Il tema dell`amicizia in Catullo

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Il tema dell’amicizia in Catullo
Liceo S. S . “G: Piazzi “
Insegnante: Nella Di Carli
Il contesto storico-culturale dei poetae novi.
I pochi decenni che denominiamo “età di Cesare”, che vanno dalla dittatura
sillana (80 a. C.), all’uccisione del fondatore della casa Giulia (44 a. C.),
costituiscono il momento più complesso e più torbido della vita di Roma, ma
anche il più creativo e stimolante per la letteratura latina. Le spinte
individualistiche che si affermano tanto nella vita pubblica che in quella
privata, producono cambiamenti irreversibili, operando profonde
innovazioni nei costumi, nella società, nel sentire comune.
Cesare, astro nascente della politica, nello scontro tra populares ed
optimates, appoggiandosi sull’elemento popolare, creerà le basi per un
potere forte, personale, che di fatto scardinerà i vecchi istituti repubblicani,
basati sulla spartizione dei poteri nell’ambito dell’oligarchia senatoria. I
poetae novi dal canto loro, sebbene per lo più conservatori in politica per la
loro origine aristocratica e fieramente avversari di Cesare, tenderanno ad
isolarsi dal clima infuocato dello scontro politico, affermando i valori spirituali
dell’otium, del disimpegno, dando vita ad una poesia orientata in direzione
dei valori privati, dove l’amicizia secondo il verbo di Epicuro, il filosofo più
amato dai poeti di questa generazione, è in grado di consolare con il
balsamo della parola, i momenti più bui della vita, di circondarla della divina
voluptas.
Il circolo degli amici.
Quello dei poetae novi (la definizione risale a Cicerone ed è contenuta in
Orator ,161 e in ,Ad Atticum VII, 2,1), fu il primo circolo poetico della
letteratura latina indipendente dal patronato di un uomo politico, che nasce
per iniziativa di un gruppo di amici, oriundi della Gallia Cisalpina, omogenei
per gusti estetici e letterari, legati soprattutto da quelle “affinità elettive” da
quella comune visione di vita, che spiegano il miracolo della poesia
catulliana. La caratteristica principale della poesia catulliana è infatti quella
di rispecchiare una dimensione privata, di rivolgersi come destinatari
innanzitutto agli amici, di declinare in tutte le sfumature possibili il
sentimento dell’amicizia.
Il senso dell’amicizia catulliana è stato spesso posto sotto il segno
dell’epicureismo. I due elementi attraverso i quali si esprime la solidarietà
epicurea la voluptas (il piacere) e la fides (la fedeltà alla parola data), si
pongono alla base del motivo dell’amicizia in Catullo. . Ma, nonostante
queste influenze filosofiche, bisogna tener conto del significato di
esperienza vissuta che questo sentimento acquista nel poeta veronese ,
rendendosi autonomo da qualsiasi influenza dottrinale. L’amicizia di Catullo
nasce dalla vita, si nutre di vita e al pari dell’amore reclama la fides, il
rispetto della parola data, presupponendo il foedus, la norma giuridica, il
sacro patto sanzionato su uno sfondo e un impegno religioso.
I caratteri della poesia neoterica
.
Postisi decisamente alla scuola degli esponenti della poesia ellenistica come Callimaco, questi
provinciali predilessero una poesia di “nicchia”, d’avanguardia, una poesia per pochi, per quanti non
fossero solo dei fruitori della comunicazione poetica, ma degli esperti critici, in grado di formulare
consapevoli giudizi estetici. Tre sembrano i capisaldi della nuova poesia:
1) La raffinatezza: la poesia come cifra di un’arte disimpegnata, leggera, per quanto riguarda i
contenuti ((nugae, ossia bazzecole, bagatelle, definì i suoi componimenti Catullo), ma tendente alla
perfezione formale, alla ricerca del labor limae, lontana dalla facilità dei gusti popolari.
2)L’erudizione: la poesia che trae alimento dalla dottrina, dal mito, ricca di riferimenti dotti, che non
hanno bisogno di essere troppo spiegati al pubblico di intenditori a cui si rivolge.
3) La brevità: la poesia che concentra il pensiero nel giro di poche parole,formulate però attraverso
una sapiente stilizzazione della forma, nella quale si ricerca il mescolamento tra le espressioni proprie
del sermo familiaris e quelle tipiche dello stile elevato, ricavandone un effetto di grazia, di
naturalezza.
A tale concezione della poesia, concepita come sacra militia alla quale consacrare le migliori
energie,corrisponde una nuova concezione del poeta che non è più il vates, alla maniera enniana,
colui che produce poesia epica, nazional-popolare esaltante i valori della collettività, ma l’artifex che
in quanto litterator e gramaticus, è in grado di cesellare, di distillare la parola.
Alcuni amici di Catullo: Veranio,
Fabullo, Calvo.
Di Veranio, Fabullo, Licinio Calvo, sappiamo ben poco, se non che Catullo li ricorda
quali destinatari di alcuni suoi carmi e questo basta a renderli immortali, a sottrarre i
loro nomi all’oblio del tempo.
A Veranio, di ritorno dalla lontana Spagna dove aveva accompagnato il governatore di
quella provincia, il poeta veronese dedica ilcarme 9 pieno di cordiale entusiasmo, di
sincero affetto. Era consuetudine per i giovani dell’aristocrazia romana recarsi in
provincia al seguito dei magistrati, sia per fare esperienze utili per la loro futura carriera
politica, sia per rimpinguare il patrimonio, facendo lucrosi affari. Dopo l’iperbole iniziale
(antistans…milibus trecentis), il poeta descrive la gioia del ritorno dell’amico,
richiamando le immagini alle quali questa gioia è collegata: il focolare domestico
rappresentato dai Penati e dai Lari, centro religioso ed affettivo della casa romana, e
poi ,disposti in un climax ascendente,gli affetti più cari, espressioni della pietas: i
fratelli considerati un’unica realtà affettiva (unanimos) e la madre ormai anziana.
Sembrerebbe un componimento nato spontaneamente sull’onda di una gioia quasi
infantile, se non che , a ben guardare, la scaturigine ultima della sua ispirazione è
letteraria, perché si rifa ad un verso dell’Odissea, dove Penelope saluta il figlio
Telemaco, ritornato dal viaggio intrapreso per cercare notizie presso i vecchi amici del
padre:
Scoppiando in lacrime, gettò le braccia al collo del caro figlio
e lo baciò sul volto e su entrambi gli occhi splendenti (Odissea,XVII,38-39)
Il carme IX
IX
Verani omnibus e meis amicis
antistans mihi milibus trecentis.
venistine domum ad tuos penates.
fratresque unanimos. anumque matrem.
venisti. o mihi nuntii beati. 5
visam te incolumem audiamque Hiberum
narrantem loca facta nationes
ut mos est tuus. applicansque collum
iucundum os oculosque suaviabor.
o quantum est hominum beatiorum. 10
quid me laetius est beatiusve.
O Veranio, che tra tutti i miei amici
tu stai davanti di trecento miglia,
sei tornato a casa, ai tuoi penati
e ai fratelli concordi alla vecchia madre?
Sei tornato. O notizia a me lieta!
Ti vedrò incolume, ti ascolterò narrare dei luoghi visitati,
delle tue avventure, dei costumi dei popoli,
come è tua abitudine, e con le braccia intorno al tuo collo
ti bacerò il volto giocondo e gli occhi.
O quanto c'è di uomini felici,
chi è più gioioso e beato di me?
Il carme XIII
Intonato ad un clima di scherzosa ironia,è il carme dedicato a Fabullo, esponente della
nobile gens Fabia, amico dello stesso Veranio che aveva accompagnato in Spagna.
Siamo in piena atmosfera di lusus, dove il riso, la spensieratezza, la giovialità,
dilagano in tutto il componimento, offrendoci il ritratto di una gioventù gaudente e
spensierata, ma in grado di coltivare sinceri affetti umani. Il tema dell’invito a cena era
un topos tipicamente ellenistico che ritroviamo in Filodemo di Gadara (filosofo
contemporaneo a Catullo, trasferitosi ad Ercolano e fondatore della scuola epicurea).
Si tratta però di una rivisitazione originale del tema, come confermato
dall’aprosdoketon ,la battuta finale inattesa, perché il carme si presenta come un
invito alla rovescia, dove è l’ospite che viene invitato dall’amico a portare tutto il
necessario per la cena,insieme ad una bella ragazza, vino, arguzie (lt. sale), e risate.
La spiegazione che Catullo offre di questo strano invito (il borsellino di Catullo è pieno
di ragnatele, “plenus sacculus est aranearum”), non sembra rispecchiare una
situazione realistica, dal momento che sappiamo da fonti accreditate come Svetonio,
che la famiglia di Catullo era di alto rango provincilae , tale da permettersi di ospitare
Cesare al tempo del suo governatorato nella Gallia Cisalpina . Il senso ultimo del
carme va ricercato principalmente nell’’aggettivo possessivo mi che insieme
all’aggettivo venuste (caro, v.6), Catullo riserva solo alle persone care come Lesbia,
facendoci intravedere il clima di affetto, di gentilezza che circolava all’interno del circolo
neoterico. Venustus, iucundus, ineptus, elegans, lepidus, sono infatti termini che
connotano i rapporti affettuosi tra questi amici, termini che ritroviamo anche nella
lingua di Plauto e di Terenzio, da cui Catullo trae la lingua del suo lessico familiare.Da
notare la struttura ad anello del carme, dove il nome di Fabullo viene ripetuto nel primo
e nell’ultimo verso.
Il carme XIII
XIII
cenabis bene mi Fabulle apud me
paucis si tibi di favent diebus.
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam. non sine candida puella.
et vino. et sale. et omnibus cachinnis. 5
haec si inquam attuleris venuste noster
cenabis bene. nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est. 10
nam unguentum dabo quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque.
quod tu cum olfacies deos rogabis
totum ut te faciant Fabulle nasum.
Cenerai bene mio caro Fabullo, da me
tra pochi giorni, se gli dei ti sono favorevoli,
se porterai con te una cena gustosa e abbondante
non senza una splendida fanciulla e vino
e sale e ogni genere di allegria.
Se porterai ciò io dico, bello mio
cenerai bene; infatti il borsellino
del tuo Catullo è pieno di ragnatele,
ma in cambio riceverai affetto sincero e
quello che vi è più soave e raffinato:
infatti ti darò un unguento che alla mia
fanciulla donarono le veneri e gli amori.
Quando tu lo annuserai, o Fabullo, pregherai
gli dei che ti facciano diventare tutto naso.
Il carme XCVI
La vita spensierata,la giovinezza non escludevano però la serietà dei sentimenti, come
si intravede nel carme dedicato da Catullo all’amico Licinio Calvo, colpito dal lutto della
giovane moglie Quintilia..Licinio Calvo, all’incirca coetaneo di Catullo, apparteneva ad
un’illustre famiglia romana e fu un oratore assai stimato. Autore di epigrammi, epitalami
ed epilli, compose anche elegie dedicate alla moglie Quintilia, delle quali non è rimasto
nulla. In questo breve bigliettino consolatorio, si esprimono alcuni dei sentimenti più
profondi di Catullo: la desolazione per il venir meno di un rapporto di affetto, l’affinità di
amore e di amicizia, l’angoscia , e al tempo stesso, il desiderio di comunicare con le
persone care, defunte. Questo componimento mostra come nella cerchia neoterica
esistevano delle convenzioni, per cui era abitudine ed anche “obbligo”, in circostanze
dolorose scambiarsi ogni tipo di risposta. L’idea che è sottesa al carme è l’illusione che
i defunti possano, pur nel triste ed oscuro silenzio del loro sepolcro, trovare conforto
nell’affettuoso ricordo che i vivi tributano a loro ( Catullo con questo carme anticipa di
secoli il grande tema della poesia foscoliana al centro dei Sepolcri, la corrispondenza
d’amorosi sensi).Il contrasto che emerge dal carme è infatti quello tra il dolore per la
morte prematura di Quintilia e il “sussulto” gioioso che la defunta farà dal sepolcro nel
sapersi ancora amata dal coniuge. Con questa elegia consolatoria si celebra la
potenza taumaturgica dell’amore, dove il dolore non vince, ma viene addolcito, mitigato
dalla forza vivificante della parola. Anche qui è presente la struttura ad anello, dove
nella parte finale vengono riprese le parole-chiavi, amor e dolor dei vv. 2-3.
Il carme XCVI
Si quicquam mutis gratum acceptumque sepulcris
accidere a nostro Calve dolore potest.
quo desiderio veteres renovamus amores
atque olim missas flemus amicitias.
certe non tanto mors immatura dolorist
Quintiliae, quantum gaudet amore tuo.
O Calvo, se qualcosa di dolce e di gradito può derivare ai muti
sepolcri dal nostro dolore,
da quella nostalgia con la quale facciamo rivivere i
nostri antichi amori
e rimpiangiamo gli affetti un tempo perduti,
certamente Quintilia non soffre per la sua morte prematura
tanto quanto si rallegra del tuo amore per lei.