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Persinsala Teatro
Riccardo Calandra Scialacomo
marzo 8, 2017
Il teatro Studio Uno ospita Francesca Danese in una breve riflessione sullo
sfruttamento del tempo nella vita di una donna.
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Un orologio per lo scandire del tempo, un calendario per lo scorrere dei
giorn e il passare delle stagioni sono tutte modalità che segnano la vita
umana e danno ritmo alle sue azioni. Il tempo non si ferma ma fluisce per
tutti e per tutto in egual modo eppure ci si trova a non averne mai
abbastanza.
Lo spettacolo si apre con una donna intenta a prepararsi per andare a
lavoro, si pettina, innaffia le piante e beve il caffè, bevanda
spasmodicamente amata tanto da portare la caffettiera nella valigia
ventiquattrore. L’interprete Francesca Danese fa subito intendere che il
proprio personaggio è una segretaria di qualche grande multinazionale,
responsabile della gestione di tutti gli impegni del proprio datore di lavoro.
La protagonista corre a prendere il treno e, non con poca fatica, arriva alla
stazione appena in tempo prima della partenza; palesemente agitata e
affannata si guarda intorno alla ricerca di un posto dove sedersi e, una
volta avvistato, ci si lancia, scansando e respingendo – quasi
selvaggiamente – tutti coloro che volevano sedervisi. Nel trambusto
della routine, il treno è, infatti, l’unico luogo di pace, dove poter
serenamente concedersi un attimo di pausa e, magari, ritrovarsi a
riflettere sul malessere di tutti quei pendolari costretti subire l’eccessivo
sovraffollamento di un ambiente asfissiante e in cui si viene letteralmente
compressi come sardine in scatola.
Dopo una lunga e stancante giornata lavorativa, ripreso il treno al solito
orario ma persa la propria fermata, la vediamo chiedere imperativamente
di fermare il mezzo senza però essere ascoltata perché non può
permettersi di far tardi. Questo comprometterebbe le sue già esigue ore di
sonno, necessarie per la successiva giornata, e, con un ultimo gesto
disperato, estrae dalla valigia una pistola puntandola verso il controllore.
Sulle ultime parole, pronunciate al rintocco di un ripetitivo ticchettio di
lancette, si spengono le luci di una vicenda declinata sulla riflessione del
dono del tempo e su come questo venga tiranneggiato da una società
sempre più opprimente.
Lo spettacolo si presenta con pochi elementi in scena, oggetti comuni in
una casa quali una sedia, dei vestiti e alcuni utensili, un minimalismo che
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lascia allo spettatore la possibilità di immaginare le varie vicende. Quasi
assenti le musiche eccetto per l’inno alla gioia di Beethoven ripetutamente
bloccato dalla stessa protagonista, esplicito rifermento al fatto che nella
vita descritta non ci sia nulla di cui gioire.
Il racconto, nonostante lo sfondo esistenziale, riesce anche a prendere
giocosamente in giro la vita dei pendolari delineandone i continui disagi e,
in tal modo, creando i presupposti per lasciar immedesimare chiunque,
almeno una volta, abbia sperimentato le sofferenze di un treno affollato.
Questi sporadici spezzoni comici sono gradevoli e leggeri tanto da creare
un’atmosfera rilassata in antitesi con la drammaticità della scena finale,
durante la quale la Danese perde il proprio goffo fare e il sorriso per lasciar
spazio a un disperato appello rivolto a una non comunità governata da
uomini che acquistano il tempo delle persone.
Si sceglie di trattare il flusso del tempo non tanto da un punto di vista
filosofico e astratto quanto come un dono concreto che ogni persona ha, e
la stessa decisione di ambientare la narrazione in tempi moderni
sottolinea la volontà di virare sull’attuale società. Il messaggio di
VìTVìT! è quindi chiaro fin dalle prime scene tanto da essere insito nel
titolo: take our time, senza fretta e, soprattutto, senza svenderlo poiché la
frenesia spinge a un decadimento psicologico e perché, se si corre troppo,
non ci si sofferma a godere i piccoli momenti che la vita regala.
La trama presenta dunque una struttura lineare, in cui la protagonista
perde progressivamente le energie fino ad arrivare, nel corso di una
frenetica giornata, a un punto di rottura che la farà cedere alla pazzia. La
scelta ben coinvolge lo spettatore che sorride, forse con una punta di
amarezza. Seppur basandosi su piccoli sketch comici si nasconde tra le
righe una forte serietà, si punta sulla riflessione di argomenti pressanti
quali il tempo e il suo sfruttamento ma i veri attimi di attenta analisi
vengono confinati alle brevi scene finali. Una scelta, quest’ultima, che
riduce e quasi soffoca lo slancio che VìTVìT! aveva preso lasciandone
inespresso il grande potenziale.
Lo spettacolo è andato in scena
Teatro Studio Uno
via Carlo Della Rocca, 6
dal 2 al 5 marzo
dal giovedì al sabato alle ore 21 e la domenica alle ore 18
VìTVìT!
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di e con Francesca Danese
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