CARRO n. 2 - Sagra della Crespella

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Transcript CARRO n. 2 - Sagra della Crespella

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Programma
Festa di “SANTA FRANCESCA ROMANA”
Ore 17.30:
18.00:
Ore 18.30:
19.00:
Ore 17.30:
18.00:
21.00:
Ore 17.30:
18:00:
Ore 10.00
Lunedi 6 marzo, Martedi 7 marzo e Mercoledi 8 marzo
Recita Vespri
Santa Messa
Giovedi 09 marzo
Recita Vespri
Santa Messa
Venerdi 10 marzo
Recita Vespri
Santa Messa
Adorazione Eucaristica
Sabato 11 marzo
Recita Santo Rosario
Santa Messa
Domenica 12 marzo
Santa Messa Solenne. Seguirà la tradizionale processione con la statua di
Santa Francesca Romana, a ccompagnata dal gruppo bandistico “MONTE
SCALAMBRA” diretta dal maestro MATTIA COLLACCHI, offerto dalla comunità di Toronto. Si invita a partecipare alla Celebrazione Eucaristica e alla
processione con il tipico costume ciociaro.
53^ SAGRA DELLA CRESPELLA
Ore 13:30
Raduno dei carri folcloristici in località Tor dei Venti
Ore 14:00
INIZIO SFILATA DEI CARRI che rievocheranno le tradizioni e i costumi
della cultura contadina locale.
Ore 18:00
Premiazione dei carri.
Dalle ore 09:00 alla ore 12:00 e dalle ore 14:00 alle ore 18:00
CRESPELLARTE - “MOSTRA DI ARTIGIANATO”
Presso locali comunali (ex lavatoio)
DURANTE L’INTERA MANIFESTAZIONE SARANNO DISTRIBUITE,
GRATUITAMENTE, CRESPELLE !!!
N.B.: In caso di avverse condizioni atmosferiche, la manifestazione sarà rinviata a domenica 19 marzo 2017
Per informazioni: tel.338/8438482
[email protected] - www.amicisagradellacrespella.it
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Saluto dei Presidenti
Eccoci finalmente all’appuntamento che la frazione di Santa Francesca e tutto il
territorio verolano, attendono ogni anno !!
Siamo lieti di porgere un caloroso Saluto di Benvenuto a nome nostro personale, del Consiglio Direttivo dell’Associazione “Amici della Sagra della Crespella” e del
Comitato Organizzatore della 53^ edizione della Sagra.
La nostra Associazione fin dalla sua costituzione, sulle orme di coloro che hanno ideato questo evento e di coloro che ne hanno garantito negli anni, puntualmente, lo svolgimento, è tuttora impegnata e determinata ad organizzare e portare
avanti una delle manifestazioni più belle ed originali della nostra terra ciociara, che
ci fa rivivere momenti indimenticabili che ci riportano alla vita, alle tradizioni, ai costumi dei nostri cari nonni e bisnonni.
Una manifestazione di grande portata che richiama migliaia e migliaia di persone provenienti da tutta la provincia ed oltre, entusiaste di rivivere momenti di tempi
passati e per troppi versi, belli e spensierati!!
Di concerto con gli Enti e con la popolazione di Santa Francesca, convinti che la
collaborazione è alla base di ogni forma di crescita culturale, vogliamo salvaguardare le tradizioni della nostra terra: sono esse che ci spingono e ci inducono ad andare avanti, anche dopo 53 anni. Un bel traguardo !!!
Approfittiamo di questa opportunità per rivolgerci ai tanti giovani della nostra
frazione, a tutti quei giovani che già oggi danno il loro apporto partecipando ai carri,
affinchè si “ innamorino” di questa bella manifestazione e possano essere il giusto
ricambio generazionale anche per conoscere e continuare a testimoniare ciò che è
stato dei nostri avi.
Vogliamo concludere con un sincero e doveroso ringraziamento verso tutti coloro
che hanno contribuito alla riuscita della Sagra:
• Al nostro parroco don Jacques per il continuo sostegno spirituale e morale;
• A tutti i parrocchiani di Santa Francesca per la loro disponibilità;
• Ai componenti del Comitato organizzatore della 53^ edizione della Sagra della
Crespella;
• Alle sempre disponibili e inossidabili massaie che ogni anno danno il loro impagabile e insostituibile apporto;
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• A tutti coloro che realizzano i carri: senza il loro lavoro non potremmo rivivere
le tradizioni della nostra terra;
• Agli Enti Locali: alla Città di Veroli, alla Regione Lazio e alla provincia di Frosinone per il sostegno dato;
• Agli tutti gli sponsor, per il loro concreto aiuto economico a garanzia dello svolgimento della festa;
• Ai partecipanti alla Sagra, con la speranza che trovino dei momenti di amicizia
e convivialità tra le note degli organetti e il gustare le fragranti crespelle.
Vi aspettiamo numerosi e ricordatevi che la Sagra della Crespella....
DOVETE VIVERLA, NON FATEVELA RACCONTARE !!!
BUONA FESTA A TUTTI.
Il Presidente
Ass. “Amici della Sagra della Crespella“
Sig. Angelo Rossi
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Il Presidente
Comitato Organizzatore
Sig. Paolo Aversa
COMITATO ORGANIZZATORE
COMITATO
Don Jacques - Rossi Elisa - Verrelli Domenica - Aversa Paolo - Baldassarra Vincenzo - Campoli Vincenzo - Carinci Giulio - Dell’Unto Dino - Dell’Unto Attilio - Paniccia
Dominico - Pazienza Vittorio - Quattrociocchi Armando - Quattrociocchi Silvia Quattrociocchi Stefano - Rossi Angelo - Vacca Alfonso - Velocci Aldo - Dell’Unto Enzo – Baglione Carlo - Quattrociocchi Veronica – Tatangelo Veronica - Lamesi Achille
– Maria Grazia Magale – Rita Della Vecchia.
LE CRESPELLARE
CHIOSCO N.1 - Coordinatore Dell’Unto Enzo
Carinci Roberta - Pagliarella Marisa - Molella Rita - Tarquini Elisa - Verrelli Domenica - Carinci Marta – Cocco Stefania.
CHIOSCO N.2 - Coordinatore Marcello Carinci
Marcoccia Loreta - Cerelli Marisa – Velocci Stefania - De Paolis Maddalena - Pagliaroli Maria Pia
CHIOSCO N.3 - Coordinatore Campoli Vincenzo
Magale Maria Grazia - Rossi Elisa - Carinci Agnese – Rossi Paola - Mastracci Alba –
Tatangelo Silvana – Gallineri Marcella.
CHIOSCO N. 4 - Quattrociocchi Armando
Iacoucci Rosa - Fontana Graziella - Imperioli Franca - Rossi Filomena – Renzi Veronica – Fontana Daniela.
CHIOSCO N.5 - Coordinatore Vacca Alfonso
Campoli Graziella – Reali Giuseppina - Scarsella Lucia - Calvetta Giuseppina - Quattrociocchi Milena - Venditti Lucia.
I REFERENTI
Alfredini Stefania - De Carolis Franco - De Gasperis Michele - Fiorini Maria Teresa Iaboni Rita - Mazzola Gloria - Fiorini Raniero – Quattrociocchi Franco - Pagliaroli
Anna Rita - Paniccia Mirella - Quattrociocchi Pietro - Rossi Angelo - Pazienza Vittorio - Quattrociocchi Armando - Vacca Alfonso - Dell’Unto Attilio - Piacentini Mario Quattrociocchi Ilario - Rossi Davide - Quattrociocchi Genesio - Paniccia Dominico Primi Sergio - Accettola Angela - Baglione Carlo - Campoli Graziella - Rossi Elisa Dell’Unto Dino - Antonietta Rossi - Renzi Assunta - Carinci Assunta - Carinci Valentino - Quattrociocchi Veronica - Tatangelo Veronica - Quattrociocchi Ilario - Piacentini Mario - De Gasperis Luigi - Aversa Jan Mary - Iaboni Rita - Cristini Elena - Carinci
Natale.
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SALUTO DEL PARROCO
Carissimi,
La Festa Liturgica di Santa Francesca Romana come quella di ogni
Santo ci ricorda che i Santi non vanno
soltanto venerati, commuoverci davanti alla statua e reliquia ma, come
cristiani, sforzarci di imitare le loro
virtù. Concluso il Giubileo della Misericordia durante il quale la nostra Comunità ha potuto fare un pellegrinaggio alla tomba di San Pietro, l’invito
per ciascuno di noi ora e per tutta la Comunità è di raccogliere i frutti del Giubileo: chiederci quanto siamo stati o siamo misericordiosi, caritatevoli… nei
confronti del prossimo e non solo.
Questo prossimo che pur apparendo a volte come una minaccia, rimane
una via privilegiata per la nostra santificazione quotidiana nel modo in cui
percepiamo in lui la presenza del Signore. Ringrazio tutti voi, le varie famiglie
per quello che fate con discrezione per la nostra Comunità. Il bene che fate
per la vostra comunità non può essere un pretesto per non curare il vostro
rapporto con il Signore: dalla preghiera personale o in famiglia alla partecipazione alla Santa Messa Domenicale che non deve essere una opzione o l’ultima cosa delle vostre preoccupazioni, la visita ai malati e assistere le persone
anziane.
In Parrocchia proponiamo puntualmente appuntamenti che possono ravvivare in ognuno di noi quell’entusiasmo di voler riprendere il cammino spirituale: condivisione mensile della parola di Dio nelle cellule, Adorazione Eucaristica, Cineforum Mensile per i Giovanissimi nel Salone Parrocchiale, Catechesi ai
genitori una volta al mese, la Santa Messa Prefestiva e Domenicale… Tutti appuntamenti che ci aiutano a crescere spiritualmente. Li proponiamo perché
siamo convinti che la fede non si impone, non è un sentimento circoscritto nel
tempo… E’ qualcosa che permane nel tempo a prescindere delle vicissitudini
che seguono un atto di fede vero come avveniva per i primi cristiani.
Possa Santa Francesca Romana intercedere per le nostre Famiglie,
Con affetto!
BUHENDWA P. Jacques
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SALUTO DEL SINDACO
Carissimi Concittadini,
sono veramente orgoglioso di poter portare i miei
saluti alla Comunità di Santa Francesca per la ricorrenza del 53° anniversario della “Sagra della Crespella”. Un saluto che esprimo anche a nome dell’intera Amministrazione Comunale.
Con la “Sagra della Crespella”, una delle più longeve manifestazioni non solo del nostro territorio ma a livello regionale – nata nel lontano 1965 come sagra paesana patronale e divenuta nel corso degli anni sempre più famosa, conosciuta e largamente apprezzata – diamo con questa appassionante e partecipata
festa, anche il benvenuto alla primavera. Sono, infatti, numerosi i
visitatori che da diversi centri della nostra provincia e della regione
vengono a Veroli in località S. Francesca a rivivere con noi le caratteristiche tradizioni dell’antica cultura rurale e contadina dei nostri
padri.
Un appuntamento festoso per il nostro territorio comunale sempre tanto atteso, oserei confermare, irrinunciabile!
Una manifestazione che per le sue peculiarità ci riporta alle nostre origini, alle storie dei nostri avi caratterizzate da tanto lavoro
manuale e dall’intimo focolare domestico.
Storie scritte, vissute e tramandate da personaggi semplici ed
umili, e messe in scena in una sorta di teatro viaggiante attraverso
la tradizionale sfilata dei carri folcloristici realizzati e partecipati da
giovani, anziani, donne e bambini del luogo: un giorno di festa dove i
costumi, i suoni, i sapori, il folklore, le rappresentazioni e rievocazioni delle scene di vita contadina riescono a coinvolgere la gente e
creare uno spirito di diffusa allegria che riesce a contagiare di anno
in anno le migliaia di visitatori che trascorrono con spensieratezza
la sagra.
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Mi congratulo con ognuno dei nostri concittadini che con laboriosità, costanza ed impegno organizzano questa manifestazione da oltre cinquant’anni. All’Associazione Amici Sagra della Crespella e al
Comitato, organizzatori della manifestazione, alle numerose massaie che ogni anno si prodigano per offrire ai convenuti fragranti
crespelle, a tutti giunga un sentito ringraziamento.
L’Amministrazione Comunale è vicina alle Associazioni del nostro
territorio e ne ha riconosciuto i meriti, i ruoli, le competenze e, in
particolare, l’impegno attraverso l’istituzione dell’albo e della consulta delle Associazioni di Veroli, di cui quella degli Amici Sagra della Crespella ne è sin dalla nascita oltre che componente, importante
punto di riferimento per l’esperienza vissuta proprio nell’organizzare l’evento di S. Francesca.
Con giornate come queste riusciamo, seppure per poco, a mettere da parte le problematiche economiche e sociali che purtroppo
hanno investito anche il nostro territorio. Momenti di difficoltà, specie su problematiche connesse ad eventi ultra territoriali come la
perdurante negativa congiuntura economica, che tendono a chiuderci nello steccato della sfiducia e dell’indifferenza verso tutto e tutti.
Occasioni come la Sagra della Crespella, dove tanti cittadini si ritrovano e collaborano tra di loro, sono la testimonianza migliore di come tutti si possano impegnare per vivere insieme l’appartenenza ad
una solida Comunità locale e favorire una crescita armoniosa del
territorio.
Queste giornate devono essere occasione per riscoprire una risorsa preziosa: le relazioni umane, unico fattore che potrà consentirci di guardare al futuro con fiducia.
Grazie quindi a tutti coloro che hanno messo a disposizione della
Comunità il proprio lavoro e il proprio tempo per mantenere viva
una manifestazione così bella e così originale.
Auguro a tutti di trascorrere una piacevole e divertente Sagra della Crespella 2017.
Il Sindaco di Veroli
Avv. Simone Cretaro
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VIA XXI APRILE 2/A VEROLI (FR) - TEL. 0775.238916
(APERTO LA DOMENICA MATTINA)
Via I Cerri, 19 - VEROLI (FR)
Tel. /Fax 0775.230654
Cell. 333.1832244 Gianpiero
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AVERSA ALDO
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Veroli (FR)
Tel. 0775.863202 - 339.8614540
COOPERATIVA
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NEL 1925 UN ASINO A RISCHIATO DI BERE
IL SECONDO CAFFE!
Chesta è propria fresca! Me l’au
raccontata all’Argentina nel 1996,
da mio cugino ottantatreenne
(1913), fatto accaduto. Na vota se
vetivi du cose che se movevene,
uno era l’aseno e l’atro lu patrone
(i spesso nen sapevene chi era
l’aseno)! Na domenica doppu la
prima messa ‘nnanzi alla chiesa
de Santa Francesca, nu cellàfreco, arroteva gli baffi all’ncima i
porteva le ciafrocche delle cioce
belle allucidate, (erene gli anni
venti) se vanteva ca era itu a fa na
soma te lena a Vallelonga ippò le i a venne a Vergli, era attaccatu l’asenu alla campanella, era itu dentro a Iattaccia s’era bevuto nu caffè; ma che era…? Nu cunuscente curiusu
telle case te Vulpi ci chìse che era, comm’era, quante custeva; i isso ci respose , ma come te lu spiego chelle che è, va cull’asenu a fa na soma te lena i lu provi…. ippò nen sai
a quante cose fa bene! Dittu i fattu. Lu lugnidì appresso, verso mezzanotte se veste,
mette lu mmastu all’aseno cu gli ‘ngiaccoli, la carecatora, tiratu la chienga i cu lu pettenaru. Nu sacchittu cu ‘ntoccio t panu tostu i via a cavagliu all’aseno. Tanti sbattevene le
canasse pe tera perché ammece de dormì erene iti a piedi a ballà pe l’ara. “A cavallo
dell’asino se ci andavano quelli sposati si reggevano perché si erano addormentati presto ed erano riposati, mentre i giovani che erano andati a ballare tutta la notte gli calava
il sonno seduti sul basto e se ne accorgevano quando sbattevano per terra”. Ca vota remanevene a dormi petterra i l’aseno se ne ieva alla casa da sulo. “Oppure se rimanevano a dormire sull’asino questo lo riportava a casa”. Lu panu era poco ma lu giorno era
longo. Quanne ievene a fa le lena se magnevene lu pano tosto ‘ncima all’aseno i quanne
arrivevene a Capodacqua s’attrippevene d’acqua fresca, lu panu recresceva ‘ncorpo i se
sentevene satulli. Nu vecchiu che ‘nteneva gli denti se magnà lu panu tosto i po se ieva
lamentenne ca la vocca ce faceva male pe gli graffi, si ci dicivi d’ammollarlo prima co
l’acqua, te diceva ca apò ne recresceva bene dentro alla trippa. Fatta sta stoccia va a careca agli Acquari Catena, alle 10-11 steva a Vergli, venniì a nu furno la soma (circa un
quintale e mezzo), ma pensava ci bastarau sti sòrdi pe lu caffè, quann’ costarà? Attacca
l’aseno, entra dentro a Iattaccia, chiede forte, vorrei un bel caffè, i dopo averlo avuto e
sorbito chiese “quante te tengheta tà? Tot disse l’inserviente: disse “ Ah i se sapeva ca
steva accusì poco ne faceva fa nu sicchietto pure all’aseno”. (Il caffè costava molto meno di una soma di legna).
a cura di Domenico Cerelli
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CARBONARI
Imponenti faggete, presenti
nella parte alta del territorio
montano, boschi di querce e
carpini nella restante, hanno
fatto si che l’attività boschiva
fosse fiorente e rappresentasse un importante fonte di guadagno per molte famiglie della
Comunità verolana. Il taglio dei
boschi seguiva regolari rotazioni collegate alla crescita degli alberi. La produzione di carbone da legna costituiva un’attività collaterale al
taglio dei boschi e, anche se ora non viene più prodotto, le numerose piazzole
disseminate ai margini dei boschi o al loro interno, che nel dialetto locale sono
chiamate caruanere, ben testimoniano questo antico e faticoso lavoro dei nostri
antenati.
La testimonianza che riportiamo è di Mario Politi nato il 23 luglio 1932, residente in contrada Cantalupo di Veroli che per tradizione allevava animali addestrati per il tiro e da soma. Per tutto il periodo compreso dalla primavera all’autunno, Mario lavorava con i suoi animali al trasporto di legna e carboni per le
ditte appaltatrici sui Monti Ernici tra Veroli, Collepardo, Alatri e Roccavivi. Tutti i
giorni con i muli partiva da casa di buon ora per recarsi sui monti di Prato di
Campoli e, dopo sei ore di cammino, raggiungeva i luoghi di lavoro nelle località
di Vado la Rocca, Pedicino, Pratelle, Fontana San Giovanni e con altre due ore di
cammino arrivava nei boschi di Valle dell’Inferno e Morino.
In questi posti si realizzavano le piazzole per le caruanere, poste in prossimità del taglio degli alberi realizzato con l’ausilio di accetta e dello strengone
(sega di notevole dimensione), a cui seguiva la spezzatura del legname e il ricaccio (trasporto del legname) che si eseguiva con il passamano. Dell’albero
abbattuto non si buttava via nulla, i rami si usavano per il carbone, le frasche si
portavano a casa per il forno e il tronco diritto era destinato per travi o traverse
ferroviarie, altrimenti come legna da ardere.
Mario ci informa come i carbonai lavorassero per nove mesi l’anno: in estate
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si tagliavano i faggi mentre d’inverno, scendendo a quote più basse, il bosco ceduo e, in primo luogo, la quercia. Il taglio degli alberi avveniva sotto il controllo
della Forestale che marchiava le piante da tagliare lasciando ogni m 10-12 crescere le più giovani e vigorose dette guide.
Sempre dalla voce di Mario apprendiamo dell’esistenza di due figure professionali: il capo-macchia e lo stimatore. Il primo, oltre al reperimento della manodopera, rispondeva della produttività delle varie compagnie al datore di lavoro; il secondo periziava i quintali di legna e di carbone nei vari lotti. I primi a
scendere in campo erano i traversari che sceglievano gli alberi più dritti e sani
per farne traverse per la ferrovia e travi per l’edilizia. Nei casi in cui i tronchi venivano trasformati in traverse, il ricaccio era affidata a una vacca o a una coppia
di vacche, per lo più maremmane, munite di sferge (sferze), tipo di ferro che copriva interamente la base dell’unghiello. In merito al ricaccio di legna da ardere
e per la produzione di carbone, si utilizzavano carovane di muli, ai quali si accompagnavano uno o due cavalli collocati in testa al convoglio. Essendovi sulla
montagna centinaia di quadrupedi, questa pratica aveva lo scopo di non fare disperdere i muli verso altre carovane in quanto questo animale riconosceva nel
cavallo il capo branco e, anche se in calore, non si allontanava.
La realizzazione della catasta iniziava dal centro con la costruzione del camino che si otteneva sovrapponendo, a due a due, tronchi di uguale lunghezza e
dimensione incrociandoli in testa, formando un quadrato o rettangolo. Intorno
ad esso si collocava in verticale la legna, i rami più grossi al centro, quelli sottili
fuori ed in tal modo si proseguiva sino alla sommità della bocca del camino; la
catasta di legna veniva coperta con un abbondante strato di foglie che impediva
allo strato di terra umida soprastante di infiltrarsi nella catasta sottostante, fatto che avrebbe causato un’imperfetta cottura. Lo strato di fogliame e terra era
più abbondante sul lato maggiormente interessato dall’azione dei venti. Si dava
fuoco dalla bocca del camino che fungeva da camera interna di combustione e,
man mano che la legna si asciugava, il fuoco scendeva.
Sopra il mantello di terra venivano praticati tanti fori di sfogo in maniera che
il fuoco poteva respirare uniformemente e che le sostanze volatili della carbonizzazione potevano liberamente uscire. Ad un bel colore celestino quasi trasparente del fumo coincideva il buon esito della caruanera, se invece la cottura
era imperfetta, il fumo era bianco, compatto, opaco.
A seconda della grandezza del cumulo il processo di carbonizzazione si completava dai dieci ai trenta giorni ed era strettamente dipendente sia dalla qualità
della legna sia dalle condizioni climatiche. Per tutto il periodo della cottura si
teneva una scala poggiata al cumulo che consentiva di alimentare il fuoco del
camino attraverso la bocca. La carbonaia, pian piano e sotto il vigile occhio dei
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più anziani, assumeva, così, la forma di un piccolo vulcano.
La costruzione della caruanera non era particolarmente difficile in aree pianeggianti mentre più laboriosa risultava essere in zone in pendenza dove, non di
rado, bisognava costruire anche un muro a secco di sostegno o dei ponti. Per la
realizzazione del ponte si usavano delle travi dette pontelle posizionate orizzontalmente in numero di tre o quattro a distanza di m 1 ca l’una dall’altra.
Un’estremità della trave era ben conficcata al piano del terreno circostante
mentre l’altra era poggiata sulla testa di pali verticali piantati sul pendio collinare; sulle pontelle erano poi disposti, trasversalmente, pali più sottili ben accostati fra di loro. Su di essi venivano posizionate frasche e, quindi, uno spesso
strato di terra sul quale era, infine, sistemata la catasta.
Questi ponti rappresentavano un ottimo riparo per i carbonai durante le precipitazioni atmosferiche ma, come segnalato da Mario, in alcune circostanze la
pioggia causava il loro crollo con conseguenze drammatiche per i lavoratori che
si erano rifugiati, al disotto.
A causa dei fuochi accesi nei pressi dei luoghi ove il bosco veniva tagliato e
per distrazione dei lavoratori, si innescavano incendi; per arginarli i legnaioli
abbandonavano il loro lavoro per correre a spegnerli. Qualche volta le fiamme
erano così forti da arrivare ai pali dei ponti della caruanera sì da sbracarli.
Mario riferisce ancora che, per questa attività, era impegnata moltissima
gente suddivisa in compagnie, ognuna costituita da cinque-sette persone, basti
pensare che solamente all’Acquaro Catena a Prato di Campoli vi lavoravano
cinquanta compagnie. Lavoravano tutti per lo stesso padrone, alcuni a garzone
(il padrone passava il vitto e gli operai erano pagati a giornata e qualche volta
erano assicurati per gli infortuni); altri ricevevano un tot in danaro per quintale
di prodotto, o su richiesta un equivalente in some di carbone o di legna. In quest’ultimo caso si era pagati alla fine di tutto il lavoro ed era la forma di pagamento più usuale. Anche a lui capitava di riportare carbone a casa, ricevuto come compenso, per essere poi rivenduto a persone di Veroli e Boville Ernica dal
padre e dai fratelli. Le consegne si effettuavano con il mulo per le abitazione
collocate nei vicoli mentre per i luoghi con vie più accessibili si utilizzava il carretto che poteva trasportare oltre dieci sacchi. Il mulo era in grado di trasportare una soma di carbone pari a kg 170-180.
A processo ultimato di combustione si effettuava la cosiddetta scarbonatura
che consisteva nel liberare con la pala il carbone dalla terra e dal fogliame soprastante; mediante lo spargimento di terra umida scavata nei dintorni della caruanera si soffocava la brace dei tizzoni accesi. Qualche volta lo spegnimento si
faceva con l’acqua quando essa era collocata nelle sue vicinanze e allora un’altra fatica dei carbonai era quella di reperirne a sufficienza per tale operazione
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utilizzando acqua piovana raccolta in pozze o l’acqua dei torrenti o dei fossi. Il
carbone andava tolto di notte in quanto, altrimenti, era assai difficile scorgere
quei pezzi che conservavano ancora un po’ di fuoco.
Il duro lavoro dei carbonai, che durava anche per sedici ore al giorno, era interrotto da cinque-sei frugali pasti per recuperare la forza fisica necessaria per
produrre lavoro. Alla mattina l’alimentazione era composta principalmente da
patate a insalata (condite con olio, aceto e sale) e pane. Mario, in proposito, ricorda come “se la mattina non mangiavi le patate, l’ascia non andava”.
Molto frequente era l’uso della polenta preparata sul posto con la callarella
appesa con un gancio di legno a due forche piantate per terra con il manico ed
incrociate in alto con i denti o poggiata sul treppiedi. Non di rado si consumavano alici, aringhe, saraghe e baccalà, pesci sotto sale, o essiccati o affumicati.
Qualche volta i carbonai acquistavano ricotta, formaggi o qualche pecora da
scarto dai pastori presenti in zona.
Alla sera il pasto caldo era costituito dall’acquacotta che si faceva mettendo
nella callarella acqua, cicoria raccolta nei dintorni, guanciale, patate e minestra
(pasta corta, tubetti o zita lunga spezzata con le mani).
Dott. Achille Lamesi
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SALUTO DEL PRESIDENTE
Carissimi Concittadini di Santa Francesca,
puntualmente anche quest’anno come già negli anni passati, la nostra Associazione Cattolica Santa Francesca Romana vuole far giungere il suo saluto a tutti gli abitanti di Santa
Francesca in occasione dei festeggiamenti della protettrice della nostra frazione e della
53^ edizione della Sagra delle Crespelle.
Una Santa che con il suo esempio ha accompagnato la vita e le preghiere di generazioni
di persone della nostra parrocchia che in Lei hanno sempre trovato un sicuro rifugio spirituale. Come ben sapete anche noi qui in Canada festeggiamo Santa Francesca Romana, la vostra, la nostra patrona !!! Lo faremo certamente in maniera ridotta ma sicuramente come voi, lo faremo in un clima di fraterna amicizia cercando di mantenere vive le
tradizioni ciociare. Ci riuniamo, un centinaio di famiglie emigrate, presso la sede della
nostra associazione assistendo alla Messa in onore della Santa per poi continuare la serata in allegria accompagnati dalle note degli organetti gustando le calde e fragranti crespelle. Già immaginiamo il clima festoso che si respira a Santa Francesca con tutti i preparativi in atto: sono pronti i carri? E le nostre care massaie? Ho avuto la fortuna di assistere a tante edizioni della Sagra: che bello vedere centinaia di persone (uomini e donne
adulte, bambini, ragazzi) in costume ciociaro e con le cioce ai piedi, accompagnare i carri
e rievocare le tradizioni dei nostri avi!! Tanti degli stessi avi che per necessità hanno dovuto lasciare questa terra e stabilirsi in un altro continente. Tante sono state per loro le
sofferenze !! A testimonianza del nostro sentimento di affetto e del forte legame alla nostra terra, quest’anno abbiamo pensato di offrire al Comitato festa la disponibilità della
Banda Musicale che accompagnerà la processione con la Statua di Santa Francesca Romana. Ci aiuterà ad essere “presenti” in mezzo a voi con le preghiere.
Un abbraccio da parte dell’Associazione Cattolica a tutti voi, cari concittadini e un saluto
cordiale al vostro caro parroco don Jacques.
Un saluto e un grazie al Comitato Festa e a tutti gli organizzatori che dopo 53 anni mantengono vivo il senso di appartenenza alla nostra terra.
E allora, fateci gridare:
Evviva Santa Francesca Romana e Buona Sagra della Crespella !!
Il Presidente
Franco Fiorini
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SALUTI DI DON CARMELO
Carissimi ed affettuosissimi amici
SantaFrancescani,
Vi scrivo due righe per accompagnare il mio ricordo alla Vostra parrocchia che io porto ancora oggi nel mio
cuore con tutto il mio affetto, in occasione della festa di Santa Francesca
Romana e della bella Sagra della
Crespella che dopo 53 anni ancora è
presente tra Voi. Birbanti... ne avete
fatta di strada !!
L’inizio del mio apostolato a Santa
Francesca iniziò in maniera drammatica. Il viaggio s’interruppe quasi subito e drasticamente,
sull’autostrada, tra Firenze e Pian del Voglio. La macchina nuovissima ancora in rodaggio,
nel giro di un secondo divenne irriconoscibile, come un ammasso di lamiere accartocciate,
ma tutti noi passeggeri assolutamente illesi. La macchina si ribaltò e io insieme a Don Pietro
che ci accompagnava, suo nipote ed i miei genitori abbiamo rischiato la morte. La Polizia accorse subito in aiuto perché casualmente presente nella corsia opposta, quindi con immediatezza fece tutto il necessario e poi ci portò alla stazione ferroviaria di Firenze perché potessimo proseguire il nostro viaggio con il treno. Così facemmo. Arrivati a destinazione verso le
ore 19.00, siamo stati accolti dal Vescovo Morstabilini che ci ha ospitati in seminario. Eravamo
tutti impauriti ma anche contenti perché graziati da nostro Signore. Nei giorni successivi mio
padre progettò i lavori di restauro della casa parrocchiale attuale e di quella vecchia, e io come pure Don Giuseppe Ferrari eravamo i suoi manovali, oltre ovviamente ad iniziare la nostra
attività pastorale a S. Francesca. Don Giuseppe mi accompagnò in questa esperienza per due
anni e poi partì per la Bolivia dove restò per quarant’anni. In quasi tre anni di permanenza abbiamo cercato di dare il meglio delle nostre capacità imprenditoriali e sacerdotali anche grazie alle qualità della gente locale che possiamo riassumere così:
Generosità - Enorme disponibilità - Grande Fede – Fraternità - Genuinità e trasparenza di
sentimenti - Fiducia totale in noi che si esprimeva con questa affermazione
“ NOI NON COMPRENDIAMO IL PROGETTO, MA CI FIDIAMO CIECAMENTE DEL VOSTRO
OPERATO ”
I loro volti sorridenti ci ripagavano del nostro lavoro e questo era molto più di qualsiasi ricompensa.
Porgo un fraterno ed affettuoso saluto a tutti i “festaroli” e parrocchiani e prego affinchè tutta
la vostra fatica al servizio della gente sia ripagata dal Signore. Insieme rivolgiamo il nostro
pensiero ed una preghiera anche al caro Don Giuseppe.
Spero comunque di potervi riabbracciare al più presto perché il Signore è capace di miracoli !!
Un forte abbraccio
Don Carmelo Pelaratti
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L’ORO BIANCO DELLE BALIE
Già alla fine dell’Ottocento la popolarità delle Balie Verolane aveva raggiunto le
regioni di tutta Italia. Per loro parlava il latte abbondante e carico di anticorpi: un
latte prezioso come l’oro, anzi il loro Oro Bianco. Tali proprietà erano attribuite al
clima e alla alimentazione semplice, ma allo stesso tempo ricca di minerali.
Il lavoro nei campi in precoce età aveva rafforzato il fisico delle donne verolane,
rendendole quasi immune da malattie che, se non si erano manifestate in giovane
età, difficilmente avrebbe potuto colpirle a sviluppo completo.
Nella nobiltà romana avere una Balia di Veroli divenne una consuetudine ed era
argomento di vanto nei discorsi di salotto. Prima di introdurle in casa, però, erano
sottoposte ad accurate visite mediche, alle quali era sempre presente la madre del
nascituro. Quasi mai, nella nostra regione, avveniva la cosiddetta scelta “al tocco”,
pratica che consisteva nel far sedere più balie in una stanza buia per sottoporle al
palpeggiamento del seno da parte della padrona, la quale alla fine sceglieva la più
idonea. Questa procedura poteva sembrare umiliante, ma per le balie, che erano
tutte madri che allattavano, non lo era affatto. L’essere prescelta dava, infatti, la
possibilità di guadagnare quanto i mariti neppure immaginavano, avendo oltretutto
l’opportunità di allontanarsi dai campi dove si lavorava pesantemente.
Al loro ingresso nelle famiglie altolocate, le balie venivano curate nei minimi particolari. Prima di allattare per la prima volta era consuetudine che venissero lavate
dalla loro padrona: un metodo questo per accertarsi se avessero qualche difetto fisico.
Non mancavano neppure le accurate visite mediche con le relative analisi del latte e del sangue a cui le balie venivano sottoposte. Era difficile che qualcuna di esse
non risultasse idonea ad allattare.
Era una figura di non poco rilievo quella della balia tanto che in molte famiglie vi
era persino un governante, che si dedicava esclusivamente a lei.
Condizione necessaria per stabilire un rapporto con la famiglia richiedente del
baliatico era quella che la donna rimanesse lontana da casa almeno per un anno.
Nel tale periodo dell’allattamento, inoltre, la balia non poteva essere avvicinata da
nessun familiare e in particolar modo dal marito, ove questo era ancora in vita. La
tranquillità e la serenità erano fondamentali per un equilibrato e sano allattamento
del bambino loro affidato. Ad una balia di Colleberardi, in servizio a Roma, i padroni
avevano vietato perfino di vedere suo fratello, che prestava servizio militare nella
capitale per evitare che la gente lo sospettasse come un corteggiatore.
Questa rigidità dei signori era comunque accompagnata da un trattamento altrettanto pieno di attenzioni: i pasti abbondanti e ben selezionati per consentire un
idoneo allattamento, l’igiene personale da garantire, il guardaroba molto fornito
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tanto da poter cambiare un abito al giorno. In alcuni contratti si faceva espressamente riferimento al corredo a sei che la famiglia doveva alla balia, consistente in
6 vestiti, 6 camicie, 6 sottovesti, 6 mutande, 6 sottomaglie, 6 paia di calze. A ciò si
aggiungevano 3 paia di scarpe, 3 busti, 3 scialli.
Al termine, o durante il loro servizio, le balie venivano premiate per il loro prezioso lavoro con regali significativi e classici: le collane o gli orecchini di corallo
rosso. Tale gesto testimoniava la riconoscenza verso un lavoro svolto con impegno
e passione. Anche le balie avevano i loro procuratori, le famose “ mannerine”, che
erano vere e proprie intermediarie. Non mancavano però padroni che si recavano
personalmente nelle varie località per vedere e conoscere le donne da scegliere.
Ad esempio il conte Urbano Rattazzi, marito di Susanna Agnelli, venne personalmente a Colleberardi nel 1946 per conoscere Liberata Fiorini. Impressionato dalla
fattezza della donna portò con se una foto. Dopo non molto tempo la mandò a prendere. Liberata avrebbe servito la famiglia Agnelli e allattato la piccola Ilaria figlia di
Susanna. Fu intorno agli anni 1920-1930 che le “ mannarine” vista la grande richiesta di Balie, presero sotto il loro controllo tutte le località più importanti di Veroli:
Santa Francesca, Santa Maria, Colleberardi, S. Giuseppe Le Prata, La Mosca, La
Vittoria e gli Angeli.
Tratto da: Le Balie di Veroli di Angelo Maramao
1^ parte
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Frammenti di storia: il pellegrinaggio alla
Madonna di Loreto ed i tatuaggi sacri e profani
Fin da bambina conservo uno sbiadito ricordo di quegli strani segni che, una zia di mio
padre, “Richetta” - Enrica Pagliaroli, dell’anno 1890 e residente in via Montano Paolini - mostrava sui suoi polsi. Sebbene poco visibili, a causa delle pieghe del tempo, più volte mi fermavo ad osservarli e, scoprendomi sorpresa nel vederli sempre lì, presi consapevolezza nel
tempo, che non sarebbero andati via. Più volte chiesi a mio padre Vincenzo e a mio zio Carlo,
rivolgendomi loro con curiosità bambina, cosa rappresentassero quei segni e per quale motivo fossero marchiati sulla pelle dell’anziana donna, come fossero un tatuaggio. Un trasgressivo particolare, che rendeva ai miei occhi la zia, ancor più misteriosa e legata forse a
quali pratiche magico-rituali.
Attraverso tale ricordo e attraverso le poche testimonianze raccolte, ho iniziato una piccola indagine storica, folclorica ed antropologica, per cercare di ricostruire un po’ la storia
frammentaria di quei piccoli racconti orali, testimoni e custodi oggi di un tempo ormai lontano. Comprendo attualmente che quei segni delineati sul polso dell’anziana donna hanno
un’origine molto importante.
Quei segni sulla pelle, rappresentavano una pratica, quella dei tatuaggi “religiosi”, che
avrebbe origini lontanissime, da sconfinare quasi nel paganesimo e diffusasi, fin dall’antichità, nei territori marchigiani, in particolare, in un grande luogo di culto della penisola: la
basilica del Santuario dedicato alla Madonna di Loreto. Ripercorrendo la storia della sacralità di questa notevole meta spirituale, ricordiamo che, all’interno di suddetta basilica trova la
sua umile ubicazione, la Santa Casa in cui, secondo la tradizione, la Vergine Maria nacque,
visse e ricevette l’annuncio dall’Arcangelo Gabriele. La “Casetta” venne infatti trasportata dagli angeli da Gerusalemme, nei pressi di Loreto, negli anni novanta del milleduecento. Come
tramandatoci dalla tradizione religiosa, la Santa Casa di Nazareth, per sfuggire alla persecuzione dei Turchi si alzò in volo nella notte del 10 dicembre 1292 per poi trovare riparo e protezione in un boschetto di alloro, Laurus, da cui ha origine il nome Loreto. La Casetta divenne
immediatamente meta di grandi pellegrinaggi e in quello stesso luogo venne poi edificato il
Santuario di Loreto. Tale luogo sacro fu una delle mete di pellegrinaggio più raggiunte dai fedeli, tra essi, anche moltissimi “ciociari” - come la stessa Enrica - così come gli scritti di
tanti studiosi ed antropologi italiani ci fanno apprendere.
Erano soprattutto le donne a mettersi in viaggio , sia perché il santuario era legato al culto mariano e dunque di maggiore devozione femminile, sia perché una famiglia intera avrebbe potuto difficilmente sostenere all’epoca, un viaggio così impegnativo - un po’ come oggi per raggiungere Loreto infatti, si impiegavano almeno tre giorni. Si manifesta inoltre, una
rinnovata attenzione nei confronti di tutta la realtà femminile, religiosa e laicale; le donne,
come i ceti inferiori, rappresentavano i nuovi soggetti sociali su cui fondare la ricomposizione
della società cristiana.
Raggiunta la meta, si iniziava il percorso spirituale che prevedeva la celebrazione eucaristica, la visita al Santuario ed alla “Casetta”. Seguiva un pranzo frugale a base dei vari prodotti che ciascuna delle donne portava da casa: un pezzo di pane, qualche salsiccia di maiale, del formaggio di pecora e mucca, il tutto accompagnato da un “fiaschetto” di vino. Prima
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di rimettersi in viaggio e di lasciare il Santuario, veniva “acquistato”, in ricordo del pellegrinaggio come tradizione voleva, un tatuaggio fatto di strani simboli e segni, altresì concepito
con una valenza apotropaica ed appartenente ad una atavica credenza tra cristianesimo e
paganesimo.
La tradizione del tatuaggio si diffuse fin dai primissimi anni del pellegrinaggio al Santuario - risale al periodo del pontificato di Sisto V -; le tavolette in bosso, utilizzate per delineare i
disegni sulla pelle dei fedeli, sono ancora conservate presso il Museo Antico Tesoro della Casa di Loreto – come viva testimonianza di tale costume – e risalgono al 1500. Nel 1871 la pratica venne proibita ciò nonostante continuò ad essere esercitata, in modo clandestino, fino
agli anni cinquanta del Novecento. In verità, facendo un salto anacronistico, sempre in ambito cristiano, già i crociati usavano tatuarsi emblemi religiosi per poter avere una santa sepoltura in caso di morte e per testimoniare la propria fede di ritorno dalle loro “sante imprese” .
In seguito a questi eventi, tale pratica venne proibita nel 787 da Papa Adriano I. Ciò nonostante, è soprattutto il Santuario della Madonna di Loreto a perpetuare in Italia una tradizione
che fu dei primi cristiani.
Come scrive Caterina Pigorini Beri - prima studiosa del tatuaggio lauretano ed autrice
dello studio I Tatuaggi Sacri e Profani della Santa Casa di Loreto, in Costumi e superstizioni
dell’Appennino Marchigiano, edito nel 1889 -, ad occuparsi di tale pratica erano dei frati
identificati come “Frati Marcatori”, abili nell’incidere sulla pelle dei fedeli i vari simboli che il
più delle volte erano il ritratto della Madonna di Loreto o la stessa basilica. Essi disponevano
di tutti gli attrezzi del mestiere, oltre alle icone dunque, dell’inchiostro e dei pennini. La pratica prevedeva, una volta delineata l’immagine sulla pelle del pellegrino, di forarne i contorni
con il pennino per poi cospargere l’inchiostro.
Come scrive la studiosa Pigorini-Beri, tali tatuaggi erano incisi prevalentemente nelle
mani e nei polsi, come derivazione dalle stimmate francescane. Inoltre, coloro che offrivano
le loro mani ed i loro polsi a tale costume appartenevano ad i ceti sociali più bassi, erano per
lo più contadini, agricoltori e pastori ciociari, abbruzzesi, umbri e marchigiani. Così, ampliando lo spettro della ricerca, come i tanti pellegrini di passaggio a Loreto nel corso dei secoli,
anche Enrica Pagliaroli, Cristina Pagliarella – la mia bisnonna – e Costanza Cristini furono
alcune delle testimoni - con l’immagine della Madonna di Loreto tatuata sui loro polsi -, di
una antica tradizione, portando su di loro i segni inconfondibili di un profondo percorso spirituale e simbolo della personale prova religiosa. L’oggetto di questa ricerca, ossia la pratica
religiosa dei tatuaggi nel Santuario della Madonna di Loreto, venne additata – come accennato in apertura - dalla chiesa, come una sorta di persistenza pagana o superstizione, ossia
quell’eccesso di religione - tipico della religiosità popolare – che è pieno di vani terrori, contrario quindi alla religione stessa (come osservato dall’antropologo Alberto Maria Cirese in Il
Folklore come studio dei dislivelli interni di cultura delle società superiori, 1961-62).
Dal punto di vista antropologico essa è stata contrariamente concepita come una “sopravvivenza” di età culturali antichissime; quello descritto in questo contesto rappresenta infatti una delle tante usanze che per tanti anni sono state trasmesse di generazione in generazione e che dunque, le tradizioni popolari, laiche o religiose, sono da considerarsi come
documenti storici.
Francesca Campoli
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L’ANGOLO
DEI DESIDERI
di Cretaro Rossana
Via Passeggiata S. Giuseppe, 122
VEROLI (FR)
INFO: 349.6361024
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CARRO n. 1
‘MPUTEMU CAMPA’... IAMENE A TOLL’
‘NU SPIRDAROLU - CARRO DEL GRUPPO BIFOLK
Capocarro:
Carlo Pironi
Componenti
Principali:
Roberto Mariani,
Osvaldo Scaccia,
Dino Dell’Unto,
Claudio Ravicini,
Danilo Bove,
Angelo Fusco,
Angelo Zeppieri,
ecc……
Alla fine dell’ottocento, i bambini nati da relazioni illegittime, venivano messi nella
“ruota degli esposti” ed affidati ad uno dei 121 orfanotrofi attivi nel regno d’ Italia.
Dopo un po’ di tempo i bimbi venivano dati in adozione a coppie, che dimostravano di
avere i giusti requisiti. Le garanzie necessarie per ottenere l’adozione dovevano
essere attestate dal sindaco o dal parroco, i quali dovevano accertare l’avvenuto svezzamento dell’ultimo figlio naturale che non doveva aver superato il settimo mese
dalla nascita.
Le necessità del tempo portavano diverse famiglie, nelle nostre zone, a prendere in
affidamento dagli orfanotrofi, bambini. Infatti per chi procedeva all’affidamento lo
Stato retribuiva le famiglie affidatarie con un benefico contributo che dava sostentamento alle misere disponibilità economiche delle famiglie. Il contributo veniva versato per circa quindici anni, dopo di che si poteva decidere di “riconsegnare” gli orfani
all’istituto, ma generalmente ciò non avveniva anche perché tra l’orfano e la famiglia
si instaurava un forte rapporto affettivo.
A volte I bimbi potevano essere riconsegnati se risultavano essere malati o per cattiva condotta.
Molti orfani però avevano genitori particolarmente abbienti, ma nati da relazioni
nascoste, perciò al momento dell’abbandono gli lasciavano un biglietto in modo tale
da permettere il riconoscimento ….. il seguito ve lo lascio immaginare.
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E.C.T.
di Aversa Angelo
Via Case Neccia Veroli
Cartongesso Pittura Decorazioni
Angelo 3474506974
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CARRO n. 2
“S’NA VOLEMO FA SECCÀ LA TENAMETA
SCUPICCIÀ” - Contrada Calcaterra
Capocarro:
Paniccia Romolo
Principali
componenti:
I numerosi allievi
di Romoletto
Un gruppo di amici
anche quest’anno,
con il carro “S’na
volemo fa seccà la
tenameta scupic cià” vuole rappresentare un mestiere che ancora oggi viene praticato nelle nostre
campagne. Sono guidati con tanta passione e tanta saggezza da Romoletto, una
persona squisita, umile, pieno di bontà che dalla lontana Calcaterra ogni anno, immancabilmente, scende a valle e ci fa rivivere momenti belli. Una delle fonti di ricchezza della nostra terrà è sempre stata la coltivazione degli ulivi che però... .
. . . P e r f a r c r e sc e r e s a n a e f o r t e u n a p i a n t a d i u l i v o n e c e s s i t a n o m o l t i s a c r i f i c i d a
parte del contadino. Molto spesso, nei nostri tempi ancora maggiormente a causa
dell’inquinamento dell’atmosfera, le piante vengono attaccate da insetti: formiche,
moschette... e da malattie come rogna e occhio di pavone.
Bisogna prendersi cura di esse, con vari accorgimenti, per non farle morire.
Una delle cure necessarie è la potatura annuale accompagnata da una appropriata
concimatura di letame, meglio se di pecora, “refatto” e dare “l’acqua ramata” per
renderle più forti e robuste.
Ma alcune volte la pianta presenta “marciume” alla base del tronco e se non viene
“scupicciata” porterebbe “morire”.
Con tutti gli attrezzi necessari si provvede alla “scopicciatura” anche perchè con le
“schiappe ne scallamo” !!
e le trascuramo la bruschetta... nn la faciamo!
E poi, ragazzi sappiate che... se
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D&O s.r.l.
Commercio Gioielli
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Ricariche telefoniche
Di Lella Luciano
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Tel. 0775.282443 - 338.3987020
STIRPE
PIETRO
Via Cantalupo, 26 - VEROLI (FR)
Tel. 339.5000507 - 330.629202
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CARRO n. 3
I MASTRI DELLA LATTA
Capocarro: Andrea Cerelli
Principali Componenti:
Ilario Quattrociocchi,
Claudio Sparvieri,
Nico Renzi, Stefano Pagliaroli,
Danilo Quattrociocchi,
Giulio Carinci, Simone Carinci,
Achille Iacovissi, Jonathan Fiorini,
Francesco Pagliarella,
Matteo Pagliaroli,
Fabrizio Quattrociocchi,
Igor Quattrociocchi ecc...
Con la partecipazione straordinaria
di SYRIA e CLEMENTINO.
Prosegue il filone dei mestieri di una
volta curato dai ragazzi, con a capo
Andrea Cerelli, provenienti dalla contrada Tomassillo. In quei tempi non
esistevano nel modo più assoluto oggetti o arnesi in plastica e quindi necessitava ingegnarsi con i materiali e i metalli disponibili
per poter realizzare gli oggetti più svariati e necessari in casa e fuori. Uno dei metalli più
presenti era la “latta“ una sottile lamina usata soprattutto per fare barattoli e scatole per
conservare in particolar modo, alimenti. Ecco allora che sono nati i… “Giovani lattonieri“
pronti a svolgere determinati lavori pur di soddisfare le loro esigenze e i loro ideali. Lavoravano latta pura, ricavandone molti oggetti e attrezzi utili alla vita di tutti i giorni: costruivano
secchi, innaffiatoi, utili in campagna... pentolame per uso domestico e molti altri oggetti che
i nostri Mastri vi faranno vedere. Ma ciò che più li spinse a svolgere questo lavoro è stata la
necessità di realizzare bidoni di latta per conservare l’olio di oliva raccolto nelle campagne,
una delle poche ricchezze. Era abitudine conservare l’olio nelle “Uttine de Coccio“, gli orci,
che certe vote, però se scoccevene e allora bisognava provvedèèèè...
Si pensò, quindi di creare le cosiddette “Uttine de Latta” sulla cui superficie interna veniva
depositato un sottile strato si stagno per non farla attaccare dalla ruggine.
E ben presto questa attività divento un mestiere vero e proprio sul nostro territorio con la
nascita di veri Maestri (Mastri) della lavorazione della latta, invogliando, nelle loro botteghe,
tante persone a svolgere questo lavoro prettamente artigianale e a farne buon ricavato.
49
IL MONDO
DELLA AGRICOLTURA
di Renzi Daniela
Via Valle Amaseno, 81 - VEROLI (FR)
Tel. 0775.863040
Via Ponte Vasagalli, 57
GIGLIO DI VEROLI (FR)
Tel. 0775.335011
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CARRO n. 4
“...I PURE MASSERA MAGNAMO ALLU SCURO”
Carro Santa Maria Amaseno Case Giggetto
Capocarro: Develin di Maulo
Principali componenti:
Rossi Fausto, Rossi Simone,
Rossi Davide, Mossini Stefano,
Imperioli Giorgio, Imperioli Matteo,
Carinci Massimo, Sabellico Michele,
Mastracci Fabrizio,
Imperioli Giampiero, Renzi Stefano,
Pazienza Andrea, Pazienza Nico,
Renzi Matteo, Cristini Quirino,
Cristini Piero, Rossi Alessio.
Alla candelora, o fiocca o chiove
l’inverno è fora... È il detto più comune che ancora oggi si sente dire
dai nostri nonni.
Ma la Candelora, oltre a essere festeggiata sotto l’aspetto religioso,
per altri versi era tanto attesa dai
nostri avi!!
Le nostre zone, troppo tardi hanno
visto “la luce”... anzi, la vedevano
ma “steva a Vergli”!!
La corrente elettrica mancava e pertanto:
Tanto a aspettà sa Cannelòra ca ne vedarimo l’ora de fanne lassà ca cannela dallu
preti i certe vòte mancu n’attuccheva ca tutti la chidevene.
A dì la verità lu preti una né l’era pure lassata ma su cazz de Giorgio pe ìsse affaccià
alla vacca pe vedè se c’era figliata, nà lassatu senza, se c’è consumata tutta e n’atra
vota pure massera ‘n tocca magnà allu scuro.
Ci nduvinamo a mettè ‘mmocca, sarà ???????
51
Visca s.n.c. di Visca Lucio e Filiberto
VIa Reditoto, 22 - Tel. e Fax 0775.288553
MONTE S. GIOVANNI CAMPANO (FR)
STUDIO COMMERCIALE
ROTONDI GIANCARLO
CONSULENZA FISCALE E DEL LAVORO
Tel. 0775.283328 - Fax 0775.281142
VEROLI (FR)
[email protected]
52
CARRO n. 5
P’ NN Ci REMETTE LE MAGNI, LO TETA FA’
PEZZUTO! - CONTRADA: CASE DELL’UNTO
Capocarro: Monica Mauti
PRINCIPALI COMPONENT DEL CARRO: Mario Piacentini, Catia Primi, Vincenzo Piacentini, Nadia Mauti, Luca Pupparo, Graziella Paniccia, Arianna Quattrociocchi,
Adriano Lamesi, Elisa Lamesi, Giorgio Lamesi, Tonino Magnante, Valentino Oddi,
Marcello Ceci, Mirko Ceci, Giovanni Renzi, Matteo Renzi, Valentina Renzi, Osvaldo
Fontana, Primi Paolo, Giada De Carolis, Daniele Fontana, Ramona Ceci, Andrea Ma gnante e tanti bambini. - L’organettari: Loreto e Roberto.
Con la partecipazione straordinaria: di Margherita e Alfonsina
Pezzuto piace a tutti e se po’ lo fai bene le mani nen ce le teta remette chiu! Accosì a
succeso a nu, semo iti a fa lu titto alla capanna a Mugliera lo semo fatto basso ca
nen tenarimo la paglia e la neve ce l’ha spallato!!! Mo ci ammereta reì, i lo ammereta fa pezzuto accosi l’acqua sciula, la neve pure i lu titto lo refaciamo tra 10 anni!!
Pe la paglia sta vota nen ci’ abbadamo: semo misso la secina ‘ngima allo Rio, e nen
zapemo addò mettela pe quanta ne semo fatta: abbasta pe lo titto, pe lu matarazzo
de Concetta che se marita, e pure pe gli cuscini! Ah, i po’ co la secina ci potemo fa
puro lo pano per zi ‘Ntogno che dicene ca te na malatia brutta che si ci azzucchera
lo sango! Nzomma: na vota ‘s c’è spallata ma mo nen ci faciamo fregà chiù!
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Via Napoli, 38/40
ISOLA DEL LIRI (FR)
Tel. 0776.807483
Fax 0776.802214
Roberto Marrocco
CONSULENTE DEL LAVORO
MEDIATORE CIVILE E COMMERCIALE
Via Case Antinone, 99 - Via Maria, 230
VEROLI (FR)
Cell. 349.8698162 - 0775.308045
GRUPPO
DRAGO
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Via Scifelli, 271 - VEROLI (FR)
Coop. Edile Fontana
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TEL. PIO: 338.703192
TEL. AUGUSTO: 368.968338
IL COMITATO RINGRAZIA TUTTI GLI
SPONSOR PER LA COLLABORAZIONE
PRESTATA PER LO SVOLGIMENTO
DELLA SAGRA
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CARRO n. 6
LU CA....TRAPPELARU - (doppio senso: Catrappelaru
Ca...trappelaru chi costruisce le trappole - (che dice sciocchezze simpatiche)
Capocarro: Renzo Renzi
Componenti Principali: Renzo
Renzi, Nonno Lorenzo Primi,
Aurelio Renzi,
Luigi Campoli, eccc...
Questo carro vuole rappresentare
una piccola parte delle svariate attività svolte nel mondo contadino di
una volta e che consisteva nella
creazione e l’uso delle trappole (ccatrappele) che servivano sia per difendersi da animali dannosi (topi all’interno di abitazioni - volpi nei pollai - ed altro) sia per procurare selvaggina da consumare in famiglia. Vi
erano persone che si dedicavano, quasi come mestiere, a costruire ogni genere di trappola con inventiva a volte da
veri geni, pur di risolvere piccoli e grandi problemi nella vita quotidiana, contadina. I catrappelari, una volta procurata la selvaggina, la usavano sia come cibo ma anche come baratto, merce di scambio, con altri prodotti necessari, o venduta ai signori del tempo che ne facevano richiesta. Nella “fantasia” contadina le catrappele venivano
costruite perchè era un mezzo assolutamente silenzioso (a differenza dei fucili) per catturare selvaggina anche in
periodi nei quali ad esempio la caccia era chiusa e quindi, pur predatori, difficilmente venivano scoperti e individuati. Le catrappele create, erano di due tipi e cioè: - quelle che, posizionate, entravano in funzione quando venivano sollecitate dalla preda; - quelle nelle quali serviva la presenza reale dell’uomo per farle funzionare. A seconda dell’animale da catturare veniva usata un tipo di esca ed alcune esche si potevano utilizzare per prendere animali vivi o animali morti facendo delle piccole modifiche alla catrappela. Ad esempio lu mastruccio è nato per
prendere topi di varie grandezze sia vivo che morto, soltanto inserendo dei chiodi nella parte interna superiore
della trappola. (naturalmente i topi non si mangiavano èèèè). La radicchia era la più semplice delle trappole utilizzata per uccelli di piccola taglia, semplice da costruire utilizzando materiale comuni - legni piccoli lavorati con un
coltello e spago – con essa si possono prendere uccelli vivi (creando una buca all’interno ) e uccelli morti. Le tagliole sono delle trappole munite di molle, ci sono di tutti i tipi e possono essere utilizzate per qualsiasi animale.
Alcune, avendo le molle più potenti, venivano usate per prendere animali di taglia grande tipo volpe, tasso, istrice
e altro. C’erano catrappele dove occorreva la presenza dell’uomo e a volte più di uno:
L’arcofagno (trappola in legno, usato di notte, che veniva illuminato con una candela attirando gli uccelli che rimanevano imprigionati e incollati ai “ vinghi “ unti di vischio).
La ragnola (una rete messa giù nei fossati e dove si “invitavano ad andare“ i vari uccelli spinti con lancio di sassi,
verso il luogo dove era posizionata la rete.
L’arcuccia, una trappola dove veniva utilizzato un uccello vivo come esca ed aveva bisogno della presenza dell’uomo sia per spostare la trappola dopo ogni cattura, sia per intervenire al più presto per evitare che il pettirosso
(ruazzo) diventasse una palla di vischio e penne. Per ultimo, l’architto, una trappola “ spegiudicata”... spesso le
prede restavano vive ma con gli arti inferiori rotti. Una lista ancora più lunga che evidenzia quanto ingegno, capacità e fantasia ci fosse nelle persone di una volta pur di soddisfare le necessità della vita quotidiana.
N.B.: Con tutto il materiale usato nell’arco di mezzo secolo di partecipazione alla sagra, in collaborazione con “La Vetta”,
è stato allestito un Museo della Civiltà Rurale a Veroli in Via dei Franconi che si può visitare rivolgendosi alla Pro-Loco di
Veroli.
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EDITRICE FRUSINATE S.R.L. - FROSINONE