Il progetto di vita dal punto di vista psicologico

Download Report

Transcript Il progetto di vita dal punto di vista psicologico

Didattica Speciale
Seconda lezione
IL PEI e IL PROGETTO DI VITA

Le condizioni problematiche che causano difficoltà di
apprendimento e Bisogni Educativi Speciali sono molte:
alcune gravi e ben definite, come può essere il ritardo
mentale in una sindrome organica, altre più sfumate, come
i
disturbi
dell’apprendimento
o
i
problemi
di
comportamento. Di fronte a queste oggettive difficoltà nel
seguire la programmazione rivolta alla classe e altre forme
di partecipazione sociale ai vari ruoli della vita di alunno, gli
insegnanti si trovano nella necessità di elaborare forme di
didattica individualizzata. In generale, ciò significa costruire
obiettivi, attività didattiche e atteggiamenti educativi «su
misura» per la singola e specifica peculiarità di quell’alunno,
ponendo particolare attenzione ai suoi punti di forza, dai
quali si potrà partire per impostare il lavoro.

Dobbiamo ricordare che la costruzione del Piano
educativo individualizzato e la sua applicazione
concreta non dovrebbero mai essere delegate
unicamente
all’insegnante
di
sostegno,
coinvolgendo al massimo qualche suo volenteroso
collega: tutti gli insegnanti devono esserne
partecipi, perché l’integrazione degli alunni in
difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della vita
scolastica e non essere solo una presenza limitata
a qualche ora o a qualche attività svolta con
l’insegnante specializzato, magari in qualche
«aula di sostegno» (Ianes e Cramerotti, 2009).

Le attività dell’insegnante di sostegno dovrebbero
estendersi e integrarsi in una più globale
«funzione di sostegno», attivata dalla comunità
scolastica nel suo insieme, nei confronti delle
tante e diverse situazioni di disagio e difficoltà
che si manifestano. In questo caso sarà l’insieme
della comunità-scuola, composto di insegnanti,
personale tecnico, altri alunni e varie persone
significative, che mobiliterà tutte le risorse
disponibili,formali e informali, per soddisfare i
bisogni formativi e educativi speciali degli alunni,
in relazione al tipo e al grado di difficoltà che
presentano (Ianes e Macchia, 2008; Booth e
Ainscow, 2008).

In quest’ottica, che cerca di superare la
vecchia logica di emarginazione della coppia
«alunno
con
disabilità-insegnante
di
sostegno», si sono ormai sperimentate molte
attività didattiche alternative e soluzioni
organizzative diverse, che mettono in primo
piano il ruolo attivo degli alunni, lo sviluppo di
reti di rapporti di amicizia e di aiuto, il lavoro
con gruppi di apprendimento cooperativo, il
tutoring o insegnamento reciproco tra alunni,
il coinvolgimento delle famiglie e delle realtà
sportive, culturali e di volontariato della
comunità territoriale
La certificazione: dall’individuazione
della disabilità al Piano educativo
individualizzato
Dal 2000, il regolamento dell'autonomia scolastica ha
individuato tra le finalità della scuola quella di rispondere
alle "caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine
di garantire loro il successo formativo" e ha sottolineato il
pieno riconoscimento e la valorizzazione delle diverse
abilità. Il comma 5 dell’art. 12 della Legge quadro identifica
alcuni momenti significativi dell’iter finalizzato alla piena
integrazione scolastica degli alunni con disabilità:
– l’individuazione dell’alunno come «persona handicappata»;
– la definizione di una «Diagnosi funzionale»;
– la predisposizione di un «Profilo dinamico funzionale»;
– la formulazione di un «Piano educativo individualizzato»;
– le occasioni di verifica degli interventi realizzati e di
aggiornamento della documentazione
(questi ultimi, contemplati dai commi 6 e 8)


–
–
–
–
–
Circa le modalità, la Legge quadro richiama
l’esigenza di una integrazione di tutte le
competenze e di tutte le professionalità che
entrano in gioco:
la scuola, nelle sue diverse componenti (dirigente
scolastico, docenti curricolari, docenti per il
sostegno, eventuali insegnanti utilizzati con
funzioni
psicopedagogiche,
collaboratori
scolastici);
gli operatori delle Aziende Sanitarie Locali (ASL);
i genitori della persona con disabilità;
lo stesso alunno, specie nella scuola secondaria di
secondo grado;
gli altri alunni.

Rispetto alle caratteristiche della documentazione
da elaborare, la Legge quadro chiarisce senza
ombra di dubbio che l’iter da seguire per la sua
predisposizione deve evitare il rischio di una
sanitarizzazione degli interventi e valorizzare
invece appieno gli aspetti propriamente educativi
e didattici. Il comma 5 dell’art. 12 prevede un
approccio non solo «alle caratteristiche fisiche,
psichiche, sociali e affettive dell’alunno» o alle
«difficoltà di apprendimento conseguenti alla
situazione di handicap», ma più diffusamente alle
«possibilità di recupero, alle capacità possedute
che devono essere sostenute, sollecitate e
progressivamente rafforzate e sviluppate».

Fig. 1 Le fasi di programmazione e di lavoro del Piano educativo
.
individualizzato. Fonte:Ianes e Cramerotti, 2009
LA DIAGNOSI FUNZIONALE
EDUCATIVA



E’ la prima componente del piano educativo
individualizzato e si pone come obiettivo
fondamentale la conoscenza e la comprensione
più approfondite dell’alunno in difficoltà.
Deve anche essere FUNZIONALE EDUCATIVA, e
cioè utile alla realizzazione concreta di attività
didattiche ed educative appropriate
Deve risultare da un lavoro interdisciplinare che
veda la collaborazione degli insegnanti, degli
operatori delle ASL e dei familiari




QUALI SONO I DATI FONDAMENTALI DA
RACCOGLIERE IN UNA DIAGNOSI FUNZIONALE
UTILE
PER
LA
PROGRAMMAZIONE
INDIVIDUALIZZATA?
D. Ianes individua la necessità di far derivare la
diagnosi funzionale dall’attuale modello ICF.
Questa diagnosi funzionale si lega ai processi di
integrazione scolastica, di apprendimento e
socializzazione, non si esprime solo in termini
tecnico sanitari e cerca di attivare collaborazioni a
più ampio raggio, coinvolgendo direttamente gli
insegnanti e la famiglia.
I dati di conoscenza raccolti nella diagnosi
dovrebbero consentire di operare direttamente
nel concreto della prassi scolastica quotidiana
- La diagnosi funzionale, finalizzata ad un
intervento educativo o ad un percorso
didattico individualizzato rivolto agli alunni
in difficoltà cerca di raggiungere la
conoscenza più estesa possibile delle varie
caratteristiche
della
persona
nella
situazione/relazione che esamina.
- Oltre alla finalità descrittiva dovrebbe
elaborare
ipotesi
e
possibilmente
verificarle,
sulle
interconnessioni
e
relazioni di reciproca influenza tra fattori
diversi


L’aspetto analitico e descrittivo
dovrebbe essere compresente e
integrato
con
lo
sforzo
di
comprendere
relazioni
che
interconnettono.
Una diagnosi funzionale redatta
facendo
riferimento
al
modello
proposto
dall’ICF
permette
di
organizzare in modo globale e
concreto la raccolta di informazioni
sul soggetto e sui suoi contesti di
vita
Fig. Struttura del modello ICF-CY in base alla quale definire la Diagnosi
funzionale.
Fonte: Ianes e Cramerotti, 2009.



DUE PRINCIPI GENERALI:
1) Non è utile immergersi nei particolari,
perdendo di vista la necessità di fare una
sintesi significativa di una realtà umana
globale e unitaria,di una persona reale,
che è molto di più e ben altro che che una
serie
di
dati
oggettivi
sul
suo
“funzionamento”
2) Non bisogna fermare il fluire nel tempo
delle situazioni personali relazionali e
contestuali, cristallizzando come definite e
stabili le nostre osservazioni

-
La situazione globale di una persona, del
suo stato di salute e di funzionamento nei
suoi reali contesti di vita, va descritta
mettendo in relazione informazioni su:
condizioni fisiche
funzioni corporee
strutture corporee
Attività personali
partecipazione sociale
fattori contestuali ambientali
Fattori contestuali personali
Condizioni fisiche

Comprende
malattie
(acute
o
croniche), disturbi, lesioni o traumi.
Può
inoltre
comprendere
altre
circostanze
biologicamente
significative come la gravidanza,
l’invecchiamento,
un’anomalia
congenita o una predisposizione
genetica. Le condizioni di salute
vengono codificate secondo i criteri
dell’ICD-10 (OMS, 2002)



Questa
parte
della
diagnosi
funzionale dovrebbe essere suddivisa
in due distinti campi di informazione:
1) La storia clinica. Gli eventi vissuti
dall’alunno dal punto di vista
organico: le malattie, i ricoveri, le
cure tentate, i risultati raggiunti.
2) Gli effetti riscontrati o prevedibili
sulla prassi scolastica causati dalle
condizioni cliniche dell’alunno.
FUNZIONI CORPOREE


Le funzioni corporee sono le
funzioni fisiologiche dei vari
sistemi corporei.
Le menomazioni sono problemi
nella funzione del corpo, intesi
come una deviazione o una
perdita significativa.
1) funzioni mentali
2) funzioni sensoriali e dolore
3) funzioni della voce e dell’eloquio
4) funzioni dei sistemi cardiovascolare,
ematologico, immunologico e dell’apparato
respiratorio
5) funzioni dell’apparato digerente, e dei
sistemi metabolico ed endocrino
6) funzioni genitourinarie e riproduttive
7) funzioni neuro-muscoloscheletriche e
correlate al movimento
8) funzioni della cute e delle strutture
correlate
STRUTTORE CORPOREE

Sono le parti anatomiche del
corpo, come gli organi, gli arti, e
le
loro
componenti.
Le
menomazioni
sono
problemi
nella struttura del corpo, intesi
come
deviazioni
o
perdite
significative.








1 strutture del sistema nervoso
2 occhio, orecchio e strutture correlate
3 strutture coinvolte nella voce e
nell’eloquio
4 strutture dei sistemi cardiovascolare,
immunologico e dell’apparato respiratorio
5 strutture collegate all’apparato digerente
e ai sistemi metabolico ed endocrino
6
strutture
collegate
ai
sistemi
genitourinario e riproduttivo
7 strutture collegate al movimento
8 Cute e strutture correlate
ATTIVITA’ PERSONALI

L’attività è l’esecuzione di un compito
o di un’azione da parte di un
individuo. Le limitazioni dell’attività
sono le difficoltà che un individuo
può incontrare nello svolgimento
delle varie attività. Ogni attività può
essere descritta con due qualificatori



Ogni attività può essere descritta con
due qualificatori:
- capacità ( l’abilità di eseguire un
compito o un’azione senza l’influsso,
positivo o negativo, di fattori
contestuali e/o ambientali)
- performance ( l’abilità di eseguire
un compito o un’azione con l’influsso,
positivo o negativo, di fattori
contestuali personali e/o ambientali)







1 apprendimento e applicazione delle
conoscenze
2 compiti e richieste generali
3 comunicazione
4 mobilità
5 cura della propria persona
6 vita domestica
7 interazioni e relazioni
interpersonali
PARTECIPAZIONE SOCIALE

La partecipazione è il coinvolgimento
attivo in una normale situazione di
vita integrata. Le restrizioni della
partecipazione sono i problemi che
un individuo può incontrare nel
coinvolgimento nelle normali
situazioni di vita
FATTORI CONTESTUALI
AMBIENTALI






I fattori contestuali ambientali
costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente
fisico e sociale in cui la persona vive.
1 prodotti e tecnologie
2 ambiente naturale e cambiamenti
effettuati dall’uomo
3 relazioni e sostegno sociali
4 atteggiamenti
5 servizi, sistemi, politiche
FATTORI CONTESTUALI
PERSONALI

I fattori ambientali personali sono il
background personale della vita e
dell’esistenza di un individuo e
rappresentano
quelle
sue
caratteristiche individuali che non
fanno parte della condizione fisica.
Questi fattori comprendono il sesso,
la razza, l’età, lo stile di vita, modelli
di comportamento generali e stili
caratteriali
DALLA DIAGNOSI FUNZIONALE AL
PROFILO DINAMICO FUNZIONALE



FASE 1: SINTETIZZARE IN MODO
SIGNIFICATIVO I RISULTATI DELLA
DIAGNOSI FUNZIONALE
Le informazioni che sono state raccolte
vengono confrontate tra loro e sintetizzate
nelle aree significative del modello ICF
(condizioni fisiche, funzioni e strutture
corporee, attività personali ecc.)
Le informazioni dovrebbero essere
sintetizzate intorno a quattro poli principali




1 Punti di forza, cioè livelli raggiunti,
abilità
possedute
adeguatamente
(capacità ICF)
2 Punti di forza, livelli raggiunti, abilità
manifestata
grazie
alla
mediazione
positiva
dei
fattori
contestuali
(performance).
3 Deficit, cioè carenza, mancanza,
incapacità o sviluppo inadeguato rispetto
ai criteri e alle aspettative
4 Relazioni di influenza e di mediazione tra
i vari ambiti di funzionamento dell’alunno



FASE 2: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A
LUNGO TERMNE
Si tratta degli obiettivi che
idealmente ci piacerebbe
raggiungere in una prospettiva
temporale che va da uno a tre anni.
Nella prospettiva del progetto di vita,
questa dimensione può dilatarsi
arrivando a definire obiettivi anche in
dimensioni esistenziali dell’età adulta


FASE 3: DEFINIRE GLI
OBIETTIVI A MEDIO TERMINE
Tra gli obiettivi a lungo termine
vengono scelti quelli a medio
termine, da raggiungere nell’arco
di alcuni mesi o di un anno
scolastico.


FASE 4: DEFINIRE GLI
OBIETTIVI A BREVE TERMINE E
LE SEQUENZE DI SOTTOOBIETTIVI
Si deve lavorare sugli obiettivi a
medio termine per ricavarne
sequenze facilitanti di obiettivi
più accessibili, da presentare al
nostro alunno.
Tre metodi più utilizzati per costruire
sequenze di sotto-obiettivi facilitanti:
1) ridurre le difficoltà dell’obiettivo
semplificando le richieste di corretta
esecuzione, quali l’accuratezza, la
velocità di azione, l’intensità, la
durata e la frequenza ottimale di
emissione di un determinato
comportamento. SHAPING
(modellaggio)



2) Ridurre la difficoltà dell’obiettivo
attraverso l’uso degli aiuti necessari e
sufficienti
3) ridurre le difficoltà dell’obiettivo
attraverso l’analisi del compito (task
analysis) che consente di scomporre
l’obiettivo sia in senso sequenzialedescrittivo, elencando la serie di risposte
singole che compongono quel compito, sia
in senso strutturale gerarchico,
individuando le abilità più semplici e
prerequisite che costituiscono la struttura
di base di quell’obiettivo e che vanno
costruite per prime, in ordine gerarchico
Le attività, i materiali, i metodi di
lavoro


In questa terza parte del PEI-Pdv si
elaborano soluzioni operative di
insegnamento-apprendimento per favorire
il raggiungimento degli obiettivi definiti nel
PDF.
Si identificano gli spazi, i tempi, le persone
e le altre risorse materiali, organizzative,
strutturali e metodologiche che serviranno
per realizzare attività didattiche,educative
e di stimolazione
Migliori prassi di didattica speciale
e integrazione:
 Classi e gruppi di apprendimento
eterogenei
 Modalità cooperative di
apprendimento e di lavoro
 Rapporti prosociali e di
collaborazione informale tra gli alunni
 Curricoli rivolti allo sviluppo di
intelligenze multiple
 Istruzione collocata su diversi livelli
di competenza







Istruzione orientata all’acquisizione di
competenze concrete
Integrazione delle tecnologie nel curricolo
Apprendimento attivo e basato su problemi
reali
Uso sistematico di modelli per la soluzione di
problemi, di opportunità di azione con pochi
rischi di errore
Coinvolgimento attivo degli studenti nelle
decisioni
Valorizzazione degli insegnanti nelle decisioni
di politica scolastica
Aumento della collaborazione degli insegnanti
di sostegno e curricolari con la altre figure
professionali
Alcune ipotesi per vivacizzare le lezioni
frontali:
- Presentazioni interattive con
diapositive/video e dibattito
- Attività di simulazione/role playing
- Attività cooperative/competitive di piccolo
gruppo per dibattere un tema problematico
- Coppie di studenti che risolvono un
problema pensando ad alta voce
- Dibattiti in piccolo/grande gruppo
- Attività di mediazione in cui si cerchi di
trovare una posizione che metta d’accordo
le parti in una controversia
Strategie base di insegnamento/apprendimento
Si fa riferimento all’approccio neocomportamentale,
ambito operativo e di ricerca che include varie
tecniche educative, di insegnamento e diverse
metodologie di intervento.
Necessità di fondare gli interventi sui dati della
ricerca empirica e di rivolgersi al comportamento
osservabile, attualmente manifestato dal soggetto
e ai fattori controllabili che contribuiscono al suo
mantenimento ed alla sua evoluzione.Utilizzo di
procedure sistematiche e oggettiva di valutazione
dei cambiamenti comportamentali prodotti (Ianes,
2006)
La task analysis (analisi del
compito)
L’analisi del compito è un insieme
di metodi che consente di
scomporre in sotto-obiettivi più
semplici e accessibili un compitoobiettivo inizialmente troppo
complesso per essere proposto
nella sua totalità (Ianes, 2006).


Una metodologia di task analysis, va sotto
il nome di«descrizione del compito» ed è
l’identificazione
e
la
descrizione
sistematica di tutti i movimenti e le
risposte che compongono le sequenze
ottimali
dell’esecuzione
efficace
ed
efficiente
di
un
compito.
Questa
elencazione dei singoli comportamenti
motori, verbali o cognitivi, deve rispettare
esattamente la sequenza temporale in cui
devono essere emessi e può essere
raffigurata graficamente con il metodo del
diagramma di flusso.
Seconda metodologia di task analysis:
L’individuazione
delle
abilità
componenti e prerequisite al compito,
che
nel
livello
precedentemente
illustrato, è stato descritto in senso
sequenziale. Si cerca cioè di identificare
le varie abilità il cui possesso sia un
requisito indispensabile per l’esecuzione
del compito (abilità componenti) e per il
suo apprendimento iniziale (abilità
prerequisite).

Le tecniche di prompting e fading
 L’acquisizione di un’abilità è facilitata
anche dall’uso di istruzioni, aiuti
gestuali, esempi e modelli ed altri
stimoli aggiuntivi di vario genere
(prompts). Si possono considerare
prompts tutti «gli eventi di stimolo»
che facilitano il soggetto che apprende
nell’iniziare l’emissione della risposta
desiderata
o
di
una
sua
approssimazione positiva, in modo che
possa poi sperimentare un risultato
gratificante

Il comportamento positivo può essere
aiutato in molti modi: guidando
fisicamente la risposta del soggetto,
con
istruzioni
verbali
specifiche
sull’azione attesa, indicando l’elemento
che dovrebbe essere scelto, mostrando
attraverso un modello competente
l’esecuzione adeguata delle risposte,
aggiungendo
immagini
o
figure
esplicative, oppure enfatizzazioni delle
caratteristiche
distintive
visive
in
compiti di discriminazione

Questi ed altri esempi di aiuto possono
definirsi forme di prompting solo se
possiedono due caratteristiche essenziali:
1) essere efficaci, produrre cioè un effetto
di decisa facilitazione sulla risposta
corretta.
2) Essere progressivamente ridotti,
sparire cioè gradualmente dalla situazione
di stimolo che viene presentata al
soggetto, la quale, più o meno
lentamente, ritorna al suo stato normale,
senza più nessuna aggiunta di prompts
artificiali.

-

I più diffusi modi per realizzare il fading sono:
riduzione graduale dell’aiuto inizialmente dato
attraverso guida fisica diretta che diventa via via
fornito solo da istruzioni verbali;
attenuazione di intensità del modello o del prompt
verbale;
attenuazione di varie forme di enfatizzazione di
alcuni elementi importanti delle istruzioni;
attenuazione della ripetizione di alcune parole
chiave contenute nelle istruzioni verbali;
attenuazione e sparizione progressiva delle
figure, dei colori o di altre forme di aiuto visivo
introdotte come aggiunte facilitanti in compiti di
discriminazione (Ianes, 2006).

Le tecniche di insegnamento «senza
errori» cercano di facilitare apprendimenti
discriminativi di varia natura, senza però
fare incorrere in errori il soggetto. Ciò è
possibile con un’accuratissima
programmazione e «manipolazione» del
materiale di stimolo che viene presentato
al soggetto nel programma di
insegnamento (Ianes, 2006). Il materiale
visivo di stimolo viene realizzato
introducendo massicciamente prompt
costituiti da figure e vari richiami per
l’attenzione, come colori, o altre aggiunte
grafiche (frecce direzionali, disegni, ecc.)
(Ianes, 2006).

La tecnica più nota è lo stimulus
fading
che
consiste
nell’esagerazione
di
alcune
caratteristiche
fisiche
dello
stimolo discriminativo, quello che
dovrà poi guidare la risposta di
scelta, in modo che tale risposta
corretta sia immediatamente
facilitata in modo decisivo.

Rinforzamento positivo e motivazione
estrinseca “di risultato”
La tecnica senz’altro più nota dell’analisi
del comportamento è il rinforzamento
positivo sistematico, che si basa sul
principio, fondamentale nel paradigma
dell’apprendimento operante, secondo cui
un
comportamento
si
rafforzerà,
aumenterà cioè in frequenza e probabilità
di emissione, se sarà seguito da un
rinforzatore (positivo o negativo) vissuto
dal
soggetto
che
emette
il
comportamento.

In ambito educativo e didattico sono
state usate infinite varianti e
applicazioni quasi esclusivamente del
rinforzamento positivo, utilizzando
vari tipi di premi e incentivi: rinforzi
alimentari, oggetti, attività piacevoli,
privilegi, rinforzi simbolici (sistemi di
«economie» a punti, stelline, caselle
colorate, adesivi, e così via),
gratificazioni
affettive
come
attenzione
ed
approvazione,
feedback informativi di vario genere
Le tecniche di “shaping” e “chaining”
 Lo shaping è una tecnica
comportamentale per lo sviluppo di
comportamenti complessi, non presenti
nel repertorio di abilità del bambino. Si
attua tramite l’aiuto ed il rinforzo
sistematico di approssimazioni sempre più
vicine al comportamento finale.
 Il chaining è anch’esso una classica
tecnica comportamentale. L’obiettivo è lo
stesso dello shaping, e cioè costruire
un comportamento complesso, attualmente
non presente nel repertorio di abilità, ma il
metodo è radicalmente diverso.


Nel chaining il comportamento finale
viene
descritto
nei
suoi
micro
comportamenti con la task analysis, e
diventa così simile ad una catena di
unità di risposta singole e facilmente
accessibili. L’insegnante inizia poi con il
proporre l’ultimo anello di questa
catena (concatenamento retrogrado),
perché
si
ritiene
che
l’ultimo
componente
del
comportamento
complesso sia il più rinforzante,
essendo
quello
contiguo
al
rinforzamento naturale finale.
L’uso di modelli competenti (modeling)
 L’apprendimento di nuove competenze
attraverso la tecnica del modeling si basa
sull’apprendimento osservativo, che
avviene quando il soggetto osserva
un’altra persona (il modello) che esegue il
comportamento in questione. Il
comportamento desiderato è appreso
solamente attraverso l’osservazione
«passiva» del modello.

Strategie di generalizzazione e
mantenimento
Tecniche che si sono dimostrate utili per
ottenere generalizzazione e mantenimento
delle abilità acquisite. La prima strategia
fa riferimento al portare il comportamento
sotto il controllo di contingenze di
rinforzamento che sono attive
naturalmente nell’ambiente reale di vita
dell’alunno. In questo modo le
contingenze artificiali possono essere
interrotte, dal momento che la stessa
funzione è svolta ora da eventi
regolarmente presenti nell’ambiente.

La generalizzazione avverrà inoltre con
maggiore
probabilità
se
si
verifica
un’espansione del controllo che alcuni
stimoli
(quelli
usati
originariamente
nell’insegnamento)
hanno
sul
comportamento positivo. Il bambino sarà
dunque in grado di generalizzare se
riconoscerà, in altri contesti o situazioni,
degli
aspetti
di
stimolo
che
gli
consentiranno di assimilare questa nuova
condizione a quella precedente
Strategie metacognitive e di
autoregolazione

Nella
didattica
metacognitiva
l’attenzione dell’insegnante non è
tanto rivolta all’elaborazione di
materiali
o
metodi
nuovi
per
«insegnare come fare a…», quanto al
formare
quelle
abilità
mentali
superiori di autoregolazione che
vanno al di là dei «semplici» processi
cognitivi primari
Sviluppare nell’alunno la
consapevolezza di quello che sta
facendo, del perché lo fa, di quando
è opportuno farlo e in quali
condizioni; l’approccio metacognitivo
tende a formare le capacità di essere
il più possibile «gestori» diretti dei
propri processi cognitivi, dirigendoli
attivamente con proprie valutazioni e
indicazioni operative (Ianes, 2006).
Conoscenze sul funzionamento
cognitivo in generale
 Questo primo livello include una serie di
conoscenze, notizie e dati su come
funziona la mente umana. L’insegnante
fornisce all’alunno informazioni generali,
organizzate in una sorta di «teoria della
mente», rispetto ai vari processi cognitivi
e risolutivi (come funziona la memoria, la
soluzione di problemi, lo scrivere, ecc.),
sui meccanismi che li rendono possibili, sui
limiti che necessariamente condizionano le
prestazioni mentali e sui fenomeni tipici
più frequenti.
Autoconsapevolezza
del
proprio
funzionamento cognitivo
 A questo secondo livello si deve parlare di
introspezione,
autoanalisi
e
autoconsapevolezza di «cosa e come sto
pensando, valutando, ricordando», ecc.
Dalle conoscenze teoriche generali si
passa a quelle più strettamente individuali
e cioè al conoscere da parte dell’alunno
stesso il funzionamento dei propri processi
cognitivi e comportamentali, rendendosi
conto dei rispettivi punti di forza e deficit.
Variabili psicologiche di
mediazione

L’allievo sviluppa, anche se forse in modo
solo parzialmente consapevole, una
«immagine di sé come persona in grado
(più o meno) di imparare», immagine che
entra in rapporto con le caratteristiche più
profonde della sua generale immagine e
valutazione di sé. All’interno di questa
dimensione psicologica fondamentale si
possono individuare alcune linee di
intervento metacognitivo che sono
complementari a quelle precedentemente
descritte.

Locus of control e stili di attribuzione. Con
questa espressione si indica il «luogo»
dove l’alunno ritiene si trovino i fattori
«responsabili» di quello che gli accade, nel
bene e nel male, e cioè dove siano le
cause dei successi e degli insuccessi.
L’allievo con un locus of control distorto,
eccessivamente
proiettato
su
fattori
esterni,
con
conseguente
deresponsabilizzazione
personale,
in
genere assume un atteggiamento passivo.
Egli ritiene infatti di «non potercela fare»,
in nessun modo, perché «non dipende da
me…».

Senso di autoefficacia. Gli psicologi
cognitivi, ricordiamo in particolare
Bandura, ritengono che questa sia
una variabile di importanza cruciale
nell’influenzare, in senso positivo o
negativo, la capacità di autoregolare
il proprio apprendimento e la propria
motivazione. Come si è già visto, il
senso di autoefficacia è la
convinzione delle proprie capacità di
raggiungere il successo
nell’esecuzione di un compito, e cioè
il senso di «potercela fare».


Autostima.
Il complesso di giudizi di valore e
sentimenti che proviamo nei confronti dei
molti aspetti della nostra persona
costituisce il concetto psicologico di
autostima. L’enorme importanza di questa
dimensione della vita psichica non può
essere in alcun caso sottovalutata e si
potrebbe affermare addirittura che uno dei
principali obiettivi dello sviluppo
psicologico sia proprio quello di costruire
un senso positivo di autostima come parte
integrante dell’identità personale.
Le verifiche e le valutazioni
La quarta parte del Piano educativo
individualizzato dovrebbe riguardare le
attività di verifica, sulla base degli esiti
oggettivi
delle
nostre
attività
di
insegnamento
e
stimolazione
o
di
intervento
educativo.
Una
prima
considerazione riguarda la collocazione
temporale delle attività di verifica: esse non
dovrebbero essere previste soltanto alla
fine dell’anno scolastico,ma dovrebbero
accompagnare, come una prassi costante,
le varie attività realizzate.

Per quanto riguarda poi le modalità
operative, la verifica dovrebbe essere
rivolta a qualcosa di più della pura e
semplice acquisizione degli obiettivi:
occorre valutare anche il grado di
generalizzazione delle abilità e il loro
sviluppo in reali competenze, il grado
di mantenimento nel tempo delle
competenze acquisite e il livello
raggiunto rispetto alle capacità di
autoregolazione autonoma dell’alunno
nell’esecuzione di una data abilità.
Dovremmo introdurre un’altra voce nella
valutazione
in
itinere,
e
cioè
l’appropriatezza, la validità e la sensatezza,
rispetto a un progetto complessivo di vita,
degli obiettivi inseriti nel Profilo dinamico
funzionale. Ci dovremmo chiedere se le
abilità che cerchiamo di far acquisire
all’alunno sono davvero significative per lui,
migliorano cioè in modo effettivo la sua
competenza quotidiana, elevando la reale
qualità della sua vita attraverso il loro
costante utilizzo negli ecosistemi di vita e di
relazione in cui l’alunno si trova.
DAL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO AL
PROGETTO DI VITA

Progetto di vita è innanzitutto un «pensare» in
prospettiva futura, o meglio un pensare doppio,
nel
senso
di
immaginare,
fantasticare,
desiderare,
aspirare,
volere,
ecc.
e
contemporaneamente di preparare le azioni
necessarie, prevedere le varie fasi, gestire i
tempi, valutare i pro e i contro, comprendere la
fattibilità, ecc. Per allargare il Piano educativo
individualizzato in un Progetto di vita possiamo
fare riferimento a tre punti di vista, che
corrispondono, ovviamente, a tre livelli d’azione
complementari: tecnico-didattico, psicologico e
relazionale


Progetto di vita dal punto di vista
tecnico-didattico-formativo
«Orientamento
di
prospettiva»,
interno alle varie attività, continuo e
costantemente
attivo
nella
definizione degli obiettivi a lungo
termine, nella scelta dei criteri per gli
obiettivi a medio termine, nelle
attività di valutazione autentica, di
sviluppo psicologico, ecc.



Far entrare il Progetto di vita nel
Piano educativo individualizzato
vuole dire due cose dal punto di vista
tecnico-didattico:
1. scegliere obiettivi orientati il più
possibile alla vita adulta;
2. usare modalità «adulte» di
lavorare all’apprendimento di questi
obiettivi (Montobbio e Lepri, 2000).
– ruoli lavorativi: «imparare a lavorare, non
imparare un lavoro»;
– competenze di gestione del tempo libero,
sia in casa che fuori;
– competenze di gestione autonoma e/o
assistita di un proprio luogo di vita;
– competenze di sviluppo/mantenimento di
una rete di supporto sociale informale;
– competenze di gestione delle proprie
risorse economiche;
– competenze affettive e sessuali;
– competenze per realizzare una propria
vita familiari


Il progetto di vita dal punto di
vista psicologico
La condizione adulta richiede una complessa
«maturazione» psicologica e affettiva: la persona
diventerà adulta nella misura in cui la sua
identità sarà autonoma e stabile, la sua
separazione/individuazione dalle persone adulte
della sua famiglia d’origine potrà dirsi compiuta,
quando le sue capacità autoprogettuali
elaboreranno Sé possibili e sequenze di azioni per
realizzarli, quando sarà in grado di gestirsi
autonomamente le varie qualità del suo tempo,
quando sarà in grado di accettae compromessi
tra desideri e realtà, quando saprà rivestire ruoli
attesi e prescrittivi in vari contesti (il lavoro, la
partecipazione sociale, gli amici)


Il progetto di vita da un punto di vista
relazionale: un’azione collettiva
Avere un approccio rivolto al Progetto di vita
richiede un ampliamento di orizzonte rispetto agli
«attori» di questo processo nell’ottica dei Piani di
Zona previsti dalla legge 328 del 2000. Dovrà
essere coinvolta la scuola, ma anche la famiglia, i
servizi (sociosanitari, sociali, per l’impiego,
educativi, domiciliari, ecc.), le risorse relazionali
informali della rete familiare (parenti, amici,
ecc.), le risorse associative, ricreative e culturali
di un territorio e di una comunità, i vicini di casa,
i negozianti, il barista, i vigili urbani, ecc. E chi
più ne ha, più ne metta.