Edizione di mercoledì 1 marzo 2017

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Edizione di mercoledì 1 marzo 2017
NEWS DEL GIORNO
Milleproroghe: legge di conversione in Gazzetta Ufficiale
di Redazione
NEWS DEL GIORNO
Rottamazione cartelle esattoriali: i chiarimenti Inps e Inail
di Redazione
NEWS DEL GIORNO
Inidoneità alla donazione di sangue: obbligo rinviato a marzo
di Redazione
NEWS DEL GIORNO
Licenziabile il dipendente che impone proprie regole ai colleghi
di Redazione
SPECIALE DELLA SETTIMANA
Conseguenze all’irreperibilità del lavoratore alle visite domiciliari durante la malattia
di Edoardo Frigerio
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NEWS DEL GIORNO
Milleproroghe: legge di conversione in Gazzetta Ufficiale
di Redazione
Sono stati pubblicati sulla G.U. n. 49 del 28 febbraio 2017, S.O. n. 14, la legge 27 febbraio
2017, n. 19, di conversione, con modifiche, del c.d. decreto Milleproroghe (D.L. 244/2016) e
il testo del D.L. 244/2016, coordinato con la legge di conversione 19/2017.
Il provvedimento è in vigore dal 1° marzo 2017.
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NEWS DEL GIORNO
Rottamazione cartelle esattoriali: i chiarimenti Inps e Inail
di Redazione
L’Inps, con messaggio n. 824 del 24 febbraio 2017, ha reso noto che l’Ispettorato nazionale del
lavoro, con comunicazione del 13 febbraio 2017, ha specificato che “non appare possibile
attestare la regolarità contributiva di un soggetto giuridico in ragione della mera presentazione
della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata all’Agente della Riscossione in quanto ciò
contrasta con quanto previsto dall’art. 3, comma 2, lett. b), decreto interministeriale 30 gennaio
2015”. D’altra parte, sin dal pagamento della prima rata sarà possibile per l’Inps e per l’Inail
attestare la regolarità contributiva “al pari di quanto previsto per le rateazioni menzionate
nell’art. 3, comma 2, lett. a) del decreto interministeriale 30 gennaio 2015”.
Pertanto si ritiene ammissibile, in tali casi, considerare avviato un percorso di regolarizzazione
del contribuente in ordine alle partite debitorie oggetto della definizione agevolata e fino
all’eventuale comunicazione da parte dell’Agente del mancato, insufficiente o tardivo
versamento di una delle rate previste. Infatti, la norma prevede che il soggetto che non versa
le rate stabilite, o adempie in misura inferiore al dovuto ovvero in ritardo, perda i benefici
previsti dal D.L. 193/2016.
L’Istituto precisa che, relativamente ai crediti per i quali, alla data di entrata in vigore del D.L.
in esame, risultava già attivata una rateazione presso gli agenti della riscossione, continua ad
essere riconosciuta la regolarità contributiva fino a eventuale revoca della dilazione concessa.
Anche l’Inail, con istruzione operativa n. 4285 del 28 febbraio 2017, è intervenuto in tema di
definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2016,
esponendo alcuni aspetti riguardanti le somme che i debitori devono corrispondere per la
definizione agevolata e gli effetti della dichiarazione di adesione ai fini della regolarità
contributiva.
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NEWS DEL GIORNO
Inidoneità alla donazione di sangue: obbligo rinviato a marzo
di Redazione
L’Inps, con messaggio n. 825 del 24 febbraio 2017, ha offerto chiarimenti in merito alla
circolare n. 29/2017, che ha disciplinato l’assenza oraria per inidoneità alla donazione sangue
dei lavoratori del settore privato, facendo decorrere i nuovi adempimenti dalla competenza
gennaio 2017.
Al fine di agevolare i datori di lavoro, l’Inps ha disposto che l’obbligatorietà sia rinviata alla
competenza marzo 2017; mentre la decorrenza delle nuove funzionalità rimane comunque
ancorata a gennaio 2017.
Pertanto, le aziende saranno tenute alla compilazione dei nuovi elementi dal mese di
competenza marzo 2017, ferma restando la necessità di adeguare anche le denunce pregresse
a partire dalla competenza gennaio 2017.
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NEWS DEL GIORNO
Licenziabile il dipendente che impone proprie regole ai colleghi
di Redazione
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza 20 febbraio 2017, n. 4315, ha stabilito
che sussiste il licenziamento per giusta causa del lavoratore che, forte del suo stato di
invalidità e dell’appartenenza al sindacato, impone ai colleghi delle proprie – personali – regole
di convivenza e un determinato modo di lavorare. A nulla rileva, nel caso di specie, la
condizione di invalidità psicofisica della dipendente, stante la gravità della condotta assunta
in aperta violazione degli obblighi di obbedienza, correttezza, conformità alle regole di
professionalità imposte dal servizio svolto.
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SPECIALE DELLA SETTIMANA
Conseguenze all’irreperibilità del lavoratore alle visite domiciliari
durante la malattia
di Edoardo Frigerio
Dipendente malato e “visita fiscale”: quali sono le ripercussioni per il lavoratore in caso di
irreperibilità dello stesso alla visita domiciliare, anche nel caso in cui lo stato di malattia sia
stato comunque confermato da successiva visita ambulatoriale alla quale lo stesso si sia
sottoposto?
Due recenti sentenze della Cassazione hanno fatto il punto sulla questione che spesso, ancora
oggi, approda nei tribunali del lavoro.
Lo stato di malattia e le visite di controllo
Il problema della morbilità durante il rapporto di lavoro è sempre all’attenzione degli
operatori del diritto, che assistono da decenni al fronteggiarsi di due schieramenti: da una
parte le imprese, che anelano a strumenti di controllo sempre più incisivi della prestazione di
lavoro e, conseguentemente, anche a seri accertamenti sull’effettività degli stati di malattia
dei dipendenti; dall’altra i lavoratori, che mirano alla tutela del loro diritto alla salute, anche in
relazione alle condizioni e agli ambienti di lavoro. In posizione mediana ed equidistante
troviamo invece gli Enti pubblici preposti, l’Inps in primis, attenti a vigilare sul rispetto delle
regole in tema di salute e malattia sia da parte dei datori di lavoro, sia da parte dei lavoratori.
Nelle ultime settimane il dibattito si è poi decisamente riacceso a seguito di dichiarazioni da
parte del presidente dell’Inps, riportate dagli organi di stampa, circa una volontà dell’Ente di
rivedere alcune regole riguardanti le c.d. “verifiche fiscali”, anche in considerazione del
disallineamento tra dipendenti pubblici e privati circa l’arco orario giornaliero dell’obbligo di
reperibilità.
Nell’attesa di eventuali sviluppi legislativi sul punto e attenendoci, in questa sede, al solo
settore privato, si rileva che ampissimo contenzioso nasce proprio dal rispetto dell’obbligo di
reperibilità domiciliare del lavoratore durante la malattia e dalle reazioni del datore di lavoro
in caso di violazione di tale dovere. Al riguardo, due recentissime sentenze della sezione
lavoro della Cassazione hanno affrontato questo tema “scottante”: conviene quindi
ripercorrerne le vicende giudiziarie, al fine di individuare i principi che regolano la materia.
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Le sentenze della Corte di Cassazione n. 24681/2016 e n. 64/2017
Nel primo caso in esame, un dipendente delle Poste era stato licenziato per giustificato motivo
soggettivo in conseguenza di un’assenza al controllo domiciliare disposto durante un periodo
di malattia. Il lavoratore era stato infatti rinvenuto ripetutamente assente alla visita
domiciliare di controllo della malattia. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello
avevano confermato il licenziamento impugnato, poiché il lavoratore non aveva fornito
nessuna giustificazione per l’ultima assenza (che aveva portato al licenziamento) e perché, in
occasione di precedenti 4 assenze al controllo domiciliare, non ne aveva fornito di adeguate,
dovendosi altresì tenere conto del particolare ruolo ricoperto dal ricorrente, caratterizzato,
quale direttore di un ufficio postale, dall’esercizio di compiti di coordinamento e controllo di
altri dipendenti. In particolare i giudici di merito avevano accertato come il lavoratore fosse
stato rinvenuto ripetutamente assente alle visite domiciliari di controllo della malattia e come
avesse reiterato il medesimo comportamento rilevante sul piano disciplinare, pur dopo
l’applicazione della prima sanzione (multa) e delle successive (sospensione dal servizio),
secondo una progressione crescente (1 giorno, 5 e 10 giorni), adottate dal datore di lavoro. Sul
punto sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello avevano verificato che il lavoratore,
che non aveva in alcun modo giustificato l’ultima assenza in ordine temporale, aveva mancato
di giustificare anche quelle precedenti, avendo infatti prodotto certificati medici inidonei a
provare un serio e fondato motivo che giustificasse l’assenza alle visite domiciliari di
controllo; anche la relazione di consulenza medico-legale depositata dal ricorrente non era
stata ritenuta idonea a giustificare l’assenza del lavoratore dal domicilio, atteso che – come
riconosciuto dallo specialista che l’aveva redatta – la cura praticata dal lavoratore si attuava
secondo appuntamenti concordati con il centro terapeutico presso il quale si rivolgeva.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24681 del 2 dicembre 2016, rigettava il ricorso del
lavoratore confermando la legittimità del licenziamento, evidenziando che, nel fissare i limiti
dell’obbligo di reperibilità del lavoratore alle visite di controllo disposte dal datore di lavoro,
come regolate dall’articolo 5, D.L. 463/1983 (convertito in L. 638/1983), “si è imposto al
lavoratore un comportamento (e cioè la reperibilità nel domicilio durante prestabilite ore della
giornata) che è, ad un tempo, un onere all’interno del rapporto assicurativo ed un obbligo
accessorio alla prestazione principale del rapporto di lavoro, ma il cui contenuto resta, in ogni caso,
la “reperibilità” in sé; con la conseguenza che l’irrogazione della sanzione può essere evitata
soltanto con la prova, il cui onere grava sul lavoratore, di un ragionevole impedimento
all’osservanza del comportamento dovuto e non anche con quella della effettività della malattia, la
quale resta irrilevante rispetto allo scopo, che la legge ha inteso concretamente assicurare,
dell’assolvimento tempestivo ed efficace dei controlli della stessa da parte delle strutture pubbliche
competenti, siano esse attivate dall’ente di previdenza ovvero dal datore di lavoro ai sensi della L.
20 maggio 1970, n. 300, art. 5”.
Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha evidenziato quindi che il giustificato motivo
di assenza del lavoratore ammalato dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità
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si identifica solo in una situazione sopravvenuta che comporti la necessità assoluta e
indifferibile di allontanarsi dal luogo nel quale il controllo deve essere esercitato e la
violazione da parte del lavoratore dell’obbligo di rendersi disponibile per l’espletamento della
visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla
presenza o meno dello stato di malattia, e può anche costituire giusta causa di licenziamento.
Dopo aver scolpito tali principi nella predetta sentenza n. 24681/2016, la Suprema Corte,
appena iniziato l’anno nuovo, è tornata sulla questione con una nuova pronuncia, la n. 64 del
4 gennaio 2017.
Questa volta la vicenda vedeva protagonista un dirigente di banca, che aveva impugnato il
licenziamento intimato dall’istituto poiché il lavoratore era rimasto senza giustificazione
assente dal suo domicilio 3 volte nell’arco di 2 mesi, sottraendosi alle visite di controllo,
circostanze da cui era nato il procedimento disciplinare da cui era conseguita la risoluzione del
rapporto di lavoro.
La dipendente aveva sostenuto che le assenze dal domicilio durante le fasce di reperibilità
(nel numero di 3), poste a base del secondo provvedimento di risoluzione, non erano idonee a
concretizzare una giusta causa di licenziamento, in quanto non avevano pregiudicato il diritto
del datore di lavoro a verificare l’effettività della malattia, in considerazione del fatto che la
dirigente si era sempre sottoposta il giorno dopo alle visite di controllo, che avevano
confermato la sussistenza della denunziata causa di impedimento lavorativo.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello di Roma avevano però rigettato l’impugnazione della
lavoratrice, avendo verificato, dai documenti prodotti in causa e relativi alle visite fiscali
domiciliari e alle giustificazioni fornite dalla dipendente, che l’allontanamento della stessa dal
domicilio non era risultato essere assistito da valide giustificazioni e che, in ogni caso, lo
stesso non escludeva l’obbligo per la lavoratrice di comunicare di volta in volta l’assenza per
consentire all’azienda di controllare, tramite l’Inps, l’effettività della sua malattia.
All’esito del giudizio di Cassazione il giudice di legittimità ha evidenziato che la Corte di
merito aveva giustamente osservato che il fatto che in un momento successivo alla visita non
eseguita per assenza della lavoratrice fosse stata confermata (da parte del medico dell’Inps) la
malattia diagnosticata con la relativa prognosi, non rilevava ai fini dell’appurato
inadempimento dell’obbligo di comunicazione preventiva dell’assenza dal domicilio.
Tale mancanza della dirigente era stata considerata molto grave, poiché il rapporto fiduciario
caratterizzante l’incarico dirigenziale aveva comportato una valutazione maggiormente
rigorosa del comportamento della lavoratrice, dell’addebitabilità dei fatti contestati a titolo di
grave negligenza e del fatto che la reiterazione dell’assenza, ripetuta per ben 3 volte nell’arco
temporale di circa 2 mesi, comprovasse il disinteresse dimostrato per le esigenze datoriali, così
andando a incidere in modo definitivo sul vincolo fiduciario.
La Suprema Corte ha quindi posto il sigillo alla vicenda, rigettando il ricorso della lavoratrice,
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precisando che: “la permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le
visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere bensì un obbligo per il
lavoratore ammalato, in quanto l’assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla
sussistenza della malattia, integra un inadempimento, sia nei confronti dell’istituto previdenziale,
sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione
lavorativa e, perciò, a controllare l’effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione”.
A distanza, quindi, di un mese una dall’altra, le 2 pronunce della Cassazione esaminate hanno
coerentemente affermato i medesimi principi, ovvero il fatto che, ai fini della responsabilità
disciplinare del lavoratore, è l’assenza in sé dal proprio domicilio durante le fasce orarie di
reperibilità a costituire violazione dei propri obblighi lavorativi, a prescindere dall’effettivo
stato di malattia.
In sostanza, in entrambi i casi esaminati, era risultata che la malattia dei lavoratori era
sussistente, ma non vi era stata giustificazione della loro assenza dal domicilio durante la
reperibilità in occasione di visite di controllo, assenze peraltro ripetute in uno spazio
temporale ristretto. I lavoratori hanno tentato di giustificare la loro assenza, nel primo caso
per la necessità di compiere visite specialistiche durante l’orario di reperibilità; nel secondo
caso evidenziando la presenza del lavoratore alle visite ambulatoriali di controllo, il giorno
dopo l’assenza a quelle domiciliari. Tuttavia nessuna delle 2 circostanze è stata ritenuta dalla
Cassazione sufficiente a “scriminare” il comportamento dei lavoratori – per i quali la legittimità
del licenziamento è stata confermata – anche per il fatto che tale comportamento dei
dipendenti era stato reiterato dagli stessi più volte nel giro di un breve lasso di tempo:
licenziamenti quindi confermati.
L’assenza del lavoratore alla visita di controllo: un problema aperto?
Giova a questo punto verificare se il rigoroso orientamento assunto dalla Suprema Corte nelle
sentenze esaminate possa dirsi consolidato o meno; ciò esaminando altre pronunce sullo
stesso tema intervenute nell’anno appena concluso.
Curiosa è la vicenda giudicata dalla Cassazione a marzo dello scorso anno con sentenza n.
4695/2016: un lavoratore veniva licenziato da un’azienda lombarda poiché trovato assente a
visite di controllo; al dipendente veniva altresì contestata la recidiva per altre precedenti
mancanze, cosicché il datore di lavoro procedeva al licenziamento. Respinta l’impugnazione
sia da parte del giudice di primo grado sia dalla Corte d’Appello di Milano, il lavoratore si
rivolgeva allora alla Suprema Corte. Quest’ultima si avvedeva, nella ricostruzione della
vicenda, di un fatto singolare: il lavoratore, nella certificazione della malattia, aveva indicato al
datore di lavoro un domicilio di reperibilità diverso dalla residenza, ma la “visita fiscale” era
avvenuta alla residenza, dove il lavoratore non era stato trovato. Questi, comunque avvertito
dell’avvenuta visita del “medico fiscale”, si era regolarmente recato alla visita ambulatoriale di
controllo il giorno successivo, laddove era stato giudicato inidoneo a riprendere il servizio.
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Sennonché lo stesso giorno il datore di lavoro aveva richiesto altra visita fiscale, eseguita
questa volta presso il domicilio al pomeriggio e il dipendente, che al mattino si era sottoposto
alla visita ambulatoriale, non era stato reperito. La Cassazione ha, nel caso in questione,
censurato la sentenza della Corte di merito, poiché, nel ritenere la sanzione espulsiva
proporzionata all’entità dei fatti, non aveva considerato che il ricorrente, dopo il primo accesso
del medico fiscale, rimasto senza esito, si era recato per la visita di controllo (come da avviso
immesso dallo stesso medico nella cassetta postale) presso il competente ambulatorio, dove
era stata confermata la malattia. Il giudice d’Appello non aveva altresì chiarito perché, una
volta effettuata la visita fiscale, il lavoratore era tenuto a sottoporsi il pomeriggio dello stesso
giorno o il giorno successivo a una seconda visita fiscale e non aveva altresì spiegato se nella
condotta del dipendente fosse ravvisabile o meno l’elemento intenzionale, e cioè la volontà di
sottrarsi alla visita fiscale, una volta che la mattina del secondo accesso del medico fiscale si
era recato presso il competente l’ambulatorio per sottoporsi a visita. Sentenza quindi cassata e
rinvio al giudice d’Appello in diversa composizione.
Altra pronuncia della Cassazione – la n. 3294/2016 – antecedente di pochi giorni a quella
appena esaminata, ha affrontato un altro aspetto peculiare del dovere di reperibilità del
lavoratore in malattia. Tale controversia vedeva affrontarsi l’Inps e un lavoratore, a cui l’Ente
aveva negato il diritto ad alcuni giorni malattia a causa della sua assenza a visite di controllo.
Il dipendente si era giustificato evidenziando che l’assenza era dovuta a un grave motivo
familiare (incidente stradale di un proprio congiunto e necessità di recarsi in ospedale al
capezzale del suddetto), che gli aveva impedito la permanenza domiciliare durante le fasce di
reperibilità. La Cassazione, in tale caso ha dato ragione all’Inps, evidenziando che “l’obbligo di
reperibilità alla visita medica di controllo comporta che l’allontanamento dall’abitazione indicata
all’ente previdenziale quale luogo di permanenza durante la malattia sia giustificato solo quando
tempestivamente comunicato agli organi di controllo. Qualora tale comunicazione sia stata omessa
o sia tardiva, non viene automaticamente meno il diritto, ma l’omissione o il ritardo devono a loro
volta essere giustificati”.
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, non era intervenuto né un caso di forza maggiore né
una situazione cogente che avesse reso indifferibile la presenza del lavoratore in luogo diverso
dal proprio domicilio durante le fasce orarie di reperibilità, bensì una mera opportunità di
assistere un proprio familiare.
Può essere interessante, a questo punto, anche dare una breve scorsa ad alcune recenti
pronunzie di merito in tema di assenza alla visita di controllo. Il Tribunale di Milano ha
ritenuto illegittimo il licenziamento per una singola irreperibilità a visita di controllo da parte
del lavoratore, allorquando il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro prevede la
possibilità di recesso solo in caso di assenze ingiustificate per un numero maggiore di giorni;
in altra pronuncia del giudice ambrosiano si è rilevato il cogente obbligo di informativa da
parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro del luogo di propria reperibilità, con la
conseguenza che l’assenza alla visita di controllo può essere giustificata solo nei casi di forza
maggiore ovvero quando l’assenza stessa sia stata determinata da indifferibili necessità del
lavoratore. Ancora il Tribunale di Milano ha evidenziato che il lavoratore si deve adoperare per
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rendere possibile la visita fiscale (nella fattispecie il lavoratore non aveva resa nota la
circostanza che i citofoni della propria abitazione erano rotti: lo stesso era quindi risultato
assente alla visita domiciliare, avendo vanamente il medico fiscale citofonato al domicilio) e lo
stesso giudice ha ritenuto che una visita presso il medico di famiglia (che per sovraffollamento
aveva ritardato la visita, facendo ricadere il lavoratore nella fascia oraria di reperibilità) non è
esimente all’obbligo di reperibilità.
Scendendo lungo la penisola, il Tribunale di Perugia ha ritenuto non giustificabile l’assenza
alla visita domiciliare di una dipendente che si era recata a una visita specialistica, a suo dire
urgente, durante l’orario di reperibilità; procedendo ancora verso Mezzogiorno si ha notizia di
pronuncia del Tribunale di Teramo, che ha ritenuto viceversa giustificabile l’assenza di un
dipendente per una visita di controllo presso l’Inail (laddove era stato convocato per una visita
di accertamento per malattia professionale), che, fissata in un orario compatibile con le fasce
di reperibilità, si era protratta oltre il tempo previsto, sconfinando nell’orario di reperibilità.
Arrivando poi al Tribunale di Bari, il giudice del lavoro pugliese ha ritenuto che la mancata
reperibilità in più occasioni del lavoratore in malattia presso il domicilio dichiarato, non
avendo il medico fiscale trovato alcuna indicazione del nominativo del lavoratore in tutti i
civici della via di residenza indicata dallo stesso, può costituire giusta causa di licenziamento.
Le varie vicende approdate all’esame sia della Cassazione che dei Tribunali di merito
evidenziano senza dubbio che il rispetto da parte del lavoratore delle fasce di reperibilità
durante la malattia per ricevere i possibili controlli, nonché la sua collaborazione affinché tali
controlli possano essere svolti, rappresenta un obbligo rilevante da parte del prestatore di
lavoro, la cui violazione può comportare la decurtazione da parte dell’Inps di parte del
trattamento di malattia (con analoghe previsioni della contrattazione collettiva per la parte
eventualmente a carico del datore di lavoro), mentre, sotto il profilo disciplinare, plurime
irreperibilità da parte del dipendente alle “visite fiscali” possono costituire motivo legittimo di
licenziamento, anche in caso di conferma della malattia in sede di successiva presentazione
alla visita ambulatoriale.
L’assenza alla visita di controllo durante le fasce orarie può non essere “colpevole” solo in caso
di forza maggiore o situazioni effettivamente gravi o indefettibili.
Come si è visto dalle pronunzie esaminate, anche l’essere non reperiti al domicilio poiché
usciti di casa seppur per un motivo lecito (ad esempio una visita medica specialistica) può
costituire violazione dell’obbligo di reperibilità, perché l’assenza dall’abitazione durante le
fasce può essere giustificata solo, come detto, per causa di forza maggiore o motivi
assolutamente rilevanti e indifferibili.
Ma come contemperare i principi sopra indicati con i casi di lavoratori affetti da patologie
gravi, che debbano recarsi di sovente in ospedale per ricevere terapie salvavita (ad esempio
nel caso di malato oncologico o dializzato) e che potrebbero essere non in grado,
oggettivamente, di rispettare le fasce di reperibilità?
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A ciò ha pensato il D.Lgs. 151/2015, che ha inserito, nell’articolo 5, D.L. 463/1983, la
previsione di una specifica disciplina finalizzata a stabilire le esenzioni dalla reperibilità per i
lavoratori subordinati dipendenti dai datori di lavoro privati. Con successivo decreto del
Ministero del lavoro (di concerto con il Ministero della salute) si sono esclusi dall’obbligo di
rispettare le fasce di reperibilità i lavoratori subordinati la cui assenza sia connessa con
patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della
struttura sanitaria curante nonché lavoratori portatori di stati patologici sottesi o connessi a
situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67%. L’Inps infine, con propria
circolare n. 95/2016, ha dettato le linee guida per l’individuazione concreta, all’interno delle
categorie individuate dal Ministero, di quali patologie o invalidità esonerino dall’obbligo di
reperibilità, obbligo che resta invece imprescindibile per la generalità degli altri lavoratori,
come delineato dalle sentenze esaminate.
Si segnala che l’articolo è tratto da “Il giurista del lavoro“.
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