Il pensiero politico del Novecento

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Transcript Il pensiero politico del Novecento

Il pensiero politico del Novecento
(Paolo Allegra)
Premessa: le origini del Novecento
-
- 1. Tra le due guerre: democrazia liberale e avvento
del totalitarismo
- 2. La caduta dei regimi totalitari e la critica del
totalitarismo
- 3. La società democratica: il problema della giustizia
Le origini del Novecento
L’avvento della società di massa
espansione del mercato mondiale,
taylorismo e fordismo,
consumo di massa
sviluppo urbano ("metropoli"),
cultura di massa ,
ruolo dei mezzi di comunicazione
movimento ascendente delle classi popolari,
nuove forme e strumenti
della partecipazione politica e sociale
la società di massa
nuove funzioni e compiti delo Stato
evoluzione sistemi politici
(dal liberalismo alla democrazia)
La “Grande Guerra”
guerra di logoramento
e
guerra totale
la mobilitazione di massa
e l'uso della propaganda
la diffusione di ideologie
nazionaliste e militariste
l'affermazione di forme politiche autoritarie
e la concentrazione dei poteri decisionali
Max Weber
(1864-1920)
secolarizzazione come "disincantamento del mondo"
"politeismo dei valori"
e
"etica della responsabilità"
1. Tra le due guerre: democrazia
liberale e avvento del totalitarismo
Hans Kelsen (1881-1973)
democrazia come metodo, non come ideale
democrazia liberale come compromesso tra
principio di sovranità popolare
garanzia di libertà individuali
democrazia
liberalismo
assolutismo filosofico
relativismo filosofico
assolutismo politico
democrazia
negazione del pluralismo
pluralismo
intolleranza
tolleranza
la democrazia come metodo che consente
di gestire il conflitto
di garantire i diritti delle minoranze,
il pluralismo,
la tolleranza
Karl Schmitt (1888-1985)
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so no n eces sari per v isua lizza re q uest' imm agin e.
il decisionismo politico:
sovranità della decisione politica (non della legge)
onnipotenza dello Stato:
negazione dello Stato di diritto
critica del liberalismo e del parlamentarismo:
presidenzialismo e plebiscitarismo
fondamento del concetto di "politico":
Ia distinzione "amico-nemico"
negazione dell'universalismo politico
politica come conflitto
2. La caduta dei regimi totalitari e la
critica del totalitarismo
Carl Friedrich - Zbigniew Brzezinski
Caratteri del totalitarismo:
1. Ideologia organica e totalizzante
2. Partito unico di massa, con un capo carismatico che
ha pieno controllo dello Stato
3. Controllo totale dei mezzi di comunicazione di massa
e dell’apparato di propaganda
4. Monopolio di apparati e strumenti coercitivi
5. Terrore poliziesco
6. Direzione centralizzata dell’economia
M.Horkheimer - T.W.Adorno
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so no ne ces sari per v isua lizza re qu est' imm agine .
• Il fenomeno totalitario espressione della crisi del pensiero
occidentale, del suo illuminismo.
• Il mito dell’illuminismo: la logica di dominio dell’uomo sulla
natura e la riduzione dell’uomo a oggetto manipolabile.
• La critica di una ragione strumentale e la perdita di una ragione
oggettiva.
Hanna Arendt (1906-1975)
società di massa:
massa come entità amorfa
priva d'identità
atomizzazione degli individui
e dissolvimento di un vincolo comune
il totalitarismo:
ideologia e terrore poliziesco
propaganda e menzogna
come creazione di un mondo fittizio
isolamento dell'individuo
e cieca obbedienza
I "Lager" nazisti:
il "male assoluto"
dove tutti gli uomini sono diventati ugualmente superflui
“L’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni
esterne dell’esistenza umana né al riassetto rivoluzionario
dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana
che, così com’è, si oppone al processo totalitario. I Lager sono i
laboratori dove si sperimenta tale trasformazione, e la loro infamia
riguarda tutti gli uomini, non soltanto gli internati e i guardiani. Non è in
gioco la sofferenza, di cui ce n’è stata sempre troppa sulla terra, né il
numero delle vittime. E’ in gioco la natura umana come tale. (…)
Un’unica cosa sembra certa: possiamo dire che il male radicale è
comparso nel contesto di un sistema in cui tutti gli uomini sono diventati
egualmente superflui.”
(Hanna Arendt, Le origini del totalitarismo)
il processo Eichmann
e
la "banalità" del male
la "mancanza di pensiero"
come forma di protezione dalla realtà
l'obbedienza totale alla realtà
“Il male, come ci è stato insegnato, è qualcosa di demoniaco. (…)
Nondimeno, ciò che avevo sotto gli occhi a Gerusalemme, qualcosa di
totalmente diverso, era pure innegabilmente un fatto. Restai colpita
dalla evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva
impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello
più profondo di cause o di motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma
l’attore (…) risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che
demoniaco o mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni
ideologiche o di specifiche motivazioni malvage, (…) non stupidità, ma
mancanza di pensiero. (…) Clichès, frasi fatte, l’adesione a codici
d’espressione e di condotta convenzionali e standardizzati adempiono
la funzione socialmente riconosciuta di proteggerci dalla realtà.”
(Hanna Arendt, La banalità del male)
L’esperimento di Stanley Milgram
(Università di Yale, 1961)
Ruolo dell’autorità e “stato eteronomico”
3. La società democratica: il
problema della giustizia
Democrazia, libertà e uguaglianza
nella seconda metà del Novecento
La società contemporanea:
diritti universali e profonde disuguaglianze
differenze alla nascita:
una "lotteria naturale"
differenze prodotte dalla società:
una "lotteria sociale"
contraddizione
tra disuguaglianze e giustizia
quale giustizia?
superamento delle disuguaglianze,
garanzia di pari opportunità,
equa distribuzione di risorse,
rispetto dei fondamentali diritti umani
il rapporto tra libertà e uguaglianza
il modello individualista
il modello neocontrattualista
libertà individuale
e idea di "Stato minimo"
conciliazione
di libertà individuale e giustizia sociale
Friedrich August von Hayek (1899-1992)
Robert Nozick (1938-2002)
John Rawls (1921-2002)
Robert Nozick (1938-2002)
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centralità della libertà individuale
l'idea di "Stato minimo"
opposizione ad ogni limitazione delle libertà individuali
e
a politiche di "W elfare State"
John Rawls (1921-2002)
“E’ mio scopo presentare una concezione della giustizia che generalizza e porta a un più alto
livello di astrazione la nota teoria del contratto sociale, quale si trova per esempio in Locke,
Rousseau e Kant. (…) L’idea guida è quella che i principi di giustizia per la struttura di base della
società sono oggetto dell’accordo originario. Questi sono i principi che persone libere e razionali,
preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di
eguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione. Questi principi devono
regolare tutti gli accordi successivi; essi specificano i tipi di cooperazione sociale che possono
essere messi in atto e le forme di governo che possono essere istituite. Chiamerò giustizia come
equità questo modo di considerare i principi di giustizia.”
(John Rawls, Una teoria della giustizia)
giustizia come "eguale libertà":
uguaglianza come godimento delle libertà fondamentali
un "contratto sociale"
tra persone razionali, libere ed eguali
la "posizione originaria"
come ipotetico "stato di natura"
il "velo d'ignoranza":
eguaglianza,
imparzialità della decisione,
universalità delle motivazioni
i "principi di giustizia"
1.
eguale diritto al più esteso sistema di libertà fondamentali
2.
ammissibilità di diseguaglianze,
se generano benefici per ognuno
il "principio di differenza"
e la regola del "maximin":
il massimo vantaggio per i meno fortunati
“Affermo che le persone nella situazione iniziale sceglierebbero
due principi piuttosto differenti: il primo richiede l’eguaglianza
nell’assegnazione dei diritti e dei doveri fondamentali, il secondo
sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, come
quelle di ricchezza e di potere, sono giuste soltanto se
producono benefici compensativi per ciascuno, e in particolare
per i membri meno avvantaggiati della società.
Questi principi escludono la possibilità di giustificare le istituzioni
in base al fatto che i sacrifici di alcuni sono compensati da un
maggior bene aggregato. Il fatto che alcuni abbiano meno
affinchè altri prosperino può essere utile, ma non è giusto.
Invece i maggiori benefici ottenuti da pochi non costituiscono
un’ingiustizia, a condizione che anche la condizione delle
persone meno fortunate migliori in questo modo.”
(John Rawls, Una teoria della giustizia)
Esempio di applicazione di un “principio di giustizia”
condizione iniziale equa
Soggetti A: 100
Soggetti B: 100
Bene aggregato: 200
condizione iniziale non equa
Soggetti A: 150
Soggetti B: 50
Bene aggregato: 200
1° caso (utile, ma non giusto)
Soggetti A: 250
Soggetti B: 50
Bene aggregato: 300
2° caso (utile e giusto)
Soggetti A: 200
Soggetti B: 100
Bene aggregato: 300