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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 49 (47.483)
Città del Vaticano
mercoledì 1 marzo 2017
.
Attesa per il primo discorso del presidente statunitense sullo stato dell’Unione
Leader di Al Qaeda ucciso da un drone statunitense
Trump annuncia un forte aumento
delle spese militari
Duro colpo
al jihadismo in Siria
WASHINGTON, 28. Le spese per la
difesa degli Stati Uniti aumenteranno del dieci per cento. Si tratta, in
sostanza, di almeno 54 miliardi di
dollari in più da pagare con tagli
che colpiranno soprattutto gli aiuti
all’estero e altre agenzie nazionali,
come quella per la tutela dell’ambiente. La svolta è inclusa nella bozza di bilancio federale inviata ieri
dalla casa Bianca alle agenzie federali, alla vigilia del primo discorso sullo stato dell’Unione del presidente
Donald J. Trump. Tutto in linea con
le promesse elettorali: il tema della
difesa, della sicurezza e di una politica estera muscolare è stato uno dei
punti nodali della campagna di
Trump.
Parlando davanti ai giornalisti alla
Casa Bianca, in occasione di un incontro con i governatori, Trump ha
sottolineato che «questo bilancio rispetta le mie promesse di proteggere
gli americani». Gli Stati Uniti, secondo il presidente, «hanno bisogno
di ricostruire le forze militari impoverite nel momento in cui ne abbiamo massimo bisogno». Il capo della
Casa Bianca ha sottolineato che gli
aumenti di spesa sono necessari per
assicurare che le forze armate possano evitare conflitti e vincere le guerre, «dal momento che gli Stati Uniti
non ne vincono più. Non vinciamo
mai. Non combattiamo più per vincere». I finanziamenti dovranno risollevare il morale delle truppe e
cambiare la mentalità operativa fornendo nuovi strumenti e mezzi, e
aggiornando anche l’arsenale nucleare. I dati sul nuovo bilancio sono
stati confermati dai media e da fonti
ufficiali. Secondo quanto precisa
una fonte dell'Office of management
and budget (Omb), «il presidente
ha chiesto al direttore Mulvaney di
scrivere un bilancio per adempiere a
tutte le promesse della campagna
elettorale, aumentando il budget per
la sicurezza e la difesa di 54 miliardi
di dollari con una corrispondente ri-
L’Eln rivendica un attentato
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Ostacolo alla pace
in Colombia
BO GOTÁ, 28. L’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo gruppo guerrigliero della Colombia, ha
rivendicato l’attentato che il 19 febbraio scorso ha provocato un morto
e decine di feriti nel centro di Bogotá. L’annuncio minaccia di mettere a
rischio i colloqui avviati con il governo nell’ambito del processo di
pace che ha già portato a un accordo con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), l’organizzazione di guerriglieri che conta il
maggior numero di appartenenti.
L’Eln, che combatte da 52 anni, si
è assunta direttamente la responsabilità di un attacco realizzato con una
bomba del peso di due chilogrammi,
imbottita di schegge metalliche per
amplificarne l’effetto distruttivo.
L’obiettivo era una pattuglia della
polizia in servizio presso il quartiere
di La Macarena, nei pressi della Plaza de Toros La Santamaría, dove
stava garantendo la sicurezza in occasione dell’ultima corrida della stagione nella capitale.
Il governo colombiano, che sospettava fin dall’inizio dell’Eln ma
ha evitato in un primo momento di
lanciare un’accusa diretta, ha sottolineato che l’attacco ostacola la tregua. «Se l’Eln pensa che con atti
terroristici può influenzare il negoziato per il cessate il fuoco sta sbagliando», ha detto il capo dei negoziatori del governo Juan Camilo Restrepo Salazar. La tregua avrà inizio,
ha aggiunto, quando l’Eln comprenderà che la strada per ottenerla passa per una diminuzione e non per
aumento degli attacchi.
BEIRUT, 28. Uno dei membri di al
Qaeda più ricercati al mondo, Abu
Khayr al Masri, è stato ucciso nel
nord-ovest della Siria da un drone
americano. La notizia, diffusa dalla
stampa ma non ancora confermata
ufficialmente da parte di Washington, è giunta mentre a Ginevra
proseguono i negoziati tra governo
e opposizioni siriane mediati
dall’Onu. Dalla Svizzera è arrivata
oggi anche la notizia di un incontro, programmato per domani, tra
la delegazione delle opposizioni e
rappresentanti della Russia.
Mosca ha una consistente forza
militare in Siria e dal 2015 partecipa attivamente alla guerra a fianco
del governo di Damasco. Ma negli
ultimi mesi si è proposta anche come arbitro del conflitto armato e
come artefice, assieme a Turchia e
Iran, della tregua del 30 dicembre
scorso. L’ala siriana di al Qaeda e
l’Organizzazione del cosiddetto
stato islamico (Is) non sono però
coinvolte nell’interruzione delle
ostilità tra forze di Damasco e insorti perché sono entrambe considerate gruppi terroristici. In forza
di questa definizione, gli Stati Uniti e i Russi, così come i loro alleati
regionali e locali, continuano a
bombardare zone siriane per fiaccare la resistenza dei jihadisti.
In uno di questi raid nella regione di Idlib, affermano fonti jihadiste nella zona, è stato ucciso Abu
Khayr al Masri, 59 anni, genero di
Osama bin Laden e da anni indicato come il braccio destro di Ayman
Zawahiri, capo di al Qaeda. In
particolare, si afferma che Masri
avesse la delega di guidare l’orga-
Il presidente Donald J. Trump alla Casa Bianca durante un incontro con la stampa (Ap)
duzione delle spese che non riguardano la difesa».
Critiche alla scelta di Trump sono
arrivate oggi anche da 120 ex generali che hanno firmato un appello
comune in una lettera inviata ai capigruppo del Congresso e al consigliere per la sicurezza nazionale del-
della Duma, parlando oggi con
l’agenzia Interfax, ha detto che il
Cremlino reagirà se Trump porterà
avanti la scelta di aumentare il bilancio per la difesa. «Per ora si tratta di
retorica. Ma se il budget verrà aumentato allora reagiremo» ha spiegato Slutsky.
la Casa Bianca. Non si possono ridurre i finanziamenti all’estero perché — questo il concetto cardine del
messaggio — la diplomazia è l’arma
più efficace per difendere la sicurezza del paese.
Reazione anche da Mosca. Leonid
Slutsky, capo commissione esteri
nizzazione fondata da bin Laden
nei teatri caldissimi di Yemen, Iraq
e Siria. Più di recente Masri era
stato anche indicato come il successore di Zawahiri alla guida di al
Qaeda. Sulla presunta morte di
Masri, il Pentagono si è limitato a
dire di avere effettuato un attacco
nel nord-ovest della Siria, ma senza
precisare chi fosse l’obiettivo. In
rete sono circolate foto del luogo
dell’attacco: si vede una vettura
con il tettuccio sfondato ma il parabrezza anteriore intatto. La presenza in Siria di Masri, affermano
gli osservatori, è registrata dal 2015,
da quando al Qaeda aveva deciso
di sfruttare il caos causato dal conflitto per stabilire nella regione
nord-occidentale di Idlib una base
a due passi dal Mediterraneo e dal
confine con la Turchia, membro
della Nato.
Masri, che in passato aveva combattuto in Afghanistan al fianco di
bin Laden, era giunto in Siria dopo esser stato rilasciato dalle carceri iraniane a seguito di uno scambio di prigionieri. Secondo gli
americani, Masri era implicato anche negli attentati del 1998 alle ambasciate degli Stati Uniti in Tanzania e Kenya, che provocarono oltre
200 morti.
Intanto, almeno dieci civili sono
stati uccisi nelle ultime 24 ore in
Siria in bombardamenti governativi
su aree controllate dagli insorti, secondo l’Osservatorio nazionale per
i diritti umani (Ondus). L’O ndus
precisa che dieci civili sono morti
in raid aerei la scorsa notte nella
cittadina di Ariha, nel sud della
provincia nord-occidentale di Idlib.
La denuncia nel rapporto dell’Unhcr
Muore un migrante su quaranta
BRUXELLES, 28. Un migrante su 40
non ce la fa. I viaggi disperati dei
profughi verso l’Europa diventano
sempre più pericolosi e i trafficanti
fanno sempre più affari. È quanto
denuncia l’agenzia delle Nazioni
Unite per i rifugiati (Unhcr), mentre l’Unicef ribadisce tutta la preoccupazione in particolare per i minori non accompagnati. Intanto, a
Bruxelles la commissione europea
sta mettendo a punto una normativa che cerca di richiamare all’ordine
i paesi che non ne vogliono sapere
di accogliere quote di migranti, ma
che facilita i rimpatri dei cosiddetti
migranti economici.
Di fronte alle «maggiori restrizioni alle frontiere» introdotte nel 2016
e dopo la chiusura della rotta balcanica, i viaggi si fanno «sempre più
pericolosi, lungo rotte diversificate,
sempre più spesso in balia dei trafficanti». Il numero di morti avvenute
nel Mediterraneo nel 2016 è il più
alto mai registrato: la drammatica
media è di una persona ogni 40 che
hanno intrapreso la traversata. Inoltre, dei 4579 morti in mare, si ritiene
che almeno 700 fossero minori.
Un dato impressionante è costituito proprio dal numero crescente
di minori non accompagnati o separati, oltre 25.000 nel 2016, che rappresenta il 14 per cento di tutti gli
arrivi registrati in Italia durante
l’anno scorso, un numero più che
raddoppiato rispetto all’anno precedente. E a questa realtà l’agenzia
per l’infanzia Unicef ha dedicato il
suo rapporto intitolato «Un viaggio
mortale per i bambini» pubblicato
ieri, in cui documenta di minori
abusati e vittime di violenze di ogni
genere e chiede «misure stringenti
per proteggere i bambini migranti e
un sistema di passaggi sicuri».
L’Unicef ha anche denunciato le
inaccettabili condizioni nei centri di
detenzione in Libia — 34 in tutto
quelli identificati, 24 gestiti dal governo e dieci dalle milizie — spiegando di avere accesso a meno della
metà dei centri che dipendono dal
governo libico, ma dicendosi certa
di violenze all’ordine del giorno, lavoro forzato, torture.
E c’è chi avverte che, nel dramma
di chi tenta la traversata, bisogna
prestare «attenzione a non farsi
complici, anche se involontari, dei
trafficanti». A lanciare l’allarme è
stato il capo dell’agenzia Ue a salvaguardia delle frontiere comunitarie (Frontex), Fabrice Leggeri, che
ha sottolineato che le ong impegnate nel salvataggio dei migranti al
largo delle coste libiche in troppi
casi fanno il gioco dei trafficanti di
disperati, perché «spingendosi sempre più vicine alle coste libiche rendono ancora più facile il lavoro dei
criminali». «I trafficanti, infatti,
convincono sempre più disperati a
salire su barche sempre più insicure,
con acqua e carburante insufficienti
rispetto agli anni passati, forti del
fatto che saranno salvati da navi vicine». Leggeri, dunque, ha chiesto
alle ong di collaborare più attivamente con le organizzazioni governative e le agenzie di sicurezza, ricordando che il 40 per cento delle
missioni di salvataggio nelle acque
nordafricane «sono effettuate da
ong che secondo il diritto della
navigazione hanno, come tutti, l’obbligo di salvare le persone in difficoltà». Intanto, Bruxelles sembra
aprire la strada alle procedure di infrazione sui ricollocamenti, lancian-
do il suo ultimatum a quei paesi
che non tengono fede agli impegni
di redistribuzione di 98.255 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia.
Ma l’Ue sembra accelerare anche
sulle politiche dei rimpatri dei migranti economici, sollecitando gli
stati a trattenere in centri chiusi le
persone pronte a essere allontanate.
Secondo indiscrezioni di stampa,
sono questi i punti centrali del nuovo pacchetto sulla migrazione che
l’esecutivo comunitario sta finendo
di mettere a punto, in vista della
pubblicazione domani, dopo l’approvazione dei commissari.
Domani il numero di marzo di «donne chiesa mondo»
Donne e Riforma
Lucas Cranach il Giovane, «Predica di Martin Lutero» (particolare)
Un romanzo di Vladimir Volkoff
L’invitato
del Papa
Operazione di soccorso di migranti in mare (Ansa)
JUAN MANUEL
DE
PRADA
A PAGINA
4
La Riforma vista da donne in dialogo, impegnate nel confronto teologico e nell’ecumenismo della carità: così il mensile dell’Osservatore Romano celebra nel numero di marzo — in allegato gratuito all’edizione di domani — il quinto centenario della pubblicazione delle tesi di Lutero. Riflessioni e testimonianze che raccontano il cammino compiuto in questi
ultimi decenni: «un ecumenismo — sottolinea Lucetta Scaraffia nell’editoriale — non di dichiarazioni e di commissioni, ma di sostanza».
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mercoledì 1 marzo 2017
Bandiere di fronte alla sede
dell’Unione europea
Respinto dalla camera dei Lord l’emendamento che avrebbe vincolato il governo May a difendere il mercato unico
Via libera
a una hard Brexit
LONDRA, 28. Un altro passo in avanti verso la Brexit. Ieri la camera dei
Lord ha respinto, con un risultato
più netto delle aspettative, un emendamento pensato per vincolare l’esecutivo a cercare di rimanere nel mercato unico pur uscendo dall’Ue.
I «no» sono stati 299, i «sì» 136.
A favore ha votato un gruppo di laburisti guidati da lord Mandelson,
che ha ribadito che «uscire dal mercato unico sarà un disastro per l’economia del Regno Unito». Gli altri
esponenti dell’opposizione, più vicini all’attuale leader del Labour, Jeremy Corbyn, hanno rifiutato d’associarsi, giudicando l’emendamento
velleitario.
Uno solo dei conservatori ha dato
il suo voto all’emendamento che non
è passato: l’ex premier John Major,
che continua a definire l’uscita del
Regno Unito dall’Unione europea
«un errore storico». E, in particolare
in questa occasione, Major ha messo
in guardia il governo di Theresa
May sugli svantaggi che porterebbe
una Brexit «troppo dura». L’ex leader conservatore, pur ammettendo
che il governo non poteva «ignorare
la decisione» di quel 52 per cento
dei britannici che ha votato per il
«Leave» al referendum del 23 giugno, ha sottolineato che una Brexit
«dura» è un’altra cosa: significa
«scegliere una strategia ad alto rischio». Secondo John Major, che ha
parlato nella sua prima apparizione
pubblica dopo il referendum sulla
Brexit, il rischio è che «l’accordo finale sull’uscita dall’Ue sia molto al
di sotto delle speranze e delle aspettative eccessivamente ottimistiche dei
britannici».
Intanto, il premier britannico
Theresa May ha fatto sapere che
non ci dovrebbe essere nessun secondo referendum sull’indipendenza
della Scozia e ha poi smentito notizie di stampa secondo le quali ci sono state decisioni su un eventuale
stop alla libera circolazione dei cittadini Ue in Gran Bretagna.
Di stretta alla libera circolazione
nel Regno Unito si è cominciato a
discutere subito dopo il referendum.
Ma in questi giorni, in particolare, si
è parlato di provvedimenti possibili
a partire dalle prossime settimane
per i cittadini Ue che pensano di
I separatisti
di Lugansk
adottano il rublo
come moneta
KIEV, 28. Il rublo diventerà l'unità
monetaria di base dell’autoproclamata repubblica popolare di Lugansk,
la
regione
separatista
russa
nell’Ucraina orientale. Lo riporta un
dispaccio dell’agenzia di stampa russa Ria Novosti, che cita un decreto
pubblicato ieri sul sito del consiglio
dei ministri.
Nel documento, si sottolinea che
il rublo è diventato la moneta ufficiale di Lugansk «con l’obiettivo di
adottare misure per la stabilizzazione del sistema finanziario e monetario, nonché per l’implementazione
delle operazioni finanziarie nel territorio della repubblica popolare principalmente in rubli russi». Il decreto
— si legge nel testo — entrerà in vigore dal 1° marzo.
E se i nazionalisti continueranno
il blocco ferroviario del Donbass, altra regione dell’est ucraino, le autoproclamate repubbliche di Donetsk e
Lugansk interromperanno da domani le forniture di carbone in Ucraina. Lo hanno dichiarato congiuntamente in una nota i due leader filorussi, Igor Plotnitsky e Alexander
Zakharchenko.
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trasferirsi al di là della Manica. È
stato in particolare il quotidiano
«Daily Telegraph» a riferire che il
premier Tory Theresa May ha l’intenzione di affermare il prossimo
mese che gli immigrati in arrivo dal
continente dopo l’avvio dell’articolo
50, previsto entro la fine di marzo,
non avranno più automaticamente il
diritto di rimanere in modo permanente nel paese. Non solo, secondo
il quotidiano, potranno anche essere
soggetti a un visto di lavoro e vedersi limitare l’accesso ai benefit. Precisamente, il giornale conservatore ha
ipotizzato una scadenza intorno al 15
marzo, che faccia da spartiacque per
gli immigrati comunitari ai quali verranno garantiti o meno i diritti di residenza. Finora il governo ha spiegato che non intende prendere decisioni unilaterali prima che sia raggiunto un accordo con Bruxelles sul futuro dei cittadini Ue residenti nel
Regno e i cosiddetti expat britannici
che vivono nel continente. Ma ha
anche ricordato che «il principio di
libera circolazione come lo conosciamo è destinato a cambiare».
Camera dei Lord a Londra (Afp)
La Danimarca
resta nell’Ue
senza referendum
COPENAGHEN, 28. Niente referendum in Danimarca sull’adesione
all’Unione europea. A escluderlo
sono il primo ministro danese,
Lars Løkke Rasmussen e la leader
dei socialdemocratici Mette Frederiksen. Sono intervenuti dopo
che l’euroscettico Kristian Thulesen Dahl, del Partito popolare,
aveva parlato della necessità di
una consultazione sulla scia della
decisione della Gran Bretagna di
lasciare l’Ue.
Le dichiarazioni che escludono
l’ipotesi di un referendum sono
state fatte nel corso del dibattito
sul futuro dell’Unione europea
andato in onda lunedì sera sulla
radio pubblica DR. «Un referendum non è necessario. È abbastanza chiaro che c’è una maggioranza parlamentare molto ampia
che vuole che la Danimarca rimanga in Europa», ha affermato
Rasmussen, affermando che «non
si farà nessuna consultazione a
meno che le cose non cambino».
Da parte sua, Mette Frederiksen, leader dei socialdemocratici,
ha chiarito che il suo partito
«non ha mai desiderato di indire
un referendum e non lo farà».
Frederiksen ha aggiunto di ritenere che la proposta di Thulesen
Dahl di uscita dall’Ue è «una
scommessa contro la pace e la sicurezza dell’Europa». Ha dunque
ribadito che in nessun modo il
suo partito può sostenerla.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Gaetano Vallini
BRUXELLES, 28. Se vince Marine
Le Pen, l’Unione europea rischia la
disgregazione. Se perde, l’Ue a due
velocità — con un gruppo di paesi
che puntano a legami ancora più
stretti — si avvicina.
Gli analisti, a Bruxelles, come
nelle principali capitali europee,
hanno pochi dubbi: saranno soprattutto le presidenziali in Francia
a decidere il destino dell’Ue, già
ferita dalla Brexit e dal dilagare
dell’euroscetticismo.
Rivolta nei licei parigini
PARIGI, 28. Sedici adolescenti sono stati fermati questa
mattina in seguito agli incidenti avvenuti in diversi
istituti scolastici dell’hinterland di Parigi. Gravi disordini sono stati registrati anche in alcuni licei del centro. In particolare, al liceo Jules Ferry, nel IX arrondissement, il preside è rimasto leggermente ferito da un
proiettile. Una manifestazione è stata inoltre organizzata sul Cours de Vincennes, la grande strada che collega la Place de la Nation a Porte de Vincennes. Continuano così proteste e tensioni nella capitale francese
dopo il caso della brutale aggressione subita dal ventiduenne Théo da parte di agenti della polizia. Per
quell’aggressione un poliziotto è accusato di stupro e
altri tre di violenze di gruppo.
Lo stesso Théo ha chiesto di fermare qualunque
escalation di odio e violenza ma la protesta dei giovani si sta allargando e non riguarda più solo le periferie
ma anche il centro cittadino dove in almeno sei istituti
gruppi di studenti hanno bloccato le lezioni e qualunque attività didattica.
La protesta dei giovani a Parigi (Ap)
sidenza di turno dell’Unione.
Il capitolo 26 è stato subito chiuso dal momento che nel settore
istruzione e cultura non vi sono criteri comuni in fatto di armonizzazione comunitaria. Finora Belgrado,
sul totale di 35 capitoli negoziali, ne
ha aperti otto chiudendone due.
Commenti positivi sono giunti da
Hahn e Grek, che hanno sottolineato i progressi e il lavoro concreto
realizzato dalla Serbia in fatto di riforme. Secondo il commissario
all’allargamento, entro quest’anno
sicuramente la Serbia potrà aprire
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Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
segretario di redazione
Unione
in bilico
Dalle periferie la protesta si estende anche al centro
Aperti altri due capitoli negoziali
per l’adesione della Serbia all’Unione europea
BELGRAD O, 28. La Serbia ha aperto ieri altri due capitoli nel negoziato di adesione all’Ue (il 20, su
imprese e politica industriale, e il
26, relativo a istruzione e cultura).
L’annuncio è stato dato nel corso di una conferenza intergovernativa Ue-Serbia, la quinta, tenutasi
a Bruxelles, alla quale hanno preso parte il ministro serbo per l’integrazione
europea,
Jadranka
Joksimović, il commissario Ue
all’allargamento, Johannes Hahn,
e il vicepremier maltese, Luis
Grek, in rappresentanza della pre-
Tra due velocità e disgregazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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ulteriori capitoli nel negoziato con
Bruxelles. Soddisfazione ha espresso anche il capo della delegazione
Ue a Belgrado, Michael Davenport,
secondo il quale «la Serbia si avvicina sempre più alla Ue». Il
premier serbo, Aleksandar Vučić, da
parte sua ha parlato di una «buona
notizia e di un importante
messaggio agli investitori». «Il futuro europeo porta stabilità e benessere nei Balcani occidentali, per
questo l’allargamento è una priorità
dell’Unione europea», ha osservato
Grek.
Segreteria di redazione
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Solo la Germania sembra offrire
una quasi certezza: salvo clamorosi
colpi di scena, il futuro cancelliere
(si vota a settembre) non sarà un
euroscettico. Verrà riconfermata
Angela Merkel o a sostituirla sarà
l’ex presidente dell’europarlamento,
Martin Schulz. Una vittoria della
populista
di
Alternative
für
D eutschland, Frauke Petry, molto
indietro nei sondaggi, sembra al
momento non plausibile. Un premier anti-Ue non è invece un’ipotesi da scartare in Olanda, dove si
vota il prossimo 15 marzo. Molti
sondaggi indicano la vittoria
dell’euroscettico Geert Wilders. Ma
i riflettori sono soprattutto puntati
verso la Francia, dove le presidenziali sono in calendario il 23 aprile
(con il ballottaggio il 7 maggio). In
uno degli ultimi comizi, Marine Le
Pen, la candidata del Front National, ha avuto parole chiarissime:
«Se vinco, ha detto, ci sarà un referendum sull’Ue entro sei mesi». E
una “Frexit” sancirebbe verosimilmente la fine dell’Unione europea,
che perderebbe uno dei suoi capisaldi.
L’idea di un’Europa a più velocità, con cooperazioni rafforzate tra i
paesi, non è nuova: a lanciarla fu
negli anni novanta Jacques Delors,
ministro dell’economia e delle finanze francese e presidente della
commissione europea (1985-1995).
Negli ultimi giorni è stata la
Germania di Merkel, insieme con il
Benelux (Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo), Francia e Italia, a rilanciare la doppia velocità, già in vigore in settori come la moneta unica e la libera circolazione delle persone. Cioè i sei paesi fondatori della Cee, pronti a creare più Europa
in vari settori. In Francia, Emmanuel Macron, il candidato indipendente tra i favoriti, è pronto a una
maggiore integrazione europea,
mentre François Fillon, dei Rèpublicains, più euroscettico, auspica
comunque una governance economica europea, come suggeriva Delors.
Se vincerà Marine Le Pen (e il
suo Front National controllerà l’assemblea nazionale dopo le elezioni
politiche dell’11 e del 18 giugno), al
momento non sembra esserci nessun piano di riserva. Ma Germania, Belgio e Lussemburgo (e forse
i Paesi Bassi), tutti paesi confinanti
tra di loro, tenteranno senza dubbio di mantenere mercato e moneta
unica.
Contrasti a Bruxelles
sul controllo delle emissioni nocive
BRUXELLES, 28. Le posizioni tra i
paesi europei sono ancora distanti,
in apertura dalla riunione dei ministri dell’ambiente dell’Ue. Summit
chiamato a decidere sul futuro del
mercato delle emissioni delle industrie ad alto consumo di energia
(Ets), uno degli strumenti fondamentali per il raggiungimento degli
obiettivi dell’accordo di Parigi sul
clima. La spaccatura è tra paesi che
vogliono più potere (Francia, Lussemburgo, Svezia, Paesi Bassi) per
risolvere il problema del surplus di
quote che sta soffocando l’Ets, e al-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
tri (come Portogallo e Polonia) che
sono in posizione opposta. Entrambi gli schieramenti hanno presentato in queste ore proposte che si allontanano in modo sostanziale dal
testo di compromesso avanzato dalla presidenza maltese la scorsa settimana. L’ago della bilancia potrebbero essere Germania e Italia, ma
l’esito del summit resta molto incerto. Non manca — indicano gli analisti — chi scommette sul fallimento
del negoziato, con un accordo destinato a essere raggiunto non prima di giugno.
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pagina 3
Il capo di stato maggiore Dunford
insieme al segretario alla difesa Mattis (Ap)
Tra Israele e l’amministrazione statunitense
Non c’è accordo sulle colonie
Elaborati dal Pentagono
Alla Casa Bianca
i piani contro l’Is
BAGHDAD, 28. Il Pentagono ha inviato alla Casa Bianca i piani anti-Is.
Secondo quanto riporta la Cnn, sul
tavolo del presidente Donald Trump
sono arrivate le opzioni preliminari
per la lotta al sedicente stato islamico, nel rispetto della tabella di marcia chiesta da Trump che aveva concesso 30 giorni di tempo al segretario alla difesa James Mattis per presentare alla Casa Bianca un piano
d’azione che il tycoon ha fortemente
promesso in campagna elettorale.
Il comandante dell’offensiva governativa irachena per strappare Mosul all’Is, generale Abdul Amir Yarallah, ha detto che oggi le forze lealiste hanno conquistato un altro
quartiere nell’ovest della città, Haj al
Jawsaq, prendendo l’intero controllo
del cosiddetto Quarto Ponte sul fiume Tigri. In precedenza, fonti militari avevano riferito che era stato riconquistato il quartiere di Tayaran,
sempre sulla sponda occidentale. I
combattimenti proseguono intensi in
quattro aree residenziali alla periferia
meridionale e occidentale di Mosul.
Le fonti ammettono che l’avanzata
procede lentamente a causa dell’uso
di autobombe e cariche esplosive da
parte dei jihadisti dello stato islamico. Allo stesso tempo, anche i raid
aerei della coalizione internazionale
a guida americana sono diminuiti di
intensità per il timore di colpire
obiettivi civili.
La riconquista della parte ovest
non è ancora giunta a una svolta,
ma si sa per certo che rinascerà a
Mosul lo splendido museo archeologico che ospitava i reperti di Nimrud. Mentre l’offensiva militare prosegue, con l’esercito iracheno che
pochi giorni fa è entrato per la prima volta nell’area occidentale della
città, un’altra battaglia è di fatto già
cominciata: quella che vede una
équipe di archeologi iracheni formatisi al British Museum in prima linea
nei progetti di ricostruzione e salvaguardia del patrimonio culturale e
archeologico dell’Iraq, millenaria
culla della civiltà. Una civiltà che in
questi anni è stata prima minacciata
e poi attaccata dai miliziani di
Daesh, che puntavano alla sua completa cancellazione.
«Una volta che la città sarà liberata, partirà un enorme piano di ricostruzione del museo di Mosul, con i
nostri archeologi che entreranno per
la prima volta nel museo per fare le
prime valutazioni dei danni», afferma Sebastien Rey, a capo del programma di formazione per la gestione del patrimonio iracheno, che oggi
guida il team che sta effettuando le
prime valutazioni nel sito di Nimrud
(che si trova all’interno dell’area già
liberata).
GERUSALEMME, 28. «L’ingresso di
Donald Trump (alla Casa Bianca)
rappresenta una occasione storica,
ma bisogna comprenderne i limiti.
Sulle costruzioni (negli insediamenti ebraici) non c’è un accordo. Metteremo a punto un apparato per
elaborare intese che finora non ci
sono»: lo ha detto il premier Benjamin Netanyahu, secondo Haaretz,
in un incontro a porte chiuse con i
membri della lista parlamentare del
Likud. «Le cose — ha aggiunto —
non sono così semplici come pensate». Netanyahu ha poi confermato
di aver respinto, durante la sua
recente visita in Australia, la proposta di dislocare a Gaza forze internazionali nel contesto di accordi di
pace. In merito, secondo Haaretz,
ha precisato che Israele ha maturato
esperienze negative con gli osservatori europei dislocati al confine fra
Gaza e il Sinai egiziano e con la
forza multinazionale di osservatori
nel Sinai.
«Non accetteremo la continua aggressione israeliana a Gaza». È l’avvertimento lanciato da Hamas dopo
i raid aerei israeliani che hanno causato quattro feriti a Gaza, in risposta al lancio di un razzo dalla Striscia. «Israele sarà pienamente re-
sponsabile per l’escalation nella
Striscia e per l’aggressione contro
civili e forze di resistenza, non accetteremo la creazione di un nuovo
status quo», riferiscono i giornali
israeliani citando una nota diffusa
dal movimento islamista.
I jet con la stella di Davide hanno colpito una base di Hamas a
ovest del campo profughi di
Un razzo lanciato dalla striscia di
Gaza è esploso la scorsa notte nel
Neghev occidentale, senza provocare vittime né danni. Lo ha riferito
un portavoce militare israeliano. Si
tratta del quarto lancio di razzi da
Gaza dall’inizio dell’anno. Di recente in una zona vicina sono anche
esplosi due razzi provenienti dal Sinai egiziano.
Militare israeliano cerca di fermare un giovane colono durante una protesta in Cisgiordania (Ap)
Missione in Kazakhstan, Tadjikistan e Kyrgyzstan
Allarme delle Nazioni Unite
Putin rilancia
la cooperazione asiatica
Grave rischio carestia
nello Yemen
ASTANA, 28. I colloqui che si sono
svolti ad Astana, in Kazakhstan,
per cercare di trovare una soluzione
politica alla crisi in corso in Siria
hanno permesso di dare nuova linfa ai negoziati di pace sponsorizzati dalle Nazioni Unite a Ginevra. È
quanto ha sostenuto il presidente
russo, Vladimir Putin, ieri durante
una visita in Kazakhstan. Nel primo round di colloqui che si sono
svolti a gennaio ad Astana la Russia e l’Iran, alleati del presidente siriano Bashar Al Assad, e la Turchia, che invece si oppone al regime di Damasco, hanno riaffermato
la volontà di rispettare l’accordo
sul cessate il fuoco tra ribelli e governo.
«È stato creato un meccanismo
di controllo del cessate il fuoco,
che è la cosa più importante» ha
detto Putin ai giornalisti durante la
visita. «Queste sono le fondamenta
che hanno permesso ai negoziati di
Ginevra di riprendere».
Il presidente russo ha incontrato
il capo di stato del Kazakhstan,
Nursultan Nazarbayev, ad Almaty.
Questa serie di visite coincidono
con il 25° anniversario di relazioni
diplomatiche della Russia con Kazakhstan, Tadjikistan e Kyrgyzstan.
Nella stessa giornata, il capo del
Cremlino è arrivato in Tadjikistan.
Nella capitale, Dušanbe, il leader
russo ha avuto colloqui con il pre-
sidente Emomali Rahmon e ha firmato una serie di accordi. Oggi si
recherà in Kyrgyzstan.
Intanto, c’è attesa per l’incontro
tra Putin e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che si terrà a
Mosca il 9-10 marzo. Lo ha detto
l’addetto stampa presidenziale,
Dmitry Peskov, confermando la visita del presidente turco in Russia.
In precedenza, la televisione turca
ha riferito che il presidente Erdoğan arriverà in visita a Mosca il
9-10 marzo. «Sì, tali negoziati sono
in programma» ha detto Peskov secondo Ria Novosti e Sputnik. I temi cruciali saranno due: il rilancio
delle trattative sulla crisi siriana e il
rafforzamento della lotta al terrorismo internazionale.
to: il suo corpo fu trovato sullo yacht
su cui viaggiavano. Lui era stato portato invece nella giungla. Qui, i suoi
aguzzini lo avevano filmato in due
video: il primo a dicembre, quando,
con un manifesto alle spalle nei colori della bandiera tedesca con su scritto “la mia ultima ora”, chiedeva alla
Germania di pagare il riscatto preteso
dai sequestratori.
Il secondo messaggio risale invece
al 13 febbraio: con le lacrime agli occhi, l’uomo annunciava che la sua
esecuzione era fissata per il 26 febbraio, se non fossero stati pagati
570.000 euro di riscatto.
Ma il governo delle Filippine, che
combatte Abu Sayyaf, e che ha affermato di aver fatto ogni sforzo per risolvere il caso, dando la caccia ai responsabili, è contrario per principio
al pagamento dei riscatti. Già in passato Abu Sayyaf aveva colpito diverse
volte con il rapimento di turisti.
SANA’A, 28. Le Nazioni Unite tornano a puntare i riflettori sulla crisi
yemenita, lanciando l’allarme carestia. Oggi il coordinatore degli aiuti
umanitari, Stephen O’Brien, ha detto che il paese, dilaniato dalla guerra, è di fronte a «un grave rischio
per la popolazione se la comunità
internazionale non accelererà i tempi dell’invio di finanziamenti» lega-
Emergenza per quattro milioni di persone
Santiago del Cile senz’acqua
SANTIAGO DEL CILE, 28. Almeno
quattro milioni di persone sono rimaste senz’acqua potabile a Santiago del Cile a causa delle piogge
torrenziali e delle conseguenti frane che hanno contaminato il fiume Maipo.
Le autorità locali, riporta l’emittente britannica Bbc, sono state
costrette a interrompere le fornitu-
re di acqua potabile in attesa che
il livello delle acque del fiume che
alimentano il sistema idrico torni
alla normalità. A causa dello straripamento di corsi d’acqua e al
crollo dei ponti almeno tre persone hanno perso la vita e altre diciannove risultano disperse.
Un portavoce di Aguas Andina,
la società che gestisce le forniture
Terroristi di Abu Sayyaf
uccidono un ostaggio tedesco
MANILA, 28. La scadenza per pagare
il riscatto era prevista per il 26 febbraio alle 8. E ieri il gruppo terroristico Abu Sayyaf ha annunciato di
aver decapitato il velista tedesco Jurgen Kantner, 70 anni, con un video
della cruenta eliminazione messo su
internet. È questo l’ennesimo agghiacciante epilogo del rapimento di
un turista europeo da parte di terroristi fondamentalisti. Un «atto barbarico», condannato dal governo di Manila. Un fatto «abominevole» ha detto il cancelliere tedesco Angela Merkel «che incita a combattere in modo
anche più risoluto il terrorismo».
La terribile prigionia di Jurgen è
durata quasi quattro mesi. Era stato
intercettato dai terroristi il 5 novembre scorso, nelle acque fra la Malesia
e le Filippine, insieme alla moglie Sabine, 59 anni. La donna aveva provato a resistere, minacciando con un’arma i rapitori, ed era stata uccisa subi-
Nousseirat e due posti di osservazione della stessa organizzazione
islamista a est di Khan Younes. In
precedenza, all’alba un razzo lanciato da Gaza aveva colpito una zona
disabitata nel sud di Isreale. A inizio del mese di febbraio la stessa
area era stata colpita da razzi sparati da elementi dell’Isis presenti nel
Sinai egiziano.
idriche nella capitale cilena, ha riferito che le continue piogge rendono difficili le riparazioni e per
questo non è possibile al momento
indicare una data esatta per il ritorno alla normalità. Ai ristoranti
e agli uffici pubblici è stata ordinata la chiusura per ragioni di sicurezza.
Alcuni mesi fa alcuni esperti
avevano rilevato l’inadeguatezza
degli impianti sostenendo che anche quando questi lavorano regolarmente l’acqua che giunge nelle
abitazioni e nei locali pubblici è
fortemente inquinata.
ti al programma di assistenza umanitaria. Un problema ulteriore è
rappresentato dal fatto che «le parti
in conflitto continuano a limitare
l’accesso agli aiuti umanitari», ha
aggiunto O’Brien che domenica
scorsa ha iniziato una visita nel
paese.
Circa diciannove milioni di persone, su una popolazione totale di
ventisei milioni, hanno bisogno di
aiuti alimentari, ha detto il rappresentante dell’Onu, aggiungendo in
una conferenza stampa che «sette
milioni di yemeniti non sanno se
saranno in grado di garantirsi il
prossimo pasto». L’Onu ha chiesto
due miliardi di euro quest’anno per
aiutare le persone colpite dalla
guerra nello Yemen.
Dal 2015 il paese è dilaniato da
un conflitto tra fazioni. Da una
parte gli huthi, che controllano la
capitale Sana’a e sono alleati con i
gruppi fedeli all’ex presidente Ali
Abdullah Saleh. Dall’altra le forze
leali al governo di Abd Rabbo
Mansur Hadi, con sede ad Aden.
Anche militanti di Al Qaeda e affiliati al cosiddetto stato islamico (Is)
hanno eseguito attacchi.
Secondo l’Onu, tra il marzo 2015
e l’aprile 2016 sarebbero morte fra
le 7400 e le 16.200 persone. Le cifre
sono però approssimative per la
difficoltà di reperire dati certi in un
paese difficilmente controllabile.
Ancora minacce a un centro ebraico
negli Stati Uniti
Bambini nei sobborghi della capitale cilena (Ap)
WASHINGTON, 28. È rientrato l’allarme bomba al centro ebraico Merage jewish community center in
California, ma resta il clima di tensione dopo il moltiplicarsi, nelle ultime settimane, di attacchi o di minacce contro strutture ebraiche e
soprattutto la grave profanazione
di due cimiteri, negli ultimi giorni.
Ieri, il portavoce della Casa Bianca
ha fatto sapere che il presidente
degli Stati Uniti, Donald Trump,
«condanna nei termini più forti
l’antisemitismo» e definisce «inquietanti» i fatti accaduti.
La polizia non ha trovato alcun
ordigno esplosivo, né oggetti sospetti nel centro ebraico che ieri
era stato evacuato in seguito a un
allarme credibile. Circa mille persone erano state evacuate, anche
dalla vicina scuola Tarbut V’Torah.
Solo due giorni fa è stato profanato il cimitero ebraico di Philadel-
phia, dove cento pietre tombali sono state abbattute e danneggiate.
Un atto di vandalismo analogo a
quello di solo una settimana fa a
University City, in Missouri. E che
soprattutto fa seguito a ripetuti
episodi di allarmi bomba che stanno scuotendo le comunità ebraiche
statunitensi.
In particolare, l’attacco al cimitero è stato definito «scioccante» dal
portavoce del ministro degli esteri
israeliano, Emmanuel Nahshon,
mentre il sindaco di Philadelfia,
Jim Kenney, ha assicurato che «sarà fatto il possibile per trovare i responsabili, che risponderanno davanti alla legge, perché l’odio non
è ammissibile».
Il portavoce della Casa Bianca,
Sean Spicer, ha sottolineato che,
secondo Trump, «nessun statunitense deve avere paura di professare la propria fede religiosa».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
mercoledì 1 marzo 2017
Lo scrittore
Vladimir Volkoff
di JUAN MANUEL
DE
PRADA
ello sciame di fantasie papali che sono state scritte,
spesso grossolane e fastidiose come calabroni, vale
la pena segnalare, per la
sua intelligenza e il suo amore per la
Chiesa, L’Hôte du Pape (Paris, Éditions
du Rocher, 2004, pagine 348, euro 20,30)
che in questo centenario delle apparizioni di Fátima val bene una lettura. Pubblicata per la prima volta nel 2004,
L’Hôte du Pape è una delle ultime opere
del prolifico scrittore francese Vladimir
Volkoff (1932-2005). Figlio di russi bianchi fuggiti dal bolscevismo, Volkoff è noto soprattutto per una manciata di romanzi di spionaggio, ambientati durante
la cosiddetta Guerra fredda, nei quali denuncia le strategie di manipolazione e di
disinformazione dell’Unione Sovietica e
al tempo stesso delinea personaggi di
grande complessità morale, che affrontano il problema del male e ottengono i
benefici del perdono. Monarchico convinto e fedele ortodosso, Volkoff ha pubblicato anche biografie (come quella sul
prozio Tchaikovsky) e saggi di argomento storico, religioso e politico (tra i quali
va ricordato lo splendido Le complexe de
Procuste, sull’ossessione ugualitaria); e si
è concesso il diversivo di pubblicare una
lunga serie di romanzi di facile lettura
con lo pseudonimo di “Tenente X”.
In L’Hôte du Pape, Volkoff si propone
di romanzare un tragico evento storico,
la misteriosa morte dell’arcivescovo Nikodim, metropolita di Leningrado, il 5
settembre 1978, tra le braccia di Papa
Giovanni Paolo I, a cui aveva chiesto
un’udienza privata con la massima urgenza. Dopo la sua morte, lo stesso Giovanni Paolo I avrebbe detto, visibilmente
emozionato: «Vi assicuro che nella mia
vita non avevo mai ascoltato parole così
belle sulla Chiesa cattolica come quelle
da lui pronunciate, so che ha sofferto
N
Giovanni Paolo
I
Il romanzo di Vladimir Volkoff tra immaginazione e realtà
L’invitato del Papa
anche la Vergine santissima che sessant’anni fa annunciò ai bambini di Fátima che la Russia sarebbe tornata a essere
un popolo libero. Nikodim alla fine mi
ha chiesto di benedire e di pregare per il
popolo russo. Cosa che ho fatto con tutto il cuore e che continuerò a fare». Cominciarono subito a circolare voci secondo cui Nikodim poteva essere stato avvelenato dal KGB; e, dopo la sua morte, ci
fu nella Chiesa ortodossa russa una violenta reazione anticattolica, che era senza
dubbio ciò che i settori sovietici più immobilisti intendevano provocare.
Nel prologo del romanzo, Volkoff rivela il suo intento: il compito del romanziere «consiste nell’immaginare ciò che è
probabile più che nello scoprire ciò che è
sconosciuto». A tal fine crea un perso-
con il metropolita Nikodim e il cardinale Willebrands (5 settembre 1978)
tanto per la Chiesa e ha lavorato moltissimo per l’unità dei cristiani, la sua morte è un segno profetico del nostro pontificato. Nikodim mi ha detto: “La storia
del nostro popolo è sempre scritta con il
sangue”. Ed io gli ho risposto: Però ora
c’è una promessa solenne di Maria, la
Madonna di Fátima, che ha detto: “Alla
fine la Russia si convertirà e ci sarà la
pace”. Lo ha detto anche a me suor Lucia a Coimbra. Non sappiamo quando
giungerà la pace, ma la speranza è forte
in tutti noi. Sarà Dio, solo Dio, a liberare i popoli della Russia e dei paesi
dell’Est. È impossibile che tanto sangue,
tanto dolore e tante sofferenze e preghiere non siano ascoltate. Lo sa Dio e lo sa
naggio immaginario, l’arcivescovo Ilia
Galkine, la cui biografia, il cui temperamento e la cui età non corrispondono a
quelli di Nikodim; invece decide di presentare Giovanni Paolo I senza maschere
né travestimenti, così com’è stato, in un
ritratto pieno di ammirazione e delicatezza. Volkoff ritrae Luciani come un uomo
raggiante di amore verso i poveri, che,
all’epoca in cui è patriarca di Venezia,
accoglie mendicanti, prostitute e vagabondi, mantenendoli con il denaro ottenuto dalla vendita della croce di pietre
preziose e della catena d’oro (appartenenti a Pio XII) che gli aveva donato
Giovanni XXIII quando lo aveva nominato vescovo. Diffidando dei maneggi della
banca e della sua influenza sulle sfere vaticane, Luciani non indugia a deplorare,
citando Dante: «Ahimè, Costantino,
quanto male ha causato non la tua conversione, ma quella donazione che da te
ebbe il primo ricco papa». Sebbene ritenga di non essere fatto della «pasta dei
papi», Luciani accetta l’elezione perché
crede fermamente che, se il Signore gli
ha imposto l’onere del papato, gli darà
anche le forze per sopportarlo. E, benché
il suo carattere bonaccione e semplice
non assomigli assolutamente a quello di
un rivoluzionario, vuole innanzitutto allontanare la Chiesa da quegli affari, affinché, «se Gesù Cristo tornerà sulla terra, possa riconoscerla».
Di fronte all’umile Luciani si erge la figura dell’arcivescovo Ilia Galkine, un uomo duro, con grandi doti da leader, cresciuto nella più ferrea disciplina comunista (sebbene battezzato in segreto dalla
nonna), che si oppone eroicamente all’invasione tedesca e diventa presto il più
giovane generale dell’Armata rossa. Ma
le atrocità a cui ha assistito durante la
guerra (e anche qualche atrocità che lui
stesso ha commesso, intrappolato nella
spirale di sangue), lo spingono a cercare,
pentito, la pace in un monastero, dove
entra come monaco laico, prima di accedere al sacerdozio. Inizierà presto a distinguersi per le sue doti e per i suoi abnegati servizi, al punto che il patriarca
russo Alexis I gli propone di offrirsi al
KGB come infiltrato, assumendo il ruolo
di “agente doppio” a beneficio della
Chiesa ortodossa. La richiesta angoscia
Ilia; ma alla fine accetta, pensando che
così potrà parare molti colpi del nemico,
anche a costo della sua immolazione personale. E, di fatto, Ilia ottiene il rispetto
di Yuri Andropov, direttore del KGB e
massimo rappresentante del settore “liberale” del Partito Comunista, il cui sviluppo è visto con sfiducia dagli “aurochs”
(tori), come venivano chiamati scherzosamente i nostalgici dello stalinismo. Nominato arcivescovo di Leningrado, Galkine avrà accesso a un rapporto del KGB su
un giovane cattolico arrestato perché divulgava tra la popolazione le apparizioni
della Madonna di Fátima. Galkine intercede per il giovane, s’interessa alle apparizioni e le esamina nei dettagli: scopre
così che sono avvenute tra maggio e ottobre del 1917 (proprio quando la Russia
stava affrontando il momento più tragico
della sua storia); che l’angelo delle visioni ha invitato i pastorelli a comunicarsi
sotto le due specie (come si è sempre fatto nel rito orientale) e a pregare per la
comunione dei santi; e che, infine, la
Vergine ha chiesto la partecipazione di
“tutti i vescovi” alla consacrazione della
Russia al suo cuore. Galkine sa bene che
Musica sacra
«Musica e Chiesa: culto e cultura a 50 anni
dalla “Musicam Sacram”» è il tema del
convegno che si svolge dal 2 al 4 marzo al
centro congressi Augustinianum, a Roma.
L’incontro — spiegano gli organizzatori — si
propone di stimolare un’approfondita
riflessione a livello musicale, liturgico, teologico
e fenomenologico, che possa tradursi in una
proposta positiva «per un culto cristiano,
espressione di lode a Dio, piacevole all’udito
nella diversità dei modelli culturali». Durante i
lavori — che saranno aperti dai saluti del
coordinatore del convegno, il vescovo Carlos
Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato
del Pontificio Consiglio della cultura, e
dell’arcivescovo Angelo Vincenzo Zani,
segretario della Congregazione per l’educazione
cattolica — sarà posto l’accento su alcune
finalità che s’intendono richiamare: conoscere i
linguaggi più idonei della musica sacra,
recuperare il patrimonio musicale, in dialogo
ecumenico e con la cultura contemporanea. Tra
gli interventi, sono previsti quelli del maestro
Michele Dall’Ongaro, presidente
dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, del
benedettino Elmar Salmann e di monsignor
Vincenzo De Gregorio.
né la Chiesa cattolica né quella ortodossa
hanno mai messo in dubbio la validità
dei loro rispettivi episcopati; e capisce
che sotto quella richiesta della Vergine ai
suoi figli c’è un amorevole anelito di unità, lo stesso espresso da suo Figlio: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo
creda che tu mi hai mandato» (Giovanni,
17, 21).
Ovviamente tale unità è irta di difficoltà. Tra il clero ortodosso, la lista delle
offese contro la Chiesa cattolica è diventata una cantilena mille volte ripetuta.
Ma ad animare Galkine è il mandato
agostiniano: In necessariis unitas, in dubiis
libertas, in omnibus caritas. Crede che papa Luciani sia un uomo disponibile che
saprà ascoltarlo, e chiede il permesso ad
Andropov di recarsi a Roma, nascondendogli, è ovvio, il suo vero intento. Il settore immobilista si organizza subito per
impedire quell’incontro; o quanto meno
per assicurarsi che non porti a nulla di
fecondo. A tal fine, i capi “aurochs” si
mettono in contatto con una società segreta italiana, chiamata Alveolo I, formata da alti funzionari, generali, banchieri e
imprenditori. Al suo vertice si trova il depravato magnate della stampa Innocento
Innocenti, principe apocrifo e pervertito
confesso. Soprannominato il “Marionettista”, perché sa come tirare i fili dell’opinione pubblica. Frivolo e assetato di piaceri aberranti, Innocenti è soprattutto un
mostro di avarizia; e quando viene a sapere che Luciani è stato eletto nel conclave esclama: «Perché quegli imbecilli di
cardinali hanno votato un uomo che non
si presterà a nessun maneggio? È una
leggerezza imperdonabile». Alveolo ha
ramificazioni nella mafia e aspira al controllo delle finanze vaticane, con l’aiuto
di alcuni elementi ecclesiastici corrotti; e
il magnate Innocenti capisce subito che
l’alleanza tra due uomini incorruttibili
come Luciani e Galkine può avere conseguenze funeste. Perciò pattuisce con i sovietici l’assassinio dell’arcivescovo russo.
L’Hôte du Pape sviluppa, a partire da
questi elementi, una gustosa trama piena
di elementi inquietanti; e ci offre un succulento ritratto dell’immaginario Galkine,
che non esita ad affrontare grandi sofferenze e ad addentrarsi fino alle porte
stesse dell’inferno (o quanto meno della
Lubianka) pur di portare a termine la
sua missione. Ma, oltre a essere un inquietante romanzo di spionaggio, L’Hôte
du Pape è anche un’opera profetica che
interpella qualsiasi cristiano impegnato.
Quando Youry, un agente del KGB che
Galkine ha convertito alla sua causa, rimprovera al protagonista la sua benevolenza verso la Chiesa cattolica e gli ricorda
la lista delle offese permesse da Roma, il
protagonista rifletterà: «Dobbiamo continuare a mettere i puntini sulle i fino alla
fine dei tempi? Essendo fratelli, non dovremmo perdonare? Però il vero segreto
del mondo, Youry, non è perdonare, ma
chiedere perdono. E se siamo stati perseguitati più di loro, e a volte addirittura
da loro, dobbiamo chiedere perdono per
questa tentazione in cui li abbiamo indotti». Quando il romanzo giungerà al
punto culminante, nell’incontro tra Galkine e Giovanni Paolo I, Volkoff abbandonerà le strategie della suspense per
mostrarci due uomini pieni di coraggio e
di nobiltà, disposti a rinunciare a sospetti
e inimicizie storiche, che espongono le
loro divergenze con franchezza e si sforzano di curare le ferite. Entrambi sanno
che cattolici e ortodossi hanno tradito
Gesù, il quale ha chiesto ai suoi seguaci
di farsi riconoscere per l’amore che provano gli uni per gli altri. E sanno che
nulla e nessuno può porre rimedio a questo tradimento meglio della Donna che è
diventata Madre del suo stesso Creatore:
«Dio — afferma Galkine, con finissima
teologia — non è un mero revisore che ritorna alla sua residenza una volta conclusa la sua ispezione sulla terra». Se Dio è
il padre dell’uomo, attraverso Maria l’uomo diventa madre di Dio. La piccola
ebrea Maria di Nazareth ha realmente allevato il buon Dio. Maria è la goccia più
pura uscita dal torchio dell’umanità; e la
distillazione di quella goccia nell’alambicco della storia umana ha dato Dio.
L’umanità sta realmente allevando Dio
ogni giorno (...). Io sono la madre di
Dio, Santo Padre, e anche lei. Siamo infimi frammenti della madre di Dio. Alla
qual cosa Luciani risponde con dolcezza:
«Anche noi crediamo in ciò, anche se lo
esprimiamo in modo diverso».
Non sveliamo qui l’ultimo bel dialogo
tra Luciani e Galkine, quando già l’arcivescovo russo, dopo aver supplicato la
consacrazione della Russia, capisce che è
Nel prologo l’autore rivela il suo intento
Il compito dello scrittore consiste
nell’immaginare ciò che è probabile
più che scoprire ciò che è sconosciuto
stato avvelenato e agonizza tra le braccia
di Giovanni Paolo I. È un brano in cui
l’interpretazione del terzo segreto di Fátima acquista una forza commovente ed
ecumenica. Sveliamo invece le ultime parole di Galkine, pronunciate in un rantolo di morte, dopo che Giovanni Paolo I
gli ha impartito l’assoluzione: «IE-DI-NA»
(«Lei è una»). Così sia.
Premio internazionale
Tommaso d’Aquino
Gilles Emery, prete domenicano svizzero, è il
vincitore del Premio Internazionale Tommaso
d’Aquino 2017. Promosso dal Circolo San
Tommaso d’Aquino dal 2010, il premio
ricompensa ogni anno le personalità distintesi
per il loro contributo nella diffusione del
pensiero del santo negli ambiti della cultura e
dell’arte. Per questa settima edizione, il
comitato scientifico del Circolo — presieduto
dal presidente della Pontificia Accademia di
San Tommaso d’Aquino, padre Serge-Thomas
Bonino — ha selezionato all’unanimità il padre
domenicano, professore di teologia
all’università di Friburgo, la cui fama
internazionale è soprattutto dovuta ai suoi
studi sulla teologia trinitaria. Il premio gli
verrà conferito sabato 4 marzo durante una
cerimonia nella chiesa romanica della
Madonna della Libera ad Aquino, alla
presenza del cardinale Gerhard Ludwig
Müller, prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede. Padre Emery pronuncerà
una lectio magistralis sul tema «Il fondamento
teologico della prassi del battesimo dei
bambini in San Tommaso d’Aquino». Negli
anni passati, il premio è andato a personalità
quali il cardinale Gianfranco Ravasi, il giurista
di Oxford John Finnis, il teologo Inos Biffi, il
domenicano Jean Pierre Torrell e i filosofi
Pasquale Porro e Ruedi Imbach della Sorbona
di Parigi.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 1 marzo 2017
pagina 5
Piccoli altari da campo
destinati ai cappellani militari
Nell’ultimo quaderno della fondazione Giovanni
XXIII
Roncalli
e la grande guerra
di EZIO BOLIS
ndimenticabile fu il
servizio che compimmo come Cappellano
negli ospedali del
tempo di guerra. Esso
ci fece raccogliere nel gemito dei feriti
e dei malati l’universale aspirazione
alla pace, sommo bene dell’umanità.
Mai come allora sentimmo quale sia il
desiderio di pace dell’uomo, specialmente di chi, come il soldato, confida
di prepararne le basi per il futuro con
il suo personale sacrificio, e spesso
con l’immolazione suprema della vita». Queste parole di Papa Giovanni
XXIII, pronunciate l’11 giugno 1959 in
un’udienza ai cappellani militari, possono ben introdurre il nuovo quaderno di «Ioannes XXIII», Annali della
Fondazione Papa Giovanni XXIII, periodico di natura scientifica che offre
studi relativi alla persona di Roncalli,
al suo magistero pastorale e spirituale
e al contesto storico nel quale si è dipanata la vita del “Papa buono”.
Nella sezione Studi viene presentato
un contributo ampio e documentato
di Goffredo Zanchi: «“Io amo l’Italia”. Don Angelo Roncalli e la Grande Guerra (1915-1918)». Anticipazione
di un saggio che apparirà entro l’anno, lo studio è suddiviso in due parti
e getta luce su uno dei periodi meno
conosciuti di colui che, da Papa,
avrebbe firmato la Pacem in terris. La
prima parte ricostruisce minuziosamente l’attività di Roncalli durante la
Grande Guerra, dapprima sergente di
sanità e poi cappellano militare negli
ospedali di Bergamo.
La seconda parte si concentra sul
patriottismo di Roncalli, dalle prime
manifestazioni durante la guerra di
Libia, fino alla conclusione della Prima guerra mondiale. Fin dai primi
giorni di guerra, egli dichiara di voler
dare una prova convincente del suo
amore verso la patria. Tale sentimento
viene espresso in solenni atti pubblici,
come la consacrazione dei soldati al
Sacro Cuore. La sua posizione nei
confronti del governo italiano si fa
molto critica dopo il rifiuto opposto
dal ministro Sonnino alla famosa Nota
di Papa Benedetto XV dell’agosto 1917.
Come osserva Roberto Morozzo
della Rocca nell’introduzione allo studio, Roncalli soffre la guerra, la subisce, la sente come un esilio. In lui gli
accenti retorici — pur presenti — sono
lontani da quelli enfatici dei nazionalisti e dei bellicisti.
Il suo patriottismo è motivato da
una visione spirituale: il cristiano non
può estraniarsi dalle situazioni storiche, ma deve viverle in profondità,
«I
l’inedito dossier relativo alla lunga
opera di edizione degli Atti della Visita Apostolica di San Carlo Borromeo a
Bergamo nel 1575, lo studio che attraversa l’intera vita di Angelo Giuseppe
Roncalli, dal primo decennio del Novecento fino all’elezione al soglio
pontificio, quando viene pubblicato
l’ultimo volume, recensito su «L’O sservatore Romano» con un articolo a
firma di don Giuseppe De Luca. Papa
Giovanni definisce la storia come «la
più felice e la più cara distrazione»
della sua vita. Però la sua ricerca non
è mossa da una sete di erudizione, ma
da interessi squisitamente pastorali.
Roncalli si convince sempre più di
quanto la ricostruzione storica costituisca un servizio alla verità e alla
Chiesa, la cui vita si svolge nella continuità di una tradizione viva che non
può essere ridotta a pura e semplice
ripetizione, ma esige un continuo “aggiornamento”.
Tessera di riconoscimento del cappellano militare Roncalli
Lo ribadisce lui stesso, ormai Papa,
nell’introduzione all’ultimo volume di
questa impresa editoriale: «Ai miei
uditori potei almeno segnalare, nei
volumi che raccolgono la mia diffusa
fatica di 50 anni, un saggio del profitto immenso che dalla pubblicazione
accurata degli antichi documenti si
può trarre a illustrazione dei periodi
più interessanti per la vita spirituale
di cui la Chiesa è animatrice perenne». Questa ricerca fa
emergere inoltre il gusto
di Roncalli per le carte e
Le poche ore di sonno che si concede
la sua confidenza con gli
archivi, e aiuta a cogliere
per assistere i feriti durante la notte
l’incidenza che lo studio
La scelta di servire gli infettivi
storico avrà sulle sue
scelte pastorali. Immere la frequenza della predicazione
gendosi nel vissuto reliIn tutto spicca una grande generosità
gioso, nella spiritualità e
nella devozione popolare, Roncalli considera la
per trarre il bene anche dal male che storia non come fredda ricostruzione
pure c’è, e cercare i fili della Provvi- dei fatti, ma come una realtà viva.
denza nella storia, comunque essa si
Infine, tra le note della sezione Arpresenti. È soprattutto nel lavoro quo- chivi di «Ioannes XXIII», una si riferitidiano che Roncalli mostra una spic- sce alle esplorazioni che Luca Testa
cata sensibilità pastorale: sempre di- ha condotto presso l’archivio del Sesponibile a stare con i soldati, stabili- minario Romano, dove Roncalli fu
sce rapporti di amicizia e legami per- alunno dal gennaio 1901 all’aprile
sonali profondi; prova compassione 1905, tranne un intervallo per il serviper chi soffre o rischia la vita. Le ani- zio di leva. Benché diverso materiale
me gli interessano tutte, una per una, sia già stato studiato e pubblicato, resiano di ufficiali borghesi o di soldati
stano ancora da indagare alcune carte
contadini. Le poche ore di sonno che
su figure che esercitarono un influsso
si concede per assistere i feriti durante
decisivo sul chierico Roncalli: per
la notte in ospedale, la scelta di servire i tubercolotici e gli infettivi, la fre- esempio, il rettore monsignor Bugariquenza della predicazione: in tutto ni, il vice-rettore monsignor Spolverispicca una grande generosità. La Pri- ni, il direttore spirituale canonico Borma guerra mondiale rappresenta per gia e il confessore padre Pitocchi.
lui anche un allargamento di prospet- Una visione d’insieme sull’ambiente
tive missionarie, di umanità, di sensi- educativo nel quale si formò il futuro
bilità, che tra l’altro lo condurrà suc- Papa, si può ricavare inoltre dal corcessivamente a scelte sempre più mo- poso questionario accuratamente compilato dal rettore nel 1904, in seguito
tivate e convinte in senso pacifista.
Nella sezione Documenti della rivi- alla visita apostolica che riguardò ansta, Alessandra Roncalli presenta che il Seminario Romano.
Ricordo l’impressione
di sgomento e di tristezza
al passaggio silenzioso
di un battaglione di alpini
attraverso via Meravigli
Niente domandare
e niente rifiutare
di ANGELO GIUSEPPE RONCALLI
ue anni or sono come oggi
me ne tornavo da Milano
vestito da sergente ad iniziare qui il mio servizio militare. Ricordo con compiacenza quei giorni così drammatici
eppure trascorsi per la grazia del
Signore con tanta placidità. La domenica 23, festa di Pentecoste, trovandomi a
S. Michele, prima di uscire per la Messa, fui informato della mobilitazione generale che comprendeva anche la mia
classe.
La celebrazione immediata del S. Sacrificio contribuì a metter subito a posto
il mio spirito adagiandolo in un completo abbandono della mia vita nelle mani,
presso il cuore di Dio.
Intesi subito una letizia interiore di
poter mostrare a fatti come io sacerdote
sentivo l’amor di patria, che poi non è
altro che la legge della carità applicata
giustamente. Tornato in seminario ordinai alla meglio le mie carte, aggiunsi alcune cose al mio piccolo testamento;
questo affidai a monsignor Rettore Re;
scesi al distretto per assumere più esatte
informazioni sulle modalità della mia
presentazione; passai in Duomo ad
ascoltare l’omelia di mgr Vescovo. Nel
pomeriggio corsi a Sotto il Monte a salutare la mia famiglia che trovai e lasciai
con calma e pronta a tutto.
L’indomani di buon ora ero a Milano
alla caserma Ospedale S. Ambrogio; nel
pomeriggio avevo ricevuto il nuovo abito militare. Dove mi avrebbero mandato? Non lo sapevo, non me ne preoccupavo soverchiamente. Non ci doveva
pensare Iddio? E ci pensò. Da un muricciolo che taglia la arcata del monastero-caserma di S. Ambrogio, girandole
tutto intorno, un sergente vociava: Occorrono soldati per Bergamo: chi è che
vuole andare a Bergamo? Un mio caro
alunno seminarista, il buon Personeni di
Bedulita mi presentò all’improvvisato e
piccolo arbitro dei miei destini militari e
fui messo senza alcuno sforzo in lista
per Bergamo. Perché non farmi racco-
D
mandare subito come cappellano militare? Parecchi anche più giovani di me
l’avevano fatto, e con poche esibizioni
ottenuto. Era cosa tanto facile in quei
giorni di completa disorganizzazione...
bastavano poche lire fatte correre al graduato che teneva la lista e di fatto so di
non pochi che riuscirono così. A me
rere un po’ qua, un po’ là dalle suore,
dalle buone sorelle di mgr Cavezzali,
per adattarmi gli abiti troppo scarsi per
la mia voluminosa persona; l’impressione di sgomento e di tristezza al passaggio silenzioso di un battaglione di forti
alpini che partivano di buon mattino,
attraverso via Meravigli ancora deserta
A me piange il cuore di non arrivare a tutto
Pubblichiamo uno stralcio del diario di
don Angelo Roncalli — la nota scritta il 26
maggio 1917 — tratto dal libro Cappellani
militari e preti-soldato in prima linea nella
Grande Guerra. Diari, relazioni, elenchi
(1915-1919), a cura di Vittorio Pignoloni
(Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,
2016, pagine 496, euro 32). «La storia —
osserva monsignor Santo Marcianò,
arcivescovo ordinario militare per l’Italia,
nella prefazione al libro — non si finisce
mai di scrivere. Ci sono sempre eventi,
avvenimenti, persone che il passato ci aiuta
a scoprire e a riportare a galla». La
raccolta, continua Marcianò, si apre con la
lettera di un santo, una figura speciale per
i cappellani militari e per tutti i fedeli: don
Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni
questo sistema non piacque: mi sarebbe
sembrato un tentar Dio. Meglio nella
umiliazione dell’abito militare secondo
le evidenti disposizioni della Provvidenza, che cercare un posto più alto forzando un po’ la mano al Signore che mi
aveva già trattato così bene. E poi il
pensiero della responsabilità del ministero di cappellano militare, specialmente
con un reggimento al fronte, mi spaventava, non tanto per il timore di perder la
vita, che è pur sempre cosa cara, quanto
di un insuccesso dannoso ai soldati e
non decoroso per
me e per la dignità
sacerdotale. Guai a
me se avessi dovuto
dire un giorno a
me stesso: In questo imbroglio mi ci
son voluto mettere
da me; ora pago il
fio della mia presunzione.
Richiamai dunque il «niente domandare e niente
rifiutare» di san
Francesco di Sales
e mi trovai contento ad onta di tutti
gli assalti del mio
amor proprio che il
Signore mi aiutò a
far tacere; e mi aiutò così bene che
per parecchi mesi
mi fece trovare naturalissimo che io
fossi sergente e
niente altro che sergente.
Le due giornate
trascorse a Milano
furono piene delle
impressioni più vaAngelo Giuseppe Roncalli tenente cappellano, con i fratelli Zaverio e Giuseppe
rie. Ricordo il cor-
XXIII, cappellano militare presso l’ospedale
di Bergamo, il quale richiede al vescovo un
aiuto perché, come egli stesso scrive, «a me
piange il cuore di non arrivare a tutto
come ardentemente desidero». La ragione
che traspare dalla sua richiesta e da tutto il
suo ministero, continua Marcianò «è in
una semplice parola, che mi sembra faccia
da sfondo a tutto il libro: l’amore. Sembra
paradossale. Nell’odio devastante e buio
che la guerra porta con sé, nel non-senso e,
spesso, nella forzatura con cui i soldati del
primo conflitto mondiale erano inviati a
combattere; nelle lacrime che rimanevano
nei loro cari (...) L’amore è ciò che i
cappellani militari hanno voluto e saputo
portare in quell’odio apparentemente
infinito».
in quell’ora, per il fronte; la visita, insieme col buono e caro chierico sergente
Giovanni Marchesi, a S. Ambrogio, al
Duomo sulla tomba di s. Carlo, al Cardinale Arcivescovo, ad altri luoghi e persone; il ritrovo di tutti i preti soldati la
sera del 25, in Arcivescovado, dove Sua
Eminenza parlò tanto bene; dove io
avrei voluto rispondergli in nome di tutti i sacerdoti lombardi presenti e poi invece non sentii il coraggio di proferir
parola; l’incontro tra il pigia pigia dei richiamati che aspettavano il turno per
provarsi gli abiti militari, col povero prete spretato [...], di non ricordo più qual
diocesi di Romagna, e la confidenza che
mi fece; poveretto, la fiducia che mi disse di avergli ispirato colle buone parole
con cui cercai di confortarlo. Quanto mi
dispiacque di non averlo più potuto incontrare! Forse era un’anima ancora capace di redenzione e di un ritorno a Dio
ed ai suoi doveri sacerdotali.
L’indomani verso mezzogiorno, accompagnando 25 uomini come fossi il
generale in capo dell’esercito d’Italia,
partivo dalla stazione di Milano per
Bergamo dove giunsi all’Infermeria Presidiaria e senz’altro il Capitano Volpi mi
annunziò che io ero destinato all’O spedale militare del Seminario. La stessa sera io ero già al mio posto, mutato di
abito, ma risiedendo nella stessa camera
presso la Cappella Maggiore, donde tre
giorni innanzi ero partito col pensiero
forse di non rivederla più.
Proprio vero che qui confidi! in Domino non minorabitur (Sir 32,28). Tre giorni
innanzi, quando li lasciai, i miei colleghi
Superiori del Seminario si condolevano
con me, il solo mobilitato per allora e
mi facevano gli auguri di buona fortuna.
A così poca distanza di tempo io ero il
solo che potevo abitare ancora nella mia
piccola camera; tutti gli altri avendo dovuto ritirarsi dalla loro per lasciare
sgombro il locale ai soldati.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 1 marzo 2017
I focolari nel solco dell’incontro di Lund
Verso una piena
e visibile comunione
di RICCARD O BURIGANA
«Lund è stata una di quelle esperienze che cambiano la vita».
Adesso però «è importante che
questo dialogo non si viva solo a
Roma o a Ginevra», ma «raggiunga le comunità locali». È
quanto sostiene Munib Younan,
dal 2010 presidente della Federazione mondiale luterana, ricordando l’incontro ecumenico vissuto in Svezia insieme a Papa
Francesco, «mio fratello in Cristo». Younan, vescovo della
Chiesa luterana evangelica in
Giordania e in Terra santa, nei
giorni scorsi a Firenze per partecipare al convegno «Rileggere la
Riforma», ha accolto l’invito del
nostro giornale a rispondere ad
alcune domande sullo stato del
dialogo ecumenico nel cinquecentenario della Riforma protestante
e sull’impegno dei cristiani nella
costruzione della pace nel mondo, in particolare in Terra santa.
Cosa rappresenta il dialogo ecumenico per la Federazione mondiale
luterana?
Per i luterani l’ecumenismo è il
centro della propria vita di fede;
per questo la Federazione ha promosso dei dialoghi bilaterali con
la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa, le Chiese riformate e gli
anglicani, delle conversazioni con
i pentecostali e i battisti, un percorso penitenziale con i mennoniti. L’ecumenismo non è solo però
un confronto teologico per capire
come superare le divisioni. Deve
cambiare il volto delle comunità,
deve penetrare in profondità
nell’esperienza quotidiana di ogni
cristiano. Una delle questioni
aperte è la recezione di quanto si
è fatto dal punto di vista del dialogo teologico proprio nella vita
quotidiana: lo spirito di Lund
può aiutare i cristiani a scoprire
che l’ecumenismo è vivere Cristo
insieme per affrontare insieme le
sfide che sono le stesse per tutti i
cristiani.
Quali saranno i temi della prossima
assemblea generale della Federazione
Lutto nell’episcopato
Alle ore 0,55 del 14 febbraio corrente, è
deceduto monsignor Casimiro Wang Milu, vescovo emerito di Tianshui, nella provincia di Gansu (Cina continentale). Aveva 74 anni. Nei primi giorni di gennaio
era stato ricoverato in ospedale a Gan’gu,
ma il 16 dello stesso mese le sue condizioni si erano aggravate a causa di un’emorragia cerebrale. Dopo due interventi chirurgici e un miglioramento iniziale, sono
subentrate nuove complicazioni, e il presule è stato trasferito all’ospedale provinciale di Lanzhou, dove le terapie non
hanno purtroppo avuto effetto.
Casimiro Wang Milu era nato il 24
gennaio 1943 a Daxiangshan, nel distretto
di Gan’gu, da una fervente famiglia cattolica. L’attuale vescovo ordinario della diocesi, monsignor Giovanni Wang Ruowang, è un suo fratello minore.
Nel 1956 Wang Milu era entrato nel seminario del Sacro Cuore a Tianshui. Durante la rivoluzione culturale venne arrestato e condannato a tre anni di prigione.
Il 16 luglio 1980, poco tempo dopo la liberalizzazione delle attività religiose, ricevette l’ordinazione sacerdotale. Pochi mesi
dopo, il 28 gennaio 1981, fu consacrato
vescovo di Tianshui da monsignor Pietro
Giuseppe Fan Xueyan, vescovo di Baoding. Nel 1983 venne ancora arrestato e
condannato a dieci anni di reclusione per
la sua attività pastorale. Nel 1993 riprese
la guida della diocesi. Il 25 luglio 2003
accettò di rinunciare al governo pastorale
diocesano.
Umile, zelante e caritatevole, il presule
viene ricordato per il suo zelo generoso.
Un gran numero di fedeli ha reso omaggio alla salma e ha partecipato ai funerali,
celebrati il 18 febbraio.
Intervista al vescovo presidente della Federazione mondiale luterana
Ecumenismo
è vivere Cristo
che si terrà a Windhoek, in Namibia, dal 10 al 16 maggio?
Ogni sette anni la Federazione
mondiale luterana tiene un’assemblea generale nella quale si
discutono le linee guida per gli
anni successivi. È un momento
importante perché si incontrano i
luterani da tutto il mondo per
condividere le esperienze delle
comunità locali. Quest’anno parleremo della Riforma, la quale
costituisce un patrimonio spirituale che richiama tutti i cristiani,
non solo i luterani, a riflettere sul
fatto che siamo stati «liberati dalla grazia di Dio», tema dell’assemblea. A Windhoek saranno
tre i punti di confronto: il primo
è ricordare a tutti che la salvezza
è gratuita e non può essere acquistata in alcun modo; si deve fuggire dall’idea che la prosperità
del singolo è una strada che conduce alla salvezza, come qualcuno è tentato di dire leggendo
qualche pagina delle sacre Scritture. Il secondo aspetto riguarda
la dignità dell’uomo: non si può
accettare la povertà, la schiavitù,
la negazione dei diritti umani, tra
i quali la libertà religiosa; i cristiani devono mettere al centro il
rispetto per ogni uomo e per
ogni donna condannando qualsiasi atto di violenza e di emarginazione. Il terzo punto concerne
la salvaguardia della creazione: ci
troviamo in un punto di “non ritorno”, come ripetono tanti scienziati; dopo gli accordi firmati a
livello internazionale le Chiese
devono lavorare per invertire la
rotta nello sfruttamento del creato in modo da intervenire sui
mutamenti climatici in atto. Non
si tratta di qualcosa che tocca luterani e cattolici ma tutto il mondo: costruire la pace e la giustizia
partendo dalla salvaguardia del
creato è un compito che deve
coinvolgere tutti.
Qual è lo stato delle relazioni tra la
Federazione mondiale luterana e la
Chiesa cattolica dopo l’incontro ecumenico di Lund?
Lund è stata una di quelle
esperienze che cambia la vita: è
stato importante viverla dopo la
redazione del documento Dal
conflitto alla comunione che ha aiutato luterani e cattolici a cercare
sempre i punti di convergenza a
partire da quanto già ci unisce; il
documento indica cinque imperativi che devono guidare il cammino ecumenico, che parte dal comune riconoscimento dell’unico
battesimo in Cristo. Nel presente
del cammino ecumenico tra luterani e cattolici acquista una valenza profetica la diaconia nei
confronti del mondo, poiché testimonia il comune impegno a favore degli ultimi. Lund è stata
possibile perché da cinquant’anni
cattolici e luterani hanno iniziato
un dialogo ecumenico che ha
prodotto dei documenti, ma soprattutto ha fatto crescere fiducia
e amicizia; ora è importante che
questo dialogo non si viva solo a
Roma o a Ginevra, ma raggiunga
le comunità locali. Nei prossimi
mesi saranno affrontate le questioni che ancora separano lutera-
ni e cattolici; si discuterà dell’ecclesiologia, della natura del ministero e della comunione ecclesiale. In questo dialogo pesa il passato di secoli di silenzio. Il nostro
passato non si può cambiare ma
non deve determinare il nostro
presente e il nostro futuro. Io sono sicuro che un giorno si potranno superare queste divisioni e
si potrà condividere il pane della
mensa eucaristica: tale cammino
non dipende da noi, ma è nelle
mani di Dio.
Come pensa che i cristiani stiano
vivendo la commemorazione del cinquecentenario della Riforma?
Ci sono tre livelli per commemorare questo anniversario: rendere grazie al Signore, insieme,
ricordandosi che questo non è
mai stato fatto prima; pentirsi per
i nostri peccati e per le nostre divisioni, sapendo bene che così
noi possiamo vedere Cristo nel
volto dell’altro; vivere questo anniversario in uno spirito ecumenico, cioè promuovere una missione
condivisa nel mondo, soprattutto
nel sud del mondo, dove più diffuse sono le situazioni di povertà.
Commemorare insieme la Riforma significa così chiedersi cosa la
Riforma dice a ciascuno di noi,
sapendo bene che essa non si è
conclusa nel XVI secolo ma resta
viva nello spirito dell’espressione
ecclesia semper reformanda che rinvia alla dinamicità di Cristo, il
quale ci invita ad affrontare le sfide presenti. Concordo con Papa
Francesco quando chiede di portare «il pulpito per la strada» in
modo da rivolgersi a tutti: il
mondo ha bisogno della Parola
di Dio in un tempo in cui si diffonde sempre più la secolarizzazione e si avverte l’assenza di leader mondiali.
Qual è il suo giudizio sulla situazione della Terra santa?
In questo momento non sono
ottimista, la pace sembra lontana,
negli ultimi giorni la soluzione
dei due stati è stata messa in discussione. Non esiste altra strada
che quella del dialogo: la città di
Gerusalemme non deve essere divisa ma condivisa diventando un
luogo di dialogo. Ho anche paura per i cristiani del Medio oriente per la tentazione di lasciare
tutto e partire per un altro paese;
di fronte a questa tentazione, che
ha già portato tanti cristiani a
partire, ci si deve chiedere cosa
sarebbe il Medio oriente senza
cristiani. Proprio per provare a
invertire la rotta si deve promuovere la giustizia con la quale riaffermare i diritti umani e la libertà
religiosa per tutti. I cristiani di
tutto mondo devono sentirsi responsabili della sorte dei cristiani
di Terra santa: per questo devono
sostenere spiritualmente e materialmente i fedeli che con la loro
presenza possono aiutare alla costruzione della pace.
Cosa possono fare i cristiani per la
pace?
La pace non è una questione
che riguarda solo la Terra santa:
in tutto il mondo la pace è messa
in discussione, anche per la comparsa di tanti politici che soffiano
sul fuoco delle divisioni in nome
di un interesse personale e locale
ignorando il bene del mondo.
L’egocentrismo è uno dei peccati
più terribili nel mondo presente.
I cristiani devono sempre aver
presente che la costruzione della
pace è un compito che è stato affidato loro da Dio. Di fronte a
tale situazione la Chiesa deve far
qualcosa: deve diventare la coscienza degli stati, assumere una
leadership morale, parlando di
giustizia a voce alta, senza aver
paura. La Chiesa deve e può fare
molto più di quanto i cristiani
hanno fatto finora, anche perché,
nel 2017, la Chiesa deve essere
“una” nel chiedere giustizia, facendosi ascoltare dal mondo della
politica con una voce sola.
AUGSBURG, 28. «Con tutte le nostre
forze vorremmo sostenere le Chiese
nell’impegno per arrivare alla piena
e visibile comunione e a servire insieme l’umanità. Credo che ci voglia una conversione del cuore, cioè
cominciare a pensare ecumenicamente». Così Maria Voce, presidente del Movimento dei focolari, riassume, in un’intervista diffusa sul sito in rete, le motivazioni della Dichiarazione di Ottmaring, nella quale
si esprime il rinnovato impegno
ecumenico del movimento, che trova ancora più vigore nei gesti e nelle parole di Papa Francesco, come
la partecipazione all’incontro di
Lund, in Svezia, o quanto avvenuto
domenica scorsa nella chiesa anglicana di All Saints, a Roma.
Nella dichiarazione, i focolari assicurano che faranno «tutto il possibile» affinché le loro attività, iniziative e riunioni, a livello internazionale e specialmente locale, «siano sostanziate da un atteggiamento
aperto e fraterno tra i cristiani».
Come movimento mondiale, a cui
aderiscono cristiani di molte Chiese
e che vive perciò già l’esperienza di
un popolo cristiano unito dall’amo-
no impegnati, assieme all’Associazione della vita comune, a dare testimonianza della profonda comunione che, al di là delle divisioni
tuttora esistenti fra le Chiese, unisce i cristiani nell’unico Corpo di
Cristo.
A Ottmaring si avverte lo spirito
ecumenico della vicina Augsburg,
dove, nel 1999, la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica,
apponendo la loro firma alla Dichiarazione congiunta sulla dottrina
della giustificazione, hanno compiuto
un passo importante e carico di significato per superare differenze
teologiche ancora aperte.
«In quest’anno in cui si commemora il cinquecentesimo anniversario della Riforma di Lutero — si afferma nella Dichiarazione di Ottmaring — è stato di particolare rilievo
l’incontro del 31 ottobre scorso a
Lund, in Svezia, tra la Chiesa cattolica romana e la Federazione luterana mondiale, dove la dichiarazione congiunta attesta la fiducia reciproca invitando le proprie comunità
“a crescere ulteriormente nella comunione radicata nel Battesimo” e
“a testimoniare insieme il Vangelo
re reciproco, «ci sentiamo interpellati in modo particolare — prosegue
il testo — dall’invito espresso da
questa dichiarazione». Pertanto,
«ravvisiamo nell’incontro di Lund
un vero kairos, un segno di Dio per
il nostro tempo che sprona i cristiani a impegnarsi ancora di più affinché il Testamento di Gesù “che tutti siano uno” si realizzi». Da qui, la
promessa di un impegno «nella comunione tra movimenti e comunità
cristiane in tutto il mondo, in modo particolare nella rete ecumenica
Insieme per l’Europa», attraverso la
quale affidare a Dio «il cammino
delle nostre Chiese affinché si accelerino i passi verso la celebrazione
comune nell’unico calice».
La dichiarazione è stata diffusa al
termine del consiglio generale dei
focolari, svoltosi nei giorni scorsi
presso il centro ecumenico di Ottmaring, vicino ad Augsburg, consueto ritiro annuale caratterizzato
da giornate di preghiera e lavoro.
Un’occasione importante durante la
quale i partecipanti hanno approfondito un tema molto caro ai focolari: l’unità dei cristiani. Da quando
nel 1961 Chiara Lubich, proprio in
Germania, ha aperto il movimento
al dialogo ecumenico, esso promuove un «dialogo della vita» che vede
una collaborazione fruttuosa con
più di trecento Chiese e comunità
ecclesiali. Da quasi cinquant’anni,
in questa “cittadella”, i focolari so-
di Gesù Cristo”, essendo così messaggeri fedeli “dell’amore immenso
di Dio per tutta l’umanità”».
Il testo, accompagnato da una
lettera di Maria Voce, è stato inviato a Papa Francesco, al patriarca
ecumenico e arcivescovo di Costantinopoli Bartolomeo, all’arcivescovo
di Canterbury e primate della Comunione anglicana Justin Welby, al
vescovo presidente della Federazione luterana mondiale, Munib Younan, al segretario generale Martin
Junge, al segretario generale del
World Council of Churches, reverendo Olav Fykse Tveit, e ad altri
responsabili, come espressione del
rinnovato impegno ecumenico.
Secondo Maria Voce, «oggi non
ha più senso che i cristiani si presentino frammentati. Già incidono
poco e incideranno sempre meno se
non saranno uniti a testimoniare
l’unico
Vangelo,
il
comando
dell’amore reciproco. E se noi cristiani — ha aggiunto il presidente
dei focolari — non sappiamo dare
questa testimonianza, il mondo non
potrà incontrare Dio, perché non
potrà incontrare Gesù che è presente dove ci sono i cristiani uniti
nell’amore reciproco. Se lo incontrano — conclude — nascerà in loro
la fede, cambieranno gli atteggiamenti, il modo di comportarsi,
cambierà la ricerca della pace e di
soluzioni di giustizia, l’impegno per
la solidarietà tra i popoli».
Cosa fare per rifugiati e migranti?
Considero una vergogna la politica dei paesi europei che rifiutano di accogliere i migranti. È
una vergogna per due motivi: dopo la seconda guerra mondiale
tutta l’Europa ha vissuto la tragedia dei migranti e l’Europa ha responsabilità precise nelle crisi che
sconvolgono il mondo, portando
uomini e donne a scappare dai
loro paesi, dalla Siria alla Somalia, al Sud Sudan. In questa prospettiva è importante il documento Dare il benvenuto agli stranieri
che è stato firmato da tanti leader
religiosi che così hanno voluto rispondere a una domanda dell’alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite, chiedendo alla
politica di fare qualcosa per una
diversa accoglienza dei migranti.
Io stesso sono un rifugiato e capisco bene cosa vuol dire cercare
una vita, una dignità di vita. Nel
mondo i luterani assistono oltre
due milioni di migranti senza
chiedere niente; in questo c’è una
profonda sintonia. Si deve condannare l’islamofobia, l’antisemitismo, la cristianofobia, la xenofobia che non aiutano a costruire
una cultura dell’accoglienza che è
una risposta a Dio: chi darà un
bicchiere d’acqua, non una bottiglia, avrà parte del regno di Dio.
Cosa pensa dell’impegno di Papa
Francesco e del suo personale coinvolgimento nel movimento ecumenico?
Innanzitutto credo che sia stato importante ricordare che Giovanni XXIII, con il concilio Vaticano II, ha aperto una nuova stagione che è stata portata avanti
dai suoi successori. Ho avuto la
gioia di incontrare Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, facendo l’esperienza di
quanto stava loro a cuore, non
solo il cammino ecumenico ma la
promozione del dialogo con tutti.
Papa Francesco, il mio fratello in
Cristo, ricorda che camminando
insieme i cristiani sono più forti
nell’annunciare Cristo. Il dialogo
è il futuro: Papa Francesco lo ha
compreso, lo fa e lo incarna. Nel
dialogo e con il dialogo i cristiani
sono chiamati a vivere insieme la
pace, la giustizia, la salvaguardia
del creato, l’amore.
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 1 marzo 2017
pagina 7
Messa a Santa Marta
«Contento, Señor, contento!»: il volto sorridente di un santo contemporaneo, il
cileno Alberto Hurtado, il quale anche
nelle difficoltà e nelle sofferenze assicura al Signore di essere «felice», si è contrapposto a quello «rattristato» del
«giovane ricco» evangelico nella meditazione di Papa Francesco durante la
messa celebrata a Santa Marta, martedì
28 febbraio. Sono i due modi di rispondere al dono e alla proposta di vita che
Dio fa all’uomo e che il Pontefice ha
sintetizzato con un’espressione: «Tutto e
niente».
L’omelia di Francesco ha preso le
mosse da una considerazione sulla liturgia di questi «tre ultimi giorni prima
della quaresima» nella quale è presentato il «rapporto fra Dio e le ricchezze».
Nel vangelo di domenica,
ha ricordato, «il Signore
è stato chiaro: non si può
servire Dio e le ricchezze.
Non si possono servire
due padroni, due signori:
o tu servi Dio o servi le
ricchezze». Lunedì, invece, «è stata proclamata la
storia di quel giovane ricco, che voleva seguire il
Signore ma alla fine era
tanto ricco che ha scelto
le ricchezze». Un passo
evangelico (Marco, 10, 1727) nel quale si sottolineava il monito di Gesù:
«Quanto difficile è che
un ricco entri nel regno
dei cieli. È più facile che
Il
un cammello passi per la
Tutto e niente
cruna di un ago», e la reazione dei discepoli «un po’ spaventati: “Ma chi si
può salvare?”».
Martedì la liturgia ha continuato a
proporre il brano di Marco prendendo
in esame la reazione di Pietro (10, 2831), che dice a Gesù: «Va bene e noi?».
Sembra quasi, ha commento il Papa,
che Pietro con la sua domanda — «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Cosa tocca a noi?» —
presentasse «il conto al Signore», come
in una «negoziazione di affari». In realtà, ha spiegato il Pontefice, non era pro-
santo sacerdote cileno Alberto Hurtado
babilmente «quella l’intenzione di Pietro», il quale, evidentemente, «non sapeva cosa dire: “Sì, questo se ne è andato, ma noi?”». In ogni caso, «la risposta
di Gesù è chiara: “Io vi dico: non c’è
nessuno che abbia lasciato tutto senza
ricevere tutto”». Non ci sono mezze misure: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto», «Riceverete tutto». C’è invece
«quella misura traboccante con la quale
Dio dà i suoi doni: “Riceverete tutto.
Non c’è nessuno che abbia lasciato casa
o fratelli o sorelle o madri o padri o figli o campi per causa mia e per causa
del Vangelo, che non riceva già ora in
questo tempo cento volte tanto in case,
fratelli, sorelle, madri, campi, e la vita
eterna nel tempo che verrà”. Tutto».
Questa è la risposta, ha detto il Pontefice: «Il Signore non sa dare meno di
tutto. Quando lui dona qualcosa, dona
se stesso, che è tutto».
Una risposta, però, dove emerge una
parola che «ci fa riflettere». Gesù infatti
afferma che si «riceve già ora in questo
tempo cento volte in case, fratelli insieme a persecuzioni». Quindi «tutto e
niente». Ha spiegato il Papa: «Tutto in
croce, tutto in persecuzioni, insieme alle
persecuzioni». Perché si tratta di «entrare in un altro modo di pensare, in un
altro modo di agire». Infatti «Gesù dà
se stesso tutto, perché la pienezza, la
pienezza di Dio è una pienezza annientata in croce». Ecco quindi il «dono di
Dio: la pienezza annientata». Ed ecco
allora anche «lo stile del cristiano: cercare la pienezza, di ricevere la pienezza
annientata e seguire per quella strada».
Certamente un impegno che «non è facile».
Ma il Papa, seguendo la sua meditazione, è andato oltre e si è chiesto:
«Qual è il segno, qual è il segnale che
io vado avanti in questo dare tutto e ricevere tutto?». Cosa fa capire, insomma, che si è sulla strada giusta? La risposta, ha detto, si trova nella prima
lettura del giorno (Siracide 35, 1-15), dove è scritto: «Glorifica il Signore con
occhio contento. In ogni offerta mostra
lieto il tuo volto, con gioia, consacra la
tua decima. Dà all’Altissimo secondo il
dono da lui ricevuto e con occhio contento secondo la tua volontà». Quindi,
«occhi contenti, lieto il volto, gioia...».
Ha spiegato il Pontefice: «Il segno che
noi andiamo su questa strada del tutto e
niente, della pienezza annientata, è la
gioia». Non a caso «il giovane ricco si
fece scuro in volto e se ne andò rattristato». Non era stato «capace di ricevere, di accogliere questa pienezza annientata». Invece, ha spiegato il Papa, «i
santi, Pietro stesso, l’hanno accolta. E in
mezzo alle prove, alle difficoltà avevano
lieto il volto, l’occhio contento e la
gioia del cuore. Questo è il segno».
Ed è a questo punto che il Papa è ricorso a un esempio tratto dalla vita del-
la Chiesa contemporanea: «Mi viene in
mente — ha detto — una frase piccolina
di un santo, san Alberto Hurtado, cileno. Lavorava sempre, difficoltà dietro
difficoltà, dietro difficoltà... Lavorava
per i poveri». È un santo che «è stato
perseguitato» e ha dovuto affrontare
«tante sofferenze». Ma «lui quando era
proprio lì, annientato in croce» diceva:
«Contento, Señor, contento, “Felice, Signore, felice”».
Che sant’Alberto, ha concluso il Pontefice, «ci insegni ad andare su questa
strada, ci dia la grazia di andare su questa strada un po’ difficile del tutto e
niente, della pienezza annientata di Gesù Cristo e dire sempre, soprattutto nelle difficoltà: “Contento, Signore, contento”».
Il Papa
a Carpi
Domenica 2 aprile Papa Francesco si recherà in
visita pastorale nella diocesi di Carpi. Ne dà
notizia in un comunicato la Sala stampa della
Santa Sede. Il Papa, ha commentato il vescovo
Francesco Gravina, «viene a incontrare una
Chiesa che sta facendo un cammino significativo
di fede e che vive un momento di speranza
dopo le conseguenze del sisma del 2012». La visita del Pontefice giungerà, infatti, una settimana dopo la solenne riapertura della chiesa cattedrale con la messa presieduta dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato.
Intenzioni dell’Apostolato della preghiera
Per il 2018
Pubblichiamo il testo italiano delle intenzioni che il
Papa ha affidato alla sua rete mondiale di preghiera
(Apostolato della preghiera) per il 2018. Nel corso
dell’anno, ogni mese è dedicato a un’intenzione per
l’evangelizzazione o a un’intenzione universale.
pastorale si sentano aiutati e confortati dall’amicizia con il Signore e con i fratelli.
AGOSTO
NOVEMBRE
Universale: Perché le grandi scelte economiche
e politiche proteggano le famiglie come un tesoro
dell’umanità.
Universale: Perché il linguaggio del cuore e del
dialogo prevalgano sempre sul linguaggio delle
armi.
SETTEMBRE
DICEMBRE
Universale: Perché i giovani del continente
africano abbiano accesso all’educazione e al lavoro nel proprio paese.
Per l’evangelizzazione: Perché le persone impegnate nel servizio della trasmissione della fede
trovino un linguaggio adatto all’oggi, nel dialogo
con le culture.
Dal Vaticano, 13 febbraio 2017
OTTOBRE
GENNAIO
Per l’evangelizzazione: Perché i consacrati e le
consacrate risveglino il loro fervore missionario e
Per l’evangelizzazione: Perché, nei paesi asiatici, i cristiani, come pure le altre minoranze religiose, possano vivere la loro fede con tutta libertà.
FEBBRAIO
Universale: Perché coloro che hanno un potere
materiale, politico o spirituale non si lascino dominare dalla corruzione.
MARZO
Per l’evangelizzazione: Perché tutta la Chiesa
riconosca l’urgenza della formazione al discernimento spirituale, sul piano personale e comunitario.
APRILE
Universale: Perché i responsabili del pensiero e
della gestione dell’economia abbiano il coraggio
di rifiutare un’economia dell’esclusione e sappiano aprire nuove strade.
MAGGIO
Per l’evangelizzazione: Perché i fedeli laici
compiano la loro specifica missione mettendo la
loro creatività al servizio delle sfide del mondo
attuale.
GIUGNO
Universale: Perché le reti sociali favoriscano la
solidarietà e il rispetto dell’altro nella sua differenza.
LUGLIO
Per l’evangelizzazione: Perché i sacerdoti che
vivono con fatica e nella solitudine il loro lavoro
siano presenti fra i poveri, gli emarginati e coloro
che non hanno voce.
A colloquio con il direttore internazionale Frédéric Fornos
di NICOLA GORI
Più di quattrocentomila persone utilizzano
l’app Click to pray, lasciandola aperta almeno cinque minuti. Ciò significa che le
persone non si limitano a scaricarla, ma la
usano per la preghiera. Questa nuova comunità digitale affianca già da un anno la
Rete mondiale di preghiera del Papa
(Apostolato della preghiera) e la rende ancora più conosciuta. A parlarne in questa
intervista all’Osservatore Romano è il direttore internazionale della Rete, il gesuita
Frédéric Fornos, che presenta anche le intenzioni di preghiera affidate da Papa
Francesco al movimento per il 2018.
Quali sono le principali novità delle intenzioni del prossimo anno?
Le novità corrispondono alle preoccupazioni che il Papa ha riguardo alle sfide del
mondo e alla missione della Chiesa, o sono legate a eventi importanti che si celebrano nel 2018. A febbraio, per esempio,
Francesco chiede di pregare e di mobilitarsi contro la corruzione, un tema molto
presente nel suo ministero. Credo sia la
prima volta che un Pontefice chieda di
pregare affinché chi detiene il potere non
si lasci trascinare dalla corruzione. Non dimentichiamo poi che nel 2018 ricorrerà il
venticinquesimo anniversario dell’assassinio di don Pino Puglisi, martire per mano
della mafia. Un altro esempio è l’intenzione di novembre — «Perché il linguaggio
del cuore e del dialogo prevalgano sempre
sul linguaggio delle armi» — in occasione
del centenario della fine della prima guerra mondiale. Sappiamo quanto il Papa, in
un contesto mondiale di “guerra a pezzi”,
continui a denunciare le conseguenze
drammatiche dei conflitti umani. Metterei
in relazione anche l’intenzione di preghie-
Un click per pregare
ra sulla missione dei laici al trentesimo anniversario della Christifideles laici e l’intenzione sulle famiglie all’incontro mondiale
che si svolgerà dal 22 al 26 agosto in Irlanda. In ogni caso, le intenzioni non sono sempre legate a eventi specifici: sono
chiavi per la missione.
Ci sono aspetti particolari sui quali concentrate il vostro impegno?
La nostra missione è di pregare per le
intenzioni della Chiesa universale: ciò significa far sì che queste intenzioni orientino la nostra vita e la nostra missione. Per
questo invitiamo tutti quelli che partecipano alla Rete mondiale di preghiera del Papa a offrire ogni mattina le loro vite al Signore, con una preghiera che indichi la disponibilità a essere al servizio della missione di Cristo nelle nostre attività, lavori, relazioni. Fin dall’inizio la nostra rete ha
aiutato i cristiani ad alimentare una preghiera apostolica, ma a volte si è perso
questo dinamismo missionario. Vogliamo
tornare a questa dimensione con una preghiera “connessa” al mondo. Nei prossimi
due anni ci orienteremo in questa direzione e perciò saremo sempre più al servizio
delle parrocchie e approfondiremo la spiritualità del cuore di Gesù come fonte per
la missione.
Il video mensile con l’intenzione del Papa,
lanciato nel gennaio 2016, sta raggiungendo
l’obiettivo?
Lo scopo era, durante il giubileo della
misericordia, quello di far conoscere le intenzioni del Pontefice non soltanto alla
maggioranza dei cattolici ma anche a tutte
le persone di buona volontà, qualunque
fosse la loro tradizione religiosa o convinzione filosofica. Dobbiamo ancora lavorare
in questo senso, ma i risultati sorpassano
ampiamente le aspettative. C’è da tener
conto che solo nelle reti vaticane già ci sono più di 13 milioni di visualizzazioni, senza contare gli oltre 4200 mezzi di comunicazione sociale che lo fanno conoscere in 9
lingue. Il video del Papa ha un impatto
mondiale, milioni di persone lo vedono e
lo utilizzano nelle loro parrocchie, gruppi
e movimenti. È attualmente un riferimento
ecclesiale. La sua qualità e la sua presenza
nelle reti sociali lo hanno reso adatto anche ai giovani, senza contare che viene utilizzato da molte conferenze episcopali.
Con questo progetto Francesco può rivolgersi direttamente a una rete mondiale di
cattolici di tutti i continenti, che tocca 98
paesi. Il Papa ha apprezzato questa modalità di invito alla preghiera, tanto che ci ha
chiesto di continuare nel 2017.
Quanto all’uso dell’app Click to pray, ha
qualche dato statistico?
La piattaforma di preghiera del Papa,
Click to pray, animata dalla Rete mondiale
di preghiera e dal nostro ramo che coinvolge le nuove generazioni, il Movimento
eucaristico giovanile (Mej), si sta sviluppando rapidamente. Abbiamo superato le
420.000 persone nella comunità Click to
pray (app e reti sociali diverse, come Facebook, Twitter, Youtube, blog, website,
newsletter) in lingua spagnola, portoghese,
inglese e francese. L’app è stata scaricata
più di 110.000 volte e il tempo di utilizzo
per sessione ha raggiunto cinque minuti,
un dato per noi impensabile. Ciò indica
quando qualcuno apre l’app lo fa realmente per pregare. Stiamo ora preparando la
versione Click to pray in tedesco e in cinese. Ci sono in progetto anche altre lingue,
come l’italiano. La usano molti giovani,
non solo per scandire la propria giornata
con la preghiera di offerta, la riflessione
sulla Parola e l’esame di coscienza, ma anche per condividere le loro intenzioni e ricevere l’appoggio orante di altri fratelli e
sorelle.
Quali novità ci sono state dopo che il Papa
l’ha nominato direttore internazionale della
Rete e del Mej nel luglio 2016?
Siamo appena all’inizio di un cambiamento. Questo servizio ecclesiale della
Santa Sede resta affidato alla Compagnia
di Gesù. Siamo presenti in 98 paesi del
mondo a livello parrocchiale e popolare, e
la maggioranza dei responsabili locali —
sacerdoti diocesani, religiose, religiosi, laici
— hanno diversi stili ecclesiali e spiritualità
differenti. Quello che cambia per me è
l’essere nominato direttamente dal Papa:
ciò mi aiuta molto chiaramente nel rapporto con i vescovi e le conferenze episcopali o con le realtà diocesane per promuovere questo servizio. L’ho visto chiaramente negli ultimi viaggi che ho fatto in Corea
del Sud, Giappone, Vietnam, Australia,
Uganda, Repubblica democratica del Congo e Rwanda. Penso che a poco a poco le
conferenze episcopali, dovendo approvare
la nomina dei vari direttori nazionali, scopriranno anche con un nuovo sguardo
questa missione che ha già 172 anni — 100
anni per il Mej — ma che sta incontrando,
nel suo processo di ri-creazione, un nuovo
dinamismo al servizio della missione della
Chiesa.