di parcellizzazione delle sequenze
intenzionali non producono generalizzazione degli
apprendimenti, non corrispondono a capacità
“spontanee” e sono difficilmente spendibili in contesti
“normali”; in particolare le competenze «sociali».
Da ciò la necessità di sviluppare sempre più
osservazioni e interventi in contesti naturalistici.
Autismo di laboratorio e autismo
ecologico
E’ ciò che abbiamo chiamato «principio ecologico».
Ma, ancora più interessante è che in contesti ecologici
rispettosi delle caratteristiche delle persone con
autismo, anzi, pensati sulle loro caratteristiche,
compaiono, anche in LF, competenze impreviste per
i modelli di laboratorio.
In contesti “naturali” adatti infatti è possibile osservare
non solo “zolle” di abilità, ma oscillazioni
sorprendenti all’interno delle stesse abilità e
disabilità, che pongono rilevanti problemi ai modelli
“di laboratorio” e che testimoniano della presenza,
nell’autismo, di tutti gli ingredienti dell’umano
….a conclusione….
Dobbiamo abituarci a pensare gli autismi non in
termini di puro deficit, ma come sviluppi
atipici, “debolezze piene”, cioè forme di
esistenza che si sviluppano a partire da una
debolezza interattiva originaria, da una
difficoltosa “evidenza naturale” del mondo
interumano, e in cui gli ingredienti
dell’umano si organizzano di conseguenza
in combinazioni e prospettive diverse ed
atipiche…
…ma nella debolezza piena autistica nulla
è statico, immutabile, puramente
difettuale. Neppure la disprassia, o il
deficit di EF o, entro certi limiti,
l’insufficiente consapevolezza del “séagente”. Qualcosa, magari di piccolo, si
può fare.
Cascina Rossago: Marco dal 2002 al 2005
Marco 2006->2002->2006. Il gesto, il sè corporeo, il sè agente. Trasformazioni
.
.
.
“il ‘deficit’, nell’autismo, non è mai né statico né
globale”
(Frith 1989)
“non c’è questione, nell’autismo, che si tratti del
linguaggio, della comunicazione, dello
sviluppo cognitivo, che si presti a risposte
semplici ed uniche”.
(Lord 1997)
….a conclusione….
…. certo le prospettive autistiche possono
essere anche molto atipiche…
I collaboratori
Stefania Ucelli di Nemi, psichiatra, fondatore e direttore di Cascina
Rossago, già professore aggregato di Psichiatra Università di Pavia
Pierluigi Politi, professore ordinario di Psichiatria e responsabile
laboratorio autismo DSSAP Università di Pavia, musicista
Marianna Boso, specialista in psichiatra, dottore di ricerca in
neuroscienze, musicista
Enzo Emanuele, biologo molecolare
Paolo Orsi, psichiatra
Alessandro Pace, psicologo, dottore di ricerca in Scienze Sanitarie
Davide Broglia, psichiatra, musicista, già giocatore di Basket Serie A.
Elena Croci, tecnico della riabilitazione psichiatrica
Marta De Giuli, tecnico della riabilitazione psichiatrica