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5. I procedimenti di rito camerale
puro
Lezioni di diritto fallimentare
Anno accademico 2013/2014
Il regime previgente
del camerale “puro”
Il regime previgente era caratterizzato da una
diffusione piena del modello del rito camerale
puro, richiamante le poche e scarne
disposizioni degli artt. 737-738-739 c.p.c., con
un modello che meglio rispondeva all’esigenza
di urgenza ed effettività del processo
fallimentare, per le conseguenze di un
maggior controllo del processo da parte del
giudice e di una migliore espressione dei
poteri del giudice medesimo.
L’esperienza dell’impugnativa degli atti
degli organi della procedura
Il fenomeno era particolarmente evidente ed è
esploso in tutta a sua contraddittorietà con
l’assetto delle garanzia costituzionali, in
relazione alla impugnativa degli atti del
curatore e del giudice delegato,
rispettivamente artt. 36 e 26 l. fall.
Il problema
Nei reclami avverso gli atti degli organi
fallimentari, erano assai spesso erano coinvolti
diritti soggettivi come il diritto al compenso
degli ausiliari del curatore (avvocati,
consulenti tecnici) e il diritto ad una corretta
ripartizione del ricavato da parte dei creditori.
Poteva la tutela dei diritto soggettivi seguire le
forme camerali pure?
il termine
Nonostante che, gli atti degli organi incidessero su
diritti soggettivi, si è da un lato adottato la
disciplina del camerale puro, sostanzialmente
priva di una disciplina processuale, e si è previsto
poi un termine per l’impugnativa, di non più di 3
giorni che maturava dalla data del decreto da
reclamare anziché dalla conoscenza dell’atto da
impugnare.
L’impatto costituzionale
La Corte costituzionale ebbe agio di intervenire
con un’antica sentenza, inizialmente
interpretativa e di rigetto (n. 118/63), che risolse
il problema con la semplice esclusione
interpretativa della applicazione delle forme
camerali e, stante le oscillazioni della Corte di
cassazione, con una successiva espressa
declaratoria di incostituzionalità con la sentenza
n. 42 del 1981 (in materia di riparto) e con la
sentenza n. 303 del 1985, in materia di compensi.
Il vuoto normativo
Ne scaturiva, dunque, un vuoto normativo
colmabile innanzi alla persistente inerzia del
legislatore in via interpretativa: assoggettare
ad un’azione ordinaria, priva di decadenze,
l’impugnativa degli atti che incidessero su
diritti soggettivi.
La Corte interviene sui termini
La Corte interviene pure sui termini con le
sentenze nn. 303/1985 e 156/1986,
escludendo la costituzionalità di un termine
che muove dalla data del provvedimento
anziché dalla data di conoscenza del
provvedimento.
La Corte di Cassazione dissente
Nonostante ciò la Corte di legittimità non ha ritenuto di
colmare il vuoto normativo con le modalità enunciate
esprimendo:
- un indirizzo minoritario che contro gli atti degli organi
prevedeva il solo ricorso straordinario ex art. 111 Cost.
(con verifica di profili solo di legittimità e non di merito
e senza controllo di motivazione sino al 2006);
- un indirizzo maggioritario – poi diffusosi pienamente
– che offre un’operazione di creatività
giurisprudenziale, suggerendo una disciplina
costituzionalmente orientata al rito camerale.
La lettura costituzionalmente orientata
del giudice di legittimità
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Ne è seguita la “invenzione” di un rito camerale per la
impugnativa degli atti degli organiche incidessero su diritti
soggettivi ove:
Il termine per impugnare è diventato ordinario, di 10
giorni ex art. 739 c.p.c. dalla comunicazione e/o dalla
notifica;
Si è esteso il procedimento al contraddittorio pieno delle
parti e del contro interessato, imponendo la notifica del
ricorso e del decreto con termini dilatori e consentendo
una istruttoria;
Si è imposto al decreto conclusivo una motivazione;
Si è applicato il regime previgente ai soli atti di mera
gestione o liquidazione, non in grado di incidere sui diritti.
I persistenti dubbi di costituzionalità
Nonostante la lettura costituzionalmente orientata del
giudice di legittimità, con la revisione dell’art. 111
dovuto a legge cost. del 1999:
- é rimasta violata la riserva di legge nella disciplina dei
processi sui diritti (art. 111, 1° comma cost.);
- é rimasta violata la previsione di un’alternativa di un
processo a cognizione piena (art. 111, 2° comma cost.),
in considerazione dell’autosufficienza del rito camerale
che non tollera alternative e a se stesso e
particolarmente un processo a cognizione piena;
La riforma
Cionondimeno il giudice della riforma ha
ritenuto di far propri gli indirizzi del giudice di
legittimità inventandosi un rito camerale
ibrido, ovvero nella sostanza un processo a
cognizione piena di primo grado, con rito
speciale, seppure – come vedremo – con
alcune soluzioni di continuità.
L’intervento specifico sull’impugnativa
degli atti
La riforma è particolarmente intervenuta sugli artt. 23, 26 e
36 che disciplinavano la impugnativa degli atti degli organi
fallimentari:
- l’art. 36, gli atti del curatore, organo che presiede alla
gestione del patrimonio fallimentare;
- l’art. 26, gli atti del giudice delegato, organo centrale della
previgente disciplina per le funzioni non solo giurisdizionali
ma anche di amministrazione e controllo, oggi scomparse;
- L’art. 23, gli atti del tribunale fallimentare, aventi funzioni
per lo più giurisdizionali, ma anche in alcuni casi
indirettamente amministrative (autorizzazione degli atti di
straordinaria amministrazione del curatore).
La disciplina previgente
Contro gli atti del curatore era dato reclamo entro
3 giorni al giudice delegato (con la possibilità di
un ulteriore reclamo al tribunale) e contro gli atti
del giudice delegato era dato reclamo entro 3
giorni al tribunale fallimentare; contro gli atti del
tribunale fallimentare, anche resi in sede di
impugnativa, non era dato alcun rimedio.
Le norme richiamavano rigorosamente il rito
camerale puro.
La riforma. Il reclamo avverso gli atti
del tribunale.
L’intervento riguarda le tre disposizioni citate, 23, 26 e 36.
All’art. 26, 1° comma, gli atti del tribunale sono impugnabili
innanzi alla Corte di appello. Solo gli atti del tribunale che
pronunciano su decreti del giudice delegato, che a loro
volta costituiscono il risultato di un’impugnativa degli atti
del curatore, non hanno ulteriori impugnative (at. 36, 2°
comma).
In ogni caso, se vertenti su diritti soggettivi, i decreti della
Corte di appello su reclamo di decreti del tribunale, sono
impugnabili innanzi alla Corte di cassazione in sede di
ricorso straordinario ex art. 111 Cost.
La diversificazione dei reclami degli atti del
giudice delegato e del curatore, la struttura
L’art. 26 e 36, definiscono differentemente i
reclami a seconda che riguardino:
- i provvedimento del giudice delegato e del
tribunale, per i quali è previsto un procedimento
camerale spurio particolarmente regolamentato
nell’art. 26 l. fall.;
- gli atti degli organi di amministrazione (curatore
e comitato), soggetti invece ad un rito camerale
puro ex art. 36 l. fall.
segue, l’oggetto
Mentre gli atti del giudice delegato sono
sottoposti ad un controllo sia di legittimità che
di merito (opportunità), in difetto di
restrizione, i reclami avverso gli organi di
amministrazione conoscono il limite di un
controllo di mera legittimità (non recupera
neppure le garanzie del giusto processo nel
reclamo al tribunale avverso gli atti del giudice
delegato, conservando la ristrettezza di
oggetto originaria).
La legittimazione
La legittimazione è totalmente diffusa poiché
è consentita da parte di qualunque
interessato, a dimostrazione che sono
preservate attraverso le impugnative diritti o
interessi non solo delle parti del processo
fallimentare, ma anche di terzi.
Termini
Il termine muove dalla “conoscenza dell’atto”, quanto
agli atti degli organi amministrativi (art. 36, 1° comma)
e dalla comunicazione o notificazione del
provvedimento nel caso degli atti degli organi
giurisdizionali, quanto al fallito, al comitato del
creditori e a chi ha invocato espressamente un atto o
provvedimento, per gli atti interessati dalle formalità di
pubblicità del provvedimento. Rispettivamente per i
primi 8 giorni e per i secondi 10 giorni.
Per gli atti degli organi giurisdizionali è previsto un
termine lungo di 90 giorni dal deposito in cancelleria
(art. 26, 4° comma),
Reclamo contro le omissioni
E’ previsto un reclamo non solo nei confronti di
un atto, ma anche contro un comportamento
omissivo degli organi di amministrazione, (art. 36,
1° comma), in tal caso il termine decorre dalla
scadenza del termine indicato nella diffida a
provvedere.
L’accoglimento del reclamo in tal caso impone
l’ottemperanza del curatore e quanto al comitato
una funzione vicaria del giudice delegato.
Il rito camerale puro (art. 36)
“Il giudice delegato, sentite le parti, decide con
decreto motivato ogni formalità non
indispensabile al contraddittorio” e anche in
secondo grado:
“Il tribunale decide…sentito il curatore e il
reclamante, omessa ogni formalità, non
essenziale al contraddittorio, con decreto
motivato non soggetto a gravame”.
Il legislatore da rilievo solo al contraddittorio,
neppure al ricorso straordinario in Cassazione.
Il rito camerale spurio (art. 26)
-
L’art. 26 relativo al reclamo degli organi giurisdizionali si
contraddistingue per il suo carattere spurio:
prescrizioni di forma-contenuto nel ricorso con esplicitazione del
motivo di reclamo (5° comma). Non è prevista la decadenza dalla
formulazione dei mezzi di prova;
Previsione di un termine a difesa al convenuto di 15 giorni (8°
comma);
costituzione del convenuto entro 5 giorni dall’udienza mediante
memoria. Anche in tal caso non vi è regime decadenziale di
allegazioni e prove (9° comma);
Previsione di un intervento volontario di terzi con le formalità del
convenuto (11° comma);
Svolgimento di un’istruttoria, con poteri d’ufficio (si parla di prove e
non di informazioni, 12° comma);
Previsione di un termine per la decisione con decreto (13° comma)
L’incompatibilità
L’art. 25, 2° comma, stabilisce che il giudice
delegato non può trattare i reclami avverso gli
atti da lui compiuti, in coerenza con lo stesso
principio espresso in materia di impugnazioni
avverso il decreto di ammissione al passivo
fallimentare.
Gli ulteriori riti camerali puri
Oltre all’impugnativa avverso gli atti degli organi
amministrativi, la legge fallimentare è costellata di
ulteriori episodi di rito camerale puro, con una tecnica
legislativa variabile:
- In alcuni casi si richiamano le forme dell’art. 36, che
costituisce il prototipo della disciplina;
- In altri casi di preferisce una regolamentazione ad hoc
scarna e priva di regole;
- In altri casi, infine, si stabilisce una prima fase priva di
forme processuali esplicite e regole, e poi una seconda
fase regolata dal rito spurio dell’art. 26, che costituisce
l’atto prototipo.
Riti che richiamano l’art. 36.
– procedimento per la ripartizione del ricavato (art.
110, con il differente termine di 15 giorni e
l’effetto di accantonamento delle somme);
Riti bifasici
- il procedimento per la chiusura del fallimento (art.
119), nella prima fase regolato come procedimento
camerale puro ad hoc (senza neppure previsione del
contraddittorio, poiché il fallito e il comitato dei
creditori vengono sentiti solo se la chiusura si fonda
sull’insufficienza dell’attivo, art. 118 n. 4). In sede di
reclamo diventa un procedimento camerale spurio, ai
sensi dell’art. 26, cui è fatto seguire anche un ricorso
per Cassazione;
- il procedimento per la esdebitazione (art. 143) e il
procedimento per la revoca del curatore (art. 37),
caratterizzato da una fase pura e da una seconda fase,
sul reclamo, con rinvio pieno all’art. 26.
I riti camerali puri ad hoc
- il procedimento per la dichiarazione di
insussistenza dell’attivo (art. 102);
- il procedimento relativo al rendiconto del
curatore (art. 116);
- il procedimento di ripartizione, decorsi 5
anni del deposito delle somme rimaste
inesistate per irreperibilità o disinteresse dei
creditori (art. 117)
Le ulteriori azioni
L’art. 24 lascia ai riti comuni le azioni diverse dalle
azioni che derivano dal fallimento, ovvero dalle azioni
che nascono a seguito della dichiarazione che
l’imprenditore non ha nel suo patrimonio prima del
fallimento (l’accertamento dei crediti; l’accertamento di
diritti reali e personali di godimento su mobili ed
immobili, le azioni revocatorie e le azioni di
responsabilità degli amministratori). Per queste ultime
prevale la competenza del tribunale fallimentare.
E’ stato abrogato il rito camerale puro a cui erano state
assoggettate tutte le azioni che derivavano dal
fallimento.Per buona sorte questa norma è stata
abrogata: