[N-PGT - 8] NAZIONE/GIORNALE/UMB/08 07/03/17

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CAMPIONATO GIORNALISMO
Scuola media
Parini
Castel Ritaldi
MARTEDÌ 7 MARZO 2017
«Migranti, basta razzismo»
Gli studenti della Parini hanno raccolto le storie di tre rifugiati
LA SITUAZIONE
Uno Stato
dove vige
il terrore
IN GAMBIA, paese anglofono incuneato nel Senegal,
all’inizio del mese di dicembre si sono tenute le elezioni presidenziali e né è uscito vincente Adama Barrow.
Pochi giorni dopo il voto,
l’ex presidente Jammeh ha,
però, cambiato opinione,
contestando il risultato elettorale democraticamente ottenuto. Jammeh ha conquistato il potere nel 1994 e da
allora ha tenuto il paese sotto una terribile dittatura:
ha fatto sparire molti oppositori o sospettati tali, lasciando le famiglie senza notizie sulla loro fine.
LA MOGLIE di un ex-ministro di Jammeh dice che,
dopo molti mesi, non ha ancora potuto incontrare un
avvocato o avere notizie del
marito. Ora si è rifugiata in
Svezia, ma dice di non riuscire più a dormire pensando alle torture e agli abusi
che avvengono regolarmente nelle prigioni gambiane,
dove nessun osservatore internazionale può mettere
piede. L’incubo della dittatura Jammeh sembrava finito, quando in un discorso
del 2 dicembre, aveva dichiarato di accettare le elezioni democratiche. Poi, però, pochi giorni prima delle
elezioni, ha di nuovo usato
la tattica degli arresti indiscriminati e senza motivo
per intimidire i votanti.
Ora, dopo la vittoria di Barrow, tutti hanno paura,sono
spaventati dalle possibili
vendette e temono il bagno
di sangue. Molti sono quelli
che si rifugiano in Senegal
o nei paesi limitrofi e chiedono asilo anche in Europa
nell’attesa che la situazione
politica si stabilizzi (di Giada Postiglione).
IL DICIOTTO dicembre 2016, a
scuola, abbiamo festeggiato la
«Giornata mondiale del migrante», invitando tre rifugiati – attualmente residenti nel nostro Comune – e provenienti da Gambia, Costa d’Avorio e Siria. Due di loro
sono di religione musulmana e
ascoltando le loro storie disperate, ho fatto le seguenti riflessioni.
Se accendiamo la televisione sentiamo solo parlare di guerra, profughi e rifugiati. Ognuno espone
le proprie teorie giuste o sbagliate
che siano. Molti esprimono teorie
razziste. A scuola, molti ragazzi di
tredici\quattordici anni (quindi
in parte giustificati dal fatto che
non hanno un’idea chiara del
mondo) ripetono le teorie razziste
diffuse dalla televisione.
È NATURALE sbagliare come
bambini a questa età, ma la maturità sarebbe non continuare con
teorie ignoranti e complottiste
per spedire «i marocchini» su
Marte. Ci sono ragazzi razzisti
ma non tutti, e neppure la maggior parte. Allora dobbiamo rassegnarci al fatto di essere etichettati
come maleducati e barbari? Dovremmo farci accogliere da insulti ogni volta che andiamo all’estero? Perché ne facciamo sempre
una questione di etnia, nazionalità o religione?
CRONISTI IN ERBA Gli studenti della Parini e alcuni rifugiati
che a scuola chiamano i musulmani terroristi, ci sono persone razziste che in piazza chiamano i carabinieri se vedono passare un musulmano. Conosco tante persone
Rom e non mi hanno mai rubato
l’orologio, frequento molti musulmani e sono ancora vivo. Ho notato che gli stranieri sono spesso
persone molto più simpatiche e
leali, che non giocano a prendere
in giro gli italiani più poveri. Noi
perché lo facciamo?
MOLTI IN EUROPA dicono
che noi italiani siamo confusionari, disordinati, pessimi lavoratori
e maleducati, ed è vero, lo siamo,
PERCHÉ MOLTI vengono picchiati senza motivo? Perché con
gli stranieri facciamo sempre di
tutta l’erba un fascio? Probabilmente se un arabo o un musulmano leggerà questo articolo ci rimarrà male, non tanto per le pessime doti di questo «giornalista»,
ma per il fatto che si rivedrà in
quello che ho detto, in questo disagio, si vergognerà di chiunque lo
abbia chiamato terrorista e di
chiunque lo abbia picchiato e probabilmente ce l’avrà anche con
me per aver parlato di lui come di
un fenomeno raro. In questa Italia di ignoranti, l’indifferenza sarebbe la salvezza di ogni uomo.
L’INTERVISTA PARLA SALAH E SPIEGA PERCHE’E’ ARRIVATO DAL GAMBIA A BORDO DI UN BARCONE
«Nel mio paese c’è una dittatura terribile»
INTERVISTA a Salah, che è venuto dal Gambia.
Quale viaggio hai percorso per venire in Italia?
«Non volevo andare in Italia, ma in Libia; ho attraversato il Sahara. Un tempo in Libia si lavorava bene, si potevano spedire soldi a casa e gli stranieri potevano praticare la loro religione. Invece là ho trovato la guerra ora gli stranieri sono sospettati di far parte di gruppi jihadisti. Non volevo riattraversare il deserto, ho preferito il mare. Sono arrivato in barcone
a Lampedusa, poi sono stato in Calabria per un breve periodo e ora sono stato trasferito qui».
Per quale motivo sei andato via dal tuo paese?
«REPORTER» AL LAVORO
L’intervista a Salah
«Nel mio paese, in Gambia c’era una dittatura terribile che fa sparire le persone. Molte persone sono state arrestate e non sono più tornate a casa, le famiglie
ancora non sanno cosa gli è successo».
Hai riscontrato fenomeni di razzismo qui in
Italia?
«Per tutto quello che ho passato, l’Italia mi è sembrata comunque accogliente».
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
«Spero di ottenere la cittadinanza italiana per ritornare nel mio Paese a ritrovare la mia famiglia; se sei
cittadino italiano non possono farti nulla, gli europei non vengono toccati. Senza cittadinanza però
non posso rientrare. Chi ha chiesto asilo in un altro
paese non può più rientrare nel suo. Vieni considerato come un traditore».
Prima hai detto che non volevi riattraversare
il deserto, perché?
«Attraversare il deserto è la cosa peggiore, può succederti di tutto, ti succede di tutto».
E non è peggio il Mediterraneo?
«No, in mare impieghi solo tre minuti per morire».
LA REDAZIONE
L’ARTICOLO di apertura è di Luca Carigi;
l’intervista è di Nicolò Filippetti; il trafiletto di Giada Postiglione, le foto di Andrei
Pociumb e Federico Castellani. Si ringra-
ziano la preside Cristina Rosi, l’assessore
alla cultura di Castel Ritaldi Tamara Martini, la dottoressa Mirella Colli e la Cooperativa «Il Cerchio» per aver reso possibile
l’incontro. Il grazie più grande va a Salah,
Stephan e Moussà per aver avuto il coraggio e voglia di raccontarci le loro storie: vi
auguriamo tutto il bene, ne avete diritto!