Max Weber - Lettere e Filosofia

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Transcript Max Weber - Lettere e Filosofia

(1818-1883)
a.a. 2010\2011
Prof. Vincenzo Romania
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Max Weber, pur vivendo praticamente negli stessi anni di
Durkheim, opera intellettualmente in un contesto molto
diverso.
I due in effetti non si influenzano, malgrado Durkheim
avesse studiato in Germania nella sua gioventù, ciò
avviene per diversi motivi: Weber rigetta le tesi di quelli
che chiama dei “socialisti della cattedra”; è influenzato
dall'evoluzione sociopolitica della Germania; non produce
soprattutto lavori teorici ma da subito produce ricerche
socio-storiche.
Ancora una volta dobbiamo collocare anche Weber
all'incrocio fra diverse discipline: storia, giurisprudenza,
economia, sociologia e filosofia.
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Anche nelle opere giovanili di Max Weber il problema
principale è quello di comprendere le origini del
capitalismo.
A differenza di Marx, però, la sua analisi è più attenta
alle dinamiche del diritto e, nell'analisi in particolare
della storia romana, si propone per la prima volta un
approccio multidimensionale ai problemi sociali.
Rifiuta anche l'approccio evoluzionistico: il livello di
benessere della società romana era simile a quello
post-feudale in Europa.
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Nel 1892 propone uno studio sul sistema agricolo
tedesco, dividendo l'area settentrionale della
Germania in due zone: quella ad est e quella ad ovest
del fiume Elba.
Secondo Weber, ad ovest del fiume la maggior parte
dei contadini erano agricoltori indipendenti; ad est gli
Junker controllavano grandi proprietà di impostazione
tipicamente fedualistica.
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I contadini della parte est dell'Elba, a loro volta potevano
essere distinti fra coloro che erano pagati dal datore di
lavoro tramite un contratto annuale e coloro che invece
ricevevano un compenso giornaliero, e che avevano perciò
una condizione simile a quella degli operai salariati del
proletariato industriale.
Secondo Weber, i secondi avrebbero progressivamente
sostituito i primi e ciò avrebbe modificato profondamente
il mondo del lavoro, trasformando l'agricoltura in senso
mercantilistico e cancellando il rapporto organico tipico
dei contratti annuali.
Ciò sarebbe accaduto per una ricerca di maggiore “libertà”
in termini di flessibilità dei contadini annuali; il risultato a
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Già in questi primi studi ci accorgiamo quindi di come
Weber sia più moderno di Marx, indagando dinamiche
specifiche del mondo lavorativo.
Il contrasto fra condizioni di vita e visione del mondo dei
contadini annuali è in effetti un primo tentativo di
spiegare l'importanza dei valori e dell'etica nel produrre
impegno lavorativo, produzione, profitto, crescita
economica; tutti temi che torneranno nell'Etica (1905).
Weber afferma infatti la necessità di guardare al
contenuto specifico delle dottrine protestanti per spiegare
il rapporto fra protestantesimo e razionalità economica.
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Weber non è certo originale nell'indicare l'esistenza di un
rapporto fra protestantesimo e capitalismo. Egli tuttavia
riesce, in maniera originale, a indicare un effetto della
religione sulla vita quotidiana.
Se infatti Marx credeva che il protestantesimo fosse un
riflesso dell'individualismo economico tipico del
capitalismo; e l'economia politica credeva altresì che non
potesse esistere un rapporto fra la religione, che mira al
bene spirituale ed il capitalista che mira all'accumulo
materiale; Weber dimostra come il protestantesimo abbia
avuto una influenza diretta sullo sviluppo del capitalismo
in alcune nazioni rispetto ad altre.
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A differenza del cattolicesimo infatti, il
protestantesimo richiedeva una disciplina quotidiana
molto più rigida, immettendo di fatto un fattore
religioso in tutte le sfere del credente e combattendo
in particolare il lassismo.
Per comprendere però a pieno questo rapporto,
secondo W. Bisogna analizzare i caratteri propri del
capitalismo moderno e dell'etica protestante.
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Quello che si afferma in Europa, secondo Weber, è un tipo
di capitalismo moderno completamente differente da
altre forme di capitalismo, tipiche di società caratterizzate
da “tradizionalismo economico”.
In questi casi, modelli occupazionali tipici del capitalismo
moderno, quali il cottimo, sarebbero destinati a fallire per
motivi culturali: “L'uomo “per natura” non vuole
guadagnare denaro e sempre più denaro, ma
semplicemente vivere, vivere secondo le sue abitudini e
guadagnare quel tanto che è a ciò necessario” (Weber, EP,
p. 116).
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Dal capitalismo tradizionale non manca l'avidità, ma
questa spesso viene accostata a metodi illegali o non etici
di guadagno.
Il capitalismo moderno è invece caratterizzato da uno
specifico spirito:
“il guadagno di denaro e di sempre più denaro, è così spoglio
da ogni fine eudemonistico o semplicemente edonistico,
e pensato in tanta purezza come scopo a se stesso, che
di fronte alla felicità ed all'utilità del singolo individuo
appare come qualche cosa di interamente trascendente
e perfino d'irrazionale. Il guadagno è considerato come
lo scopo della vita dell'uomo, e non più come mezzo per
soddisfare i suoi bisogni materiali. Questa inversione del
rapporto naturale, che è addirittura priva di senso per il
modo di sentire comune, è manifestamente un motivo
fondamentale del capitalismo così come è estranero
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Lo spirito del capitalismo moderno è quindi la specifica
combinazione di dedizione al guadagno e astinenza
dall'uso di questo per il godimento personale. La
realizzazione efficiente della professione (beruf)
rappresenta quindi sia un dovere che una virtù. Tale
modello è organizzato attorno ad una razionalità “sulla
base di un calcolo strettamente aritmetico”.
Scopo dell'EP è quindi quello di scoprire “di quale spirito
fosse figlio quel modo concreto di pensare e di vivere
razionalmente, da cui si è svolta quell'idea di “vocazione
professionale” e quella dedizione al lavoro professionale”
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Il centro della riflessione di Weber sta proprio nel
concetto di beruf o vocazione professionale, un concetto
che si afferma solo grazie alla Riforma protestante e che
riporta gli affari terreni della vita quotidiana entro una
sfera d'influenza religiosa che tutto ricomprende in sé.
In particolare, un ruolo importante lo hanno giocato le
correnti più ascetiche del Protestantesimo: Calvinismo,
Metodismo, Pietismo e le sètte battiste. Weber si
concentra soprattutto sui capisaldi del calvinismo.
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Il mondo è stato creato per magnificare la gloria di
Dio: “Non Dio è per l'uomo; ma l'uomo è per Dio”
(EP, p. 176)
Gli scopi di Dio sono imperscrutabili all'uomo.
Ogni uomo è predestinato. Soltanto pochi, sin dalla
loro creazione, sono eletti alla vita eterna. Tale
predestinazione si “rivela” in terra, ma l'uomo non
può cambiare il suo destino, tramite il proprio
comportamento.
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L'uomo entra quindi in un rapporto diretto,
individuale, con la divinità che lo predestina. Rispetto
al cristianesimo, ciò vuol dire che la chiesa non ha un
ruolo di mediazione rispetto ai destini individuali.
In tal senso, il calvinismo spinge all'ascesi
intramondana e “disincanta” il mondo agli individui.
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“Non c'era alcun mezzo, non solo magico, ma di
nessun'altra natura per far discendere la grazia divina su
colui al quale Dio aveva decretato di negarla. Collegata
con l'aspra dottrina dell'assoluta lontananza da Dio e della
mancanza di valore di ciò che è puramente umano, questo
interno isolamento dell'uomo racchiude in sé il
presupposto della posizione assolutamente negativa del
puritaneismo di fronte a tutti gli elementi indulgenti ai
sensi e ai sentimenti nella civiltà e nella religione – poiché
essi sono inutili per la salvezza e sono fomento di illusioni
sentimentali e di superstizioni che divinizzano le creature
– e perciostesso il ripudio di ogni civiltà che riconosca
l'esigenza dei sensi” (EP, p. 179).
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Si potrebbe supporre che non avendo coscienza del
proprio destino i seguaci della dottrina siano portati
all'angoscia, invece secondo i calvinisti non essendoci
alcuna distinzione evidente fra eletti e reprobi, ognuno ha
il dovere di sentirsi eletto. Per conservare questa fiducia, il
mezzo più appropriato è una “intensa attività nel mondo”:
“non si dice ancora, come dirà Franklin, “il tempo è
denaro”; ma questa sentenza vale, per così dire, in senso
spirituale: esso è infinitamente prezioso, perché ogni ora
perduta è tolta al servizio della gloria di Dio” (EP, p.263)
Il punto fondamentale è che il lavoro ed il possesso non
vanno contro il volere di Dio, a differenza di alcuni dettami
tipicamente cattolici.
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Successivamente all'Etica, Weber si occupa in un insieme
di saggi della metodologia delle scienze sociali, dando
contributi fondamentali su questa materia fino a quel
momento ancora molto fragile e poco affrontata dalla
sociologia francese.
Egli rifiuta sia la posizione di Comte che voleva assegnare
alla sociologica gli stessi metodi delle scienze naturali; che
le posizioni di chi vorrebbe creare delle metodologie del
tutto separate e incomparabili con le prime.
Propone quindi di ragionare sull'uso scientifico delle
generalizzazioni e dei casi unici.
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Il punto di partenza della sua riflesisone è che le
scienze sociali si occupano di fenomeni spirituali o
ideali, di natura estranea quindi alle scienze
naturali.
Ciò, sostiene, non implica una rinuncia alla
oggettività conoscitiva delle scienze sociali.
Fondamentale, dice, è riconoscere la natura
pragmatica delle scienze sociali e separare
nettamente i giudizi normativi su “ciò che dovrebbe
essere” da quelli analitici sulla realtà studiata.
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Uno dei problemi principali per i classici, come abbiamo
visto, è quello del ruolo che deve avere il sociologo.
Weber, in aperta polemica con i socialisti rivoluzionari
suoi contemporanei, rifiuta l'idea di scienziati sociali che
indicano vie utopiche e ontologiche e indica due modi in
cui lo scienziato può agire sui problemi pratici:
– Analizzandone la coerenza dei presupposti
generali;
– Indicando realizzabilità ed effetti collaterali di ogni
scelta politica
 L’opinione di Weber è che il modo migliore per organizzare
un’università moderna sia nella direzione della
specializzazione professionale degli insegnanti, in particolar
modo in quelle materie che hanno qualche pretesa di
scientificità. In tal modo si darebbe meno spazio alle
concezioni del mondo del docente: «Ciò che oggi lo studente
dovrebbe soprattutto imparare nell’aula accademica dal suo
professore è la capacità: (1) di svolgere in maniera compiuta un
certo compito; (2) di riconoscere anzitutto i fatti, anche e in
primo luogo i fatti personalmente scomodi, e quindi di
distinguere la loro constatazione dalla presa di posizione
valutativa; (3) di posporre la propria persona alle cose, e quindi di
reprime il bisogno dell’esibizione importuna del suo gusto
personale degli altri suoi sentimenti (MSS, p. 316).
 Più in generale, i professori dovrebbero essere capaci di
organizzare dibattiti attorno a dati empirici ed alla loro
interpretazione, evitando di sfruttare il vantaggio di ruolo
che egli ha nell’influenzare la platea dei suoi studenti ed
evitando, in particolare, di nascondere dietro una falsa
oggettività scientifica le proprie convinzioni politiche.
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La scienza è una forma di conoscenza cosmica
comunque limitata.
Essa può operare analiticamente senza decidere sui
conflitti etici.
Nella politica, esistono un “etica della convinzione” ed
una “etica della responsabilità”, basata quest'ultima
sulla analisi delle conseguenze delle proprie scelte.
Lo scienzato deve fuggire dalle etiche della convenzione,
non eliminando ma aumentando la coscienza dei propri
valori. In tal modo svilupperà una avalutatività
oggettiva.
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La realtà consiste di un'immensa quantità di elementi
indefinitamente analizzabili.
Qualsiasi forma di ricerca scientifica comporta una scelta
entro questa infinità. Ciò rende particolarmente inadatta
per le scienze sociali la formulazione di leggi. Weber
indica quindi la necessità di concentrarsi soprattutto su
un approccio ideografico, ovvero sulla descrizione delle
condizioni che hanno fatto sì che una determinata
realtà, un determinato fenomeno o caso studio si sia
rivelato nella sua unicità. Ciò tuttavia non implica una
completa rinuncia alle leggi (approccio nomotetico): per
spiegare un caso si parte da esso e si imputano relazione
fra cause, senza estendere queste a tutta la realtà
 Lo scienziato risolve il conflitto fra unicità e
generalizzazioni tramite la costruzione degli idealtipi o tipi
ideali di una determina realtà studiata. Possiamo pensare
a tipi ideali di personalità, di ruoli, di fenomeni, di
tendenze culturali o etiche quali l’ «etica calvinista».
 In quanto astrazione, un’idealtipo non può mai essere
rintracciato empiricamente nella realtà. Piuttosto, nel
formulare un tipo ideale, lo studioso cercherà di indicare
le caratteristiche più significative del fenomeno che
studia, a partire dai dati empirici a disposizione.
 È un testo monumentale in cui viene ancora una volta
utilizzato il metodo storico-comparativo applicato alla storia
dei fenomeni giuridici, economici, religiosi di una
molteplicità di società.
 In uno dei primi saggi in esso ricompreso, Weber spiega la
funzione della sociologia che in quanto scienza dei fatti
«spirituali» deve essere capace di rendere intellegibile il
senso soggettivo dell’azione sociale:
 «nelle scienze sociali siamo di fronte alla cooperazione dei
processi spirituali, e che [sostiene Weber] «intendere»
rivivendoli questi processi costituisce un compito di tipo
specificamente diverso da quello implicito nella soluzione
delle formule della conoscenza esatta della natura in
genere» .
 Scopo della sociologia è quindi non solo comprendere gli
effetti macrosociali dei fenomeni strutturali – come
abbiamo visto in Durkheim e Marx – ma anche
interpretare l’agire degli individui dotato di senso:
 «La sociologia (nel senso qui inteso di questo termine,
impiegato in maniera così equivoca) deve designare una
scienza la quale si propone di intendere in virtù di un
procedimento interpretativo l’agire sociale, e quindi di
spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti»
(ES, vol. I, p.4).
 Weber introduce questo concetto di sociologia
comprendente, indicando da una parte una capacità o
sensibilità «simpatetica» da parte del ricercatore;
dall’altro, la costruzione «razionale» ovvero logica di tipi
ideali di comportamento.
 Una volta fatto ciò, per comprendere il comportamento
individuale si può interpretare l’agire o tramite
«comprensione diretta» per quelle azioni nelle quali
riusciamo immediatamente a rintracciare un senso; o
tramite quello che chiama «l’intendere esplicativo» che
sta nell’individuazione di una motivazione dietro ad un
comportamento.
 Per agire sociale, Weber intende quel tipo di
comportamento individuale il cui se3nso è riferito ad un
altro agente o ad un gruppo di agenti.
 Ogni azione può essere studiato per il senso pratico
assegnatogli da un singolo agente o per un senso
idealtipico generale.
 Secondo Weber non tutte le azioni sono dotate di senso,
alcune sono semplicemente ripetute in senso
tradizionale. Anche nelle azioni dotate di senso,
comunque, resta una parte non interpretabile.
 Weber distingue quattro tipi di azione sociale:
 L’agire «determinato in modo razionale rispetto allo scopo»
è quello nel quale l’individuo calcola razionalmente gli esiti
di una data azione in termini di mezzi e fini. Sceglie quindi,
fra tutti i mezzi disponibili al proprio fine, quelli che
comportano meno costi e permettono maggiori vantaggi.
 L’agire «determinato in modo razionale rispetto al valore» è
invece quello diretto verso un valore incondizionato che
esclude ogni altra considerazione. È tipico del sentire
religioso o di coloro che indirizzano il proprio agire a dei
«valori ultimi» quali il dovere, l’onore, la dedizione ad una
causa.
 L’agire «determinato affettivamente» è quello che si
sviluppa sotto l’influenza di un qualche tipo di statoe
emotivo e che orienta l’azione ad un valore ultimo,
indipendentemente dalla sua razionalità.
 L’agire «tradizionale» è quello determinato dalle
abitudini. Secondo Weber è quello più ricorrente
nell’agire quotidiano, è un tipo di agire su cui l’individuo
non riflette ma ripete quasi inconsapevolmente.
Come si può intuire, questi non sono concetti descrittivi ma
tipi ideali: ogni azione reale differisce o combina i 4 tipi.
 Una regolarità dell’agire sociale, secondo Weber, si può
considerare un «uso» se: «la probabilità della sua
sussistenza entro un ambito di uomini è data in virtù di
una consuetudine di fatto».
 Quando l’uso si estende nel tempo, secondo Weber si
viene a consolidare un costume.
 I costumi non sono socialmente sanzionati, ma richiedono
il consenso di chi vi partecipa.
 Essi diventano ancora più stabili, invece, quando vengono
sostenuti da un ordinamento legittimo.
 «Quando un rivenditore visita in determinati giorni del mese o
della settimana una determinata clientela, ciò rappresenta o un
costume acquisito o appunto il prodotto della sua situazione di
interessi (cioè il turno del suo mestiere). Ma quando un
funzionario appare quotidianamente in ufficio, ad un’ora
stabilita, ciò non è condizionato soltanto (per quanto lo sia pure)
da una abitudine acquisita (dal costume), e neppure soltanto (per
quanto lo sia pure) dalla propria situazione di interessi, a cui egli
potrebbe, o meno, conformarsi a suo arbitrio: tale
comportamento è condizionato…dalla validità
dell’ordinamento…che riveste carattere imperativo e la cui
infrazione non soltanto gli arrecherebbe danni, ma è pure, di
solito, aborrita per motivi raizonali rispetto al valore…dal suo
«sentimento di dovere» .
 Usi e costumi vengono tradotti in legge, e la loro
obbligatorietà viene così rinforzata.
 Perché un gruppo regolato da un ordinamento sociale si
trasformi invece in uno stato è necessario che «la sua
sussistensa e la validità dei suoi ordinamenti entro un
dato territorio con determinati limiti geografici vengono
garantite continuativamente mediante l’0impiego e la
minaccia di una coercizione fisica da parte dell’apparato
amministrativo». Quindi una amministrazione diventa
stato quando è in grado di esercitare con successo il
monopolio della coercizione fisica legittima entro un dato
territorio.
 Per comprendere ancora meglio come funzionano gli stati
moderni, Weber introduce altri due idealtipi:
 Il concetto di potenza, indica la possibilità che un agente sia
in grado di realizzare i propri obiettivi all’interno di una
relazione sociale, anche trovandosi di fronte ad una
opposizione. In qualche modo, tale definizione è così
generica da includere ogni relazione.
 Il concetto di potere è invece più specifico e indivca quei
casi in cui la potenza si esercita come obbedienza da parte
di un attore a un comando specifico emesso da un altro.
Questa obbedienza può comportare dei vantaggi economici
e di onorabilità sociale ma è supportata, soprattutto, da una
convinzione nella legittimità della propria subordinazione.
 Il potere tradizionale fonda la propria legittimità su
«antichi ordinamenti» e poteri di signoria». Nelle forme
più semplici non si basa su di un apparato amministrativo,
si verifica ad es. nella gerontocrazia, nel patriarcalismo,
nella legge di clan, nei sistemi tirannici.
 Il potere legale è quello che si fonda su norme impesonali
stabilite razionalmente in rapporto a valori o scopi: si
obbedisce alle norme non al signore: «il tipico detentore
del potere3 legale – il «superiore» – mentre dispone e
insieme comanda, da parte sua obbesdisce
all’ordinamento impersonale in base al quale orienta le
sue prescrizioni».
 Il potere carismatico è radicalmente diverso dagli altri due. È
un potere straordinario, legato alla personalità del detentore.
Il carisma è definito come «una qualità considerata
straordinaria, che viene attribuita a una persona. Pertanto,
questa viene considerata come dotata di forze e proprietà
soprannaturali o sovraumane, o almeno eccezionali in modo
specifico.
 Il potere carismatico si legittima sulla base di una «missione» a
cui egli e i suoi sostenitori credono. La «prova» di qusta
missione sta nei miracoli compiuti dalla figura carismatica.
 I membri dell’apparato non vengono scelti in base alle proprie
capacità ma in base a legami privilegiati di dipendenza
personali: i seguaci partecipano del carisma del superiore.
 Il tipo ideale della burocrazia (che tratteremo parlando di
organizzazioni)
 La teoria della stratificazione sociale;
 La sociologia della religione di Weber.