Scarica il commento in PDF - Rivista Diritto Tributario

Download Report

Transcript Scarica il commento in PDF - Rivista Diritto Tributario

Riporto delle perdite in caso di fusione: la CTR Lombardia supera l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate
di Mattia Tencalla, 8 marzo 2017
Con Sentenza n. 6353/36/16 del 1 dicembre 2016 la CTR Lombardia supera la linea interpretativa
1 dell’Amministrazione Finanziaria in materia di riporto delle perdite fiscali a seguito di un’operazione di fusione. I
giudici di merito stabiliscono, infatti, che se viene retrodatata la decorrenza degli effetti contabili e fiscali, non è
necessario il superamento dei test di vitalità anche nella frazione di esercizio precedente la data di effetto della
fusione.
Nel caso in esame, l’Amministrazione accertava per gli anni 2006/2007 e 2007/2008 in capo all’incorporante
l’indebito riporto delle perdite fiscali generate della società incorporata. Più nello specifico, i verificatori
contestavano l’esistenza dei parametri minimi di “vitalità” di cui all’art. 172, comma 7 del T.U.I.R. con
riferimento al periodo che intercorre tra la data di retrodatazione degli effetti contabili e fiscali della fusione e
la data di efficacia giuridica della stessa.
La società verificata, già vincente nel primo grado di giudizio, ribadiva il superamento dei test di vitalità ai sensi
dell’art. 172 comma 7 del T.U.I.R. con riferimento all’esercizio precedente a quello in cui è stata deliberata la
fusione. L’Amministrazione Finanziaria appellante, invece, contestava il fatto che la società incorporata avesse,
nella frazione di esercizio precedente la fusione, depotenziato la società attraverso operazioni non considerate
ai fini del calcolo del test di vitalità.
In relazione a tali circostanze, i giudici di seconde cure, confermando la sentenza di primo grado a favore del
contribuente, affermano che l’Agenzia delle Entrate “interpreta in maniera errata la disposizione del comma 7
dell’art. 172 del DPR n. 917 del 1986, ritenendo che la verifica di sussistenza degli indici di vitalità di società
partecipante alla fusione, debba essere verificata e mantenuta anche nella frazione di esercizio precedente alla
fusione”.
I giudici aggiungono, inoltre, che se l’Amministrazione Finanziaria avesse voluto colpire la presunta condotta
elusiva del contribuente, avrebbero dovuto sanzionare la società attraverso la vigente disciplina anti-elusiva.
La sentenza offre due principali spunti di riflessione. Il primo riguarda il rapporto con l’interpretazione
storicamente proposta dall’Amministrazione Finanziaria in merito all’applicazione del test di vitalità; il secondo,
invece, il rapporto tra le previsioni dell’art. 172 comma 7 e la disciplina anti-abuso.
In merito al primo punto, il dato letterale della norma impone di assoggettare ai limiti dell’art. 172, comma 7
del T.U.I.R. le perdite generate nel periodo intercorso tra la data a cui vengono fatti retroagire gli effetti
contabili e fiscali della fusione e la data di efficacia giuridica della stessa. In tal senso, il dato letterale della
norma non appare equivoco e il test di vitalità dell’art. 172, comma 7 riguarda unicamente il “conto economico
della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata
deliberata”.
Di diverso ordine di idee è, invece, l’Agenzia delle Entrate. Con le Risoluzioni n. 116/E del 24 ottobre 2006 e n.
143/E del 10 aprile 2008, ad oggi non superate né rettificate, l’Amministrazione Finanziaria ha sottolineato
come l’art. 172, comma 7 del T.U.I.R. debba essere interpretato nel senso che i requisiti di vitalità economica
debbano sussistere non solo nel periodo precedente la fusione, bensì debbano continuare a permanere fino al
momento in cui la fusione viene deliberata.
Sempre in base alla prassi ministeriale, la ratio di tale interpretazione sarebbe di tipo anti-elusivo, con
l’obiettivo di inibire il riporto delle perdite fiscali a società completamente ‘svuotate’ nel periodo temporale
successivo alla data di retrodatazione degli effetti della fusione.
Tale interpretazione estensiva della norma è stata oggetto di critiche in dottrina e tra le associazioni di
professionisti e imprese (cfr. la Norma di Comportamento AIDC n. 176/2009 e la Circolare di Assonime n. 31 del
31 maggio 2007). Proprio Assonime nella citata circolare osserva che l’interpretazione ministeriale
dell’applicazione del test di vitalità va al di là del dato letterale della norma. I dettami del T.U.I.R., infatti, non
prevedono che il test di vitalità prescritto dall’art. 172 comma 7 sia effettuato due volte, una prima in relazione
2 all’esercizio precedente a quello della delibera di fusione, e una seconda per il periodo compreso tra la data a
cui vengono fatti retroagire gli effetti contabili e fiscali della fusione e la data di efficacia giuridica della stessa.
Si fa notare, inoltre, che l’interpretazione “estensiva” fornita dall’Amministrazione Finanziaria per il test di
vitalità non trova corrispondenza e appare in contraddizione con quanto previsto dalla stessa con la Risoluzione
n. 54/E del 9 maggio 2011 con riferimento al calcolo del limite del “patrimonio netto” per il riporto delle perdite
fiscali in caso di fusione.
La citata risoluzione dava seguito ad un quesito relativo alla rilevanza del bilancio d’esercizio ai fini del riporto
delle perdite fiscali in caso di fusione con retrodatazione. In particolare, l’interpello verteva sulla necessità o
meno di approvare il bilancio affinché potesse ritenersi valido ai fini del calcolo del limite del “patrimonio
netto” ai sensi dell’art. 172, comma 7 del T.U.I.R.
Ci si chiedeva se, ai fini della norma in commento, l’ultimo bilancio con il quale verificare il limite del
“patrimonio netto” dovesse essere quello chiuso e approvato prima della delibera di fusione, ovvero se fosse
sufficiente che fosse chiuso entro il medesimo termine, ancorché non approvato.
Con la citata risoluzione si specifica che la locuzione “ultimo bilancio” dell’art. 172, comma 7 del T.U.I.R. deve
essere intesa “quale bilancio relativo all’ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della
fusione, ancorché non approvato a tale data”.
Sulla scorta delle indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria, quindi, non viene prevista
un’interpretazione estensiva della norma assimilabile a quella fornita per gli indici di vitalità. Il parametro
patrimoniale con cui confrontare le perdite fiscali, infatti, rimane fisso e non è influenzato dai flussi reddituali
generati nel periodo intercorso tra la data a cui vengono fatti retroagire gli effetti contabili e fiscali della fusione
e la data di efficacia giuridica della stessa.
Invero, posto comunque che i parametri del test di vitalità e del patrimonio netto di riferimento con cui
confrontare le perdite riportabili non sono del tutto assimilabili, si ravvisa, da parte dell’Agenzia delle Entrate,
una non giustificata differenza di trattamento tra le due fattispecie.
Si consideri, infatti, da una parte l’interpretazione fornita dalla risoluzione n. 143/E del 10 aprile 2008, secondo
cui i requisiti minimi di vitalità dovrebbero permanere fino al momento in cui la fusione viene deliberata, sulla
base di una ratio marcatamente anti elusiva; e si consideri dall’altra, in parallelo, la citata risoluzione n. 54/E del
9 maggio 2011, che individua nel patrimonio netto del bilancio dell’ultimo esercizio prima della data di efficacia
giuridica della fusione il miglior indice di redditività prospettica della società in perdita, senza in questo modo
dare rilievo all’eventuale incremento o decremento patrimoniale dovuto a fatti gestionali occorsi nel successivo
periodo antecedente alla data di efficacia della fusione.
In merito al secondo punto di riflessione, il rapporto tra l’art. 172 comma 7 e la disciplina anti-abuso, si accoglie
con favore la tesi riportata dalla CTR secondo cui l’Amministrazione, se intende contestare la condotta della
società nell’interim period intercorrente tra la data di retrodatazione degli effetti della fusione e l’efficacia
giuridica della stessa, dovrà fare riferimento alla normativa anti-abuso applicabile.
Tale conclusione appare coerente con la decisione di limitare la portata dell’art. 172 comma 7 al solo periodo
precedente a quello di efficacia della fusione. Qualsiasi evento relativo al c.d. interim period, pertanto, deve
essere valutato non in base al computo dei limiti previsti dalla norma, ma piuttosto in relazione all’intento
abusivo dell’operazione.
In tal caso, quindi, è l’Amministrazione a sobbarcarsi l’onere della prova della natura “abusiva” dei vantaggi
derivanti dall’operazione in caso in cui la società risulti “non vitale” nell’interim period, e non, invece, il
contribuente. Diversamente, se il contribuente non dovesse superare il test di vitalità relativo al periodo
3 precedente a quello in cui la fusione viene deliberata, la possibilità di vedere disapplicata la norma passerà
necessariamente dalla procedura di interpello. Ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, infatti, il
contribuente interpella obbligatoriamente l’Amministrazione Finanziaria per la disapplicazione di norme
tributarie, che allo scopo di contrastare comportare abusivi, limitano posizioni soggettive del contribuente
altrimenti previste dall’ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti
elusivi non possono verificarsi.
L’interpretazione della norma fornita dai giudici lombardi appare, alla luce di quanto detto, in linea con il
dettato letterale della norma e, in caso di conferma da parte dei giudici di legittimità, potrebbero essere poste
le basi per un superamento della diversa linea proposta dall’Agenzia delle Entrate.