leggi la notizia

Download Report

Transcript leggi la notizia

PERSONALE
Con la riforma sanzioni disciplinari «blindate»
Addio alle battaglie di carta bollata e alle contestazioni sul calendario delle notifiche o sui passaggi
procedurali: per difendersi dalle sanzioni disciplinari, licenziamenti compresi, bisognerà parlare del
merito. Questo, almeno, è l'obiettivo ambizioso del nuovo codice disciplinare dei dipendenti
pubblici scritto nel decreto legislativo della riforma Madia che giovedì ha ottenuto il primo via
libera in consiglio dei ministri. Questa mossa, che si affianca all'accelerazione sui tempi delle
procedure e al rafforzamento delle responsabilità dei dirigenti, è stata finora la meno fortunata sul
piano mediatico, ma potrebbe rivelarsi la più efficace all'atto pratico. Vediamo perché.
Che cosa cambia
Spinta anche dalla continua pressione della cronaca, che anche ieri ha regalato un maxi-caso di
assenteismo in Campania (si veda la fotonotizia qui a fianco), la riforma torna sul codice
disciplinare dei dipendenti pubblici, tema che ovviamente va molto oltre ai casi dei timbratori di
cartellino più presenti al mercato che in ufficio. In fatto di licenziamenti, il codice riscritto dal
decreto riprende le vecchie cause possibili, dalle assenze ingiustificate alle «gravi condotte
aggressive», dalle false dichiarazioni alle condanne penali definitive con interdizione dai pubblici
uffici fino alle violazioni gravi e reiterate del codice di comportamento, e ne aggiunge tre: il
rendimento negativo per tre anni, con una norma che in realtà aggiusta e riprende una regola già
prevista e quasi mai applicata, la violazione di obblighi che abbia portato alla sospensione per più
di un anno in un biennio e, soprattutto, il mancato esercizio dell'azione disciplinare da parte del
funzionario che ha il dovere di avviarla. Quest'ultimo punto rende generale un principio già
anticipato, per i soli casi degli assenteisti colti in flagrante, dal decreto dell'anno scorso sulle false
timbrature. Il dirigente che deve vigilare e far partire l'azione disciplinare, ma non lo fa, rischia la
stessa sanzione del dipendente infedele. Sempre dal decreto sulle false timbrature viene ripreso
ed esteso il calendario accelerato per arrivare alla sanzione. La procedura sprint, con la
sospensione in 48 ore e l'uscita definitiva in 30 giorni, viene estesa a tutti i casi in cui il dipendente
pubblico viene colto in flagrante a mettere in pratica il comportamento che può portare al
licenziamento.
Le responsabilità
Chi viene intercettato a chiedere una tangente per rilasciare un permesso, giusto per fare un
esempio brutale, rientra in questa casistica. Anche le procedure ordinarie, senza flagranza, sono
però chiamate a un'accelerazione decisa, che nel testo esaminato dal consiglio dei ministri
prevede l'arrivo al traguardo della sanzione in 60 giorni. L'ampliamento dei casi e il taglio dei
tempi, però, da soli conterebbero poco, e anzi rischierebbero di rivelarsi controproducenti senza la
terza mossa, quella che chiude il cerchio e prevede che procedimento e sanzione non possano
essere fatti cadere da ostacoli procedurali o dal mancato rispetto dei tempi. Il rischio, altrimenti,
sarebbe quello di garantire il successo delle tecniche di difesa che puntano sulla dilazione e non
sulle risposte nel merito. I ritardi nell'iter, quindi, saranno pagati dai responsabili, ma non
favoriranno gli “imputati”: a meno che gli inciampi della procedura non compromettano
«irrimediabilmente» i diritti di difesa del dipendente, con una previsione inevitabile per evitare
rischi di costituzionalità che andrà però declinata in modo concreto in tribunale. In quest'ottica
rientrano anche i primi ritocchi all'articolo 18, che mantengono la “tutela reale” del reintegro ma
fissano un tetto di 24 mensilità agli indennizzi. Non solo: in caso di reintegro l'amministrazione
potrà tentare una prova d'appello, riattivando la procedura disciplinare entro 60 giorni dalla
sentenza definitiva.
Fonte: Il Sole 24 Ore del 27/02/2017
Autore: Gianni Trovati