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UNITÀ H1 - 2
MISURA ELETTRONICA
LA TECNICA DELLA MISURA EDM
La misura elettronica della distanza (EDM: Electronic Distance Measurement), basata
sull’emissione di onde, impiega la tecnica operativa delle misure indirette (strumento su
un estremo e apparato riflettente sull’altro estremo), ma produce direttamente la distanza
misurata sul display dello strumento, che prende il nome di distanziometro elettronico.
La distanza misurata è quella che intercorre tra strumento e apparato riflettente, ed è quindi
la distanza reale (inclinata); tuttavia i moderni distanziometri elettronici sono in grado di
calcolare e di fornire sia la distanza orizzontale sia il dislivello tra strumento e apparato
riflettente.
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CLASSIFICAZIONE DEGLI APPARATI EDM
In relazione alla natura delle onde utilizzate i distanziometri elettronici si
differenziano in:
GEODIMETRI, in cui vengono utilizzate onde luminose infrarosse o laser
(piccole e medie portate, 1-5 km, per impieghi topografici);
TELLUROMETRI, in cui vengono utilizzate onde radio (grandi portate, 10-50
km, per impieghi geodetici).
A loro volta i geodimetri si distinguono in:
GEODIMETRI A MODULAZIONE: prevedono la misura dello sfasamento tra
l’onda emessa e quella ricevuta di ritorno dal prisma riflettore;
GEODIMETRI A IMPULSI: prevedono la misura del tempo trascorso affinché
un impulso (molta energia in brevissimo tempo) ritorni all’apparato emittente
dopo una riflessione.
Un geodimetro a modulazione prevede che un fascio continuo di onde
luminose portanti, perlopiù di tipo infrarosso generate da un fotodiodo,
vengano modulate in ampiezza e inviate a un apparato riflettente passivo
(prisma) costituito essenzialmente da una serie di specchi, e da qui rimandate
all’apparato emittente.
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TEORIA DELLE ONDE TRASVERSALI
Molti fenomeni naturali possono essere rappresentati con stati oscillatori e
vibratori periodici detti ondulatori.
Un’onda si dice trasversale quando l’oscillazione (lo spostamento) si sviluppa in
modo ortogonale alla direzione di propagazione
oscillazione
propagazione
Christiaan Huygens, nel 1678, teorizza che la luce è costituita da onde che si
propagano nello spazio circostante a una sorgente luminosa
James Clerk Maxwell (1831-1879): l’onda luminosa è un caso particolare di
onda elettromagnetica (con frequenze molto alte), dunque ha comportamenti
analoghi alle onde radio, ai raggi X, ecc. e ne segue lo stesso modello
matematico; nel vuoto si propaga alla stessa velocità c = 299.792.458 m/sec
(~300106 m/sec). Le onde elettromagnetiche trasportano energia, non materia.
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TEORIA DELLE ONDE TRASVERSALI
Il fenomeno ondulatorio può essere descritto sotto due punti di vista.
In un dato istante, lo spostamento trasversale A descrive la forma dell’onda.
Questo spostamento cambia via via che ci si muove nello spazio da un punto
all’altro dell’onda stessa; di conseguenza esso dipende dalla posizione x del
punto considerato sulla direzione di propagazione.
Se invece lo si considera su un singolo punto sulla linea di propagazione
dell’onda, lo spostamento trasversale A cambia al trascorrere del tempo.
Le onde sono un fenomeno la cui descrizione, pertanto, richiede una funzione di
due variabili: la posizione spaziale x e il tempo t (A = f (x,t)). Lo spostamento
trasversale A, nel caso di onde armoniche, varia secondo una legge sinusoidale
che è rappresentata dall’equazione esprimibile con le due seguenti forme:
T = periodo
t x
A = A0 sen [2(--- - ---)] = A0 sen
T 
A = A0 sen (t + 0)
A0 = ampiezza (spost. massimo)
c
f
t x
2 (  )
T 
 = lunghezza
φ = fase
φ0 = fase iniziale
 = pulsazione
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2

2
T
x0
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MODULAZIONE DELLE ONDE
Affinchè il raggio luminoso, per essere valutato correttamente, possa disperdere poca
energia e ritornare allo strumento dopo la riflessione, occorre che la lunghezza d’onda
impiegata sia molto piccola (micrometrica) come la luce infrarossa con  = 850 nm.
Tuttavia le lunghezze d’onda micrometriche non consentono la misura della distanza, per la
quale sono invece necessarie lunghezze d’onda nell’ordine del metro (onde metriche).
Queste due contrastanti esigenze sono entrambe recepite ricorrendo alla modulazione
Durante un processo di modulazione si utilizzano due tipi di onde, chiamate portante
(carrier) e modulante (modulating signal); il risultato del processo è l’onda modulata.
1. L’onda portante è un’onda con una frequenza costante che ha caratteristiche più adatte
alla trasmissione ( molto corta).
2. L’onda modulante contiene l’informazione da trasportare, ma non possiede le
caratteristiche necessarie ( grandi) per essere trasmessa con affidabilità.
Queste 2 onde sono mescolate da un dispositivo chiamato modulatore.
3. L’onda modulata contiene l’informazione mescolata al segnale portante e possiede le
caratteristiche sia per la trasmissione sia per un’affidabile ricezione.
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MODULAZIONE DELLE ONDE
Esistono tre diversi tipi di modulazione: di ampiezza (AM, Amplitude
Modulation), di frequenza (FM, Frequency Modulation) e di fase (PM, Phase
Modulation).
Tuttavia nei distanziometri a onde utilizzati in topografia viene sempre adottata
la modulazione di ampiezza.
D’ora in poi, quando parleremo di lunghezza d’onda, ci riferiremo a quella
(m) dell’onda modulata.
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SCHEMA A BLOCCHI DEL GEODIMETRO
Quarzo
piezoelettrico
Fotodiodo (all’arseniuro
di Gallio) che emette
luce infrarossa con
intensità proporzionale
alla corrente che lo
attraversa.
Componente elettronico che
può dividere per k (es. k = 100)
la frequenza del quarzo
piezoelettrico.
A
questa
frequenza, detta frequenza
secondaria, corrisponde una
lunghezza dell’onda modulante k
volte più grande di quella
fondamentale.
Apparato ricevente, in grado di
captare l’onda riflessa da un
prisma posto a distanza.
Nei distanziometri a modulazione è un dispositivo in grado di misurare lo sfasamento 
corrispondente a due diversi valori A1 e A2 di intensità dell’onda, e di risalire alla distanza D. Ha
una precisione di 1/100 di radiante, che si traduce in un errore sulla misura della distanza
valutabile in 1/1000 di mezza lunghezza d’onda impiegata nella misura: D  10-3  /2 =
(/2)/1000.
Nei distanziometri a impulsi è un oscillatore al quarzo (orologio) in grado di misurare il tempo di
percorrenza di un impulso con la precisione di 2-310-8 sec.
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I PRISMI RIFLETTORI
Il prisma permette di invertire la direzione di propagazione di un fascio di luce
parallelamente alla direzione di incidenza. Il prisma più semplice si ottiene tagliando uno
spigolo di un cubo di cristallo con un piano di taglio normale alla diagonale del cubo. Il
prisma, di solito, è collocato su un’asta telescopica graduata (per rilevarne l’altezza da
terra hP), ed è provvisto di uno scopo che consente una migliore individuazione e
collimazione a distanza.
Può essere utilizzato singolarmente o a gruppi multipli. Il numero di prismi necessario ad
assicurare una buona risposta dipende dal tipo di distanziometro e, soprattutto, dalla
distanza da misurare. In effetti, maggiore è il numero di prismi, maggiore è la portata
dell’apparato distanziometrico.
hP
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GEODIMETRI A
MODULAZIONE
TEORIA DEI GEODIMETRI A MODULAZIONE
Siano S e P gli estremi del segmento da misurare. Supponiamo che la sua lunghezza
SP sia inferiore alla metà della lunghezza d’onda modulata: D = SP < /2.
In S l’apparato distanziometrico emette un’onda luminosa (modulata) la cui legge di
oscillazione trasversale sinusoidale è fornita dall’espressione:
A = A0 sen =A0 sen(t + 0)
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TEORIA DEI GEODIMETRI A MODULAZIONE
in un istante t lo stato dell'oscillazione in S è:
A1 = A0 sen1 = A0 sen(t + 0)
nello stesso punto S l’onda riflessa da uno specchio posto a una distanza D
(minore di /2) ha uno stato di oscillazione pari a:
A2 = A0 sen2 = A0 sen[(t + t) + 0 = A0 sen(t + t + 0)
dove t è il tempo impiegato dall’onda a coprire la distanza 2D (da S a P e da P a
S).
2
∆
A2
Si produce quindi tra le due onde uno sfasamento =t (misurabile
dall’apparato elettronico EDM)
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TEORIA DEI GEODIMETRI A MODULAZIONE
A1 = A0 sen(t + o);
A2 = A0 sen(t + t + 0)
Osservando le entità
delle due
oscillazioni A1 e A2, e ricordando che:
 = 2 /T ;
t = 2D/v;
λ = vT,
è possibile scrivere lo sfasamento 
come:
2 2 D
2
    t 


 2D
T
v

Dalla misura dello sfasamento  si
ottiene:
D 
 

2 2
Il fattore ∆/2 è un numero sempre compreso tra 0 e 1 (infatti 0 < ∆ < 2);
la distanza è espressa dunque come frazione di mezza lunghezza d’onda
/2, per questo viene detta parte frazionaria (tale formula è vera per distanze
misurate D inferiori a /2).
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TEORIA DEI GEODIMETRI A MODULAZIONE
Immaginiamo ora che l’estremo P della distanza, quello sul quale l’onda si riflette,
sia allontanato esattamente di mezza lunghezza d’onda lungo la direttrice
SP.
Lo sfasamento  non cambia, in quanto sul percorso da SP e da PS viene a
inserirsi una lunghezza onda  completa (/2 tra SP + /2 tra PS).
La stessa osservazione vale se P viene spostato di un numero intero n di
mezze lunghezze d’onda. Possiamo quindi stabilire l’equazione fondamentale dei distanziometri a modulazione che fornisce la distanza D=SP:

 
D  n 

2 2 2
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GEODIMETRI A MODULAZIONE: sintesi

 
D  n 

2 2 2
Il geodimetro è provvisto di un misuratore di fase che, valutando le intensità
delle oscillazioni A1 e A2, è in grado di misurare lo sfasamento  con un errore di
1/100 di radiante. Con esso la distanza D può essere determinata con
un’incertezza valutabile mediamente sull’ordine del millesimo di mezza lunghezza
dell’onda: D  10-3/2.
Se si vuole determinare una distanza con la precisione del centimetro, occorre
dunque generare un’onda che presenti una lunghezza dell’ordine di  = 20 m
(10/1000 = 0,01 m); se invece la precisione deve essere dell’ordine del millimetro,
l’onda che deve essere generata deve avere una lunghezza dell’ordine di =2m.
Al contrario di  e , nell’equazione dei distanziometri a onde il numero n di
mezze lunghezze d’onda è incognito, e per questa ragione viene chiamato
ambiguità; esso pertanto dovrà venire determinato dal geodimetro con diverse
tecniche.
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DETERMINAZIONE
DELLA AMBIGUITÀ n
(nei geodimetri a modulazione)
AMBIGUITÀ n PER DECADI
Con questa tecnica il geodimetro utilizza due (o più) frequenze a cui corrispondono le
conseguenti lunghezze d’onda. La prima di queste serve per determinare un valore
grossolano della distanza, mentre la seconda, 10 o 100 volte più piccola, viene usata per
effettuare la misura affinata della distanza.
Il processo può essere esteso anche a una terza lunghezza d’onda, 10 volte più piccola
della precedente, per affinare ulteriormente la precisione.
ESEMPIO: se la prima frequenza usata ha il valore f1= 149,85 kHz, la seconda sarà f2=
14985 kHz =14,985 MHz. A queste frequenze corrisponderanno le seguenti lunghezze  :
300106
1 
 2000m
14,985104
300106
2 
 20m
14,985106
Le misure delle distanze effettuate dal geodimetro con le precedenti lunghezze d’onda,
presenteranno le seguenti precisioni:
misura effettuata con lunghezza d’onda 1: D  1000/1000 = 1 m
misura effettuata con lunghezza d’onda 2: D  10/1000 = 0,01 m = 1 cm
È poi necessario che la prima lunghezza d’onda 1 utilizzata dal distanziometro sia maggiore
del doppio della distanza massima che può misurare il distanziometro (portata), dunque:
1/2>D.
Nel nostro esempio, essendo 1 = 2000 m, la portata dello strumento sarà di 1000 m = 1 km.
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AMBIGUITÀ n PER DECADI
Questa condizione è necessaria affinché la misura della distanza utilizzando la
prima lunghezza d’onda 1 presenti il valore dell’ambiguità n sempre nullo.
Dunque la distanza in prima approssimazione (con 1) si ottiene dalla
seguente espressione:
D
1 1

2 2
[ D   1m]
Per una misura più precisa il distanziometro utilizza la frequenza f2, a cui
corrisponde la lunghezza d’onda 2 100 volte più piccola di 1 (2 = 20 m),
dunque in grado di permettere la misura di D in modo 100 volte più preciso.
Per 2 però si ha 2/2 < D, pertanto il valore dell’ambiguità
n non è più nullo.
Il valore dell’ambiguità n, tuttavia, può essere facilmente determinato utilizzando il
valore grossolano (ma adeguato per questa operazione) di D, ricavato nella fase
precedente. Infatti basta tenere conto che esso deve essere un numero intero,
tale che il valore della distanza che si ricaverà utilizzando 2 non dovrà risultare
troppo diverso dal valore della stessa distanza calcolato in precedenza utilizzando
1.
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AMBIGUITÀ n PER DECADI
ESEMPIO: Ipotizziamo che il valore approssimato della distanza ricavato utilizzando 1 =
2000 m sia stato di 773,8 m, con incertezza valutata in 1 m, e che il fattore frazionario
misurato dal geodimetro utilizzando 2 = 20 m sia stato:
 2 2
  4,324 m  1cm
2 2
Il valore dell’ambiguità n viene così ricavato
n
2
 4,324  773,8
2
n
773,8  4,324
 76,95  77
(20 / 2)
Quindi, il geodimetro ricava il valore della distanza utilizzando 2
D  n
2
2

 2 2

2 2
D  77 
20
 4,324  774,324  1cm
2
Per avere la distanza con precisione dell’ordine di 1 mm, il distanziometro utilizza una
terza lunghezza d’onda 3, 10 volte più piccola di 2 (nel nostro esempio 1 = 2 m), a cui
corrisponde la precisione del millimetro.
In questo caso la misura non è più istantanea (come avveniva nella misura con 1 e 2 ),
ma richiede un tempo che mediamente è di alcuni secondi.
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AMBIGUITÀ n PER FREQUENZE VICINE
Il distanziometro utilizza tre frequenze: in una prima fase vengono impiegate due frequenze
f1 e f2, molto prossime tra loro, che portano a una stima grossolana del valore della
distanza; successivamente, con una seconda fase, viene impiegata la terza frequenza f3 di un
ordine di grandezza più alto, per determinare con precisione D.
1a FASE
Ipotizziamo di misurare la distanza modulando l’onda infrarossa con due frequenze f1 e f2 a
cui corrispondono due lunghezza d’onda 1 e 2 (poniamo 1 > 2) con valori molto
prossimi e dell’ordine del km (es. 1 = 2000 m; 2 = 1980 m). La scelta di due frequenze
tanto vicine permette senz’altro di considerare il valore dell’ambiguità n IDENTICO per
entrambe le misure che si possono ottenere, utilizzando 1 e 2, per la distanza D, che si
potrà scrivere attraverso la seguente espressione:
D  n
1
2
 L1  n 
2
2
 L2
I termini L1 e L2 sono le parti frazionarie dell’equazione fondamentale:
L1 
1 1

2 2
Dalla precedente si ricava n:
L2 
n
 2 2

2 2
2( L2  L1 )
1  2
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AMBIGUITÀ n PER FREQUENZE VICINE
Il calcolo di n richiede due osservazioni:
1) il valore dell’ambiguità n rimane uguale per le due lunghezze d’onda 1 e 2 fino
a una determinata distanza Dlim, chiamata distanza limite, oltre la quale
l’ambiguità non è più determinabile con certezza:
Dlim 
1  2
2(1  2 )
2) occorre valutare l’affidabilità del valore di n: infatti il risultato dell’espressione
non fornisce un numero intero, e ciò pone un dilemma in merito all’affidabilità del
valore di n. Si accetta allora che il valore n ricavato differisca dall’intero di una
quantità massima pari a 0,20 (n = 0,20).
Calcolato senza incertezza il valore dell’ambiguità n, possiamo ora
determinare il valore grossolano della distanza utilizzando la 1 e (o la 2):
D  n
1
2
 L1
[ D   1m]
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AMBIGUITÀ n PER FREQUENZE VICINE
La distanza D ricavata nella 1a fase contiene errori dell’ordine del metro
[(2000/2)/1000 = 1 m], dunque non sufficiente. Pertanto il geodimetro procede
con la 2a fase.
2a FASE
Per ottenere la misura della distanza con precisione, il distanziometro emette una
terza frequenza f3 (molto più grande di f1 e f2), a cui corrisponde una
lunghezza d’onda 3 molto più piccola delle precedenti (es. 3 = 10 m).
Con questa frequenza il distanziometro misura con elevata precisione (per es.
(10/2)/1000 =  0,005 m), la parte frazionaria L3 della distanza, mentre la
nuova ambiguità n viene ricavata in modo affidabile utilizzando la distanza
misurata nella fase precedente (come nel metodo per decadi), certamente in
modo grossolano, ma comunque con incertezza (1 m) inferiore a 3/2:
 3 3
L3 

2 2
D  n
3
2
 L3
[ D   0,005m]
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GEODIMETRI A IMPULSI
GEODIMETRI A IMPULSI
Prevedono la misura di tempi trascorsi tra due brevi impulsi d’onda (da cui la
denominazione “a impulsi”).
Questa tecnica ha il grosso vantaggio di concentrare una grande quantità di energia in un
ristrettissimo intervallo  di tempo, permettendo di superare grandi distanze con l’uso del
prisma riflettente, o piccole distanze senza l’uso del prisma.
Il principio teorico è molto semplice ma, sino a qualche tempo fa, impossibile da attuare per
la scarsa precisione (rispetto a quella necessaria) con la quale era possibile misurare
questi brevissimi intervalli di tempo.
Il concetto di misura nei distanziometri a impulsi, come
detto, è lineare: nota la velocità v di propagazione dell’onda
luminosa, il tempo ∆t tra andata e ritorno del segnale verso
il prisma è funzione della distanza D secondo la nota legge:
D
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v  t
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GEODIMETRI A IMPULSI
L’elevata velocità del segnale luminoso rende essenziale l’esatta
misurazione del tempo di volo dell’impulso; in effetti, la distanza di 1 mm
(precisione richiesta ai geodimetri) viene percorsa in andata e ritorno (2 mm) in
6,7 picosecondi (1 picosecondo=10-12sec).
Dunque un metodo così semplice nel principio presenta un grosso problema
pratico: affinché la distanza D abbia precisione dell’ordine di 10-6 (1 ppm= 1
mm/km), occorre che sia v sia soprattutto ∆t vengano misurati con grande
precisione. Infatti, nell’ipotesi che v=c sia approssimativamente 300106 m/sec, ∆t
dovrebbe possedere una precisione di 10-13 sec, ottenibile solo con orologi
atomici, non disponibili per strumenti come i geodimetri topografici.
Nei geodimetri a impulsi esiste un orologio, molto stabile, ma di precisione più
limitata (a t  310-8 sec), governato da un oscillatore a una frequenza f =
14,985 MHz pari a = 20 m. Tuttavia è possibile, anche se solo in un breve
intervallo, valutare periodi di tempo con precisioni maggiori (a 10-8 sec), grazie
a un metodo di interpolazione a cui accenneremo brevemente in seguito.
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GEODIMETRI A IMPULSI
Nel trasmettitore del geodimetro, il fotodiodo viene attraversato per un tempo 
ristrettissimo (12 nanosecondi), da una forte corrente di 30 Ampere, ed emette
un fascio di luce laser (l’impulso). Dopo un certo intervallo di tempo ∆t, al
ricevitore arriva il segnale di ritorno: questo intervallo di tempo consente di avere
un valore approssimato della distanza D con un errore medio pari a:
D   (300  106)  (3  10-8)/2 = 4,5 m
Rimane allora il problema di «affinare» la misura della distanza.
L’oscillatore al quarzo del geodimetro, cioè l’orologio, non è perfettamente
sincronizzato con i segnali emessi per la misura della distanza. È quindi
necessario misurare frazioni del periodo di oscillazione, in particolare è
necessario valutare la frazione di periodo tA compreso tra l’istante di invio
(start) e la prima oscillazione di riferimento successiva a questo evento. Così
come è necessario valutare la frazione di periodo tB compreso tra l’istante di
ritorno (stop) e la prima oscillazione di riferimento successiva a questo secondo
evento.
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GEODIMETRI A IMPULSI
I periodi tA e tB sono chiamati tempi residui, e la loro misura permette di ottenere il
tempo ∆t con maggior precisione, che viene espresso dalla seguente formula:
∆t = nT + tA  tB
Il valore di
n
(numero intero di lunghezze d’onda dell’oscillatore-orologio) è facilmente
ricavabile, in quanto, misurando ∆t in prima approssimazione, la distanza approssimata è
nota con precisione migliore del decametro, dunque sufficiente allo scopo.
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GEODIMETRI A IMPULSI
Per misurare con precisione periodi residui di tempo tA e tB si usa un trasduttore tempotensione a “rampa” (così detto perché la tensione V, dipende dal tempo di carica in
modo lineare), basato su un condensatore, del quale è noto il tempo necessario per la
carica completa, e su un rilevatore di tensione.
Dopo ogni misura di tensione, ed entro un intervallo che deve durare meno di un ciclo di
volo dell’impulso, il condensatore viene scaricato.
Questo condensatore viene cioè aperto dal segnale di start (o di stop) e chiuso dalla
prima rampa del segnale dell’oscillatore alla ricarica completa. La sua tensione dipende
in modo lineare dal tempo di carica e il trasduttore trasforma la misura di questa
tensione nella misura dei tempi residui tA e tB.
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GEODIMETRI A IMPULSI
I geodimetri a impulsi, in teoria, permettono di eseguire la misura anche emettendo un solo
impulso. Tuttavia, la misura della distanza fornita dagli strumenti è in realtà frutto
dell’elaborazione statistica su numerose misure operate in ristretti intervalli di tempo.
CONFRONTO IN PARALLELO TRA LE CARATTERISTICHE MEDIE DEI DUE TIPI DI
DISTANZIOMETRI A ONDE
GEODIMETRI A MODULAZIONE
GEODIMETRI A IMPULSI
Richiedono almeno due frequenze per poter
modulare il segnale e misurare la distanza
senza ambiguità sul numero di cicli
Un solo impulso (teoricamente) permette di
determinare la distanza in modo univoco con
precisione centimetrica in un millisecondo
Precisione: dipende dalla risoluzione del
dispositivo di misura della fase e dalla
stabilità dell’oscillatore al quarzo che genera le
frequenze utilizzate
Precisione: dipende dalla stabilità del
quarzo dell’oscillatore (orologio); in ogni
caso la misura è più rapida
Portata media con 1 prisma: 2 Km
Portata media con 1 prisma: 5 Km
Misura senza prisma: impossibile
Misura senza prisma: portata da 200 fino a
800 m in relazione a colore e natura della
superficie collimata
Componente fissa della precisione: tra 3 e 5
mm
Componente fissa della precisione: 5 mm
Componente variabile della precisione per
instabilità del quarzo: da 1 a 5 ppm
Componente variabile della precisione per
instabilità del quarzo: da 1 a 5 ppm
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