L`OSSERVATORE ROMANO

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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 58 (47.492)
Città del Vaticano
sabato 11 marzo 2017
.
Dopo la sentenza della corte costituzionale che ha deposto la presidente Park Geun-hye
Il Papa a conclusione degli esercizi spirituali ad Ariccia
Violenti scontri
nella capitale sudcoreana
Un aiuto
alle popolazioni siriane
SEOUL, 10. È altissima la tensione
nella capitale sudcoreana dopo la
destituzione della presidente Park
Geun-hye. Sostenitori dell’uno e
dell’altro fronte si sono scontrati poco lontano la sede della corte costituzionale, subito dopo la lettura della sentenza, nonostante l’edificio fosse blindato dalle forze di polizia. E
sono morte due persone, entrambi
sostenitori della Park, mentre diverse
altre sono rimaste ferite.
I manifestanti erano in attesa da
ore della decisione della corte costituzionale. Le vittime sono un uomo
di 72 anni, tale Kim, deceduto mentre veniva trasportato verso l’ospedale a causa delle ferite riportate alla
testa: l’uomo è stato trovato incosciente vicino una fermata della metropolitana, non lontano dalla sede
della corte costituzionale. L’altro
manifestante deceduto, anche lui di
nome Kim, aveva 60 anni, è stato
trovato sanguinante vicino la corte.
Secondo la polizia, tra gli altri feriti
c’è un uomo caduto dal tetto di un
pullman degli agenti antisommossa.
Gli organizzatori della marcia proPark hanno riferito all’agenzia Yonhap che almeno altri otto manifestanti hanno subito lesioni. La capitale era in subbuglio da ore. Già
giovedì migliaia di studenti, issando
cartelli contro Park Geun-hye avevano manifestato alla Dongguk University; le manifestazioni erano andate avanti durante l’intera giornata;
mobilitata anche la confederazione
coreana dei sindacati, Kctu, il secondo più grande ombrello sindacale
che aveva organizzato raduni al lume di di candela giovedì sera.
In questo contesto, era elevatissimo il livello di allerta della polizia
che aveva schierato circa 20.000
agenti dinanzi alla sede del tribunale
e in tutte le aree adiacenti il centro,
compresa la Casa azzurra, la sede
della presidenza e le altre istituzioni
governative; ma evidentemente non
è bastato. La decisione, senza precedenti nella storia recente sudcoreana,
è stata presa all’unanimità dagli otto
giudici. La presidente è accusata di
corruzione, estorsione, abuso di potere, rivelazione di segreti d’ufficio e
fuga dalle responsabilità.
Ora che è stata destituita, Park —
indagata in un’inchiesta su un colossale sistema di corruzione e tangenti,
messo in piedi da una sua fidata
quanto ambigua consigliera, Choi
Soon-sil — è rimasta priva dell’immunità. La Corea del Sud è obbligata ad andare alle elezioni entro 60
giorni. Ma la stabilità del governo
sudcoreano è essenziale in un paese
che è un alleato chiave degli Stati
Uniti e dei suoi vicini asiatici; e che
soprattutto è un baluardo contro le
provocatorie mire della Corea del
Nord, ormai in rotta di collisione
con l’intera comunità internazionale.
Il premier e presidente reggente
Hwang Kyo-ahn ha lanciato l’appel-
Un filo di preghiera e di solidarietà
ha unito, durante gli esercizi spirituali, il Papa e la Curia romana
con la martoriata città di Aleppo.
L’ultima giornata di ritiro ad
Ariccia, venerdì 10 marzo, si è
aperta infatti con la messa celebrata dal Pontefice e offerta per la Siria, ed è stata caratterizzata da un
gesto concreto di vicinanza e di solidarietà: Francesco, grazie anche al
contributo della Curia romana, ha
inviato la somma di centomila euro
ai poveri della città siriana, attraverso una sorta di gemellaggio spirituale tra il predicatore degli esercizi, il francescano Giulio Micheli-
ni, e il suo confratello parroco di
Aleppo, Ibrahim Alsabagh.
Al termine dell’ultima meditazione Francesco ha voluto ringraziare
espressamente il predicatore per la
preparazione con cui ha guidato la
riflessione e ha ricordato che a volte può bastare una semplice parola
per favorire la meditazione spirituale. Poi in mattinata il Pontefice
ha fatto rientro in Vaticano. E nel
pomeriggio, alle 17, si reca al Vicariato di Roma per incontrare i parroci prefetti della diocesi.
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Nella regione africana del Lago Ciad
Nonostante l’opposizione della Polonia che reagisce bloccando la dichiarazione comune
Venti milioni di persone
a rischio
Tusk confermato presidente del consiglio Ue
NEW YORK, 10. Nella regione del
Sahel del Lago Ciad, che comprende Ciad, Camerun, Nigeria e Niger, afflitta dal terrorismo di Boko
Haram e da una profonda crisi
economica e sociale, oltre venti milioni di persone hanno bisogno di
assistenza umanitaria. Una situazione che appare ancora più allarmante di quanto ci si poteva attendere in tutte le sue dimensioni:
umanitaria, sociale e di sicurezza.
Lo ha reso noto ieri da New York
il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che ha tenuto una riunione sugli esiti della missione
compiuta dai Quindici nella regione africana dal 1° al 7 marzo scorsi.
Nel corso della riunione è stata
ricordata la Conferenza di Oslo, in
febbraio, dove molti stati si sono
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Agenti di polizia davanti la sede della corte costituzionale a Seoul (Afp)
lo di accettazione del verdetto della
corte costituzionale sull’impeachment della presidente Park Geunhye lavorando insieme per il «superamento delle divisioni». «La Corea
del Sud è una democrazia liberale
basata sullo stato di diritto e tutti
siamo tenuti a rispettare la decisione
della corte», ha detto Hwang.
«Ci sono ancora coloro che non
possono capacitarsi della corte, ma è
tempo ora di accettarlo e di chiudere
i conflitti e i confronti sofferti», ha
detto Hwang esprimendo dispiacere
e dolore per le due perone morte
durante i tafferugli post sentenza
per le strade di Seoul. «Nelle proteste abbiamo perso due vite preziose,
cosa che ci addolora profondamente», ha detto il presidente reggente.
«Non ci devono essere più sacrifici del genere e non ci devono essere
atti che minaccino l’ordine sociale»,
ha proseguito ponendo l’accento sulle complesse reti di sfide che il paese
ha di fronte, compresa quella della
Corea del Nord, i cambi degli assetti
geopolitici e le incertezze economiche. «Abbiamo da scegliere un nuovo presidente entro i prossimi 60
giorni e stabilizzare rapidamente gli
affari di stato: se non ci potrà essere
unità oltre la confusione, non potremo — ha concluso — stabilizzare gli
affari di stato e le elezioni presidenziali in modo imparziale».
Nelle prossime elezioni presidenziali il favorito nei sondaggi è Moon
Jae-in, il candidato del partito di
centro sinistra all’opposizione, Minjoo Party. Negli ultimi sondaggi,
Moon, è apparso sempre molto ben
posizionato: un’inchiesta di inizio
settimana gli dava il 34 per cento del
sostegno, decisamente davanti gli altri possibili candidati.
impegnati a sostenere l’azione
umanitaria. Durante la missione
nel Sahel, si è potuto osservare il
forte impegno dei governi locali
nella lotta contro il terrorismo e i
passi avanti compiuti sul piano della sicurezza, anche grazie al sostegno internazionale. Rimane però
alta la preoccupazione del consiglio di sicurezza per le numerose
reti di traffici illegali che operano
nella regione, e per i legami tra i
terroristi di Boko Haram e il crimine transnazionale organizzato.
Gli esperti dell’Onu hanno aggiunto che è necessario affrontare
con determinazione ogni tipo di
tratta, con particolare riferimento a
quella di esseri umani, attraverso
una più ampia prospettiva regionale che comprenda tutto Sahel.
BRUXELLES, 10. Sono ripresi questa
mattina i lavori del vertice europeo,
senza il premier britannico Theresa
May, che ieri invece aveva partecipato alla seduta che ha deciso la rielezione del polacco Donald Tusk alla
presidenza del consiglio. Oggi si discute in particolare di riforme Ue in
vista del summit che si terrà a Roma
il 25 marzo prossimo e che dovrebbe
far ritrovare ai 27 paesi — dopo la
Brexit — nuovo slancio.
La Polonia ha ieri mantenuto la
promessa e votato contro la riconferma del suo ex primo ministro Donald Tusk come presidente del consiglio europeo per i prossimi due anni e mezzo. Varsavia ha deciso di
andare allo scontro con gli altri 27
paesi anche sugli altri argomenti sul
tavolo del vertice. La premier Beata
Szydlo, del partito conservatore Diritto e Giustizia presieduto da Jarosław Kaczyńsky, aveva premesso,
prima ancora che la riunione cominciasse, che non avrebbe accettato la
scelta di una persona «contro la volontà di un Paese», avvertendo che
un simile comportamento da parte
di alcuni stati «porta alla destabilizzazione e al cattivo funzionamento
dell’Unione europea».
Tutti gli altri 27 leader, però, compresa la britannica Theresa May di
cui si era invece detto che si sarebbe
astenuta, hanno votato per la riconferma di Tusk. Il quale ha ribadito
l’intenzione di lavorare con tutti i
paesi Ue «senza alcuna eccezione»,
invitando il suo paese a «non bruciarsi i ponti alle spalle».
Ma la Polonia non ha incassato la
sconfitta senza reagire e ha bloccato
La modernità di Teresa Spinelli
Una di noi
Campo profughi nel nord della Nigeria (Ap)
LUCETTA SCARAFFIA
A PAGINA
4
molto di futuro dell’Unione europea
e di migranti, non mancano prese di
posizione su questioni di carattere
economico.
Nella parte di bozza della dichiarazione della presidenza che non dovrebbe essere rimessa in discussione,
si legge che, nonostante per la prima
volta l’economia sia tornata a crescere in tutti i 28 paesi, «permangono
tuttavia incertezze ed è quindi importante garantire la sostenibilità
della ripresa». Per questo «devono
essere proseguite le riforme strutturali volte a modernizzare le economie». Occorre «rafforzare le finanze
pubbliche», ma anche «promuovere
gli investimenti, con l’estensione in
tempi rapidi del Fondo europeo per
gli investimenti strategici». L’obiettivo è sempre quello di «combattere
la disoccupazione».
Vertice dei leader Ue, all’Europa building di Bruxelles (Reuters)
le conclusioni del consiglio sugli altri temi all’ordine del giorno, a partire dall’immigrazione. Se un paese
non vota le conclusioni, queste non
possono essere approvate come tali e
vengono quindi trasformate in una
“dichiarazione della presidenza”.
La bozza di dichiarazione che i
capi di stato e di governo hanno
avuto tra le mani in questi giorni,
contiene, tra gli altri, due punti particolarmente importanti. Si ribadisce
che «l’unità è una necessità, non
un’opzione», ma poi si legge che
«una indivisa e indivisibile Unione
deve agire insieme ogni volta che è
possibile, a ritmi e intensità differenti ogni volta che è necessario». E,
dunque, questo secondo punto, se
confermato, potrebbe essere il punto
di partenza per chi ipotizza davvero
un’Europa a più velocità. L’appuntamento a Roma il 25 marzo, in parti-
colare, potrebbe rafforzare l’impegno verso la costruzione di una difesa europea e contribuire alla solidità
dell’euro. Oltre a prefiggersi «una
moneta unica stabile e ulteriormente
rafforzata», la traccia di Dichiarazione si augura che in «un’Unione europea sociale» i «giovani ricevano la
migliore istruzione e formazione»
potendo studiare e lavorare «nel
continente».
Il vertice di marzo dell’Ue è tradizionalmente dedicato all’economia.
E, anche se in questo caso si parla
NOSTRE
INFORMAZIONI
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo della Diocesi di Peterborough (Canada) Sua Eccellenza Monsignor Daniel Joseph Miehm, finora Vescovo
titolare di Gor e Ausiliare di
Hamilton, Ontario.
Predica di Quaresima
Effetti dell’abuso dei social media
È finito
il mito della rete
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
A PAGINA
5
Questa mattina, nella Cappella «Redemptoris Mater», il
Predicatore della Casa Pontificia, Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M. Cap., ha tenuto
la prima predica di Quaresima.
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sabato 11 marzo 2017
Recinzioni per migranti
in Ungheria (Ap)
Si comincia a parlare dei costi dell’uscita dall’Ue
Brexit
e i conti da fare
LONDRA, 10. La Gran Bretagna è
pronta a “respingere” la richiesta
dell’Ue di un conto da 60 miliardi
di euro per il divorzio da Bruxelles. È quanto ha detto il ministro
degli esteri, Boris Johnson, alla
emittente Bbc rispondendo a
un’ipotesi fatta da alcuni analisti.
La cifra viene fuori se Bruxelles
chiede di addebitare al Regno Unito il pagamento dei versamenti
all’Unione fino al 2020, anche dopo che la Brexit sarà ormai un fatto compiuto, per finanziare impegni assunti in precedenza.
Johnson ha definito «non ragionevole» considerare che il Regno
Unito continui a versare vasti pagamenti al bilancio dell’Ue una
volta che ne sia uscito. E ha evocato l’esempio di Margaret Thatcher
protagonista del duro braccio di
ferro sui versamenti all’Europa nel
1984. Allora, al vertice di Fontainebleau, la cosiddetta lady di ferro
scandì il suo famoso: «I want my
money back», cioè «voglio il mio
denaro indietro».
Da parte sua, il premier attuale,
Theresa May ha dichiarato ai giornalisti che «di Thatcher ce n’è una
sola» per poi convenire con il suo
ministro degli esteri sul fatto che
«gli elettori britannici non hanno
votato al referendum del 23 giugno
in favore della Brexit per continuare a pagare enormi somme di denaro» al bilancio dell’Ue.
La cifra di 60 miliardi è circolata
in ambienti comunitari ma non è
mai stata confermata ufficialmente.
Si riferisce a tutti gli impegni finanziari assunti dal Regno Unito
come membro dell’Ue. Gli impegni
vanno dal pagamento delle pensioni dei funzionari europei britannici
ai finanziamenti previsti dagli accordi con i paesi terzi.
Sul piano del processo formale
per il divorzio dall’Ue, May ha
confermato l’intenzione di procedere «entro la fine di marzo» alla notifica prevista dall’articolo 50 del
trattato di Lisbona, che regola le
procedure di uscita e fa scattare i
due anni entro cui chiudere i negoziati. E si è detta ottimista quanto
alla possibilità di arrivare «a un accordo di libero scambio ampio con
l’Ue», «non solo nell’interesse del
Regno Unito, ma anche dell’Ue».
Nei scorsi giorni, sono emersi
dubbi sulla data di notifica, dopo
che la camera dei Lord ha modificato il progetto di legge sulla Brexit votato dai comuni, che però il
13 deve tornare per il voto finale
proprio alla camera bassa.
I capi di stato e di governo dei
27 stati membri che resteranno
nell’Ue potrebbero riunirsi in un
vertice informale il 6 e 7 aprile per
decidere la loro posizione negoziale nei confronti di Londra.
Intanto la premier scozzese, Nicola Sturgeon, è tornata a parlare
di un possibile referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno
Unito in risposta alla Brexit, dando come plausibile l’autunno 2018
per il suo svolgimento.
Un’altra
discutibile sentenza
di un tribunale
italiano
ROMA, 10. Il tribunale per i minori
di Firenze ha disposto ieri la trascrizione in Italia dell’atto di adozione di due fratellini da parte di
una coppia omosessuale residente
nel Regno Unito. Poco più tardi
gli stessi giudici hanno stabilito la
validità dell’adozione di una bambina da parte di uomo italiano che
vive a New York con il suo compagno statunitense.
I magistrati spiegano che la decisione si basa sulla legge che riconosce valida un’adozione avvenuta
in paese straniero da parte di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e
di avervi la residenza da almeno
due anni. Il tribunale dei minori di
Firenze fa anche riferimento a una
idea pluralistica di famiglia e alla
rilevanza ai fini dell’adozione di
qualsiasi tipo di famiglia, «ivi compresa quella omosessuale».
Altri rilevano che, con questo dispositivo, i magistrati fiorentini
hanno in qualche modo scavalcato
le prerogative del parlamento, stabilendo la validità di un modello
presente in un altro ordinamento e
che potrebbe costituire un precedente per aggirare la legge italiana
e introdurre surrettiziamente la possibilità di adozione da parte di una
coppia omosessuale anche in Italia.
Un modello non solo giuridico,
quindi, ma anche culturale, che mira a scardinare la famiglia naturale.
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Unicef e Save the Children criticano il governo ungherese per la detenzione dei richiedenti asilo
Minori da tutelare
BRUXELLES, 10. Critiche alle posizioni del governo ungherese in tema di
migranti arrivano dall’agenzia per
l’infanzia dell’Onu, Unicef, e da altre organizzazioni umanitarie. Intanto, il Consiglio d’Europa, l’organismo a 47 paesi deputato ai diritti
umani, chiede all’Ue di bloccare i
piani previsti dall’eurocommissione
proprio in materia di «detenzione di
migranti». La nuova legge proposta
dal governo ungherese di Viktor Or-
bán prevede la detenzione per i richiedenti asilo in attesa di risposta,
dunque anche di bambini rifugiati e
migranti maggiori di 14 anni. E Afshan Khan, direttore regionale Unicef per l’Europa centrale e orientale
e coordinatore speciale per la crisi di
rifugiati e migranti, ha lanciato un
appello al presidente ungherese perché, prima di firmare la legge, si ricordi che «tutti i bambini devono
essere trattati come bambini».
Afshan Khan ha dichiarato che
«detenere bambini rifugiati e migranti, che fuggono da violenze e
persecuzioni e che cercano una vita
migliore è traumatico». Di fatto, «in
questo modo si criminalizzano i minorenni e li si priva dei loro diritti,
come quello all’istruzione, e l’impatto che questo avrà su ogni bambino,
a prescindere dall’età, potrebbe durare per tutta la vita». L’Unicef chiede che Budapest mantenga il suo
impegno verso la Convenzione sui
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza
e la sua adesione all’Unione europea
e alle normative internazionali.
«L’Unicef è pronto a supportare il
governo ungherese in questo impegno», ha assicurato Afshan Khan.
A quelle dell’Unicef si aggiungono le forti critiche di Save the children che giudica «inumana e illegale
la decisione dell’Ungheria di detenere bambini richiedenti asilo in container metallici», sottolineando che
«espone i bambini, molti dei quali
già in condizioni di estrema vulnerabilità per essere fuggiti da violenze
ed essere stati sfruttati dai trafficanti,
a ulteriori gravi rischi».
Intanto, il commissario dei diritti
umani del Consiglio d’Europa, Nils
Muižnieks, ha chiesto ai leader
dell’Ue di non seguire l’indicazione
della commissione, che prevede di
estendere e allungare la detenzione
dei migranti. Ha spiegato che questo
«condurrebbe alla violazione dei diritti umani senza ottenere altri risultati, come facilitare il trattamento
delle richieste d’asilo o incentivare
rimpatri dignitosi».
Intervento di Draghi
Nuovi preoccupanti segnali di tensioni
La Bce rivede al rialzo
le stime di crescita
Balcani
instabili
BRUXELLES, 10. I tecnici della Banca centrale europea (Bce) hanno rivisto consistentemente al rialzo le
previsioni di crescita e inflazione
dell’area euro. Ora, sul prodotto
interno lordo, hanno stimato un
più 1,8 per cento sul 2017, un più
1,7 per cento sul 2018, mentre sul
2019 hanno confermato la stima di
un più 1,6 per cento. I dati sono
stati riferiti ieri dal presidente della
Bce, Mario Draghi, nella conferenza stampa al termine del consiglio
direttivo. Lo scorso gennaio la
Banca centrale europea indicava un
pil al più 1,6 per cento sia sul 2017
che sul 2018.
Riguardo all’inflazione, i tecnici
della Bce hanno stimato un 1,7 per
cento sul 2017, 1,6 per cento nel
2018 e 1,7 per cento nel 2019. Queste stime, ha precisato Draghi ai
giornalisti, si basano sul presupposto della piena attuazione delle misure di stimolo in corso. I rischi restano quindi al ribasso, ma con un
bilanciamento «migliorato», ha aggiunto il presidente della Bce.
Intervenendo successivamente al
vertice di Bruxelles dei capi di stato
e di governo dell’Ue, Draghi ha ridimensionato i timori di un’avanzata euroscettica: «L’euro è irrevocabile ed è qui per rimanerci».
Draghi ha poi messo in guardia i
leader europei: le elezioni non devono essere usate come una scusa per
Il presidente della Bce Mario Draghi (Afp)
non fare le riforme. Questo anche
perché c’è il rischio che la mancanza di convergenza nel vecchio continente possa diventare un problema
soprattutto quando lo stimolo del
quantitative easing finirà insieme
agli effetti della Brexit che nel medio periodo saranno più negativi di
adesso e all’incertezza politica domestica.
Una presa di posizione — indicano gli analisti economici — che
giunge mentre la Banca centrale europea segnala un cauto ottimismo e,
per la prima volta, rinuncia alla promessa di essere pronta a usare «tutti
gli strumenti» nel suo mandato, pur
mantenendo invariato l’orizzonte
del quantitative easing e dei tassi
d’interesse.
BELGRAD O, 10. Dai Balcani occidentali, dove la scorsa settimana
l’alto rappresentante per la politica
estera e di sicurezza comune
dell’Ue, Federica Mogherini, si è
recata in visita ufficiale, vengono
nuovi preoccupanti segnali di tensioni e crescente instabilità.
La prospettiva europea, già concretizzatasi per Slovenia e Croazia
e promessa da Bruxelles a tutti gli
altri paesi della regione, non frena i
nuovi venti di nazionalismo e tensione interetnica che soffiano
sull’intero territorio della ex Jugoslavia, teatro dei sanguinosi conflitti degli anni novanta. Kosovo, ex
Repubblica Jugoslava di Macedonia e Bosnia ed Erzegovina sono i
paesi, a detta degli analisti politici,
dove la situazione è più critica.
Nonostante il dialogo facilitato
dalla Unione europea, e un gran
numero di accordi raggiunti con le
autorità di Bruxelles, i rapporti fra
Kosovo e Serbia, negli ultimi mesi,
si sono fortemente deteriorati, soprattutto dopo la vicenda del treno
con simboli patriottici e nazionalisti serbi fatto partire da Belgrado
verso il nord del Kosovo a maggioranza serba.
Una iniziativa definita dalle autorità kosovare come «un’aperta
provocazione». Quando la situazione stava per precipitare, la diri-
Anche se c’è ancora tanto lavoro da fare
Progressi nei negoziati tra Fmi e Atene
Atene, 10. Nei negoziati in corso
ad Atene tra lo staff del Fondo
monetario internazionale (Fmi), le
autorità greche e l’Unione europea
«ci sono stati progressi in alcune
aree importanti, ma restano differenze in altrettante». Lo ha dichiarato ieri Gerry Rice, direttore della
comunicazione dell’istituto di Washington.
Secondo Rice, «è ancora troppo
presto per dire quando un accordo
verrà raggiunto» per una eventuale
partecipazione dell’organizzazione
economica guidata da Christine
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Lagarde nel piano di aiuto lanciato
ad Atene dai partner dell’Unione
europea. «C’è ancora tanto lavoro
da fare», ha aggiunto il direttore
della comunicazione del Fondo monetario internazionale.
Nel consueto incontro bisettimanale con la stampa, Rice ha ricordato che l’Fmi vuole una ristrutturazione del debito e un maggiore impegno sul fronte delle riforme. Le
trattative tra le parti continueranno
la prossima settimana. In discussione la riforma delle pensioni e del
mercato del lavoro.
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genza serba ha deciso di fare tornare indietro il convoglio.
La situazione in Kosovo, aggiungono gli osservatori, potrebbe divenire incandescente quando, nelle
prossime settimane, si conosceranno le prime incriminazioni da parte
del Tribunale speciale dell’Aja, che
indaga sui crimini compiuti dall’Uck, la guerriglia indipendentista
albanese che combattè contro le
forze serbe nel conflitto di fine anni novanta. Fra gli imputati potrebbero esserci dirigenti di primo
piano a Pristina in passato leader
dell’Uck, a cominciare dal presidente, Hashim Thaçi.
Potenzialmente esplosiva è la situazione nella ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, dove la numerosa comunità albanese, che costituisce il 25 per cento della popolazione, chiede maggiori diritti e pone condizioni per appoggiare il governo di Skopje, che non può fare
a meno del suo sostegno. Il presidente respinge le loro richieste come incostituzionali e messe a punto in Albania, e il paese è ancora
senza un governo dal voto di dicembre.
In Bosnia ed Erzegovina, invece,
si fa sempre più largo il solco fra le
due entità, la Republika Srpska e
la Federazione croato-musulmana,
con i serbo-bosniaci che accentuano le minacce di secessione.
E nelle ultime settimane si è
acuita la tensione tra Sarajevo e
Belgrado per la decisione del rappresentante musulmano della presidenza tripartita bosniaca di ritornare sulle accuse di genocidio nei
confronti della Serbia.
Anche il Montenegro non è
esente da tensioni, dopo il tentativo di colpo di stato dell’ottobre
scorso e il boicottaggio dei lavori
parlamentari attuato dalle opposizioni.
Le relazioni dell’Ue con i Balcani occidentali sono «estremamente
importanti», ha ribadito in una nota la presidenza di turno maltese
dei Ventisette.
La fragile situazione nei Balcani
è in discussione in queste ore nel
vertice dei capi di stato e di governo dei ventisette, che si conclude
oggi a Bruxelles.
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pagina 3
Manifestazioni di proteste antigovernative
nel centro di Buenos Aires (Reuters)
Conferenza a Washington il 22 e 23 marzo
Nuove prospettive
per la lotta all’Is
WASHINGTON, 10. L’amministrazione Trump ha invitato i rappresentanti di oltre 60 nazioni e organizzazioni internazionali a Washington
per discutere le nuove prospettive
della lotta al cosiddetto stato islamico (Is), alla luce dell’offensiva finale
Ancora raid
contro
Al Qaeda
nello Yemen
SANA’A, 10. Un responsabile locale di Al Qaeda nella penisola
arabica (Aqpa) è stato ucciso ieri
in un nuovo attacco di un drone
attribuito all’esercito statunitense
che ha intensificato i suoi raid
contro le postazioni jihadiste di
questo paese in conflitto da quasi
tre anni. Il leader di Al Qaeda è
stato colpito sulla strada verso la
città di Whadi, nella provincia di
Abyan, nel sud del paese.
L’esercito statunitense ha iniziato nella scorsa settimana una
vasta offensiva contro le postazioni di Al Qaeda oltre che nella
provincia di Abyan anche in
quelle di Shabwa e Baida. Durante i primi giorni di questa
campagna iniziata il 2 marzo, almeno 22 jihadisti sono rimasti
uccisi, secondo fonti tribali e della sicurezza yemenita.
Il Pentagono ha reso noto che
le forze statunitensi hanno compiuto più di trenta raid contro il
gruppo terrorista che ha rafforzato le sue posizioni sfruttando il
caos scaturito dal lungo e sanguinoso conflitto che vede contrapporsi le forze del presidente yemenita, Abd Rabbo Mansour
Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e sostenuto da
una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, e i ribelli huthi.
Proprio a causa di questo conflitto lo Yemen sta vivendo una
catastrofe umanitaria senza precedenti. Secondo le ultime stime
delle Nazioni Unite oltre 7500
morti, 40.000 feriti e non meno
di tre milioni di sfollati. È lungo
l’elenco degli orrori nel già povero paese arabo. Eppure non sono
molti i media che dedicano spazio a questa carneficina.
La vita oggi per milioni di abitanti è impossibile: acqua corrente ed elettricità scarseggiano. Il
cibo non si trova, il prezzo della
farina è quadruplicato. Inoltre,
almeno otto milioni di bambini
non hanno accesso alle cure mediche per la cronica mancanza di
forniture mediche e migliaia di
loro muoiono ogni mese a causa
della malnutrizione.
contro le sue roccaforti. E per ricordare, anche su questo fronte, che
ogni alleato deve fare la sua parte.
Sarà il segretario di stato, Rex Tillerson a presiedere la riunione di
due giorni, il 22 e il 23 marzo prossimo, secondo quanto ha reso noto
il «Washington Post».
L’obiettivo — il primo appuntamento importante per il dipartimento di stato dove ancora sono vuote
molte delle poltrone lasciate dai
funzionari della scorsa amministrazione, non sostituiti da Tillerson —
è quello di impostare nuove strategie mentre l’Is appare perdere terreno militare sotto i colpi dell’offensiva sostenuta dagli Stati Uniti. Ieri
sera è stato ufficializzato l’invio di
400 marines a Raqqa per l’assalto finale alla roccaforte jihadista.
E, intanto, nuovi colloqui sulla
crisi siriana sono in programma ad
Astana il 14 e il 15 marzo: lo riferisce
il ministero degli esteri del Kazakhstan secondo cui il 14 si svolgeranno delle consultazioni preliminari mentre il 15 è prevista una sessione plenaria. «Delegazioni di alto li-
Secondo uno studio dell’Uca
Più poveri in Argentina
BUENOS AIRES, 10. Intrappolata in
un circolo vizioso fatto da misure di
austerità, recessione e penuria, in
Argentina crescono i dati sulla povertà. Sono 1,5 milioni i nuovi poveri di cui 650.000 vivono in condizioni di miseria estrema. La stima arriva dall’Uca, la prestigiosa Università cattolica argentina, i cui lavori se-
Prosegue la politica di distensione di Teheran
Dialogo tra Iran e Qatar
TEHERAN, 10. I problemi comuni
scaturiti dai sanguinosi conflitti nella regione mediorientale e i legami
economici tra Iran e Qatar sono stati al centro di incontri a Doha del
ministro degli esteri iraniano,
Mohammad Javad Zarif, con l’emiro
del Qatar, sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, e con il ministro degli esteri, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al-Thani.
Durante gli incontri — secondo
l’agenzia ufficiale catarina Qna — il
capo della diplomazia di Teheran ha
sottolineato la necessità di promuovere un rafforzamento dei legami tra
l’Iran e il Qatar, in particolare nel
settore economico e con attenzione
al sistema bancario e agli investimenti congiunti.
«Abbiamo sempre creduto che
l’Iran e i paesi arabi del Golfo persico possono avere buoni rapporti»,
ha detto il ministro del Qatar, aggiungendo che il suo paese «favorisce una tale politica». La visita di
Zarif in Qatar rientra nella politica
di rafforzamento del dialogo tra i
paesi arabi del Golfo persico e
l’Iran, dopo le tensioni tra Teheran
e alcuni dei paesi arabi della regione
seguite alla rottura delle relazioni
diplomatiche con l’Iran decisa nel
gennaio 2016 dall’Arabia Saudita.
La Siria e lo Yemen sono i teatri
di guerra in cui la contrapposizione
tra l’Iran e le monarchie del Golfo
persico è più evidente. Nel gennaio
scorso il ministro degli esteri del
Kuwait, sceicco Sabah Al Khalid Al
Verso la vittoria governativa
nel voto locale indiano
NEW DELHI, 10. Il Bharatiya Janata
Party (Bjp), partito al governo in
India del premier, Narendra Modi,
potrebbe emergere come la formazione politica prevalente in quattro
dei cinque stati dove nelle ultime
settimane si è votato (Uttar
Pradesh, Punjab, Goa, Uttarakhand
e Manipur) nelle elezioni locali. Lo
evidenziano gli analisti sulla base
degli exit pool, in attesa del conteggio ufficiale dei voti.
L’appuntamento elettorale è considerato di grande importanza per
il governo del Bjp (centrodestra nazionalista), perché fornirà il polso
dell’opinione pubblica indiana dopo le misure adottate due mesi fa
per combattere la corruzione e
l’evasione fiscale. Misure che prevedono anche di mettere fuori corso
le banconote da 1000 e 500 rupie.
Una decisione che ha causato non
pochi problemi alla popolazione,
vello di Russia, Turchia e Iran — fa
sapere il ministero degli esteri kazako — parteciperanno ai negoziati.
Inviti sono stati mandati ai rappresentanti di Nazioni Unite, Stati
Uniti e Giordania».
Sempre sul fronte diplomatico, il
presidente russo, Vladimir Putin, riceve oggi a Mosca il leader turco
Recep Tayyip Erdoğan. Il colloquio,
secondo quanto reso noto dal
Cremlino, si concentrerà sul conflitto in Siria, sul contrasto al terrorismo e sulle relazioni bilaterali con
l’obiettivo di rilanciare i rapporti
economici e commerciali. Particolare
attenzione sarà riservata ai progetti
di costruzione della centrale nucleare di Akkuyu, nella provincia meridionale turca di Mersin, e del gasdotto Turkish Stream. Lo scorso anno Mosca e Ankara hanno riallacciato i rapporti dopo la crisi innescata dall’abbattimento di un jet
russo sul confine con la Siria il 24
novembre 2015. Dopo il periodo di
gelo, Erdoğan e Putin si sono incontrati per la prima volta il 9 agosto scorso a San Pietroburgo.
solitamente abituata a ricevere e
spendere denaro contante.
Nell’Uttar Pradesh, il più popoloso stato indiano con oltre 200 milioni di abitanti, il voto è basato sul
sistema delle caste e la presenza dei
musulmani. Secondo una sintesi dei
differenti exit poll proposta dai media indiani, in Uttar Pradesh il Bjp
otterrebbe circa 193 seggi, una ventina meno della maggioranza parlamentare di 202. L’alleanza fra il Samajwadi Party e il Congresso I, di
Sonia Gandhi, ne otterrebbe 120 e
il Bsp 78. Nel Punjab, invece, la
partita per l’affermazione è fra il
Congresso I e l’Aap, partito dell’Uomo comune, di Arvind Kejriwal). Molto probabile, a detta degli
osservatori, l’affermazione del Bharatiya Janata Party a Goa (con il
Congresso I, però, molto vicino), in
Uttarakhand e nel Manipur.
Il ministro degli esteri iraniano (a sinistra) con l’emiro del Qatar (Qna)
Hamad Al Sabah, era arrivato a
Teheran per consegnare un messaggio dell’emiro Sabah Al Ahmad Al
Jaber Al Sabah al presidente iraniano, Hassan Rohani, per avviare un
processo di distensione tra i paesi
del Golfo persico.
Il messaggio era stato accolto favorevolmente e nelle scorse settimane Rohani si era recato in visita in
Kuwait e in Oman riaprendo di fatto il dialogo. La prima tappa era
stata a Muscat dove il capo dello
stato iraniano aveva incontrato il
sultano Qaboos bin Said Al Said, e
successivamente si era recato nel
Kuwait per un incontro con l’emiro.
Al centro di entrambi gli incontri, i
recenti sviluppi delle relazioni a livello regionale e internazionale.
gnalavano già lo scorso semestre la
presenza nel paese di 13 milioni di
persone in stato di povertà.
«La disuguaglianza persistente e
la povertà strutturale — affermano i
ricercatori dell’Uca — sono il risultato di un modello economico e produttivo concentrato e squilibrato,
con conseguenze di esclusione e disuguaglianze a livello sociale e occupazionale». Ad aggravare «lo scenario di crisi e la recessione per ampi settori sociali sarebbero stati —
spiega Agustin Salvia, direttore
dell’Osservatorio dell’Uca — l’impatto della svalutazione operata dal
governo argentino e le misure decise
contro l’inflazione.
Come emerge dal rapporto intitolato «Evoluzione della povertà e indigenza e disuguaglianze sociali
persistenti», la causa principale
dell’incremento è l’inflazione, che
durante il 2016 ha raggiunto il valore del 40,2 per cento. L’aumento dei
prezzi ha colpito i salari dei lavoratori, soprattutto quelli più bassi che
sono in alcuni casi scivolati verso
l’emarginazione sociale che riguarda
un cittadino su quattro.
Tra le misure che più hanno pesato sui settori più poveri è stata la rimozione dei sussidi alla spesa energetica. Un taglio che ha colpito non
solo le famiglie ma anche le imprese, specialmente le aziende medio
piccole che si sono trovate a pagare
bollette sei volte più alte che in passato. Una situazione che ha causato
tra l’altro tagli al personale e al costo del lavoro.
Ridurre il tasso di inflazione,
mettere in ordine i conti pubblici ed
eliminare le distorsioni sul tasso di
cambio.
Erano
punti
chiave
dell’agenda di governo per risollevare l’economia argentina e per ridurre la povertà. Con l’accesso a finanziamenti sui mercati internazionali
l’attuale amministrazione puntava a
risanare settori dell’economia per
così fare arrivare investimenti di capitali stranieri funzionali al rilancio
del paese. Invece nell’anno e mezzo
di Maurizio Macri trascorso alla Casa Rosada, il numero degli indigenti
è cresciuto. Lo scenario che il neo
presidente si era trovato ad affrontare non era certo dei più incoraggianti. Dal punto di vista economi-
Per sottrarsi alle violenze
Ventimila persone in fuga dal Myanmar
NAYPYIDAW, 10. I violenti scontri a fuoco nel Myanmar tra esercito e ribelli del
Nationalities Democratic Alliance Army
(Mndaa) hanno provocato la fuga di oltre 20.000 persone verso la Cina. I
guerriglieri hanno attaccato nei giorni
scorsi la città di Laukkai, nella regione
di Kokang, nello stato nordorientale di
Shan, al confine cinese. Le zone montane e isolate del nord del paese sono regolarmente teatro di combattimenti. La
Cina, hanno fatto sapere fonti del ministero degli esteri di Pechino, ha offerto
assistenza umanitaria ai fuggitivi, tra cui
molte donne e bambini. I violenti scontri nel Kokang, che finora hanno provocato non meno di trenta vittime, rappresentano un duro colpo al processo di
pace del paese. Dopo l’indipendenza,
nel 1948, il Myanmar si trovò ad affrontare gruppi etnici che chiedevano più
autonomia, e che ora ripresentano violentemente le loro rivendicazioni.
Civili in fuga dai combattimenti verso il confine con la Cina (Ansa)
co, infatti, l’Argentina affrontava un
periodo di profonda crisi, con un
alto deficit fiscale, un saldo commerciale negativo e riserve di valuta
straniera quasi esaurite.
Gli economisti si attendono per il
2017 una ripresa dell’economia. Ma
sono previsioni legate a dinamiche
di domanda globale assai incerte.
Nuovi ricorsi
negli Stati Uniti
per bloccare
il Muslim Ban
WASHINGTON, 10. Negli Stati
Uniti si si profila un’altra offensiva legale contro il nuovo bando
della Casa Bianca sugli ingressi
da sei paesi a maggioranza musulmana. Il decreto entrerà in vigore il prossimo 16 marzo, ma almeno cinque stati americani sono
determinati a chiedere ai giudici
il blocco del provvedimento della
Casa Bianca.
Alle Hawaii (dove è nato l’ex
presidente, Barack Obama) si sono infatti aggiunti ieri gli stati di
Washington, New York, O regon
e Massachusetts. Il procuratore
generale dello stato nordoccidentale
di
Washington,
Bob
Ferguson, ha annunciato che si
rivolgerà alla giustizia federale
per chiedere che la sospensione
del primo Muslim Ban si estenda
anche al secondo, anche se vi sono differenze fra i due ordini esecutivi.
Ferguson ha fatto sapere che si
rivolgerà allo stesso giudice federale, James Robart, che ha imposto la sospensione del provvedimento. E che per questo è stato
pubblicamente attaccato dal presidente, Donald Trump. Il procuratore generale ha precisato che
anche i suoi colleghi dell’O regon, del Massachusetts e dello
stato di New York si sono aggiunti alla sua iniziativa per bloccare l’attuazione del nuovo ordine esecutivo.
Il nuovo decreto vieta l’ingresso negli Stati Uniti per 90 giorni
ai cittadini di sei paesi a maggioranza musulmana, dopo che dalla black list è stato espunto l’Iraq.
Inoltre, prevede lo stop per quattro mesi dei programmi di accoglienza di rifugiati.
Intanto, le statistiche, indicano gli analisti politici, sembrano
dare ragione al presidente
Trump, e al suo giro di vite contro gli irregolari. In febbraio, secondo gli ultimi dati forniti
dall’agenzia per la protezione
delle frontiere, sono state fermate circa 840 persone al giorno,
una flessione del 36 per cento rispetto al febbraio di un anno fa
e del 39 per cento sullo scorso
gennaio, mese dopo il quale tende ad aumentare il flusso di
clandestini, per le temperature
atmosferiche più miti.
«I primi risultati dimostrano
che l’applicazione delle norme e
la deterrenza possono avere un
impatto», ha osservato in una
nota John Kelly, segretario alla
sicurezza nazionale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
sabato 11 marzo 2017
Jacob Peter Gowy
«La caduta di Icaro» (1636-1638)
La modernità di Teresa Spinelli
Una di noi
Per un rapporto armonico con il prossimo e il creato
Necessità
del limite
Anticipiamo la relazione sintetizzata per «L’Osservatore Romano» al convegno sulla pedagogia
di Maria Teresa Spinelli che si
tiene l’11 marzo a Roma.
di LUCETTA SCARAFFIA
di GIOVANNI CERRO
st modus in rebus, scriveva Orazio in un
verso celeberrimo della prima delle sue Satire, ricordando che
c’è un limite in ogni cosa, superato il quale l’uomo si condanna
a una condizione di perenne insoddisfazione e di invidia verso
gli altri. Così i vecchi soldati, di
fronte ai disagi delle campagne
militari, vorrebbero trovarsi nei
panni dei mercanti; questi, invece, in balia delle continue incertezze del mare, preferirebbero la
sorte dei combattenti, che almeno si decide nel breve volgere di
una battaglia. L’avvocato, stanco
di essere infastidito dai suoi
E
Nell’epoca contemporanea
troppo spesso si perseguono
sogni di onnipotenza
volti a soddisfare a ogni costo
i desideri individuali
clienti prima ancora che sorga il
sole, tesse l’elogio della vita nei
campi, mentre il contadino crede
felice solo chi abita in città. La
ricerca della “giusta misura”, elogiata da Orazio, è una delle possibili accezioni del concetto di limite, a cui il filosofo Remo Bodei ha dedicato un recente libro
Limite (Bologna, Il Mulino,
2016, pagine 128, euro 12) e inserito nella collana “Parole controtempo”. Nel saggio il limite è inteso come uno dei modi attraverso i quali le società si autorappresentano, definendo ciò che
per loro è lecito e ciò che non lo
è e dando forma al proprio rapporto con la natura, la storia, la
politica, e persino la religione.
Le concezioni del limite sono
differenti non solo dal punto di
vista sincronico, poiché esse variano da civiltà a civiltà, ma anche da quello diacronico, segnando così il passaggio tra le
diverse epoche storiche. La riflessione di Bodei si gioca sul
confronto tra mondo antico, moderno e contemporaneo, nel tentativo di individuare in una prospettiva di lungo periodo trasformazioni antropologiche e culturali significative.
Buona parte dell’etica antica è
dominata dal concetto greco di
sophrosyne, inteso come temperanza o giusta moderazione, che
si manifesta nella capacità
dell’uomo di controllare l’elemento irrazionale e pulsionale
presente nell’anima. Chi si comporta in modo virtuoso è in grado di tenersi alla larga dagli
estremi, scrive Aristotele nell’Etica Nicomachea: come il coraggioso è lontano tanto dalla temerarietà quanto dalla viltà, così il liberale non cede né alla prodigalità né all’avarizia. Sconosciuta al
mondo greco e romano è invece
l’idea di limite come apertura al
nuovo, dal momento che il cambiamento o è considerato un sinonimo di corruzione e di deca-
denza rispetto a una precedente
età dell’oro (Esiodo docet) o è inserito all’interno di una dinamica
di ciclicità e di eterno ritorno,
come avviene nel pensiero stoico. Se nell’antichità quindi la
hybris umana viene condannata —
si pensi alla figura di Icaro, che
ha preteso di superare i limiti
imposti dalla natura e dagli dèi,
e per questo è stato punito —
l’età moderna segna un mutamento di paradigma. Le scoperte
geografiche prima e la rivoluzione scientifica poi aprono orizzonti inediti, scardinando l’immagine della terra e del cosmo
degli antichi e consentendo l’affermazione di un’idea di progresso come accumulazione continua
e potenzialmente illimitata di conoscenze che permettono all’uomo di estendere il suo controllo
sulla natura. Solo se si superano
le colonne d’Ercole, tanto in senso letterale quanto figurato, ci si
può emancipare dai vincoli della
tradizione e conquistare così il
“mare aperto” della conoscenza,
sembra suggerire la copertina del
Novum Organum (1620) di Francesco Bacone. La modernità, tuttavia, non si risolve in un elogio
del superamento dei limiti fine a
se stesso. Bacone, ad esempio,
era ben consapevole delle contraddizioni insite nella tecnica e
della sua non neutralità dal punto di vista valoriale: le applicazioni delle scienze meccaniche,
da una parte, potevano garantire
il miglioramento delle condizioni
di vita dell’uomo, dall’altra, però, potevano rivelarsi strumenti
di morte. Bisognava farne perciò
un uso oculato.
L’epoca contemporanea, secondo Bodei, sembra aver perduto questa consapevolezza, ca-
La riscoperta della finitezza
della natura umana
si presenta
come un’opportunità
da cogliere con urgenza
ratterizzata com’è da una costante «delegittimazione dei limiti».
Troppo spesso, infatti, si perseguono effimeri «sogni di onnipotenza» volti alla soddisfazione
ad ogni costo di desideri individuali. Inevitabili sono i contraccolpi per il singolo e più in generale per il nostro vivere insieme: la mancata realizzazione delle proprie aspirazioni porta con
sé un carico gravoso di risentimento e di frustrazioni, mentre
l’eccessiva autoreferenzialità conduce a un’erosione dei legami
sociali, che mette in crisi l’idea
stessa di comunità. La riscoperta
dei limiti e della finitezza della
natura umana si presenta allora
come un’opportunità, da cogliere
con urgenza, per ristabilire una
relazione armonica con il prossimo e con tutto il creato. Un atteggiamento a cui lo stesso Papa
Francesco non smette mai di
esortarci.
ello scorso autunno, il 12 ottobre, Papa Francesco ha decretato che Teresa
Spinelli, morta oltre un secolo
e mezzo fa, nel 1850, doveva
essere considerata venerabile.
Ha così avuto inizio il percorso che può portare al riconoscimento di santità una donna
dal destino difficile, vittima di
N
L’idea portante del progetto
era l’educazione
per le donne povere
Unica via per ottenere loro
rispetto e dignità
un tempo difficile — era nata
proprio nel 1789, data d’inizio
della rivoluzione francese — la
cui vicenda può essere compresa e accettata oggi molto
più facilmente che negli anni
immediatamente successivi alla
sua morte.
La stessa data di nascita, come si è appena ricordato, la lega indissolubilmente ai complessi avvenimenti di una modernità che nasce opponendosi
alla tradizione cristiana. E
molte delle vicende drammatiche della sua vita sicuramente
sono state amplificate, se non
originate, dallo sconvolgimento dei tempi. Possiamo supporre che la rovina economica
del padre, operaio di conceria,
possa essere stata almeno in
parte provocata dalle repentine
trasformazioni che l’economia
di Roma aveva subito in quegli anni di violenti cambiamenti.
Una rovina che l’ha strappata da una vita dignitosa, che le
aveva permesso anche di frequentare una scuola, per costringerla a sedici anni a un
matrimonio imposto. Anche la
violenza della quale si macchia
il marito trova probabilmente
giustificazione e rafforzamento
nell’adesione di quest’ultimo al
partito giacobino, che lo porta
a disprezzare la giovanissima
moglie devota.
Sono infatti anni in cui il
mondo sembra rovesciarsi, e i
punti di riferimento ai quali
da secoli i romani erano abituati sembrano perdere di peso
e di potere. Anche la veloce
accettazione da parte del Vicariato della separazione, senza
neppure un tentativo di riconciliazione e di convivenza, si
spiega appunto con le tensioni
politiche e la fede giacobina
del marito.
Prima dell’invasione francese, infatti, le donne, e più in
generale le famiglie dello Stato
pontificio, godevano di una
certa protezione paternalistica
da parte della Sede apostolica,
protezione che stava venendo
meno con l’affermarsi della società laica. E questa, a partire
dalla rivoluzione, imporrà regole più dure, soprattutto per
le donne che erano solite tro-
vare nei tribunali rotali un appoggio.
Nella prima fase della vita,
la vivace Teresa ha potuto ancora usufruire di queste condizioni privilegiate: a Roma anche una ragazza non benestante poteva frequentare una
scuola, buona come quella delle Maestre pie fondate da Rosa Venerini. Vediamo in questa
esperienza verificarsi una sorta
di passaggio di testimone fra
donne religiose che funzionerà
poi per tutto l’Ottocento: le
nuove fondatrici di congregazioni di vita attiva quasi sempre hanno ricevuto preparazione e un esempio positivo da
istituti nati prima, anch’essi
per iniziativa di donne. E ogni
volta il progetto che nasce successivamente avrà caratteristiche più innovative, saprà guardare più in alto e con larghezza di mente e di progetto.
Sappiamo che senza questo
buon inizio Teresa non avrebbe avuto nulla su cui contare
per emergere dalle sventure di
cui è costellata la sua vita, per
resistere in un momento in cui
non solo le sue vicende private, ma anche quelle del mondo
che la circonda, sembrano opporsi ai suoi progetti e ai suoi
desideri. È su questa base infatti che Teresa elabora la sua
strada: si accorge molto presto,
infatti, che per resistere alle
difficoltà della vita le donne,
specie se povere, devono avere
una cultura. Solo così, infatti,
potranno combattere per farsi
riconoscere una dignità e una
libertà che la vita in famiglia e
la società intorno vogliono loro negare.
È proprio su questo progetto che Teresa sa convogliare
tutte le sue forze, e grazie a
questo progetto, che le nasce
nel cuore nei momenti più bui
della sua esistenza, trova la
forza di sopportare una vita
familiare molto difficile, che le
nega ogni soddisfazione, perfino quelle di madre. È infatti
costretta ad allontanarsi dalla
figlia nei primi anni di vita,
quelli più dolci per una madre
e centrali per la sua formazione. Dalla figlia adulta riceverà
solo problemi e delusioni.
La famiglia tende a sfruttarla approfittando della sua condizione difficile di separata,
condizione che deve esserle
molto pesata durante tutta
l’esistenza. Probabilmente questo stato veniva sempre ricordato nei momenti di conflitto,
di difficoltà, e le rendeva più
difficile ogni passo in avanti,
ogni realizzazione.
Nella Positio super virtutibus
la sua condizione è raccontata
con chiarezza: «Era una donna
sola, con una famiglia a carico,
chiamata a compiere scelte coraggiose e, spesso, dolorose, in
un ambiente culturalmente
maldisposto ad accettare l’operato di una malmaritata» (p.
77). Si tratta di una esperienza
che
la
rende
moderna,
un’esperienza che con la modernità coinvolge un numero
sempre più vasto di donne.
Oggi ci sentiamo più vicine a
lei che a sante dalla vita più
piana, più prevedibile.
Non è quindi casuale, e non
si lega solo al suo nome di
battesimo, che la santa di riferimento per lei fosse Teresa
d’Avila, una donna combattiva
e forte, che elesse protettrice
dell’istituto e delle sue opere.
Anche se all’epoca della Spinelli i testi accessibili di Teresa
d’Avila erano stati ampiamente
censurati rispetto agli originali,
una donna di sostanza, e non
di forma: approfittò di questo
periodo per farsi seguire da un
gesuita, padre spirituale e precettore nella famiglia, e riuscì
a farsi stimare e benvolere da
tutti.
Ma la strada veramente sua
le fu aperta dai laici: il suo
primo incarico di insegnamento, infatti, le venne proposto a
Frosinone, dove volevano aprire una scuola pubblica femminile. Aprì la scuola nel luglio
1821, a tutte le fanciulle, e ottenuto a fatica un appartamento dal comune vi si sistemò
con tre compagne. E subito
avviò anche una scuola di catechismo, aperta anche ai maschi, nonostante l’opposizione
del parroco. Seguì a breve un
educandato per fanciulle, e un
corso di esercizi spirituali. Così prese inizio l’istituto delle
Serve di Gesù e Maria, una
Ettore Roesler Franz, da «Roma sparita»
e non si conoscevano aspetti
della sua vita decisivi, la nostra Teresa evidentemente aveva compreso la forza della santa spagnola nell’affrontare difficoltà e ostacoli, e forse aveva
anche intuito il peso che una
famiglia di origine ebraica e di
recente conversione aveva avuto sulla sua vita.
Nonostante il suo amore per
la cultura e la sua convinzione
che solo dalla cultura una
donna potesse trarre forza e
dignità, non si tirò indietro davanti a una mole di lavoro domestico quotidiano, che prima
di lei compivano sei persone,
quando entrò alle dipendenze
della famiglia Stampa per garantire la sopravvivenza della
sua famiglia. Ma Teresa era
Rielaborazione grafica di un ritratto di Teresa Spinelli
delle prime (poi molto numerose) congregazioni femminili
di vita attiva che, nell’O ttocento, contribuirono in modo
determinante
all’educazione
delle donne. Teresa in questo
campo fu una pioniera, e pagò
prezzi salati per le sue scelte
così in anticipo sui tempi.
La
trasformazione
della
scuola pubblica in una scuola
religiosa — perché le donne
che si unirono a lei decisero di
prendere i voti e di aggregarsi
all’ordine agostiniano — servì
probabilmente anche a proteggerla dagli attacchi della cittadinanza, contraria a tanto attivismo. Resta il fatto che l’idea
portante di questo progetto
era proprio l’educazione scolastica per le donne povere,
individuata come l’unica via
per ottenere loro rispetto e dignità.
Naturalmente la sua condizione di malmaritata le costò
ancora cara, e rese più acerbi i
vari conflitti, sia con i missionari del Preziosissimo Sangue
che con un avvocato proprietario dell’appartamento confinante. Poi le toccò ospitare e
curare per lunghi anni la figlia, malata di mente.
Si può dire che la sua vita
non conobbe mai parentesi
tranquille, sia per le vicende
personali che per quelle del
periodo storico in cui si trovò
a vivere. Anche il percorso di
beatificazione è stato lungo e
difficile: la sua vicenda si scostava dai profili più piani delle
altre fondatrici. Ma oggi è un
modello di grande attualità,
quando finalmente si accendono i riflettori sulla violenza
contro le donne, sulle difficoltà delle donne sole a mantenere la famiglia: è il suo momento, viene riconosciuta come
una di noi, una donna che sa
parlare alle donne del nostro
tempo.
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 11 marzo 2017
pagina 5
Effetti collaterali dell’abuso dei social media
È finito
il mito della rete
di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
utto a un tratto in molti si
stanno ricredendo sulle reali
capacità dei social network di
plasmare una società migliore.
Solo ora coloro che li avevano
esaltati come il più grande strumento di
condivisione di informazioni mai inventato dall’umanità iniziano a riflettere su un
possibile lato oscuro, ovvero la manipolazione delle nostre coscienze.
«Un flagello sta uccidendo le menti
delle persone — ha affermato recentemente
il ceo di Apple Tim Cook — e il mondo
ha bisogno di una massiccia campagna
per debellarlo».
A cosa si riferisce il capo dell’azienda
che ha reinventato il nostro modo di comunicare? Alle fake news, quelle notizie totalmente inventate che attraverso i social
media si diffondono alla velocità della luce e modificano la percezione che abbiamo della realtà.
Su Wired.it, noto anche come la Bibbia
di Internet, si cominciano a leggere
avvertenze del tipo:
«La
complessità
dell’ambiente mediatico
impone
strumenti culturali
e di interpretazione
per decifrare il suo
funzionamento. A
sentirsi chiamati in
causa devono essere
le scuole e le università».
Ci si chiede come mai ci si svegli
tutto a un tratto solo ora, solo ora si
cominci a valutare
la dimensione ingannevole di un
mondo
parallelo
T
fatto non di realtà concreta, ma di mero
touch screen.
Solo pochi anni fa c’era chi (sempre su
Wired) affermava che i social potevano
perfino diventare uno strumento terapeutico, il mondo a cui avremmo dovuto comunque abituarci perché voltarsi a guardare indietro verso un passato fatto di
“analogico passaparola” era da romantici
sognatori o, peggio, ottusi nostalgici.
Ci chiedevamo, noi scettici, noi nostalgici del face-to-face, se veramente avremmo
potuto affidare tutta la nostra vita sociale
a uno strumento così palesemente manipolatore delle nostre reali intenzioni (anche a nostra insaputa): un like significa veramente apprezzare? Accettare un’“amicizia” significa veramente aver trovato un
amico? Cliccare sul pulsante “condividi”
significa veramente approvare o capire il
contenuto di quel materiale?
Erano domande banali, ad alcuni sembravano fin troppo elementari tanto che
bastava avanzare un piccolo dubbio per
venire etichettati immediatamente come
moderni luddisti. Eppure adesso anche i
molti cheerleader della rete cominciano a
prenderne le distanze, a partire proprio
dalle fake news, quel continuo bombardamento di informazioni false.
Ma ci si può veramente meravigliare se
una macchina concepita fin dal suo primordiale algoritmo, ovvero il suo codice
genetico, come “finzione” — già anni fa
abbiamo fatto notare come i più famosi
social network siano del tutto incapaci di
prevenire che un dodicenne apra un proprio profilo e scriva e posti quello che
vuole — diventi anche il vettore primo della circolazione di notizie false?
Si dirà, e si è sempre detto, il mezzo in
sé non c’entra, è l’uso che se ne fa. Ma
l’uso che facciamo di questi mezzi è condizionato dalla loro reale efficacia, e piuttosto che strumenti per la ricerca di amicizie, si sono rivelati un congegno efficacissimo di puro marketing, dove ognuno, nel
suo piccolo, ha come obiettivo quello di
“vendere” se stesso. Dunque non cercherà
affatto amicizie ma potenziali consumatori
del proprio prodotto.
Ora, d’improvviso, la rete tanto osannata assume l’aspetto di un campo di battaglia, la battaglia per la ricerca della verità
o quantomeno per smascherare quelle che
sono vere e proprie bufale messe in circolo
non solo per divertimento (poche) ma per
ben più concreti fini di lucro. Notizie false
poi rilanciate dagli stessi ignari user della
rete, che non riescono ad astenersi dal
condividere quelle news dai titoli così accattivanti visto che in fondo non esistono,
e mai potranno esistere, sanzioni contro
chi condivide un fake. False notizie o dichiarazioni imprudenti fatte sui social media hanno causato minacce di morte e
hanno istigato bulli di ogni tipo a commettere atti violenti.
Giusto un paio di mesi fa, dopo aver
letto sui social che Comet Ping Pong (un
negozio di pizza a Washington D.C.) era
un rifugio per i pedofili, Edgar Maddison
Welch del North Carolina aveva deciso di
intervenire e fare giustizia da sé. Si presentò in quel negozio armato di pistola
nel tentativo di compiere una strage. Purtroppo la storia a cui si era abbeverato
tramite Facebook era completamente falsa
e per fortuna in quell’occasione nessuno è
rimasto ferito.
C’è chi si domanda se i nostri leader
politici possano o vogliano intervenire per
porre argine a questo circolo vizioso di
auto-brainwashing involontario. Ma ahimè
pare che i leader preferiscano la strategia
opposta, ovvero quella di assecondare
queste tattiche dello spararla grossa per
ampliare il proprio seguito e dunque per
ottenere un immediato — ma si spera effi-
Accettare un’amicizia
significa veramente aver trovato un amico?
Cliccare sul pulsante Condividi
significa veramente approvare
o capire il contenuto di quel materiale?
mero — beneficio politico. «Storie false
abbondano sui social media», è diventata
ormai una frase talmente ricorrente nel
quotidiano così come nei corsivi degli
analisti che quasi non ci facciamo più caso. Ma ahimé erano le nostre stesse storie
social a esserlo, a cominciare dai nostri
profili, le nostre micro-biografie esagerate,
quelle foto ritoccate, quell’allegria di facciata, era tutto un abbondare di fake news
la nostra vita in rete, a cominciare dai suoi
primi balbettii digitali ormai una dozzina
di anni fa. Causa mali est ipse clamabit.
Anche i cattolici si oppongono alla tortura
di ALESSANDRO MONTI
l decano degli psicologi sociali
nordamericani, Albert Bandura, 90 anni, in un recente saggio ricorda come il progressivo
disimpegno morale che caratterizza la società contemporanea sia
all’origine delle giustificazioni psicologiche per l’uso senza alcuna remora
della tortura. Una deriva inaccettabile
che punta a legittimarsi, oscillando
tra il rifiuto di pronunciare la parola
che la designa per negarne l’esistenza
e la provocazione del noto penalista
americano Alan Dershowitz che propone di regolare la tortura per renderla “trasparente e controllata”.
I
Contro l’affermarsi di questa tendenza aberrante si battono numerose
ong. In Italia la timida attenzione
mediatica alla lotta alla pena di morte
e alla tortura si sofferma esclusivamente sulle ong laiche, ignorando
quelle di ispirazione religiosa, meno
appariscenti ma non meno presenti
nell’attività di monitoraggio, informazione e coinvolgimento dell’opinione
pubblica.
Merita allora ricordare come l’associazione non profit Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura
(Acat), nata da una costola del Movimento rinascita cristiana, nonostante
le sue esigue risorse, operi da oltre
trent’anni praticando e incoraggiando
l’impegno contro la tortura sul pre-
Il supplizio dei carboni ardenti (stampa del
XVI
secolo)
supposto della sacralità della vita
umana e dell’intangibilità del corpo.
Una tensione morale che si esercita su
due fronti. Il primo, quello dell’emergenza, con interventi settimanali di
denuncia dei casi più gravi di tortura
che avvengono nel mondo e di sostegno alle vittime, non solo attraverso
lettere e petizioni alle autorità responsabili ma con incontri di preghiera e
un’appassionata “controinformazione”
pubblicata sul sito www.acatitalia.it e
su un giornale on line, raccordandosi
alle iniziative di altre ong e di singoli
individui volenterosi.
Il secondo fronte d’intervento
dell’Acat abbraccia una strategia di
più lungo periodo. Si propone di sollecitare l’interesse conoscitivo delle
giovani generazioni sui fenomeni di
uso eccessivo della forza e di abuso di
potere delle autorità. Si tratta
dell’istituzione di un premio annuale
alla migliore tesi di laurea su trattamenti inumani, tortura e pena di
morte, ormai alla settima edizione
grazie anche ai fondi dell’otto per
mille della Chiesa valdese. L’intento
di una laurea per fermare la tortura è
sensibilizzare l’ambiente accademico e
gli studenti universitari ad approfondire i casi di tortura, le loro motivazioni, i negativi effetti sui processi di
sviluppo della democrazia politica e
delle istituzioni pubbliche.
Promuovere gli studi universitari
sulle ragioni di comportamenti che ripugnano alla coscienza, non è però
fine a se stesso. L’obiettivo è quello
di favorire in Italia la crescita di una
mentalità pacifica e solidale, di un
movimento d’opinione sempre più vasto contro questi fenomeni, in grado
di rompere il muro di indifferenza.
Il premio Acat 2016 è stato attribuito alla tesi di laurea di Annunziata
Vavolo della scuola di scienze politiche Cesare Alfieri dell’università di
Firenze che ha affrontato un tema di
grande attualità: «Il principio di non
réfoulement e il divieto di tortura alla
prova delle sfide attuali». Il principio
di non respingimento di individui
verso uno Stato ove vi sia il rischio di
essere sottoposti a tortura o a trattamenti degradanti è uno strumento
cruciale per garantire il rispetto dei
diritti dell’uomo. Nonostante l’assoluta inderogabilità del principio di non
réfoulement affermata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, a partire dal
settembre 2001 si registra infatti un
progressivo attenuarsi dei relativi obblighi a carico degli Stati spesso mo-
volgano non solo le istituzioni pubbliche preposte, ma anche l’impegno
di tutti i cittadini. Innanzitutto aiutando la classe politica a superare la
riluttanza a prevedere il reato di tortura nel codice penale italiano. Riluttanza che può essere superata proprio
dalla coralità di un movimento civile
avvertito e determinato nel chiedere
che il parlamento, dopo quasi trenta
anni dalla ratifica della Convenzione
delle Nazioni Unite contro la tortura,
provveda, senza ulteriori indugi, a introdurre un apposito reato (imprescrittibile) con funzioni repressive e al
tempo stesso di deterrenza.
Se realisticamente
Il principio di non respingimento
deve prendersi atto
delle difficoltà a perdi individui verso uno Stato
venire a breve scaove vi sia il rischio di trattamenti degradanti
denza a una soluzioè cruciale per il rispetto dei diritti
ne definitiva di questa lacerante tragedia
epocale, l’ottimismo
della volontà deve
tivato con la necessità di tutelare l’in- spingerci a valorizzare i segni favoreteresse alla sicurezza nazionale.
voli che vanno profilandosi per una
La tesi vincitrice è stata scelta tra le progressiva attenuazione delle ferite
20 provenienti da ben 14 sedi univer- aperte. E un segnale positivo appare
sitarie. È certo però che in questi ulti- la disponibilità del governo italiano
mi mesi altri 20 studenti universitari di favorire l’approvazione della legge
(e i loro docenti relatori) si sono de- sulla tortura nell’ultima parte di quedicati all’analisi delle questioni legate sta legislatura.
alla pena di morte, alla tortura e ai
Ma segnali incoraggianti sono socomportamenti inumani e degradanti prattutto i giovani laureati che, ricompiuti su detenuti o su persone cospondendo al bando di concorso
munque private della libertà nell’amAcat, si sono mostrati sensibili alle
bito di strutture pubbliche che dovrebbero
tutelarne
l’intangibilità. problematiche del rispetto dei diritti
Comportamenti ancora poco esplorati umani e della dignità della persona.
nei complessi meccanismi che li gene- È da augurarsi che proseguano l’attirano, nelle cause che continuano ad vità di ricerca in questo campo e che,
alimentarli e a giustificarli in molti animati dalla tensione morale che traspare dai loro lavori, partecipino alla
paesi.
La conoscenza aggiornata di questi mobilitazione civile e culturale da cocomportamenti è invece decisiva per struire insieme contro l’orrore della
apprestare appropriati strumenti di tortura e ogni forma di violenza isticontrasto e di prevenzione che coin- tuzionalizzata.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
sabato 11 marzo 2017
Lo scandalo degli abusi sui minori in Australia
Non basta
chiedere scusa
CANBERRA, 10. «Siamo profondamente dispiaciuti di
non essere riusciti a proteggere e a prenderci cura di quei
bambini, secondo i nostri valori cristiani. Riconosciamo
con enorme tristezza le conseguenze che ciò ha prodotto
nella vita di questi giovani. Il
nostro impegno è di chiedere
scusa e di cercare che altri
non soffrano nello stesso modo»: Stuart McMillan, presidente dell’assemblea della
Uniting Church of Australia
(Uca), interviene sullo scandalo che ha coinvolto anche
la terza più grande denominazione cristiana del paese
come numero di fedeli.
Secondo
quanto
riferisce
l’Australian associated press
— che cita dati della Royal
commission into institutional
responses to child sexual
abuse — sarebbero duemilacinquecentoquattro i casi di
L’episcopato messicano per l’accoglienza dei migranti
Inaccettabile separare le famiglie
CITTÀ DEL MESSICO, 10. «È inaccettabile la possibilità che vengano separate le famiglie messicane
che entrano in territorio statunitense». La dichiarazione — che fa riferimento a uno dei possibili,
prossimi
provvedimenti
dell’amministrazione
Trump (la separazione dei minori dalle proprie
madri in caso d’ingresso illegale negli Stati Uniti
come ha prospettato il segretario alla sicurezza interna, John Kelly) — è riportata nel comunicato
diffuso dalla Conferenza episcopale messicana
(Cem) a conclusione dei lavori del consiglio permanente, presieduto dal presidente della Cem, il
cardinale José Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara.
Nel comunicato, l’episcopato messicano ha rivolto ancora una volta un accorato appello all’accoglienza dei migranti. «Approfittiamo di questo
tempo di grazia della quaresima — hanno scritto
— per sensibilizzarci di fronte alla difficile congiuntura che stiamo vivendo in questo particolare
momento». I vescovi, durante i lavori del consiglio permanente, hanno espresso la loro profonda
preoccupazione sulla situazione sociale del paese
e, in particolare, sulla problematica delle migrazioni, focalizzando l’attenzione «sul lavoro che si
Giustizia
per le vittime del rogo
CITTÀ DEL GUATEMALA, 10.
Dolore, costernazione e vicinanza ai familiari delle vittime
sono stati espressi dal vescovo
ausiliare di Santiago de Guatemala, monsignor Raúl Antonio Martínez Paredes, in
merito all’incendio divampato, mercoledì scorso, nella casa di accoglienza per minori
“Virgen de la Asunción”, a
San José Pínula, dove sono
morte 31 ragazze.
«Molto probabilmente —
ha detto il presule — verranno
fuori i nomi dei responsabili
di questa tragedia, ma la cosa
più importante non è solo vederli assicurati alla giustizia,
ma poter capire, invece, come
verranno risolti i problemi
nella casa di accoglienza»,
dove le ragazze subivano abusi e maltrattamenti. Di qui, la
protesta che si è trasformata
in tragedia.
sta portando avanti nelle parrocchie e nelle oltre
settanta case di accoglienza del migrante gestite
dalla Chiesa cattolica, o nelle strutture gestite da
chiese cristiane sorelle, organizzazioni civili o di
governo. È giunto il momento — prosegue il comunicato dei presuli — di mobilitarsi in questo
grande sforzo di servizio e di fraternità nei confronti dei migranti».
Nella prossima assemblea plenaria della Conferenza episcopale, che si terrà dal 25 al 28 aprile —
riferisce il Sir — verrà diffuso un messaggio al popolo di Dio sulle principali problematiche vissute
dalla nazione messicana.
Un progetto per far tornare a casa gli sfollati
Aleppo vi aspetta
ALEPPO, 10. «La situazione va migliorando, ma manca ancora quella sicurezza necessaria per pensare
alla pace in modo duraturo. Tra
la popolazione sembra diminuire
la paura di nuove incursioni
dell’Is»: è quanto ha affermato
l’arcivescovo di Alep dei grecomelkiti, monsignor Jean-Clément
Jeanbart. «Qualche miglioramento — ha detto il presule — si nota.
I residenti della città sono stati
senza acqua corrente per due mesi», da quando i terroristi dell’Is
avevano preso il controllo di alcuni pozzi d’acqua. «Ora tutti sperano di poter riavere l’acqua in
casa quanto prima. Potrebbe esse-
Istituito in Iraq
il consiglio
delle comunità
cristiane
L’Ecuador
ha bisogno di rispetto
GUAYAQUIL, 10. «Non è sufficiente
vincere le elezioni, è importante saper governare. Ciò richiede alcuni
atteggiamenti come la vicinanza,
l’ascolto e il servizio, indipendentemente dalla nostra posizione politica o religiosa»: è quanto ha scritto
monsignor Luis Gerardo Cabrera
Herrera, arcivescovo di Guayaquil.
in una lettera rivolta ai candidati al
ballottaggio per le elezioni presidenziali in Ecuador.
Nella lettera, il presule esorta i
candidati al rispetto e al dialogo
nel corso della campagna elettorale
che è iniziata venerdì. «La vicinanza rende possibile alle autorità la
condivisione con la nostra gente, in
particolare con i più vulnerabili.
L’ascolto ci permette di scoprire ciò
che le persone vivono, vogliono e si
aspettano; e non esattamente proprio quello che ci piacerebbe sentire. Il servizio — prosegue la lettera
resa nota da Fides — è il principio
guida di ogni progetto e programma sociale, politico o economico».
Secondo l’arcivescovo, se si considera il potere come servizio si impedisce la manipolazione dei poveri. «Gli esclusi non sono oggetti,
ma soggetti e protagonisti della
propria storia. Questa convinzione
— conclude monsignor Cabrera
Herrera — richiede il riconoscimento, il rispetto e la promozione».
Il ballottaggio per le presidenziali è previsto per il prossimo 2
aprile.
KIRKUK, 10. Comincia ad avere i
primi effetti l’appello più volte rivolto dal patriarca di Babilonia
dei Caldei Louis Raphaël I Sako
ai cristiani iracheni affinché non
procedano «in ordine sparso» sul
terreno politico e sociale, provando invece a far confluire le proprie
forze in un’unica componente. A
Kirkuk, infatti, ha preso forma la
costituzione di un «consiglio delle
comunità cristiane» che si propone come organo di collegamento
tra le diverse organizzazioni politiche e sociali animate da militanti
cristiani, in grado di porsi come
interlocutore unitario degli organismi politici e istituzionali della
provincia.
L’iniziativa — riferisce Fides — è
stata sostenuta anche dai responsabili politici locali, a partire dal
curdo Rebwar Talabani, presidente del consiglio provinciale di Kirkuk: il nuovo organismo — ha sottolineato Talabani — potrà dare
un contributo positivo non solo
per quel che riguarda la condizione delle comunità cristiane, ma
anche per ricomporre e favorire la
convivenza pacifica e collaborativa
tra le diverse componenti etniche
e religiose della società. Anche il
pastore Haitham Jazrawi, a capo
della comunità cristiana evangelica a Kirkuk, ha evidenziato con
soddisfazione che l’iniziativa di un
organismo unitario in grado di aggregare le componenti cristiane
sul terreno sociale e politico rappresenta un elemento positivo di
novità nell’attuale problematica
condizione vissuta dai cristiani.
re un primo importante passo per
far tornare in città tutti gli aleppini che erano andati via per sfuggire alle bombe. Per favorire questo ritorno — spiega al Sir l’arcivescovo — abbiamo messo a punto
“Aleppo vi aspetta”, un progetto
che intende favorire il ritorno nelle proprie abitazioni degli sfollati». Ma nulla può avere un futuro
se la diplomazia non segna passi
in avanti. «Speriamo bene. La
speranza in una soluzione politica
— ha aggiunto — non deve mancare anche perché i problemi sono
tanti e vanno risolti. Penso alle
scuole, alla sanità, al lavoro che
manca, alle infrastrutture da rico-
struire». Ma c’è un pensiero che
tormenta monsignor Jeanbart ed è
la riconciliazione. «È la priorità
per noi siriani. Senza riconciliazione non andremo da nessuna
parte. Purtroppo, a combattere
sulla nostra terra ci sono moltissimi stranieri. Sono mercenari che
non sono interessati al bene della
Siria e alla pace. Sono manipolati
da potenze internazionali e regionali. L’80 per cento dei siriani invece crede alla riconciliazione e al
dialogo. È possibile ma gli stranieri devono andare via. Solo così
potremo riconciliarci. Fin quando
ci saranno stranieri — ha concluso
— non ci sarà pace».
abuso sessuale su minori verificatisi nelle istituzioni legate
alla Uniting Church dal 1977
(anno di fondazione) a oggi.
Diciassette milioni e mezzo
di dollari l’ammontare del risarcimento alle vittime.
L’Uca è nata quarant’anni
fa dall’unione di gran parte
delle componenti della Methodist Church, della Presbyterian Church e della Congregational Union of Australia. Dopo quella cattolica e
quella anglicana, è la denominazione cristiana con più
fedeli nel paese (circa un milione).
E all’impegno della chiesa
cattolica in Australia per far
luce sugli abusi è dedicato un
ampio servizio del quotidiano
francese «La Croix». Dopo
quattro anni di indagini sono
stati accertati e segnalati alle
autorità ecclesiastiche 4444
episodi avvenuti fra il 1980 e
il 2015. Nello stesso periodo,
la Chiesa ha versato l’equivalente di duecento milioni di
euro per risarcire migliaia di
vittime di abusi sessuali commessi nell’ambito di strutture
cattoliche. La commissione si
è basata sulle denunce o sulle
testimonianze di coloro che
hanno subito violenza, riuscendo a identificare 1880 autori presunti fra persone con
un ruolo di responsabilità ecclesiale.
Recuperare la fiducia perduta è ora il principale obiettivo della Chiesa cattolica in
Australia. Il quotidiano francese riferisce a questo proposito il crollo del numero dei
fedeli praticanti: nella diocesi
di Ballarat, fra quelle più colpite dallo scandalo, solo il 10
per cento va a messa. «Abbiamo davanti un lavoro
enorme da fare per convincere la gente che la Chiesa sta
veramente cambiando», afferma un responsabile.
Aperto a siriani di diverse confessioni
Rivive il santuario ortodosso della Saydnaya
Uno dei luoghi più cari ai cristiani
in Siria è il monastero ortodosso
della Madre di Dio: la Saydnaya.
Sorge in piena montagna (1339
metri) a circa 35 chilometri a nordest di Damasco, dove si parla ancora
l’aramaico, la lingua di Gesù. Con
ogni probabilità, è uno dei più antichi santuari mariani del mondo, essendo stato costruito nel 547 su ordine dell’imperatore Giustiniano
che, secondo la tradizione, avrebbe
avuto lì due visioni della Vergine
mentre andava a caccia. Saydnaya,
in lingua siriaca, significa infatti Signora della caccia, anche se, popolarmente, la Vergine è conosciuta
come Chagoura, celebre, illustre, famosa.
L’antico nome ellenistico della regione in cui si trova, era Abilene;
nome che la tradizione mistica e
leggendaria del luogo collega al biblico Abele, ucciso dal fratello Caino, la cui tomba si troverebbe proprio in quella regione. Gli studiosi
ritengono che, verosimilmente, capitale di Abilene era Saydnaya. È significativo che, proprio qui, si stia
svolgendo un conflitto fratricida che
rischia di coinvolgere l’intera popolazione medio-orientale.
Il monastero è adagiato sulla
spianata di un ampio sperone fasciato da mura ferrigne. Appartiene
al patriarcato ortodosso di Antiochia, che ha sede a Damasco, ed è
affidato a una comunità di monache
di rito bizantino e di lingua araba,
sotto la guida di un’igumena (badessa) che accoglie i pellegrini, guidandoli a pregare davanti all’icona
che la tradizione dice sia stata dipinta da San Luca.
Le mura della chiesa sono coperte
da icone e da ex voto, mentre l’illu-
minazione è affidata solo alla luce
delle candele e delle lampade a olio
accese giorno e notte, il cui riverbero illumina i volti teneri di gioia e
di lacrime della gente in preghiera.
L’immagine, come quella di altri famosi santuari, è molto piccola, e
rappresenta la Madonna col Bambino, del tipo della Galaktotrofousa, o
allattante, ed è nascosta sotto un’incredibile profusione di argenti, di
ori e di gemme varie. Da essa trasuda un liquido
oleoso e pro-
que, che un sultano di Damasco vi
riacquistò la vista e «rese gloria a
Dio insieme a tutti i presenti, promettendo la fornitura di 50 misure
di olio perché la lampada accesa davanti alla Vergine continuasse ad ardere in perpetuo». L’offerta durò fi-
fumato, raccolto e distribuito dalle
monache ai pellegrini per il sollievo
dei malati.
Oltre ai fedeli locali e dei paesi
vicini, il santuario, nonostante le
difficoltà del viaggio, attirava molti
pellegrini ed era una meta obbligata
per quanti si recavano in Terra santa. Ai cristiani si univano (e si uniscono) musulmani ed ebrei, fiduciosi di ricevere miracoli o grazie, come
riferisce la tradizione locale, mischiando storia e leggenda, narrati
con tale garbo che, pur non dando
sicure certezze, suscitano una benevola simpatia. Pare certo, comun-
no al 1909, l’anno in cui fu deposto
il sultano turco Abdel Hamid.
La festa della Saydnaya si celebra
l’8 settembre, giorno della Natività
di Maria, con la partecipazione di
pellegrini che arrivano il giorno precedente, partecipando alle liturgie
previste, compresa la processione
verso l’altare per l’unzione con l’olio
profumato che emana dall’icona.
Ora, con la tregua in atto, la città
pare che stia riprendendo vita; tornano le famiglie; si avvertono segni
di avvicinamento e il flusso dei pellegrini sta aumentando. (egidio picucci)
L’OSSERVATORE ROMANO
sabato 11 marzo 2017
pagina 7
Nella testimonianza di Giuseppe Lazzati
La via della prudenza
di PIERGIORGIO CONFALONIERI*
Un’antifona della liturgia prenatalizia chiede alla divina sapienza
che ci insegni la via della prudenza. Il venerabile Giuseppe Lazzati era talmente convinto della centralità di tale virtù cardinale che
talora amava parafrasare l’antico
adagio auriga virtutum molto argutamente: «È la virtù senza la
quale nessuna virtù è virtù». Ma
non era un gioco di parole bensì
cifra del suo stile di vita, sobrio e
compassato, mai oltre le righe. Lo
si evince pure dalle testimonianze
nell’inchiesta canonica. Come durante l’internamento nel lager, a
causa della resistenza dopo la caduta del regime, divenuto riferimento per i commilitoni con
l’esempio e il coraggio, quando
osò appellarsi alle convenzioni internazionali per i prigionieri di
guerra senza assumere toni provocatori.
Nell’esperienza politica, membro della Costituente e del parlamento nella prima legislatura,
non fu mai prevaricatore verso chi
non la pensava diversamente. Pur
dotato di una lucidità intellettuale
nell’analisi dei vari problemi, al
contempo sapeva nutrire rispetto
verso le altrui opinioni onde favorire una possibile sintesi. Sia nelle
file dell’Azione cattolica che negli
altri contesti ecclesiali, soprattutto
nella fase post-conciliare, pur essendo assai rigoroso quanto ai
principi che sosteneva con grande
passione, sapeva cogliere il bene
anche nelle proposte degli altri,
disposto a chinarsi sempre di
fronte all’autorità della Chiesa.
Era infatti convinto che le novità
sono promosse dallo Spirito, che
le fa fiorire e alimenta talora grazie al sacrificio del proprio punto
di vista, fiducioso che ciò che non
accade oggi può avvenire a tempo
opportuno secondo i piani di
D io.
Come rettore dell’Università
cattolica, sia nelle funzioni manageriali che in quelle accademiche,
soprattutto durante il tribolato
periodo della contestazione degli
studenti, si comportò veramente
da uomo illuminato e prudente.
Anch’io personalmente ne fui testimone in occasione di alcune in-
temperanze goliardiche. Persino
nelle ore cruciali, quando fu sequestrato per giorni nel rettorato
dovendo essere addirittura rifocillato dai parenti, egli si mantenne
calmo e sereno perché aveva fiducia che le cose si ridimensionano
se non si agisce con rigore insensato.
Lazzati era insomma un uomo
tutto d’un pezzo e il suo agire così misurato non era che il frutto
Documento di Enseignement catholique
Idee per progredire
PARIGI, 10. Non un inventario di misure ma un insieme di certezze educative che consentano di proporre
passi avanti concreti, all’insegna del
pluralismo: in vista delle elezioni
presidenziali in Francia, Enseignement catholique — più di due milioni di studenti nei suoi oltre settemilacinquecento istituti — offre il suo
contributo al dibattito pubblico,
«una singola voce», spiega il segretario generale Pascal Balmand, ma
con l’obiettivo di «concorrere alla
costruzione di un progetto comune
per la scuola». Lo fa con un lungo
documento intitolato La contribution
de l’enseignement catholique pour l’école. Des convictions pour avancer, che si
rivolge alla scuola in generale, non
solamente a quella cattolica. La
scuola, vi si legge, «ha bisogno di
una rinnovata fiducia da parte della
nazione e la nazione ha bisogno di
una speranza condivisa alla quale
può partecipare la scuola. Nella sua
responsabilità di trasmettere il sapere, di appropriazione di una cultura
comune e di comprensione del mondo, ma anche nel suo ruolo di formazione alla vita sociale e di laboratorio di fraternità, essa chiede un’attenzione costante e l’impegno di tutti: c’è oggi l’urgenza di ridarle lo
slancio di un vero patto educativo».
La priorità assoluta, osserva Balmand, resta sempre quella dei bambini e dei giovani, nella loro diversità: «Ciò comporta l’estensione di
pedagogie adatte e di un organizzazione in grado di rispondere a questa diversità. Ciò comporta l’ascolto
degli attori del sistema scolastico,
dei genitori, e maggiore spazio per il
lavoro dei ricercatori, più entusiasmo
e generosità». Oggi è indispensabile
«parlare della scuola in modo
diverso per fare qualcosa di diverso
per la scuola», convinti che «il futuro del paese si gioca nel futuro della
scuola».
Più che di una grande riforma, di
sconvolgimenti radicali, c’è bisogno
di una politica dei piccoli passi. Le
proposte partono dagli studenti, con
le loro crescenti differenze, e privilegiano pedagogia e formazione, attraverso «ammorbidimento ed elasticità
dei percorsi». Enseignement catholique auspica maggiore autonomia degli istituti, un’organizzazione del sistema educativo meno centralizzata,
«il passaggio alla cultura del contratto piuttosto che la cultura della
circolare», per permettere che il progetto scolastico si sviluppi in maniera autonoma pur nel rispetto degli
obiettivi condivisi con l’autorità statale. Ma come tenere conto dei bisogni scolastici reali e rispondere alle
attese delle famiglie e dei territori
interessati? Le risposte comprendono
«più adattamento alle esigenze degli
allievi, mescolanza e diversità socia-
le, presenza scolastica rafforzata nelle periferie emarginate, nelle zone
urbane ad alta densità abitativa come nelle regioni rurali abbandonate».
La parola che più ricorre nel documento è pluralismo scolastico:
«Non è un’opzione ideologica ma la
scelta di un metodo. Una cultura
della libertà, una pratica sviluppata
della sussidiarietà e della sperimentazione, nel rispetto di un quadro
comune, possono apportare al sistema educativo la diversità e la flessibilità di funzionamento di cui ha bisogno». In tale sistema, «l’insegnamento cattolico ha bisogno che venga riconosciuto nella giusta misura il
servizio reso, offrendogli realmente
la possibilità di prenderne parte».
Le scuole private infatti «rendono
un servizio di interesse generale, offrendo una proposta educativa specifica. I finanziamenti pubblici a esse
assegnati devono corrispondere a tale servizio e garantiscono la libertà
dell’insegnamento».
Una convinzione attraversa il documento: l’uguaglianza vera esige la
diversificazione, il comune si fonda
sul plurale. Poiché «ogni allievo è
unico, l’acquisizione di una base comune passa necessariamente dalla
differenziazione», e «la diversità scolastica, senza uniformità vincolante,
consente di raggiungere gli obiettivi
di un comune condiviso». La vitalità
del sistema educativo «suppone che
esso sia pensato e organizzato a partire dall’istituto e non da un concetto centralizzato e discendente dal
ministero. Autonoma, la scuola dispone della capacità di determinare
il proprio progetto e le modalità della sua messa in opera. Lo stato resta
il garante di un quadro comune:
quello dei programmi e della definizione dei principi generali».
di una purificazione interiore e di
un incessante dominio di sé. Ne
fanno fede, a esempio, alcuni appunti a pochi giorni dalla nomina
a rettore, proprio nell’infuriare
della contestazione: «Vengo agli
esercizi sotto il peso di una nuova
schiacciante responsabilità: ho bisogno di abbandonarmi in Dio in
esercizio di pura fede perché chi
mi ha chiamato a quella responsabilità di servizio alla Chiesa e al
mondo, lui solo, può darmi la
forza di portarla e, se a lui piace,
con qualche frutto. Se santificarmi restituendo le realtà tutte
all’ordine voluto da Dio è la mia
missione (apostolato), essa sarà
feconda in proporzione della mia
unione intima con Dio. Ma quella missione, e tanto più se da
svolgere ad alto grado di responsabilità, ha bisogno di alcune virtù sulle quali devo porre particolarmente l’attenzione e lo sforzo
di volontà: umiltà, che rende facile, spontaneo il ricorso a Dio e
l’abbandono in Dio, la stima e la
considerazione per tutti; mitezza,
che tolga all’autorità ogni coloritura di egoismo e dia alla necessaria fermezza, che il suo esercizio
esige, il senso del servizio; carità,
che apra alla massima disponibilità verso tutti, se pure ordinatamente, e la faccia sentire come
espressione di amore». Con tali
premesse gli riuscì di farsi ascoltare dagli studenti, senza piegarsi
alla violenza e adottando persino
provvedimenti nei confronti dei
più facinorosi persuaso, da educatore qual era, che il segreto fosse
soprattutto il dialogo.
Del resto questa connaturale
divisa gli era valsa nel tempo a richiamare numerosi uditori all’eremo di San Salvatore, presso Erba,
in provincia di Como, per seguire
le sue ambite lezioni, soprattutto
di vita. Lazzati poneva proprio
nella prudenza il baricentro per
operare scelte libere e conformi al
progetto di Dio, criterio determinante quando si tratti di orientarsi sui vari versanti dell’esistenza:
matrimonio, ministero sacerdotale, vita consacrata.
Secondo Lazzati la prudenza
cristiana, che non ha nulla a che
vedere con la furbizia umana,
punta al fine ultimo senza prescindere dai mezzi idonei per
conseguire il fine immediato. Perciò richiede un discernimento
continuo in base alle reali possibilità di agire. Essa necessita di una
intelligenza concreta, non solo
speculativa, che è dire una intelligenza pratica in grado di cogliere
il fine immediato e conseguentemente scegliere i mezzi idonei per
poterlo raggiungere. Non sembri
forzato cogliervi una risonanza
con il magistero di Papa Francesco: «L’idea — le elaborazioni
concettuali — è in funzione del
cogliere, comprendere e dirigere
la realtà. L’idea staccata dalla
realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo
classificano o definiscono, ma
non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento» (Evangelii gaudium,
232).
In definitiva, per il venerabile
Lazzati, la prudenza è «la virtù
che rende capaci di dar ragione
del modo con cui si deve operare
in ogni azione, perché ogni azione raggiunga il suo fine, inteso
come fine medio, o come mezzo,
per arrivare al fine ultimo. Ogni
azione è una scelta. Se si vuol vivere da uomini, e da cristiani, bisogna che ogni azione che si
compie sia guidata, in quanto uomo, dalla ragione; in quanto cristiano, dalla ragione illuminata
dalla fede. Perché l’azione sia tale, si deve scegliere. La virtù della
prudenza cristiana è ciò che dà la
capacità di scegliere in modo tale
che ogni azione sia secondo la ragione illuminata dalla fede» (Giuseppe Lazzati, La prudenza, Roma, Ave, 1989, pagina 14). Perciò
la riscoperta di questa virtù può
essere un’utile bussola per affrontare anche le complesse e variegate sfide della società di oggi.
*Postulatore della causa
di beatificazione
Il 29 marzo a Barcellona nell’ambito del simposio del Ccee
Alla fiera
delle buone pratiche
BARCELLONA, 10. Una Chiesa dinamica, creativa: è l’immagine che intende mostrare il Consiglio delle
conferenze episcopali d’Europa
(Ccee) attraverso la Fiera delle
buone pratiche, in programma giovedì 29 marzo nell’ambito del Simposio europeo sull’accompagnamento dei giovani (a Barcellona
dal 28 al 31 marzo). In queste settimane il Ccee — promotore
dell’evento assieme alla Conferenza
episcopale spagnola e all’arcidiocesi di Barcellona — sta raccogliendo
una serie di iniziative che toccano
vari ambiti della pastorale (catechesi, accompagnamento vocazionale,
pastorale giovanile) e che hanno
mostrato la loro buona accoglienza
presso i giovani.
Don Michel Remery, vice segretario generale del Ccee e organizzatore del simposio, spiega che «si
tratta spesso di iniziative volute e
promosse dai giovani stessi, che
mostrano bene come non solo essi
siano fruitori di servizi ma i principali protagonisti della loro pastorale, se adeguatamente accompagnati. A Barcellona, i partecipanti potranno farsi ispirare dalle iniziative
presentate e portare a casa idee
nuove. Notando poi come l’Europa
sia ricca di proposte moderne e attrattive che interpellano i giovani
di oggi, vogliamo che il simposio
diventi anche un’occasione per
confermare e rinnovare con entusiasmo e coraggio l’impegno dei
numerosi
accompagnatori
presenti».
Fra i tanti appuntamenti che i
partecipanti potranno scoprire a
Barcellona nella Fiera delle buone
pratiche, si segnalano «Valerie und
der priester» (Valeria e il prete),
iniziativa seguita mensilmente su
Facebook da oltre 1.300.000 persone: una giovane giornalista tedesca
ha accompagnato e osservato per
un anno intero la vita di un giovane sacerdote. Oppure il progetto
maltese «Prayer spaces school»
(“Spazi di preghiera nelle scuole”)
che aiuta bambini e giovani a
esplorare i temi della vita, della
spiritualità e della fede in un ambiente dinamico e interattivo. O
ancora l’iniziativa francese «L’appel» (“La chiamata”) che promuove un dialogo con i giovani sull’importanza di trovare la propria vocazione nella vita, attraverso momenti di riflessione e di dibattito rivolti
a gruppi di studenti e di giovani, e
animati da adulti membri della pastorale giovanile o della pastorale
vocazionale.
Il 24 marzo la Fiera delle buone
pratiche verrà presentata nel corso
di una conferenza stampa alla quale parteciperanno, oltre a Remery,
l’arcivescovo di Barcellona, Juan
José Omella Omella, e il segretario
generale della Conferenza episcopale spagnola, José María Gil Tamayo.
Nomina episcopale in Canada
La nomina di oggi riguarda il Canada.
Daniel Joseph Miehm
vescovo di Peterborough
Nato a Kitchner, in diocesi di
Hamilton, il 27 agosto 1960, dopo
gli studi primari alla scuola Saint
Leo di Kitchner, ha compiuto
quelli secondari alla Saint Jerome’s
High School. Poi si è iscritto ai
corsi di filosofia della Saint
Jerome’s University di Waterloo,
Ontario, e in seguito ha frequentato i corsi di teologia del seminario
Saint Augustine di Toronto. Dal
1994 al 1996 è stato studente a Roma e ha ottenuto la licenza in diritto canonico alla Pontificia università di San Tommaso. Ordinato sacerdote il 6 maggio 1989 per il clero di Hamilton, è stato nominato
vicario parrocchiale di Saint Francis Xavier di Stoney Creek (19891992) e successivamente della cattedrale Christ the King (1992-1994).
Tornato ad Hamilton dopo gli studi romani, è stato di nuovo vicario
della cattedrale, difensore del vincolo nel tribunale ecclesiastico, parroco di Our Lady of Lourdes
(1998-2004) e in seguito di Saint
Ann di Ancaster (2004-2012). Nel
2012, ha assunto gli uffici di parroco della nuova parrocchia di Saint
Benedict di Milton e di assistente
spirituale della Saint Thomas More
Lawyer’s Guild. Il 20 febbraio 2013
è stato nominato ausiliare di Hamilton e gli è stata assegnata la sede titolare di Gor. Nell’assemblea
della
Conferenza
episcopale
dell’Ontario lavora nella commissione per l’educazione. Inoltre è il
vescovo liaison al Canadian catholic campus ministries.
Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Celebrazione della penitenza
presieduta da Papa Francesco
INDICAZIONI
Venerdì 17 marzo 2017, alle ore 17, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre
Francesco presiederà il Rito per la Riconciliazione di più penitenti con la
confessione e l’assoluzione individuale.
I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi che desiderano partecipare alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi per le ore 16.30 presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che verrà loro indicato.
Città del Vaticano, 10 marzo 2017.
Monsignor Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
sabato 11 marzo 2017
L’ottava e la nona meditazione per la Curia romana
Il Papa a conclusione degli esercizi spirituali ad Ariccia
Per ciascuno
una parola giusta
Si sono conclusi nella mattina
di venerdì 10 marzo, ad Ariccia,
gli esercizi spirituali ai quali
hanno partecipato il Pontefice e
membri della Curia romana. Al
termine dell’ultima meditazione
proposta dal francescano Giulio
Michelini nella cappella della
casa Divin Maestro dei religiosi
paolini, Papa Francesco ha
ringraziato il predicatore
rivolgendogli le seguenti parole.
Voglio ringraziarti per il bene
che hai voluto farci e per il
bene che ci hai fatto.
Prima di tutto, per il tuo
mostrarti come sei, naturale,
senza “faccia da immaginetta”. Naturale. Senza artifici.
Con tutto il bagaglio della
tua vita: gli studi, le pubblicazioni, gli amici, i genitori, i
giovani frati che tu devi custodire... Tutto, tutto. Grazie
per essere “normale”.
Poi, secondo, voglio ringraziarti per il lavoro che hai fatto, per come ti sei preparato.
Questo significa responsabilità, prendere le cose sul serio.
E grazie per tutto questo che
ci hai dato. È vero: c’è una
montagna di cose per meditare, ma sant’Ignazio dice che
quando uno trova negli Esercizi una cosa che dà consolazione o desolazione, deve fermarsi lì e non andare avanti.
Sicuramente ognuno di noi
ne ha trovate una o due, tra
tutto questo. E il resto non è
spreco, rimane, servirà per
un’altra volta. E forse le cose
più importanti, più forti, a
qualcuno non dicono niente,
e forse una parolina, una [piccola] cosa dice di più... Come
quell’aneddoto del grande
predicatore spagnolo, che, dopo una grande predica ben
preparata, gli si è avvicinato
un uomo — grande peccatore
pubblico — in lacrime, chiedendo la confessione; si è
confessato, una cateratta di
peccati e lacrime, peccati e lacrime. Il confessore, stupito —
perché conosceva la vita di
quest’uomo — ha domandato:
“Ma, mi dica, in quale momento Lei ha sentito che Dio
Le toccava il cuore? Con quale parola?...” — “Quando Lei
ha detto: Passiamo a un altro
argomento”. [ride, ridono] Alle volte, le parole più semplici
sono quelle che ci aiutano, o
quelle più complicate: a
ognuno, il Signore dà la parola [giusta].
Ti ringrazio di questo e ti
auguro di continuare a lavorare per la Chiesa, nella Chiesa,
nell’esegesi, in tante cose che
la Chiesa ti affida. Ma soprattutto, ti auguro di essere un
buon frate.
Un filo di preghiera e di solidarietà
ha unito gli esercizi spirituali, predicati al Papa e alla Curia romana nella casa Divin Maestro di Ariccia,
con la martoriata città di Aleppo.
L’ultima giornata di meditazione,
venerdì 10 marzo, si è aperta infatti
con la messa celebrata dal Pontefice
espressamente per la Siria. Ed è stata caratterizzata da un concreto gesto di vicinanza: Francesco, grazie
anche al contributo della Curia romana, ha inviato ai poveri di Aleppo la somma di centomila euro. Subito è giunta la risposta riconoscente
del parroco della città Ibrahim Alsabagh — autore del libro Un istante
prima dell’alba (Milano, Edizioni
Terra Santa, 2016, pagine 208) che è
stato letto durante la settimana — affidata a una lettera inviata al predicatore degli esercizi, padre Giulio
Michelini.
Si sono conclusi così, nel segno
della carità, i sei giorni di ritiro durante i quali padre Michelini ha proposto una serie di riflessioni sulla
passione, la morte e la risurrezione
di Gesù alla luce del vangelo di
Matteo.
Proprio un gesto di carità “mancato” ha fornito lo spunto al francescano per la sua nona e ultima meditazione. Se qualcuno, infatti, avesse avuto la «carità» di entrare nella
stanza di Gregor Samsa — il personaggio kafkiano delle Metamorfosi —
probabilmente egli da «orribile insetto» in cui si era trasformato,
avrebbe «ritrovato la propria umanità» e «sarebbe tornato a essere uomo». E quante persone, oggi, non
più in un romanzo, ma nella vita
reale, attendono di sentirsi dire:
«Sei un uomo!»?
Così il predicatore ha abbinato la
lettura del vangelo di Matteo alla citazione di «uno degli autori più
rappresentativi dello scorso secolo»,
per guidare i presenti all’incontro
con Cristo risorto che, «nonostante i
nostri dubbi e i nostri peccati», si
avvicina sempre all’uomo e lo perdona. L’“essere vicino” di Gesù di-
Bonnie Bruno, «Resurrection»
Nel segno
della carità
venta così programma di vita per
ogni cristiano.
Dopo una settimana di riflessione
sulla passione e la morte di Gesù,
ha detto il francescano all’inizio della riflessione, «finalmente un respiro: “È risorto!”». La meditazione sul
significato della croce e della sofferenza, si scioglie così nella consapevolezza cristiana che consola: «la
morte di Gesù non è la fine del vangelo. La fine è un nuovo inizio!».
Proprio per meglio comprendere
questo «risveglio» — e “risveglio”,
ha fatto notare Michelini, è proprio
il significato fondamentale del verbo
greco (egheiro) usato per esprimere il
fatto che Gesù è risorto — il predicatore ha ricordato il personaggio kafkiano che, una mattina, si ridesta
dal sonno nella sua stanza trasformato in un insetto: «scopre, cioè, di
non essere più uomo». Proprio «la
questione dell’umanesimo — ha sottolineato — riemerge con forza nel
nostro tempo, ed è in tale questione
che la risurrezione di Gesù mostra
ancora una sua forza travolgente».
Una risposta, però, che può incontrare degli ostacoli nell’uomo che
innalza le sue personali barriere. Il
vangelo di Matteo, ha spiegato Michelini, è l’unico a suggerire «con
coraggio» le fondamentali opposizioni possibili all’annuncio della risurrezione e così «invita a riflettere
sui dubbi e sulle obiezioni dell’uomo di oggi».
Si potrebbe dire che «Gesù non è
risorto davvero» e che il suo cadavere è stato semplicemente rubato.
Oppure che, razionalmente, «la risurrezione non è possibile» e quindi, a esempio, ipotizzare «una morte
apparente». Altre obiezioni puntano
maggiormente sul rapporto dell’uomo con la notizia: se anche fosse vera, «la risurrezione di Gesù non
cambia la mia vita, è una verità da
catechismo che non ha a che fare
con la realtà quotidiana». E un’altra
obiezione: «sono talmente preso
dalle mie cose» che «la risurrezione
di Gesù non mi interessa». È, quest’ultima, la «globalizzazione dell’indifferenza» da cui mette in guardia
Papa Francesco «invitando le coscienze a non anestetizzarsi».
C’è poi, ha continuato il predicatore, il confronto con quella che oggi si definisce la post-verità: il fatto
cioè che le notizie, vere o false che
siano, hanno una potenzialità impressionante di diffusione. Infine, ha
concluso, c’è da fare i conti con il
fatto che la risurrezione «resta comunque un fatto metastorico, a cui
mi posso affidare solo guardando la
tomba vuota e ascoltando i racconti
delle successive apparizioni di Gesù
ai discepoli».
Sono tutte «sfide» in cui ognuno
potrà verificare quale sia la sua personale risposta di fede. Il suggerimento dato da Michelini — grazie
anche all’analogia tra la metamorfosi
di Gregor Samsa e quella di Gesù
sul monte Tabor, nella quale «Gesù
non si è trasformato» ma «si è, piuttosto, mostrato per quello che era»
— è di arrivare alla consapevolezza
che «il Cristo risorto è lo stesso Cristo uomo della storia»: dunque un
«messaggio di liberazione dell’uomo». Si aprono in ciò due strade,
entrambe da percorrere. Innanzitutto occorre «studiare di più la Bibbia» per «colmare la distanza tra il
Nuovo testamento e l’uomo di oggi». L’altra strada è invece «la carità», quella che avrebbe salvato il
protagonista del racconto di Kafka.
Attraverso queste due vie può passare l’«annuncio» fondamentale: «È risorto!».
Dalle parole del vangelo emerge un «particolare
interessante».
Matteo (28, 10) scrive
«Allora Gesù disse loro
[alle donne]: “Non temete, andate ad annunciare ai miei fratelli che
vadano in Galilea”». Il
religioso ha fatto notare
come
alcuni
codici
omettano il “miei” e altri anche la parola “fratelli”. Come se provassero «disagio». Ha spiegato il predicatore: «È difficile credere che Gesù
possa perdonare gli undici discepoli. Eppure
Gesù, come fece il personaggio biblico di Giuseppe, “perdona” anche
chi lo “ha rinnegato”».
Il Cristo risorto «va
dai suoi fratelli anche se
dubitano». Un particolare, questo, che getta
luce sulle debolezze di
ogni cristiano, e che trova consolazione in due
termini amati dall’evangelista Matteo: il verbo “avvicinarsi”
(prosèrchomai) e il nome “Emmanuele” (“Dio con noi”). Ha concluso
Michelini rivolgendosi direttamente
al suo uditorio: «Il Signore risorto
vi vuole bene e si avvicina a noi tutti perché lui è l’Emmanuele, il Dio
che si avvicina».
Una certezza che ha dato piena
risposta alle sollecitazioni e agli interrogativi posti dal francescano il
pomeriggio precedente, giovedì 9
marzo, nell’ottava meditazione dedicata al tema «La sepoltura e il sabato di Gesù». Qui Michelini ha portato idealmente, insieme al corpo di
Gesù crocifisso e deposto nella tomba, «tutti i crocifissi del mondo», richiamando le più orrende stragi e
ingiustizie consumate dal secolo
scorso a oggi: «corpi di uomini e
donne insepolti, bruciati nelle camere a gas o interrati nelle fosse comuni dei gulag, perduti al largo del
Mediterraneo, ritrovati nell’oceano
perché gettati da aerei nei vuelos de
la muerte». Di fronte al mistero della
Prima predica di quaresima
Cristo persona e non personaggio
La proclamazione di Gesù “Signore” è «la
porta che immette alla conoscenza del Cristo risorto e vivo»: un Cristo che non è più
«personaggio, ma persona; non più un insieme di tesi, di dogmi e di corrispettive eresie,
non più solo oggetto di culto e di memoria,
fosse pure quella liturgica ed eucaristica, ma
persona vivente e sempre presente nello Spirito». Lo ha affermato il cappuccino Raniero
Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che ha tenuto la prima predica di quaresima venerdì mattina, 10 marzo, nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo apostolico.
Sviluppando il tema scelto per le meditazioni di quest’anno — «Nessuno può dire:
“Gesù è il Signore!” se non nello Spirito
Santo (1 Corinzi 15, 3). Il Paraclito ci introduce alla “piena verità” su Gesù Cristo e sul
suo mistero pasquale» — il religioso ha approfondito il senso della proclamazione di
Gesù “Signore”, che oggi assume un’attualità particolare soprattutto in risposta a quanti
credono che «sia possibile, e anzi necessario,
rinunciare alla tesi della unicità di Cristo,
per favorire il dialogo tra le varie religioni».
In realtà, ha spiegato Cantalamessa, proclamare Gesù “Signore” significa «proprio pro-
clamare la sua unicità». Non a caso, nel secondo articolo del Credo si legge: «Credo in
un solo Signore Gesù Cristo». D’altra parte,
ha fatto notare Cantalamessa, il coraggio
che occorre oggi «per credere che Gesù è
“l’unico Signore” è nulla» in confronto a
quello che occorreva nei primi anni del cristianesimo. Tuttavia, ha aggiunto, il “potere
dello Spirito” non è concesso «se non a chi
proclama Gesù Signore, in questa accezione
forte delle origini: è un dato di esperienza».
Infatti, «solo dopo che un teologo o un annunciatore ha deciso di scommettere tutto su
Gesù Cristo “unico Signore”, ma proprio
tutto, anche a costo di essere “scacciato dalla
sinagoga”, solo allora fa l’esperienza di una
certezza e di un potere nuovi nella sua
vita».
In effetti, questa riscoperta «luminosa di
Gesù come Signore» è «la novità e la grazia
che Dio sta accordando, nei nostri tempi, alla sua Chiesa». Il cappuccino ha confessato
che quando interrogava la tradizione su tutti
gli altri temi e le parole della Scrittura, «le
testimonianze dei padri si affollavano alla
mente»; al contrario, quando provava a interrogarla su questo punto, «restava pressoché muta». Già nel III secolo, in effetti, «il
titolo di Signore non è più compreso nel
suo significato kerigmatico». Infatti, fuori
dell’ambito religioso ebraico «non era così
significativo da esprimere a sufficienza l’unicità di Cristo». Origene, dal canto suo, considera “Signore” (Kyrios) «il titolo proprio di
chi è ancora allo stadio del timore; a esso
corrisponde, secondo lui, il titolo di “servo”,
mentre a “maestro” corrisponde quello di
“discepolo” e di amico».
Così si continua a parlare di Gesù “Signore”; ma questo, ha specificato Cantalamessa,
«è diventato un nome di Cristo come gli altri, anzi più spesso uno degli elementi del
nome completo di Cristo: “Nostro Signore
Gesù Cristo”». Solo più tardi si mette in
moto un «cambiamento» — visibile anche
nel linguaggio delle traduzioni delle Scritture — attraverso il quale il riferimento al “Signore” non si riduce più alla semplice pronuncia di un nome, ma diventa «una professione di fede».
Protagonista di questo «salto di qualità» è
lo Spirito Santo. È lui che anima la conoscenza spirituale ed esistenziale di Gesù come Signore. E così facendo, ha precisato il
predicatore, non «induce a trascurare la conoscenza oggettiva, dogmatica ed ecclesiale
di Cristo, ma la rivitalizza». Grazie allo Spirito Santo infatti — secondo quanto afferma
sant’Ireneo — la verità rivelata «come un deposito prezioso contenuto in un vaso di valore, ringiovanisce sempre e fa ringiovanire
anche il vaso che la contiene».
Parlando del ruolo dello Spirito nella conoscenza di Cristo, il religioso ha anche rilevato che «si delineano già nell’ambito del
Nuovo testamento, due tipi di conoscenza di
Cristo, o due ambiti in cui lo Spirito svolge
la sua azione». C’è una conoscenza «oggettiva di Cristo, del suo essere, del suo mistero
e della sua persona»; e c’è una conoscenza
«più soggettiva, funzionale e interiore che
ha per oggetto quello che Gesù “fa per me”,
più che quello che egli “è in sé”». In Paolo
prevale ancora «l’interesse per la conoscenza
di ciò che Cristo ha fatto per noi, per l’operato di Cristo e in particolare il suo mistero
pasquale». In Giovanni prevale ormai «l’interesse per ciò che Cristo è: il logos eterno
che era presso Dio ed è venuto nella carne,
che è “una cosa sola con il Padre”». Per
Giovanni, dunque, Cristo è soprattutto «il
rivelatore; per Paolo è soprattutto il salvatore».
sofferenza, della morte e della vita,
della croce, il francescano ha invitato i presenti a riflettere sull’atteggiamento dell’«attesa» facendosi aiutare ancora una volta, come nei giorni
precedenti, dalle figure femminili
presentate dal racconto evangelico
di Matteo. In particolare, le donne
che hanno assistito alla sepoltura di
Gesù e hanno atteso davanti alla
tomba.
Il predicatore ha preso le mosse
proprio dalla sepoltura di Gesù: un
gesto che «non è solo un atto di
pietà» ma un vero e proprio «comandamento» per il credente. Una
pratica, ha ricordato citando tre passi biblici (le sepolture di Sara, di
Mosè e dei deportati di Nìnive),
profondamente radicata nella tradizione giudaica. La sepoltura di Gesù, ha detto, ha «ratificato il fatto e
la realtà della morte del messia di
Ulla Thynell, «Gregor Samsa»
Dio». Un gesto che «sanciva la fine
di tutto».
Ma allora, si è chiesto, «perché le
donne vanno alla tomba?». Cosa
potevano fare? Così come ci si chiede: «Cosa si può fare davanti al dolore degli altri?». In alcuni casi, ha
detto il predicatore, «si può solo
stare». Ma non si tratta di un gesto
inutile, così come non lo è stato
quello della sorella di Mosé che seguì da lontano il destino del fratellino lasciato sulle acque del Nilo e gli
garantì la salvezza. Immediatamente, ha aggiunto, «siamo portati a
pensare alle donne che, se da lontano assistono alla morte e alla sepoltura del messia, saranno poi quelle
che annunceranno la notizia della
sua risurrezione». Le donne sono
state, ha detto, «protagoniste di “un
parto straordinario”, in senso simbolico, che si intravede nel loro stare
sedute di fronte al sepolcro. Un sepolcro tagliato nella roccia, nuovo»,
come «un nuovo grembo verginale
che si apre ad accogliere e a custodire nella memoria, delle donne innanzitutto, il corpo del crocifisso» e
che, con la risurrezione, «rinasce al
mondo».
Le donne, ha spiegato il francescano, «attendono come partorienti,
offrendo tutto ciò che possono offrire, cioè la loro sofferenza». Davanti
al sepolcro esse assistono in qualche
maniera al contrasto tra la vita e la
morte, e ricordano «come in quella
tomba è avvenuto lo scontro che è
la madre di tutte le lotte». Una rinascita che richiama anche quella di
«chi vive nel peccato e giunge poi a
una nuova vita in Cristo». Le donne
«vanno al sepolcro, luogo di morte,
e vivono l’esperienza della nascita
alla vita. Come nessuno si può dare
la vita, e la si riceve quando si viene
al mondo, anche la vita che viene
dopo la morte, nessuno se la può
dare. Le donne che assistono alla sepoltura di Gesù ci dicono che cosa
si può solo fare: attendere».
Di qui l’esortazione finale del predicatore, che ha invitato a porsi due
domande: di fronte alle sofferenze
che «posso solo osservare da lontano» e che affliggono l’umanità di
oggi, cosa faccio? «Riempio la mia
attesa con la preghiera? O penso
che, semplicemente, non ci sia nulla
da fare, e mi allontano ancora di più
da quella croce?». E poi: come vivo
il rapporto con la morte? «Con paura, disperazione, rimuovendola, oppure confido nel Dio di Gesù Cristo
che ha sollevato lui dalla morte?».