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Giovedì 9 Marzo 2017
PRIMO PIANO
Le donne, finalmente libere e tutelate dalla legge, non si realizzano certo per opposizione
Protagoniste, non antagoniste
Per questo, il vetero femminismo ha fatto il suo tempo
DI
GIANFRANCO MORRA
L
a strage fu atroce. L’8 marzo 1908 un incendio divampato in un cotonificio
di Chicago, occupato nel
corso di uno sciopero, causò la
morte di 129 operaie. Due anni
dopo, la Conferenza internazionale dei movimenti femminili,
riunita a Copenhagen, fissò in
quella data la «Giornata internazionale della donna». La cui
celebrazione ha accompagnato
i movimenti di emancipazione
femminile in molte parti del
mondo. Come doveva essere.
Ma oggi, più di cento anni dopo,
serve ancora celebrarla? O è un
residuo museale del passato?
La nostra Costituzione, con
gli articoli 3, 29, 37, 48, 51, ha riconosciuto e affermato la parità
giuridica fra i sessi, dentro i principi europei del personalismo e
dell’eguaglianza. Ha vanificato
ogni vittimismo femminista. Se
per la nostra Maxima Carta uomini e donne sono uguali, fare
una festa solo per le donne è
anticostituzionale.
Questa parità democratica
(uomini e donne uguali al punto
di partenza) non è solo nella Costituzione, è sempre più sotto gli
occhi di tutti in ogni campo: nel
lavoro e nel tempo libero, nelle
professioni e nella politica, nella
scuola e nelle università, nelle
fabbriche e nell’esercito, nei bus
e nei jet, le donne sono presenti.
Non vi sono professioni maschili
che la donna non sappia svolgere. Come non vi sono professioni
femminili da cui gli uomini siano esclusi: i migliori stilisti, parrucchieri e cuochi sono uomini.
Lo stesso più vecchio mestiere
del mondo non è più una esclusività delle donne.
La donna è del tutto libera e autonoma anche nella
famiglia, che la legge 151/1975
ha trasformato da paternale in
coniugale: non più l’uomo «capo
della famiglia», ma una coppia
con pari doveri e diritti. Le «casalinghe stressate e insoddisfatte» e quelle «disperate» si trovano ormai soprattutto nei serial
televisivi. La donna, con la legge
194/1978, ha conquistato la piena libertà di decidere la sorte
della vita nascente. Per ricorrere all’interruzione della gravidanza basta la sua sola volontà,
la moglie non deve chiedere il
permesso al marito, né la figlia
minorenne ai genitori. Basta il
certificato del consultorio: l’utero è suo, è lei che deve gestirlo.
Il maschio non c’entra.
Il vecchio femminismo oltranzista è ormai un ricordo. Le
esasperazioni del «movimento di
liberazione» degli anni SessantaSettanta del Novecento sono un
amarcord. Ha ormai realizzato
quasi tutti i suoi obiettivi, tanto
che oggi prevale il più moderato
«movimento di emancipazione». Forse aveva ragione papa
Ratzinger quando proponeva
loro di essere «protagoniste, non
antagoniste». Insieme e a fianco
dell’uomo, non contro l’uomo. E
se anche la festa la facessero insieme? Anche perché le distinzioni fra i sessi sono ormai poco
percettibili. Non esistono più
solo uomini e donne, ma anche
uomini-donne, donne-uomini,
donne-bisex e uomini-bisex,
transdonne e transuomini. In
questa pletora di «generi» sarebbe ridicolo fare una «festa degli
uomini», proprio come lo è una
«festa delle donne». Bisognerebbe farne tante altre, dato che la
sessualità non è più bipolare, ma
pluralistica e cangiante. Come i
gabinetti di Obama.
A che cosa si riduce ormai, nei fatti, la festa delle
donne? A un bla-bla di tutti gli
operatori politici (soprattutto
sotto le elezioni) e dei sindacati,
a un addobbo di gialle mimose
con cui mostriamo di essere
progressisti, a menù speciali
nei ristoranti, a balli e tombole
serali, a programmi televisivi
che per un giorno annoiano col
tutto-donna, a un omaggino floreale quasi sempre strumentalizzato alle vendite per fini di
propaganda. Davvero poco, la
donna merita molto di più.
La civiltà cristiana, europea ed americana, lentamente
ma irrevocabilmente, è stata
l’unica che ha consentito alla
donna di essere veramente persona. Anche se nata in occidente,
la festa delle donne, oggi, non vi
ha più molto senso, è divenuta
una fiacca e soporifera liturgia.
Bisognerebbe invece istituirla nei paesi islamici, dove di
emancipazione le donne hanno
davvero bisogno. Ma mentre da
noi è celebrata con poche ragio-
ni plausibili, da loro è proibita e,
dato il prevalere un po’ dovunque del fondamentalismo, lo
sarà sempre di più. E la donna,
nei paesi del Corano, continuerà ad essere, quasi sempre, un
possesso del maschio. Una minus habens.
Come ha scritto papa Wojtyla, la donna ha un suo proprio
e inconfondibile «genio», del quale l’umanità non ha meno bisogno di quello, complementare,
dell’uomo. Le grandi scrittrici,
come Edith Stein e Hannah
Arendt, lo hanno capito bene:
femmina e maschio sono fatti
per stare insieme e per arricchirsi reciprocamente, anche
nelle feste. Le donne non sono un
«gender», ma un «secondo sesso»
(anche per Simone de Beauvoir, Le deuxième sexe, 1949).
La donna non deve liberarsi della sua femminilità, né
travestirla o camuffarla, deve
invece viverla sino in fondo e
sublimarla, ci dice Maria Zambrano: «Io non rifiuto e non cerco la mia condizione femminile,
essa mi è stata data e l’accetto»
(Sentimenti per un’autobiografia, Mimesis 2012).