Transcript 05 mar 2017
Riflessioni (n.265) sulle Letture della I Domenica di Quaresima (a) 05 marzo 2017 A tutti gli Amici in Gesù Cristo Nostro Signore e Salvatore Tu che leggi sii benedetto dal Signore, ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto. A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore. A te che leggi: ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto. Perdona Signore, e anche voi amici, tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore. Non avanzo pretese di scienza che non posseggo, esse sono solo bisogno dell’anima; la preghiera infatti è consolazione e insegnamento. Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti. Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco. -Nihil amori Christi praeponere- SIGNORE FACCI DONO DEL TUO SPIRITO SANTO COSÌ CHE IL TUO AMORE E IL TUO VOLERE SI RIVELINO A NOI Prima Lettura - Dal libro della Genesi - Gn 2, 7-9; 3, 1-7 - La creazione dei progenitori e il loro peccato. I l Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. L’Uomo Adamo e la Donna Eva ebbero tutto dal Padre; ogni bene era a loro disposizione, ma per far intendere loro che non erano uguali né intercambiabili con il loro Stesso Creatore e Donatore dell’Esistenza, della Vita e d’ogni Bene, Dio pose un limite, un confine invalicabile, un segno che li fermasse: l’Albero della Vita e della Conoscenza del Bene e del Male: poteva essere solo guardato, null’altro. Era l’affermazione della necessità di un limite DioCreatura e la verifica dell’obbedienza della Creatura verso il Creatore. Senza quella sarebbe stato il caos e la fine. L’Amore e la Generosità Divine erano lì per loro senza nessun ritorno se non quello dell’amore dei figli riconoscenti verso Chi li aveva creati, fatti esistere, riempiti di Vita, di intelligenza, di volontà e di spirito, vera immagine del Padre. Essi erano l’unico altro da Sé -oltre agli Angeli Suoi Servi- capaci di scegliere ma anche creature del tutto nuove e diverse perché oltre che di spirito erano fatti di corpo, di una sostanza capace di sentire, percepire le altre realtà fisiche e trasmettere all’anima, allo spirito, le alla volontà, alla ragione che erano tutti dentro di loro. Il loro corpo carnale era lo scrigno dell’immateriale, del Padre, dello spirito donato simile a Se Stesso, dunque teca meravigliosa, perfetta, immagine armoniosa e visibile dell’invisibile che era dentro di loro e come tale Tempio di Dio, del Dio Vivente e Generante, dell’Unico, Dio Uno e Trino. Pag. 1 di 8 Delle tante meraviglie che componevano l’Universo creato, doni della Sua Carità, l’Uomo, metà Dio e metà fango fu l’espressione più coraggiosa, complessa e ardua del Creatore: aveva in sé in potenza la Gloria dell’Eterno e la capacità di meravigliare il Suo Stesso Creatore per la possibilità di accostarsi a Lui in Amore e Bellezza. Ma quello spirito interiore di Intelligenza e di Bellezza non sapeva dominarsi, non accettava di rispettare nemmeno il Padre che vedeva sopra di sé, Limite alla propria esuberanza né tenere a freno la curiosità, in sé virtù ammirevole ma d’altra parte pericolosa, perché incontrollabile e insofferente dei divieti. Questa fu la Colpa e d’ogni cosa origine di morte. Il Signore nella Sua Onniveggenza accettò e vide chiara davanti a Sé la tragedia della genìa che sarebbe discesa da quei due esseri tanto amati e «Se ne dolse» ma subito pose rimedio disponendo la sua Divina Salvezza col Sacrificio della Croce. Il peccato fu dunque inevitabile così come lo fu la Salvazione? Qualcuno sa rispondere? Qui veramente il mio pensiero si confonde e s’arresta come di fronte a un muro altissimo e invalicabile. La Fede, solo essa, ci può aiutare… Qual è o Signore, che Ti so Caritatevole, Miseri- per impegnare il pensiero e la ragione che m’hai donati ma che riconosco misere facoltà per conoscere Te, nella profondità inaccessibile del Tuo Essere? Perché voglio sapere e ancora sapere, e conoscere e indagare senza sazietà? Ma so che non si può amare chi non si conosce e perciò voglio conoscerTi perché per mia natura sento ch’è bello amarTi e voglio amarTi perché so che mi stai aspettando per mostrarmi il Tuo Volto tante volte e per tanto tempo desiderato, quel Tuo Volto ch’è la Verità e la Vita senza limiti. Tu Signore mi hai amato da prima che venissi al mondo, e senza alcun mio merito e io Ti dico e prometto che amerò Te anche senza vederTi: me ne sento capace col Tuo Aiuto. Ma Tu mi chiedi di amare il mio prossimo che spesso m’è ostile o indifferente: insegnami allora perché e come amarlo e farmi amare, per la Tua non certo mia Gloria! Ma sento pure che il desiderio di amare questo mondo e i miei simili e d’essere da loro stessi ricambiato è un sentimento profondo che stenta a venire alla luce. Però non capisco dov’è la misura dell’uno e dell’altro e a quale limite fermarmi o procedere oltre nella tempesta di questa vita così spesso malvagia e indifferente. Donami Signore il Discernimento e la forza di accettare le contrarietà di quest’oggi e del domani. cordioso, Bello e Buono oltre ogni confine, la misura Salmo Responsoriale - Dal Salmo 50 - Perdonaci, Signore: abbiamo peccato. Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. Il Tuo perdono e il Tuo soccorso mi occorrono non solo nell’iniquità ma anche nella pochezza della mia mente ottenebrata, a causa della quale non riesco a vedere con gli occhi dello spirito, che è Tuo Dono in me, ma solo con quelli miopi del mio corpo. Se mi darai un cuo- re puro e renderai saldo il mio spirito, allora saprò vedere dove sia il male e come nasce e come si trasmette fra noi Tue creature. Confido o Gesù Salvatore in Te e nella Forza vincitrice del tuo Amore. Sempre mi glorierò cantando la Tua Lode o Signore che dai in abbondanza quanto manca a ciascuno per essere parte di Te. Pag. 2 di 8 Fammi Signore strumento della Tua Parola! Seconda Lettura - Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 5, 12-19 - Dove ha abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia. Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato. Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. Infatti, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La complessità dei concetti contenuti in questa pericope di “Romani” mi agita e mi riporta, come faccio da quando ho l’esercizio del raziocinio, a riflettere e ad argomentare sul grande e difficile concetto della Colpa che non si riesce a chiarire negli angusti parametri umani. Lo stesso San Paolo, con la sua consueta logica stringente non si sofferma e non si cimenta neppure lui a portare luce sulle radici del peccato e sulla trasmissione della colpa, ma acquisito il tutto come assunto indimostrabile, passa alla conclusione della cosiddetta «tragedia umana» per cui l’uomo nasce e vive nel peccato senza possibilità di riscatto autonomo: infatti egli privo dell’intervento divino con il sublime Sacrificio della Croce non avrebbe scampo dalla dannazione. Ora faccio per scritto un ragionamento che il Signore nella Sua infinita Misericordia mi perdonerà -perché sono in buona fede- come fa ogni buon padre nei confronti del figlioletto «che vuole fare il grande e dà il suo parere» e sorriderà della mia miseria mentre mi inchino alla Sua Bontà. Al proposito riporto un brano dalla “Trinità” di Sant’Agostino (XV, 27;49) che faccio pienamente mio sentendomene incoraggiato, soprattutto dalla di lui convinzione “purché lo si faccia sotto la direzione della regola della fede […..] … lo spirito … esso non ha nulla di superiore cui debba sottomissione ed obbedienza, eccetto Dio.“. [il grande Teologo e Padre della Chiesa scrive quanto segue in aperta polemica contro coloro che non credevano in pieno e correttamente al Dogma Trinitario] “… E dopo che avranno creduto fermissimamente alle Scritture sante come a testimoni veracissimi, s’industrino con la preghiera, con lo studio, con la vita retta, di capire, cioè di vedere con lo spirito, per quanto è possibile, quanto ritengono per fede. Chi glielo impedirà? Anzi, chi non li esorterà a farlo? Se tuttavia ritengono di dover negare questi misteri, perché i loro spiriti ciechi non li possono vedere, bisognerebbe pure che i ciechi dalla nascita negassero che esiste il sole. La luce dunque risplende nelle tenebre; se le tenebre non riescono a comprenderla, si lascino illuminare dapprima dal dono di Dio per aver la fede, ed incomincino ad essere luce in confronto a coloro che non hanno la fede e, gettato questo fondamento, si elevino per vedere quelle cose che credono, affinché un giorno le possano vedere. Vi sono infatti delle cose che si credono senza la speranza di non poterle mai vedere. Non si vedrà una seconda volta Cristo in croce, ma se non si crede che quello è un fatto accaduto ed è stato visto, senza tuttavia che si possa sperare che si riproduca e lo si veda di nuovo, non si giunge a Cristo, come lo si deve vedere eternamente. Invece per quanto concerne quella suprema, ineffabile, immateriale, immutabile natura che, in qualche modo, deve essere vista con l’intelligenza, non vi è nulla, purché lo si faccia sotto la direzione della regola della fede, su cui lo sguardo dello spirito si possa meglio esercitare di ciò che nella natura umana è superiore agli altri animali, è superiore anche alle altre parti dell’anima umana, voglio dire lo spirito: esso cui è accordata una certa visione delle cose invisibili, che come da un tribunale interiore che presiede con onore riceve tutte le conoscenze che gli stessi sensi del corpo sottomettono al suo giudizio; esso non ha nulla di superiore cui debba sottomissione ed obbedienza, eccetto Dio.” Eccolo: -La morte quale conseguenza implacabile e non condonabile del peccato regna fra noi da Adamo e dalla «nascita» del peccato medesimo. Tale colpa si è Pag. 3 di 8 trasmessa di generazione in generazione come il DNA si trasmette da genitore a figlio. E che sia così lo sperimentiamo giornalmente quando, nonostante i buoni propositi, cadiamo in continuazione nel peccato. Non sono un giurista però azzardo questo ragionamento: i figli ereditano dai genitori le colpe di carattere civile e amministrativo non quelle penali, dunque secondo questo ragionamento umano il peccato dei padri non dovrebbe passare ereditariamente ai figli, ed è così nelle nazioni civili, ma con una eccezione: quella appunto del peccato originale. In questa eccezione la catena che lega gli effetti alle cause possiede un anello invisibile ai nostri occhi, non mancante, profondamente avvolto nel mistero. La mia esistenza ha mantenuto sempre dinanzi a sé questo arcano insormontabile, non per insofferenza ma per quella smania di sapere e conoscere… Però rimuginando, leggendo, ascoltando, mi sono fatto una mia personalissima convinzione, un’ipotesi per me abbastanza convincente che potrebbe essere la seguente. L’umanità non è un aggregato di persone, ma un tutt’uno, fatta cioè di tanti individui ciascuno diverso dall’altro, ma tutti voluti e desiderati nell’unità fra essi stessi e il Dio-Creatore, tenuti insieme con il collante dell’Amore, così come la Trinità costituisce un Unico Dio pur essendo fatta di Tre Persone Distinte ma coese dall’Amore circolare tra il Padre e il Figlio: lo Spirito Santo. Quest’Uno umano vive e si alimenta di quel Nutrimento Comune che è l’Amore Divino (l’Agape): ove questo manca, come fosse un buco nero, lì è il peccato che contamina, scioglie l’uno dall’altro e dal Creatore, tutti noi che esistiamo già da prima di venire al mondo, quando eravamo “in mente Dei”. Ma in quest’Uno ritorneremo, quando diverremo pienamente obbedienti e santi ad opera del Sacrificio Salvifico di Gesù Cristo, come mattoni del Regno del Padre, della Chiesa di Cristo. Mi inchino Signore alla Verità delle Tue Scritture; “Se accettiamo il bene perché non dovremmo accettare anche il male?” dice Giobbe (Gb 2, 10). Canto al Vangelo - Mt 4,4b Alleluia, alleluia. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Alleluia. Dal vangelo secondo Matteo - Mt 4, 1-11 - Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato. I n quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Non è solo Satana che tenta il Signore, ma quante volte anche noi uomini osiamo tentarLo dicendo frasi del genere “se esisti allora fai questo” oppure “se ci sei impedisci questo misfatto” o ancora “ti ho pregato e Tu non m’ai esaudito: allora non Ti pregherò più” e altre sporcizie del genere. Pag. 4 di 8 Così facendo non siamo molto diversi dal demonio. È infatti un abominio mettere alla prova Dio, una bestialità. Se riteniamo il ricatto fra noi esseri umani un’azione indegna e riprovevole, condannata dalla morale corrente e dai codici penali si rifletta allora sull’assurdità del peccato che si può fare contro Dio assoggettandolo alle nostre condizioni o peggio ricattandoLo, come fosse uno di noi! In questo tempo di Quaresima impegniamoci nella piena sincerità del nostro cuore a chiedere perdono con opere di misericordia, nel Tuo Nome Benedetto; impegniamoci ad essere più tolleranti e disponibili verso il nostro prossimo anche quando non ci appare meritevole ben sapendo che neppure noi siamo meritevoli del perdono di Dio! O Inesauribile Misericordia, fino a quando sop- porterai le iniquità di noi che hai salvato e perdonato mille e mille volte e per tutta risposta continuiamo volgarmente ad offenderTi? La Tua Bontà e la Tua Carità dovrebbero annichilirci per la nostra inadeguatezza e invece noi continuiamo a offenderTi. Pag. 5 di 8 Di Carlo Crivelli (Venezia, 1430 – Ascoli Piceno, 1495) Figura 1 - Pietà; dal Polittico (smembrato) di Montefiore dell’Aso; 1470; Carlo Crivelli; National Gallery di Londra; tempera su tavola, cm 72,5 x 55,5 Pag. 6 di 8 Di Carlo Crivelli abbiamo già argomentato su due opere, San Giorgio (7/4/14, XXIII Dom. T.O.) e Madonna Lenti (28/02/16, III Dom di Quaresima;); oggi propongo un’altra opera adeguata al tempo di Quaresima appena iniziato: una “Pietà”, già parte del Polittico (smembrato) di Montefiore dell’Aso, 1470. Da quei commenti citati riprendo alcuni punti salienti. Le opere di Carlo Crivelli si caratterizzano per il sopravvissuto aspetto goticizzante, per la decisa ricerca di particolari esornativi, per l’estrema raffinatezza delle forme e dell’accostamento dei colori. Non a caso la doratura degli sfondi (in foglia d’oro) e di alcune altre parti in lui torna d’attualità. Carlo Crivelli si tenne fuori dal grande dibattito culturale che aveva appassionato tutte le menti più speculative ed acute del Quattrocento e scelse di applicarsi in un artigianato di altissima qualità. Se nella riflessione di domenica scorsa abbiamo visto nel “Miracolo dell’Asina” che Donatello si era preoccupato di inserire la figura nello spazio fatto di quella solenne architettura archivoltata rappresentata prospetticamente, Crivelli non mostra alcun desiderio di fare altrettanto, rappresentando invece uno sfondo uniforme d’oro che è quanto di più irreale si possa concepire, ma che risulta pienamente congruente allo spirito dell’intera immagine, né delinea i corpi con un marcato chiaroscuro; la linea di contorno, mobile, delicata e sensibilissima alla luce è tuttavia ben visibile osservando attentamente le singole parti: anch’essa è la memoria sublimata del linearismo dell’arte bizantina e della tardo-gotica nelle loro più felici espressioni. Carlo Crivelli fu originario del Veneto e in particolare nacque a Venezia ove la tradizione bizantina era fortissima e di cui mantenne vivissima la memoria in un utilizzo tuttavia moderno. Lasciò in giovane età il nativo Veneto e si trasferì nelle Marche ove rimase per tutta la vita. Dolcezza e profonda spiritualità nel compimento del Sacrificio dell’Agnello è il carattere che il Crivelli ha voluto imprimere in questa Pietà che non vuole risparmiare nulla alla bellezza estetica in favore di un drammatico realismo come avviene nella maggior parte delle pitture con questo tema di altri pittori. Qui tutto infatti è idealizzato, dal corpo giovane e bello del Signore alla capigliatura curata, all’espressione dolce, quasi di un dormiente, del bel viso dalle grandi palpebre chiuse che seppur impediscono la vista degli occhi lasciano tuttavia immaginare uno sguardo di ultraterrena bontà infinita. Solo nella bocca passa un’ombra appena percettibile di sofferenza o meglio di disappunto per l’incredulità umana. Le vene ancora turgide del braccio destro in primo piano e della mano sinistra poggiata sul bordo del sacello non sono segni di morte ma di vita che ancora permane nonostante tutto. Nulla appare delle sofferenze disumane subite nel martirio, non una goccia di sangue, non un livido, non un segno dei terribili flagelli; Isaia scrive (Is 52, 14): “Come molti si stupirono di lui / - tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto / e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo”. Sono solo visibili le piaghe, quella sul fianco e quelle sulle mani. E sono proprio queste membra l’unico segno macabro della morte, nell’angolo retto che fa l’avambraccio con la mano stessa e le dita rattrappite dal dolore e dalla violenza subite. Gesù è ormai nel non-spazio dell’Al-Di-Là nonostante il timido tentativo del Crivelli di dare una qualche consistenza realistica all’immagine per le forme ma non per le proporzioni del sarcofago e dei due piedistalli su cui si muovono i deliziosi Angioletti, quasi due «psicopompi» classici e per la peluria del pube che appare oltre il lembo del lenzuolo funebre. Non vi sono dunque i personaggi che per tradizione hanno deposto Gesù nella tomba, ma caso nuovo, come abbiamo rilevato, solo due deliziosi Angeli sempre per togliere tutto ciò che potrebbe apparire un realismo troppo crudo, inappropriato alla morte -seppur del solo corpo- del Signore del Cielo e della Terra. Uno dei due rivolge lo sguardo sul davanti e nei suoi occhi si legge il pianto per la sofferenza provata fino a poco fa, ma che ancona in parte permane, tipica dei bambini quando ancora tra i singulti hanno però chetato il pianto; sembra di poter vedere il suo corpicino scuotersi ancora in un ultimo singhiozzo. Col suo faccino paffuto s’accosta alla gota di Gesù esprimendo così il suo sconfinato amore che si fa portavoce del nostro, Suoi figli ribelli e degeneri. Più sopra non ho parlato di prospettiva quando ho ricordato Donatello ma nella tavola che esaminiamo essa è presente nel distacco spaziale tra i due Angeli e nell’evidente prospettiva lineare del piedistallo modanato a sinistra e nel coperchio del sarcofago a destra; nulla però, né architettura né paesaggio, vi è nello sfondo che per via dell’oro senza forma diviene nonspazio, pura Luce Divina dilagante ovunque, atta a rivelare illuminandolo un accadimento nato nella storia e nella materia ma ormai passato -in una transustanziale trasformazione divina- dalla realtà della materia a quella dello Spirito. Cristo ormai non appartiene più a questo mondo ma a quello del Padre Celeste. Pur essendo una scena di morte l’immagine non è affatto statica sia per il volgersi di lato del capo del Signore, sia per il tenerissimo ma deciso incedere del Cherubino di destra e nello stendere il braccino di quello di sinistra per sostenere l’abbandonato bracciopantocratore del Signore che sembra vivo, come abbiamo rilevato, pur appartenendo a un corpo morto. Il Suo Corpo Santo non ha peso, è ormai solo Immagine Spirituale. È pronto a risorgere! Si noti infine la straordinaria capacità di armonizzazione delle tinte in cui gli incarnati e gli abitini dei Cherubini entrano in un dialogo veramente sublime fatto di straordinari toni di colore e di luce. È una felicissima visione celestiale capace di far gioire i nostri cuori affetti dall’amore per il nostro Salvatore nel momento supremo del suo Dono di Sé. Se la morte del nostro Salvatore è in sé un evento terribile in quanto parte del deicidio-salvazione della Pag. 7 di 8 storia umana, è però soprattutto la premessa necessaria al Trionfo del Bene sul male, la vittoria della Santità sul peccato e della Vita sulla morte; e dunque, se vista in quest’aspetto il modo di proporcela di Carlo Crivelli ha pienamente la sua validità nell’impossibilità di descriverne la Grandezza e la Bellezza Ineffabile. Giorgio Obl OSB -Nihil amori Christi praeponere04 mar. 2017 - Questo e altri scritti sono pubblicati sul sito www.giorgiopapale.it Pag. 8 di 8