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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 47 (47.481)
Città del Vaticano
domenica 26 febbraio 2017
.
Il mondo sta andando «verso la
grande guerra mondiale per l’acqua»? È il preoccupato interrogativo
posto dal Papa venerdì pomeriggio,
24 febbraio, durante la sessione di
chiusura del seminario sul diritto
umano all’acqua, promosso dalla
Pontificia Accademia delle scienze e
apertosi il giorno precedente nella
Casina Pio IV, in Vaticano.
Di fronte a studiosi, esperti ed
esponenti religiosi provenienti dai
cinque continenti il Pontefice ha
Grido d’allarme lanciato dal Papa
Nel Mediterraneo sono 366 i morti dall’inizio dell’anno
Guerra mondiale
per l’acqua
Riprende
il flusso di migranti
lanciato un nuovo grido d’allarme
sull’emergenza idrica nel mondo, ricordando che ogni giorno mille
bambini muoiono «a causa di malattie collegate all’acqua» e milioni di
persone «consumano acqua inquinata»: dati «sconvolgenti» — ha commentato — che «non possono lasciare indifferenti» e che spingono a
darsi da fare per «frenare e invertire
questa situazione». Per Francesco
«non è tardi, ma è urgente prendere
coscienza del bisogno di acqua e del
suo valore essenziale per il bene
dell’umanità».
Il Papa ha ribadito che «dove c’è
acqua c’è vita». Ma, ha precisato,
«non tutta l’acqua è vita: solo l’acqua sicura e di qualità», quella che
— ha detto citando san Francesco —
«serve con umiltà». Da ciò deriva
che «ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura»; si
tratta dunque di «un diritto umano
essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale».
In questa prospettiva si rende
«necessario attribuire all’acqua la
centralità che merita nell’ambito delle politiche pubbliche». Per il Pontefice «è imprescindibile annunciare
questo diritto umano essenziale e difenderlo, ma anche agire in modo
concreto, assicurando un impegno
politico e giuridico con l’acqua». In
particolare Francesco ha invitato
ogni stato a rendere operative le risoluzioni approvate dall’assemblea
generale delle Nazioni Unite nel
2010 sul diritto umano all’acqua potabile e all’igiene. Perché «il diritto
all’acqua è determinante per la sopravvivenza delle persone e decide il
futuro dell’umanità» ha ripetuto con
forza, aggiungendo subito dopo:
«Mi domando se, in mezzo a questa
“terza guerra mondiale a pezzetti”
che stiamo vivendo, non stiamo andando verso la grande guerra mondiale per l’acqua».
PAGINA 7
A un corso della Rota romana
Prepararsi
al matrimonio
Udienza alla comunità di Capodarco
Indegna la società
che discrimina i deboli
In cammino per la raccolta dell’acqua in Somalia (Reuters)
PAGINA 8
Migranti clandestini ricevono aiuti alimentari dell’Onu in Libia (Afp)
BRUXELLES, 25. È arrivata questa
mattina nel porto italiano di Palermo la nave norvegese Siem Pilot
con a bordo 993 migranti salvati
nel canale di Sicilia. Si tratta di 657
uomini, 100 donne e 136 minori. E
a breve è previsto l’arrivo a Reggio
Calabria di un’altra nave, la ong
Golfo Azzurro, con altri 337 migranti recuperati in mare, di cui
248 uomini, 16 donne e 73 minori,
provenienti da Guinea Conakry,
Mali, Costa d’Avorio, Camerun,
Ghana, Liberia, Togo, Senegal e
Guinea Bissau.
Dopo un flusso più ridotto nei
giorni scorsi, sono così tornati i
grandi numeri di migranti diretti
verso l’Italia: nella giornata di ieri
ne sono stati soccorsi ben 1700 in
quindici operazioni nel Mediterraneo centrale sulla rotta dalla Libia
all’Italia, coordinate dalla centrale
operativa di Roma della guardia
costiera. Nell’ultima settimana le
persone soccorse nello stesso tratto
Decine le vittime tra le quali il capo dell’intelligence siriana mentre all’Onu si condanna l’uso di armi chimiche
Ondata di attentati a Homs
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DAMASCO, 25. In Siria, alla delusione per gli scarsi risultati raggiunti
nei negoziati dei giorni scorsi a Ginevra si aggiunge oggi l’orrore per
la notizia di devastanti attentati. Più
di trenta persone sono morte in una
catena di attacchi suicidi compiuti
questa mattina a Homs, nella Siria
centrale. L’esatta dinamica dei fatti,
al momento, non è chiara. La televisione statale siriana parla di «sei attentatori suicidi» mentre Al Jazeera
riferisce di «numerosi attentati»
contro sedi dei servizi di sicurezza
nel centro cittadino.
Homs è la terza città della Siria.
È sotto il controllo del governo di
Damasco dal maggio 2014, quando i
ribelli lasciarono il centro a seguito
di un accordo di tregua raggiunto
con la mediazione dell’Onu. Tuttavia da allora si sono registrati diversi
attentati: 64 persone morirono lo
scorso anno.
Le ultime notizie riferiscono che
in uno degli attentati sarebbe morto
anche il capo dell’intelligence militare, il generale Hassanm Daaboul.
Fonti militari confermano che gli attentati hanno preso di mira soprattutto i quartier generali delle forze
dell’ordine e i servizi segreti militari
e civili. L’attacco non è stato rivendicato. I maggiori sospetti sono sul
gruppo jihadista Hayat Al Tahir Al
Sham, legato ad Al Qaeda, che ha
inglobato altri gruppi ribelli nelle
province di Idlib, Hama e anche
Homs. Dopo la sconfitta ad Aleppo
i jihadisti hanno intensificato le operazioni ad Hama e nella parte set-
tentrionale della provincia di Homs
ma questa sarebbe la prima volta
che riescono a colpire il capoluogo,
segno che sono riusciti a infiltrare di
nuovo cellule nella città vecchia, da
sempre roccaforte islamista.
Nella parte orientale della provincia, che comprende anche il distretto
di Palmira e i maggiori giacimenti
di petrolio e gas della Sira, è invece
presente il cosiddetto stato islamico
(Is), che però è ancora sulla difensiva dopo il blitz che li ha portati a
dicembre a riconquistare Palmira.
Ieri la Turchia ha annunciato che
la città di Al Bab, nel nord della Siria, è stata completamente liberata
dalla presenza dei jihadisti. Secondo
quanto reso noto dallo stato maggiore turco in un comunicato, i ribelli dell’Esercito libero siriano hanno infatti preso il pieno controllo
dell’ormai ex roccaforte jihadista
nella provincia di Aleppo. È attualmente in corso un’operazione di bonifica di tutti i quartieri di Al Bab
per eliminare mine ed esplosivi collocati dall’Is.
Le operazioni per liberare Al Bab,
che si trova a est di Aleppo e a circa
30 chilometri a sud del confine turco-siriano, sono iniziate a fine novembre. Il 24 agosto la Turchia è intervenuta militarmente in Siria con
truppe di terra impegnate nell’operazione Scudo dell’Eufrate a sostegno dei ribelli. Da allora sono state
sottratte all’Is 230 zone residenziali
e 1925 chilometri quadrati di terra
nel nord della Siria, come ha reso
noto lo stato maggiore turco. A novembre il presidente turco Recep
Tayyip Erdoğan aveva sostenuto che
dopo la liberazione di Al Bab
l’obiettivo successivo sarebbe stata
la località di Manbij, sottratta ai
jihadisti ad agosto dalle Forze democratiche della Siria (coalizione
curdo-araba). L’obiettivo della Turchia è quello di eliminare la minaccia dell’Is al confine, oltre a quella
rappresentata dai curdi siriani.
L’annuncio della riconquista di Al
Bab è giunto poco dopo altri due
gravi attentati suicidi: una prima autobomba ha provocato oltre sessanta
morti nella località di Soussiane, a
nordest di Al Bab. Poco dopo due
soldati turchi sono stati uccisi in un
attacco kamikaze all’ingresso di Al
Bab; le vittime dell’esplosione sono
state in tutto otto.
E sempre sul piano militare, fonti
di stampa statunitensi hanno fatto
sapere che l’amministrazione Trump
potrebbe decidere di modificare la
Storia di una donna
D all’altra parte
della luna
VÉRONIQUE DUFIEF
A PAGINA
4
Uno dei siti degli attentati che hanno colpito Homs (Epa)
propria strategia nella lotta contro
l’Is in Siria, riducendo o ritirando
completamente il supporto all’opposizione moderata a favore dei curdi
siriani. Lo scrive il «Washington
Post» citando funzionari governativi. Alcune settimane fa il presidente
Donald Trump aveva ordinato di
elaborare una nuova strategia. Secondo le fonti della testata l’obiettivo generale sarebbe quello di concentrarsi attentamente sulla lotta
contro l’Is e contro altre organizzazioni jihadiste. Nel loro recente colloquio Trump ed Erdoğan hanno
anche parlato della creazione di una
zona di sicurezza in Siria e della crisi dei rifugiati.
Nel frattempo, ieri il consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite ha tenuto una riunione sull’uso di armi
chimiche nel conflitto siriano. I
Quindici hanno ricevuto il rapporto
di Kim Won-soo, alto rappresentante dell’Onu per il disarmo, e di Virginia Gamba, capo del meccanismo
investigativo sulle armi chimiche in
Siria. Nel corso del colloquio i
Quindici hanno ribadito la ferma
condanna all’uso delle armi chimiche ovunque e in qualunque circostanza. Le atrocità commesse in Siria — hanno detto i rappresentanti
del consiglio — «sono inaccettabili».
Ogni sforzo «deve essere intrapreso
per prevenire l’uso di armi chimiche,
salvaguardare il sistema internazionale di non-proliferazione e individuare i responsabili».
Sul piano umanitario, il sottosegretario dell’Onu agli aiuti, Stephen
O’Brien, ha evidenziato come, malgrado la riduzione della violenza
grazie al cessate il fuoco (nelle zone
dove non si combatte contro l’Is), la
situazione in cui vive la popolazione
rimane grave, con i due terzi in condizioni di povertà estrema. Per questo, ha detto O’Brien, gli occhi dei
siriani sono puntati sulla ripresa dei
colloqui di Ginevra, nella speranza
che portino «risultati tangibili anche
per alleviare le sofferenze dei civili».
di mare erano rimaste ogni giorno
ampiamente sotto quota mille.
Secondo i dati dell’O rganizzazione mondiale delle migrazioni
(Oim), in meno di due mesi già
366 persone hanno perso la vita nel
Mediterraneo. Nello stesso periodo
dello scorso anno, che comunque è
stato uno dei più tragici per i migranti, i morti erano stati 97. La
maggior parte sono stati segnalati
sulla rotta tra la Libia e l’Italia: il
progetto Missing Migrants della
stessa Oim, ne stima 326 dall’inizio
dell’anno al 22 febbraio, con un
aumento cioè del trecento per cento rispetto allo stesso periodo 2016.
D’altra parte, i dati dell’O rganizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) informano che da
inizio anno, in Europa, sono arrivati via mare 13.924 tra migranti e
profughi, di questi oltre il 75 per
cento, pari a 10.701, è approdato in
Italia, mentre il resto in Grecia e
Spagna. In particolare, in Italia si
osserva un aumento significativo rispetto al 2016, quando nei primi
due mesi era stato segnalato lo
sbarco di circa 8100 migranti.
Il direttore esecutivo dell’agenzia
europea Frontex, Fabrice Leggeri,
nei giorni scorsi aveva stimato per
l’Italia un numero di arrivi pari almeno al record raggiunto nel 2016,
181.000. E anche il commissario
dell’Ue per le migrazioni, Dimitris
Avramopoulos, pur non sbilanciandosi a dare cifre, aveva parlato di
un «grande numero» di persone,
con un’alta componente di migranti economici.
Intanto, dopo un anno di attività, il centro sul traffico di esseri
umani di Europol fa sapere che il
giro d’affari delle organizzazioni
criminali, che gestiscono questi
traffici, ha visto un declino nel
2016 (in linea con la diminuzione
generale degli arrivi irregolari in
Ue), con un calo di circa due miliardi di euro rispetto al 2015,
quando erano stati stimati profitti
tra i 4,7 e i 5,7 miliardi di euro. E
Facebook, secondo Europol, continua a essere il social media preferito dai contrabbandieri di esseri
umani per promuovere i propri
“servizi” nei paesi di origine. Nelle
offerte, che si trovano sotto diverse
categorie chiave, sono inclusi alloggio, documenti falsi e punti di contatto in altri paesi. E non mancano
organizzazioni che propongono
matrimoni di comodo, e pacchetti
per permessi di studio o lavoro.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza l’Eminentissimo
Cardinale
Marc
Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di Ilagan (Filippine), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor
Joseph A. Nacua, O.F.M. Cap.
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pagina 2
domenica 26 febbraio 2017
Il presidente della commissione Ue
Jean-Claude Juncker (Ansa)
Mentre continuano le polemiche sull’immigrazione
Tensioni tra la stampa
e la Casa Bianca
WASHINGTON, 25. I reporter di Cnn,
Bbc, «The New York Times», «Los
Angeles Times», «Huffington Post»,
BuzzFeed News e Politico, nonché
diversi giornalisti stranieri regolarmente accreditati, sono stati esclusi
ieri dalla quotidiana conferenza
stampa alla Casa Bianca. In segno
di solidarietà molte altre testate,
l’Ap, «Usa Today» e il «Time», hanno deciso di boicottare il briefing.
Poche ore prima Trump era tornato ad accusare i «media bugiardi che
usano fonti anonime» per alimentare
notizie false «a danno della popolazione». Nella cornice della Conservative Political Action Conference
(Cpac, tradizionale raduno della destra conservatrice americana), il capo
della Casa Bianca ha toccato tutti i
temi della campagna elettorale, ma
questa volta sottolineando l’incompetenza dei giornalisti. Dal Cpac, il
presidente ha sostenuto che «i media
non dovrebbero essere autorizzati a
usare fonti, a meno che non usino il
nome di qualcuno. Facciamo che i
loro nomi siamo messi lì».
Un attacco — spiegano gli analisti
— che tutto è meno che casuale. Proprio da fonti anonime arrivano notizie che nelle ultime ore stanno
creando non pochi problemi a Washington. Notizie che riguardano i
presunti contatti tra lo staff del presidente e l’intelligence russa durante
la campagna elettorale. Trump ha
chiesto all’Fbi di smentire pubblicamente queste accuse. Il Bureau, tuttavia, si è rifiutato di farlo. Il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer,
ha rincarato la dose contro i media,
in particolare contro la Cnn, e ha difeso la volontà di veder riportate le
cose correttamente. E su Twitter,
Trump ha scritto: «L’Fbi è totalmente incapace di fermare gli autori delle fughe di notizie riguardanti la sicurezza nazionale che hanno permeato a lungo il nostro governo.
Non riescono a trovarli neppure
all’interno della stessa Fbi. Ai media
sono date informazioni classificate
che potrebbero avere un effetto devastante sugli Stati Uniti. Trovarli
ora».
Come detto, la Cnn è solo la vittima più illustre dell’improvvisa esclusione dal briefing quotidiano. Sono
stati ammessi invece media più vicini
ai conservatori: «The Wall Street
Journal», Cbs, Bloomberg, Fox
News, Abc, «The Washington Times», One America News Network
e Breitbart. «Ci hanno fermati segnalandoci che non eravamo nella lista, che c’era gente prima di noi»,
ha riferito la Cnn. L’Ap, Usa Today
e Time, pur essendo stati ammessi,
hanno deciso di boicottare la conferenza stampa per protesta e in segno
di solidarietà coi colleghi esclusi. Il
portavoce Spicer ha tentato di giustificarsi sostenendo che quello di ieri non era il consueto briefing pub-
Tragico scontro
tra due autobus
in Argentina
BUENOS AIRES, 25. Tredici morti e
34 feriti di cui due donne in gravi
condizioni, è il bilancio di un tragico incidente stradale avvenuto ieri in
Argentina vicino alla città di Rosario, a circa 300 chilometri dalla capitale Buenos Aires. Lo riferiscono i
media argentini. Lo schianto frontale
è avvenuto intorno a mezzogiorno
sulla Nazionale 33, in circostanze ancora da chiarire. Entrambi i veicoli
trasportavano un gran numero di
passeggeri. Alcuni sopravvissuti hanno riferito di avere udito un forte rumore prima che uno dei due autobus invadesse la corsia opposta.
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I giornalisti abbandonano la sala stampa della Casa Bianca (Reuters)
blico «bensì un “gaggle”, ossia una
chiacchierata in esclusiva con alcuni
media».
Intanto, si riaccendono le polemiche sull’immigrazione. Un giovane
ingegnere indiano è stato ucciso a
Olathe, in Kansas, apparentemente
per motivi legati all’odio razziale. La
sparatoria si è verificata all’interno
di un locale, l’Austins Bar and Grill,
alla periferia della città. Secondo i
testimoni, un uomo poi identificato
come Adam W. Purington, 51 anni,
ex militare della marina probabilmente affetto da disturbi mentali, è
entrato mentre i clienti guardavano
la televisione e si è messo a lanciare
insulti razzisti contro due impiegati
indiani della Garmin, azienda che
fabbrica Gps. Secondo il racconto
delle autorità locali, Purington sarebbe stato allontanato dal bar, ma è
poi rientrato aprendo improvvisamente il fuoco. La vittima era Srinivas Kuchibhotla, 32 anni, un ingegnere. Il killer si è poi dato alla fuga
ma è stato catturato in un altro locale a un centinaio di chilometri di distanza. Nella sparatoria sono rimaste
ferite altre due persone: Alok Madasani, un altro ingegnere indiano di
32 anni, e un americano, Ian Grillot,
24 anni.
Le polemiche sull’immigrazione
sono scattate da quando il presidente Trump ha annunciato la costruzione del muro al confine con il
Messico e un ordine esecutivo con
misure fortemente restrittive. Durante la sua visita in Messico, il segretario alla sicurezza nazionale John
Kelly ha dichiarato: «Non ci sarà alcuna deportazione di massa, non
useremo l’esercito contro gli immigrati clandestini».
E sempre in Messico, il segretario
di stato Rex Tillerson ha detto che i
due governi sono concordi «nell’impegno comune al mantenimento di
legge e ordine lungo il confine
condiviso». I nostri paesi — ha aggiunto dopo una serie di incontri
con esponen ti del governo messicano — «vogliono smantellare le reti
criminali transnazionali che portano
droga e persone negli Stati Uniti».
I candidati all’Eliseo Fillon e Le Pen implicati in due inchieste
Inciampi giudiziari sulle presidenziali
PARIGI, 25. Sono oggetto di inchieste giudiziarie i due principali contendenti alla presidenza francese,
anche se le vicende sono molto diverse.
La procura ha aperto ieri un’inchiesta giudiziaria nei confronti di
François Fillon, candidato del centrodestra alle presidenziali del 2017,
e di sua moglie Penelope, per presunti reati di appropriazione indebita e storno di fondi pubblici.
E Marine Le Pen del Fronte Nazionale è stata convocata dai giudici per forti irregolarità nello stipendio ottenuto dal parlamento europeo per una sua collaboratrice che,
in realtà, sembra abbia lavorato solo in qualità di assistente di partito.
Inoltre, è giunta oggi la notizia che
un altro stretto collaboratore di Le
Pen è stato incriminato per presunte irregolarità nelle campagne elettorali del 2014 e del 2015.
Oggi inizia la procedura formale
di avvio delle elezioni, con il deposito delle firme dei 500 grandi elettori necessarie per convalidare le diverse candidature in vista del voto
il 23 aprile.
Su Fillon, l’inchiesta preliminare
annunciata alcune settimane fa dalla polizia è sfociata nell’apertura di
un’indagine giudiziaria a carico
dell’ex primo ministro ora candidato della destra Républicains e di
sua moglie Penelope, per i presunti
impieghi fittizi di quest’ultima come assistente parlamentare. Fillon
inizialmente aveva detto di voler rinunciare alla candidatura se indagato, ma si è poi corretto annunciando di voler «andare fino in fondo»
anche se sotto inchiesta.
Le Pen ha deciso di non rispondere alla convocazione per un interrogatorio affermando che si presenterà «soltanto dopo la fine delle
elezioni politiche», rivendicando
l’immunità parlamentare e chiedendo una «tregua elettorale», che però non ha fondamenti giuridici. Peraltro, Le Pen continua intanto a ribadire la promessa di «azzerare i
trattati» dell’Ue se sarà eletta.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Palazzo dell’Eliseo a Parigi (Afp)
Al momento, nei sondaggi non
cedono né Le Pen, con il 26,5 per
cento di consensi, né Fillon, con il
suo 20,5. Avanza intanto Emmanuel Macron che, con il suo partito
En Marche ora ufficialmente alleato
con il centrista François Bayrou, rimonta di tre punti e tocca quota
Gaetano Vallini
Juncker
apre all’Ue a due velocità
BRUXELLES, 25. Il presidente della
commissione europea, Jean-Claude
Juncker, si è sbilanciato a favore di
un’Unione europea a più velocità.
Lo ha fatto ieri nel corso di un discorso all’università della cittadina
belga di Louvain-la-Neuve, giovedì
sera. Juncker ha promesso di «perorare» la causa degli stati membri
che «vogliono avanzare più rapidamente» sulla strada dell’integrazione. Nei giorni scorsi, è stato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, a
ribadire la possibilità di diversi livelli di integrazione spiegando che
già in molti casi avviene. E, mercoledì sera, Juncker è stato ricevuto a
colloquio dalla Merkel a Berlino.
Juncker ha chiarito che, dopo la
Brexit, per l’Ue «non è più l’ora di
immaginare che tutti possano fare
la stessa cosa insieme». Un portavoce della commissione ha spiegato
che «non è la prima volta» che
Juncker si dichiara a favore dell’Ue
a più velocità. Anche se, finora il
presidente della commissione aveva
messo l’accento sulla necessità di
non dividere i 27. Ma il discorso di
Louvain-la-Neuve arriva dopo il referendum sulla Brexit e ha un’importanza diversa, visto il momento
che sta attraversando l’Europa.
Tra un mese, il 25 marzo a Roma, i capi di stato e di governo dei
27 paesi che resteranno nell’Ue non
si limiteranno a festeggiare la firma
del trattato 60 anni fa, ma inizieranno anche a discutere di quale
futuro vogliano costruire insieme.
Lo stesso Juncker contribuirà al dibattito con la pubblicazione, prima
del vertice di Roma, di un libro
bianco sul futuro dell’Ue.
La commissione ha avuto una
prima discussione sui contenuti del
libro bianco mercoledì durante la
riunione settimanale del collegio.
Secondo alcune indiscrezioni, il libro bianco non conterrà proposte
controverse, ma servirà da «road
map» per un’altra serie di documenti tematici che riguarderanno il
futuro dell’Ue da pubblicare entro
l’estate in settori come la dimensione sociale, la globalizzazione,
l’unione economica e monetaria, la
difesa e il bilancio comunitario. Il
pilastro europeo dei diritti sociali,
che dovrebbe essere presentato a fine aprile, potrebbe essere la grande
novità del libro bianco. E su questo tema Juncker ha fatto sapere di
aspettarsi contributi da tutti i commissari. Sembra che alcuni vogliano insistere sulla necessità di proseguire con il risanamento dei conti e
le riforme strutturali.
A questo proposito, martedì davanti al parlamento federale del
Belgio, Juncker ha spiegato che ciò
che manca nella discussione è
«l’Europa sociale», una sorta di
«figlio povero della costruzione europea» che invece è essenziale per
«riconnettere i cittadini europei
con l’Europa».
La Bulgaria
verso il voto di marzo
SOFIA, 25. È partita, ieri, in Bulgaria la campagna elettorale in vista delle elezioni parlamentari anticipate, in
programma il 26 marzo prossimo.
Per i 240 seggi nel parlamento di Sofia sono in lizza
tredici partiti, nove coalizioni e ventuno comitati per
candidati indipendenti. Si prospetta — dicono gli analisti — una lotta durissima. E non sono escluse possibili sorprese.
La vittoria alle elezioni presidenziali, che si sono
svolte il 13 novembre scorso, dell’ex generale Rumen
Radev, sostenuto dal Partito socialista (Bsp), ha provocato le dimissioni del governo conservatore guidato da
Bojko Metodiev Borisov, leader del partito Cittadini
per lo sviluppo europeo della Bulgaria (Gerb).
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22,5 per cento. Tra due mesi, il 23
aprile, c’è il primo turno delle elezioni presidenziali e i francesi andranno alle urne per decidere il
successore di François Hollande
all’Eliseo. Il secondo turno è previsto, in caso di ballottaggio, dopo
due settimane, il 7 maggio.
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Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
Verificata l’assenza di una maggioranza politica alternativa, il presidente della Repubblica, Rumen Radev, ha sciolto il parlamento, ha indetto elezioni politiche anticipate varando un governo tecnico di transizione presieduto dall’ex presidente dell’Assemblea nazionale Ognyan Gerdijkov.
Secondo i sondaggi pubblicati sui principali organi
di stampa nazionali, cinque formazioni dovrebbero superare lo sbarramento del 4 per cento. In ordine di voti, al momento si trovano: il partito conservatore Gerb,
e il partito socialista; poi, il Movimento per diritti e libertà (della minoranza turca), la coalizione nazionalista Patrioti uniti (Vmro, Fronte patriottico e Ataka) e il
nuovo partito Volontà, dell’imprenditore Mareshki.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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Dal
Campidoglio
via libera
allo stadio
di Tor di Valle
ROMA, 25. Il comune di Roma
ha dato il via libera al progetto
che fa capo alla società di calcio
A.S. Roma per la realizzazione
del nuovo stadio nell’area di Tor
di Valle. Ieri, venerdì, il sindaco
Virginia Raggi — che in mattinata aveva accusato un lieve malore, rapidamente superato senza
conseguenze — ha incontrato in
Campidoglio i rappresentanti
della società raggiungendo un
accordo, ancora non formalizzato, per la modifica del progetto
che già era stato presentato alla
precedente amministrazione capitolina. L’accordo è stato raggiunto quindi grazie alla eliminazione delle tre torri originariamente previste e a una riduzione
del cinquanta per cento delle
cubature totali. Previste inoltre
diverse infrastrutture legate allo
stadio e a carico della società
sportiva, fra le quali una nuova
stazione della ferrovia Roma Lido, l’adeguamento di un lungo tratto della via del Mare e
della via Ostiense e la messa in
sicurezza del Fosso di Vallerano,
con la conseguente eliminazione
dell’attuale rischio idrogeologico
sugli abitanti della zona limitrofa di Decima.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
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Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
Società Cattolica di Assicurazione
Credito Valtellinese
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domenica 26 febbraio 2017
pagina 3
Uccisi dall’Is quindici militari iracheni
Attentato
alla frontiera con la Giordania
BAGHDAD, 25. I terroristi del cosiddetto stato islamico (Is) perdono terreno in Iraq ma continuano a seminare morte e violenze, minando gravemente la stabilità del paese. Ieri
almeno quindici guardie di confine
irachene sono state uccise in un attentato compiuto dall’Is contro una
postazione vicino alla frontiera giordana.
«L’Is ha lanciato un attacco con
un’autobomba contro il II reggimento di guardie di frontiera nei pressi
di Trebil» a circa 500 chilometri a
ovest da Baghdad, ha detto un ufficiale iracheno, sottolineando al contempo che nell’attentato «sono state
uccise quindici guardie di frontiera,
di cui due ufficiali». I responsabili
locali hanno confermato l’attacco e il
bilancio delle vittime.
Secondo un recente bilancio fornito dalla missione delle Nazioni Unite nel Paese (Unami), solamente nel
mese di gennaio sono state uccise
403 persone e 924 ferite a causa di
attentati. La provincia più colpita è
stata quella di Baghdad, con 128
morti e 444 feriti tra i civili.
Il rappresentante speciale dell’Onu in Iraq, Jan Kopic, ha
sottolineato che «i terroristi jihadisti
hanno concentrato i loro attentati in
mercati e aree residenziali, prendendo di mira in modo vile i civili,
compresi donne, bambini e anziani
intenti alle loro attività quotidiane».
Tuttavia, c’è anche chi sostiene
che l’Is stia perdendo terreno e che
l’intera organizzazione sia in crisi. In
un comunicato l’università di Al
Azhar, commentando la diffusione
di un video dell’Is sull’attentato a
dicembre a una cattedrale copta del
Cairo e costato la vita a decine di
persone, ha dichiarato: «L’Is sta
usando la guerra settaria come nuovo traino, ma il gruppo è vicino alla
fine. È ovvio che il video dell’Is mira a esagerare l’attuale forza del
gruppo, soprattutto dopo le pesanti
perdite sofferte di recente con la
perdita della maggior parte dei terri-
Dai ribelli huthi nei pressi del confine saudita
Caccia di Amman
abbattuto nello Yemen
Civile yemenita tra le macerie dopo un bombardamento nella periferia di Sana’a (Ansa)
SANA’A, 25. Un aereo F16 dell’aeronautica militare giordana è stato intercettato e abbattuto dalle forze di difesa aerea dei ribelli huthi nei pressi del
confine sud-ovest con l’Arabia Saudita. Lo ha riferito la televisione iraniana
PressTv, precisando che il pilota è riuscito ad azionare il sistema di espulsione e a salvarsi. Secondo la fonte, l’aereo aveva «presumibilmente preso parte
gli attacchi in Yemen con la coalizione militare a guida saudita».
Il comando generale delle forze armate giordane ha confermato in un comunicato che uno dei suoi aerei da combattimento è precipitato nel territorio dell’Arabia Saudita, senza fornire alcuna informazione sulle cause dello
schianto. Nel comunicato è confermato anche che il pilota, Adnan Naeem
Abdulaziz Nabas, è riuscito a salvarsi ed è rientrato in Giordania ieri sera.
Nel frattempo l’agenzia di stampa ufficiale negli Emirati Arabi Uniti,
Wam, ha riferito che un militare emiratino, Khalid Ali Al Ghareeb Balushi,
è stato ucciso mentre combatteva contro i ribelli huthi nello Yemen.
Missione a Mosca
del presidente turco Erdoğan
ANKARA, 25. Nuova visita in Russia
per Recep Tayyip Erdoğan. Il presidente turco si recherà a Mosca il 9
e 10 marzo per colloqui con il leader del Cremlino, Vladimir Putin,
secondo quanto anticipa il quotidiano filogovernativo turco «Sabah». Al centro dei colloqui, le relazioni bilaterali, accordi nel settore
dell’energia e la situazione in Siria
e Iraq, oltre alla cooperazione nel
contrasto al terrorismo.
Lo scorso anno Mosca e Ankara
hanno riallacciato i rapporti dopo
la crisi innescata dall’abbattimento
di un jet russo sul confine con la
Siria il 24 novembre 2015. Dopo il
periodo di gelo nelle relazioni, Erdoğan e Putin si sono incontrati
per la prima volta il 9 agosto scorso
a San Pietroburgo.
E, intanto, davanti a una distesa
di bandiere turche, Erdoğan ha
riacceso ieri la corsa al referendum
sul presidenzialismo del 16 aprile.
«Ho detto — ha affermato il presidente — che avrei approvato la pena di morte se fosse stata votata dal
parlamento. Ma il problema è che
richiede un emendamento costituzionale. Potremmo fare un referendum anche su questo. Se la nazione
dice “reintroduciamo la pena di
morte”, la questione è chiusa».
Alla vigilia del lancio della campagna del suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) oggi ad Ankara, il presidente chiama a raccolta
i suoi a Manisa, nella Turchia occidentale, e invoca una grande mobilitazione per il «sì». Una battaglia
appena all’inizio, in cui Erdoğan
dimostra subito di essere pronto a
tutto. Un passo, quello del ritorno
alla pena capitale, che segnerebbe
però uno stop definitivo anche sul
piano formale al già accidentato
percorso di adesione all’Ue.
tori controllati a Mosul in Iraq, a
Raqqa in Siria e a Sirte in Libia».
A Mosul, intanto, le forze di
Baghdad, sostenute da militari ame-
Teheran rispetta
l’accordo
sul nucleare
TEHERAN, 25. L’Iran sta rispettando l’accordo sul nucleare.
Questo il giudizio che emerge
da un rapporto dell’Agenzia
internazionale per l’energia
atomica (Aiea): le scorte di
uranio arricchito iraniane sono
attualmente ben al di sotto dei
limiti
massimi
consentiti
dall’accordo sul nucleare raggiunto nel 2015 tra Teheran e
le potenze del gruppo “cinque
più uno” e l’Unione europea.
Le scorte di uranio a basso arricchimento ammontano infatti
a 101,7 chilogrammi, ben al di
sotto del limite di 300.
Stando al documento, il primo da quando si è insediato il
presidente statunitense Donald
Trump, l’Iran sta anche rispettando una serie di limitazioni
su altri materiali sensibili. Nel
rapporto Aiea di novembre si
sottolineava invece come fosse
stato superato — per la seconda volta — il limite di scorte di
acqua pesante, oltrepassando
di un centinaio di chili la soglia delle 130 tonnellate. Da allora, tuttavia, Teheran ha ridotto le scorte, rispettando in
pieno gli accordi.
L’accordo del 2015 tra l’Iran
e i paesi del cosiddetto gruppo
“cinque più uno” — cioè i
membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu con potere di
veto (Regno Unito, Francia,
Stati Uniti, Russia e Cina) più
la Germania — e l’Unione europea prevede un compromesso sui siti dove si svolgono attività nucleari, con la possibilità per gli ispettori di eseguire
controlli periodici e per l’Iran
la facoltà di opporsi a determinate richieste di accesso. È stata inoltre disposta l’interruzione dell’arricchimento dell’uranio in due dei principali siti
nucleari iraniani (Natanz, Fordow), con conseguente riduzione delle attività di ricerca e
sviluppo, nonché la fine di
eventuali operazioni sotto copertura per produrre materiale
fissile. Dal canto loro i paesi
del “cinque più uno” e l’Ue si
sono impegnati ad annullare le
sanzioni riguardanti gli scambi
di gas e petrolio, le transazioni
finanziarie e il trasporto di
merci per via aerea.
Vittime
nel rogo di un hotel
in Cina
PECHINO, 25. Almeno dieci le vittime dell’incendio scoppiato questa mattina in un hotel di Nanchang, capitale della provincia
orientale cinese di Jiangxi. Secondo quanto riferiscono i vigili del
fuoco tra le 13 persone ricoverate
in ospedale alcune sono in gravi
condizioni. Secondo i media locali
numerose persone sarebbero ancora intrappolate all’interno dell’hotel. L’albergo di quattro piani è
collegato a un condominio di 24
piani, dove sono state evacuate oltre 260 residenti mentre altre risultano ancora intrappolate. I vigili
del fuoco — impegnati con oltre
dieci automezzi a spegnere le
fiamme — sono alla ricerca di ulteriori vittime. L’incendio è scoppiato al secondo piano dove stavano
lavorando una decina di operai.
ricani sul terreno e da raid aerei della coalizione a guida statunitense,
sono penetrate in diversi quartieri di
Mosul ovest. I militari hanno confermato di aver completamente liberato la zona dell’aeroporto, snodo
strategico di cui si servivano i miliziani di Al Baghdadi. La sensazione
degli analisti è che a Mosul si combatterà ancora per parecchio tempo:
l’Is non è disposto a cedere un metro e utilizza i civili come scudi
umani per contrastare l’avanzata delle truppe regolari irachene.
E sempre ieri, per la prima volta
nel quadro della guerra all’Is in corso da due anni e mezzo, l’aviazione
irachena ha condotto raid aerei in
Siria, coordinandosi col governo di
Damasco, contro obiettivi jihadisti a
ridosso del confine tra i due paesi.
Nell’area si stanno concentrando i
terroristi dell’Is, stretti tra l’offensiva
governativa irachena a Mosul, quella
siro-turca nella zona di Al Bab e
quella curdo-siriana nel territorio di
Raqqa.
Sfollati iracheni in fuga da Mosul (Ap)
Oltre cento arresti in scontri con la polizia
Si riaccende a Pretoria
l’odio xenofobo
PRETORIA, 25. Proteste di piazza,
marce, minacce di violenza e scontri
con la polizia: in Sud Africa si registra una nuova ondata di rabbia popolare contro i migranti da altri paesi africani, che in passato è sfociata
in omicidi e linciaggi. Ieri la protesta — che è stata apertamente condannata dal governo e dal partito
che fu di Nelson Mandela, l’Anc,
che ha invitato alla calma — si è sca-
tenata nelle strade di Pretoria, la capitale amministrativa, dove una folla
minacciosa ha marciato in direzione
del ministero degli esteri armata di
spranghe e tubi di ferro.
La polizia ha risposto con cariche,
lacrimogeni e proiettili di gomma.
Nelle ultime 24 ore — ha fatto sapere il dirigente di polizia Khomotso
Phelane — sono state arrestate ben
136 persone. In un paese in cui le
masse africane sono ancora in gran
parte povere e dove la disoccupazione è al 25 per cento, il risentimento
contro gli immigrati si nutre di pregiudizi — spiegano i commentatori —
come quello che i migranti tolgano
lavoro ai sudafricani. «Molti cittadini di altri paesi che vivono in Sud
Africa rispettano le leggi e contribuiscono in modo positivo all’economia
del nostro paese» ha dichiarato il
presidente Zuma. La Fondazione
Mandela ha criticato le autorità locali per aver anche solo permesso
che
si
tenesse
una
“marcia
dell’odio”. Critiche anche da parte
di numerose organizzazioni internazionali impegnate nel paese. Nelle
precedenti ondate di violenza xenofoba, nel 2015 a Durban e dintorni
furono uccisi sei migranti. Nel 2008
i morti delle sommosse furono 60.
Contro i traffici
di persone
e di droga
in Guinea Bissau
Violenze tra dimostranti e polizia a Pretoria (Afp)
Pyongyang
verso un nuovo test nucleare
PYONGYANG, 25. La Corea del Nord
potrebbe presto realizzare un nuovo
test nucleare: immagini satellitari
mostrano infatti un’attività persistente nel centro sperimentale di
Punggyye-ri, anche se nulla fa pensare che un nuovo test sia imminente.
Le fotografie sono state scattate
lo scorso 18 febbraio e pubblicate
dal sito web specializzato 38North:
mostrano attività di manutenzione e
condizionamento nelle gallerie del
complesso, soprattutto nel cosiddetto “Portale Nord”, lo stesso dove
sono avvenute le detonazioni sotterranee lo scorso anno.
Nella zona, la collocazione delle
squadre e dell’equipaggiamento sul
terreno «è cambiata ripetutamente
dallo scorso ottobre 2016», spiega
l’analisi pubblicata dal sito, specializzato sulla Corea del Nord e collegato alla università statunitense
John Hopkins. Nel 2016, il regime
di Kim Jong-un ha eseguito due test nucleari a Punggye-ri (situato nel
nord-est del paese) in un lasso di
tempo di appena otto mesi.
I tre test precedenti erano invece
stati realizzati a intervalli più ampi,
tra tre e quattro anni. Questo dimostrerebbe — secondo gli analisti —
che le attività nucleari di Pyongyang non si sono fermate, nonostante il varo di nuove sanzioni da
parte del consiglio di sicurezza, anzi
nell’ultimo periodo si sarebbero intensificate.
Un rapporto dell’Onu di cento
pagine — come ha riferito ieri
l’agenzia Afp — confermerebbe che
gli ultimi due esperimenti nucleari e
i 26 lanci di missili realizzati l’anno
scorso dalla Corea del Nord hanno
permesso a Pyongyang di migliorare la tecnologia per produrre armi
di distruzione di massa.
BISSAU, 25. Il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità la risoluzione
per il rinnovo del mandato della
missione Onu in Guinea Bissau
(Uniogbis), impegnata dal 2009
per sostenere gli sforzi di stabilizzazione del paese.
Su iniziativa dell’Italia, che siede nel consiglio di sicurezza dal
primo gennaio, nel testo è stato
introdotto un riferimento alla necessità di contrastare i traffici illeciti e particolarmente i traffici di
esseri umani, all’interno delle
azioni di contrasto alle attività
criminali transnazionali che pongono una minaccia alla stabilità
della Guinea Bissau e della regione.
La risoluzione — come si legge
nel testo presentato — incoraggia
gli sforzi fatti in tal senso dal governo del paese, quelli della Comunità economica degli stati
dell’africa occidentale (Ecowas),
quelli della missione Onu e quelli
dell’Ufficio delle Nazioni Unite
per la droga e il crimine
(Unodc).
I traffici illeciti che originano
in Africa occidentale si ripercuotono pesantemente in Europa attraverso la rotta mediterranea.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
domenica 26 febbraio 2017
Storia di una donna
di VÉRONIQUE DUFIEF
I silenziosi della terra
sono una legione
e non fanno rumore
Ma proprio così
vincono la loro guerra
E le battaglie perdute prima
utti gli uomini vanno fieri del
fatto che uno di loro abbia
camminato sulla luna. La
conquista dello spazio — pur
essendo uno dei sogni umani
più antichi — nutre più il loro amore di
gloria che il loro desiderio d’infinito.
Quasi nessuno si chiede che aspetto abbia la faccia nascosta dell’astro lunare, e
neanche il telescopio più potente può
renderla visibile a un osservatore che
guarda le galassie dalla terra. Quasi tutti
nutrono una certa curiosità per ciò che
nessuno può vedere. Ma, quando l’ignoto assume una forma modesta o familiare, perde così
tanto il suo
prestigio
da
diventare semplicemente parte
della scena. Il rovescio della luna è
un grande mistero
perché chiunque può
vederne il dritto? Per avere il desiderio di passare
dall’altra parte dello specchio
— perché la luna è uno specchio, vero? — occorre una mente
sognatrice, silenziosa.
Alla sua nascita Selena non
lanciò il grido che normalmente
permette ai neonati di riempire
d’aria i loro polmoni. Emise solo
un sospiro che, nella luce azzurrina della sala parto, segnò il passaggio di un respiro lontano, come quello che si ode, venuto
da altrove, sulla neve delle
montagne eterne.
Apparve subito evidente
che reagiva con una sensibilità fuori dal comune a tutti i rumori
che giungevano ai
suoi timpani. Immaginate quindi l’incubo
di Selena
quando i
T
Voti per i luoghi del Fai
Molti hanno già visto le sue sale fiabesche, cariche di decorazioni
variopinte in stile moresco, senza conoscere il suo nome e la sua
storia: nel 2014 il regista Matteo Garrone lo ha scelto per girare
alcune delle più suggestive scene del film Il racconto dei racconti.
È il castello di Sammezzano a Reggello, che sorge a venticinque
chilometri da Firenze, in mezzo a un parco di poco meno di
duecento ettari, ombreggiato da enormi sequoie americane, nato
come tenuta di caccia medicea. Da tempo però il sogno
realizzato a metà Ottocento dalla genialità (o dalla follia) creativa
del marchese Ferdinando
Panciatichi Ximenes
d’Aragona, affascinato dalle
architetture orientali, dagli
arabeschi dell’Alhambra a
Granada e dalle geometrie
del Taj Mahal in India, è in
completo stato di
abbandono: a molte finestre
mancano i vetri, il tetto ha
bisogno di urgenti interventi
di impermeabilizzazione e
consolidamento e il parco è
stato saccheggiato: gran
parte delle statue che lo
decoravano sono state
rubate. Con oltre
cinquantamila voti il castello
di Sammezzano ha vinto
l’ottava edizione del
censimento «I luoghi del
cuore» promosso dal Fai, il
Fondo italiano per
l’ambiente, insieme a Intesa
Sanpaolo; i primi tre
classificati, se riusciranno a
presentare dei progetti
Un angolo della sala dei pavoni
validi, riceveranno un
contributo economico.
L’iniziativa ha visto la partecipazione di oltre un milione e mezzo
di persone che hanno segnalato 33.000 fra luoghi e beni culturali
giudicati meritevoli di tutela e di restauro. Al secondo posto, con
47.319 voti, è arrivato il complesso di Santa Croce a Bosco
Marengo, in provincia di Alessandria, un convento voluto da Pio
V nel 1566. Al terzo posto con 36.789 voti le Grotte del Caglieron
a Fregona, in provincia di Treviso. Poi l’area archeologica di
Capo Colonna a Crotone e la bottega storica Guenzati di
Milano.
Dall’altra parte
della luna
medici diagnosticarono all’istante l’incurabile iperacusia: non solo sentiva tutto
con una precisione stereofonica, ma percepiva anche con un’incisiva acutezza i
più impercettibili dettagli dell’ambiente
sonoro circostante.
In un primo momento, fu necessario
prepararle un’incubatrice con le pareti
imbottite, affinché potesse dormire il
sonno silenzioso di cui aveva bisogno
tanto quanto del latte. Fortunatamente,
la madre di Selena — come credere che
sia una pura coincidenza? — era una poetessa, se qualcuno oggi ancora conosce il
significato di questa parola: aveva lasciato che la vita sigillasse le sue labbra sulla
fonte che, limpida, faceva udire la propria voce nella sua intimità più profonda.
La mamma instillò quindi nella sua piccola il latte vergine del sogno. A occhi
chiusi, teneva Selena sul suo seno, immobile, e tutte e due, tremanti, lasciavano i
loro respiri mescolarsi sulle loro labbra,
carezza infinita del fior di carne.
Nel frattempo i medici dubitavano
sempre più della capacità di Selena di
sopravvivere senza danni nel mondo attuale, dove negli ultimi cinquant’anni il
livello fonico è aumentato in modo siderale e le ultime banchise di silenzio si
stanno ormai fondendo ben al di là della
soglia critica. Di fronte all’endemia di
sordità galoppante da cui nessun paese è
più indenne, molte persone si curano
mettendosi nelle orecchie dei tappi, bianchi o neri, collegati da un filo che a sua
volta si collega a una piccola scatola che
emette dei suoni che chiamano “musica”.
È un rimedio paradossale contro l’inquinamento sonoro perché si cura il rumore
con il rumore!... Ma la gente si sente meno infelice quando crede di poter scegliere il frastuono con cui saturare le proprie
orecchie.
Malgrado l’alta tecnicità della loro arte, i medici si dichiararono nuovamente
impotenti dinanzi al caso inedito costituito dal male di Selena, ma la giovane madre decise con convinzione di passare oltre la rinuncia degli esperti.
Aveva
già
un’idea del luogo
che avrebbe potuto
offrire a Selena per
sostituire l’incubatrice insonorizzata,
dove d’altronde sua figlia non avrebbe
potuto soggiornare in eterno. Fu così che
Selena si esercitò fin dalla più tenera età
a passare dall’altra parte dello specchio
lunare, e non appena raggiunse l’età per
navigare sola, la giovane astronauta ebbe
tutto lo spazio per andare e venire tra la
loro minuscola casa terrena e la faccia
nascosta della luna perché era lì che Selena ormai stava per ascoltare il rumore
del mondo.
D all’altra parte della luna, la violenta
cacofonia degli uomini non poteva minimamente scalfirla. Decantata, passata al
setaccio del Lontano, per l’udito palpitante della bambina sussisteva solo il rumore sperduto, salmodiato quasi all’unisono dal coro scordato della moltitudine.
Selena tendeva l’orecchio. Percepiva l’indicibile smarrimento di quei miliardi di
esseri minuscoli che si agitavano in ogni
direzione come elettroni e che producevano continuamente rumore sotto la
sconcertante minaccia della loro vacuità
interiore.
Che ne fanno del baratro di cui sentono in loro l’indistinta presenza? Lo spiano a rispettosa distanza come una segreta, come se bastasse un minimo passo
falso per far aprire l’abisso in cui Hugo
fa precipitare Satana per oltre quattromila anni. Allora si muovono in ogni direzione come se l’incessante movimento
fosse capace di far dimenticare loro che
hanno paura, che hanno sete, che sono
pieni di desiderio, come se fosse definitivamente fuori dalla loro portata la realtà
che solo l’infinito può colmare in loro
quel buco di apocalisse. La fine del mondo non è una catastrofe che mostrerebbe
le sue fauci di iena all’orizzonte dei tempi. È il pericolo, dentro di noi, oggi, di
vivere o di morire.
Dunque Selena apprese, pian piano,
ad ascoltare. Partoriva la vita ascoltandola. L’embrione di tutte le vite passate,
presenti e future, che, prima di venire alla luce, attende che nessuno di noi manchi all’appuntamento, si era annidato
proprio nella cavità del suo orecchio, alla
rovescia, come un punto interrogativo di
cui nessuno avrebbe potuto decifrare
l’enigma. Come la gigantessa immaginata
da Rabelais, Selena era di quelle donne
che partoriscono dall’orecchio. Si nutriva
con gratitudine della romanza senza parole che il suo essere, lasciato al terreno
incolto dell’istinto, le sussurrava trattenendole
il
respiro.
Raggomitolata
nell’opalescente alone lunare, era lontana
mille miglia da tutto ciò che ciarla, borbotta, blatera frasi a vuoto. Le bastava
prestare attenzione al canto del sangue
nelle sue arterie per entrare in sintonia
con il cosmo intero. Non aveva nulla di
meglio da fare che prestare orecchio a
quanti non ne hanno o stonano
tragicamente nel concerto discordante del
mondo.
Fatto strano, non è il mugghio delle
guerre, degli omicidi e neppure del terrore di cui gli uomini hanno il segreto a ferire maggiormente l’orecchio di Selena.
Non è neppure il baccano di macchine,
aerei, treni, automobili, fabbriche, dispositivi di sorta, con i quali i facoltosi del
mondo manifestano la loro rumorosa onnipotenza, come se la loro egemonia si
misurasse in decibel imposti al resto del
pianeta né più né meno di uno stupro
sonoro.
No, a fare soffrire Selena fino al midollo è l’ultrasuono dei pensieri umani,
quelle impalcature fantasmatiche perpetuamente ricostruite, ogni giorno, come
una torre di fiammiferi sul collo di una
bottiglia, per tutti quelli che credono che
la vita sia un bolide da pilotare, il più
performante possibile, per arrivare per
primi nel luogo che si chiama Nessunaparte, U-topia, come dicevano i greci.
Avete mai incontrato un essere umano
silenzioso? Sta lì, tranquillo. Tace, non
per timidezza o incapacità di parlare in
modo appropriato. No, tace perché è
l’unico modo di ascoltare e di capire con
fedeltà ciò che sta per accadere, senza
tradire la goffaggine del volto che si fa
avanti, completamente offuscato
nella confusione oscura dei
suoi desideri. L’uomo silenzioso sta lì, è tutto orecchie, non è che un sì.
Non fa altro che accogliere dentro di sé la
vibrazione di un cuore contro il suo: il
vostro. Tutto il
suo essere soggiace all’attrazione
del vostro essere
e lascia che il pudore faccia il proprio lavoro: quello di non contribuire al rumore
del mondo, anche
se tutti emettono
il loro assordante
cicaleccio.
Un digiuno di parole non si vede, non
si sente. Eppure a volte
gli esseri affaccendati,
quali noi siamo, percepiscono confusamente una
fenditura nell’eccesso, nella
sovrabbondanza che è la grande
povertà dell’universo in cui crediamo
di vivere. Questo altro mondo intravisto furtivamente attraverso la rete
incredibilmente densa che copre ormai il
nostro pianeta con la sua fibra sempre
più tentacolare, risveglia in noi la bruma
di una reminiscenza. Quel non so che,
intangibile, ci riconduce per un istante a
noi stessi. Basta fare questa esperienza
fugace di tanto in tanto, pur se con una
coscienza nebulosa, per non morire ancora, non subito.
I silenziosi della terra sono una legione. Non fanno rumore, ed è così che vincono la guerra, tutti gli scontri nella retroguardia, tutte le crociate perdute prima. La moltitudine di coloro ai quali è
stata confiscata la parola è la grande
Amazzonia di questo mutismo invisibile
che è il solo a poter irrigare le anime con
la linfa di cui in effetti hanno estremamente bisogno per non deperire. Astuto
chi riesce a individuare i silenziosi senza
essere della loro razza, quelli che vivono
soltanto nella profondità dell’essere a
mille miglia dalle apparenze. Impercettibile, solo il loro anonimato è capace di
fare tacere l’immondizia assordante che
sommerge le anime, i cuori, fino a quel
profondo dell’essere in cui avremmo tanto bisogno d’incontrarci gli uni gli altri,
senza dire una parola.
Nessuno vede la faccia nascosta né
della luna né della terra. Basta che una
voce, una sola, accolga l’inaudibile perché sia misteriosamente salvaguardata
l’unica sopravvivenza che conta: quella
del respiro che, sulla vetta delle montagne, terrestri o lunari, sussurra semplicemente che va dove vuole, senza che nessuno sappia niente di lui, neanche il suo
nome.
Alexandra Rouche, «Dama Luna» (2013)
Proteggere i beni culturali dell’Iraq
L’Unesco ha varato un piano d’azione con
l’Iraq per la tutela del patrimonio culturale danneggiato dai miliziani dell’Is (stato
islamico). Lo ha annunciato, venerdì 24, il
vicedirettore dell’organizzazione delle Nazioni Unite, Francesco Bandarin, a conclusione di una riunione di due giorni svoltasi a Parigi. «Sappiamo che il danno è grave e che di conseguenza vanno adottate
misure in grado di prevenire un peggioramento della situazione» ha affermato Bandarin citato dalle agenzia di stampa internazionali. Secondo l’accordo, l’Unesco
s’impegnerà ad aiutare le autorità irachene
nel difficile processo di ricostruzione dei
siti archeologici e dei monumenti finiti nel
mirino della furia dei militanti dello stato
islamico.
Al momento, tuttavia, Bandarin non ha
diffuso dati specifici relativi alla ricostruzione. Si sa comunque che a breve termine
un team di esperti compirà una verifica
dei danni prima di avviare il piano di ripristino del patrimonio culturale iracheno.
«Sarà un grande compito» ha dichiarato il
vicedirettore dell’Unesco, che ha al con-
tempo avvertito che per completare il processo di ricostruzione molto probabilmente
non ci vorranno anni, ma decenni.
L’Unesco e l’Iraq stanno ora cercando
donatori per finanziare il progetto che, indicano gli esperti, comporterà un onere finanziario non indifferente.
Come segnalano le agenzie di stampa,
sarebbero comunque già state avviate trattative con l’Unione europea e la Banca
mondiale con l’obiettivo di coinvolgerle in
un ampio progetto che consenta di realizzare su basi, il più possibile solide, il piano di tutela del patrimonio culturale.
Dal canto suo, il ministero della cultura
di Baghdad, nel redigere una lista dei siti
da proteggere, ha indicato nel museo di
Mosul e nel tempio di Nimrud le massime
priorità. Nello stesso tempo le autorità irachene ricordano che il piano di salvaguardia mira a conservare anche il ricco patrimonio librario, considerato che la furia
dell’Is ha portato alla sistematica distruzione di numerose biblioteche pubbliche e,
con esse, di libri antichi, di grandissimo
pregio. (gabriele nicolò)
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 26 febbraio 2017
pagina 5
Pellegrini in viaggio verso Canterbury
raffigurati in una vetrata della cattedrale
(XIII secolo)
In un documento dettato pochi mesi prima della morte
Francesco
il misericordioso
di PIETRO MESSA
urante il giubileo
della misericordia
una particolare attenzione è stata riservata a san Francesco d’Assisi e questo certo non
meraviglia perché il Pontefice ha
scelto di portare il suo nome. È
D
gnore; e abbi sempre misericordia di tali fratelli. E notifica ai
guardiani, quando potrai, che
da parte tua sei deciso a fare
così».
Come in altri casi nelle parole
di frate Francesco traspare il suo
vissuto tanto che giunge ad affermare che sa «con certezza che
questa è vera obbedienza», nel
Una scena di «Francesco giullare di Dio» di Roberto Rossellini (1950)
importante anche ricordare il famoso episodio del bacio al lebbroso. Studi recenti hanno fatto
emergere sempre più che determinante nel suo cambiamento di
vita fu proprio la misericordia
esercitata verso i lebbrosi (cfr.
Paolo Martinelli, Francesco d’Assisi e la misericordia, Milano,
2015) più che la povertà. In quest’anno non senza ragione si è
affermato che sarebbe bene tralasciare la tradizionale denominazione “il poverello” per sostituirla con un più adeguato “il
misericordioso”.
Tra i testi di Francesco d’Assisi inerenti la misericordia, oltre
all’inizio del Testamento in cui
emerge la consapevolezza, pochi
mesi prima di morire, dell’aspetto determinante del cambiamento di vita, spicca la cosiddetta
Lettera a un ministro. In questo
scritto, rispondendo a uno che
aveva l’incarico di prendersi cura dei confratelli ma che davanti
alle molteplici difficoltà desiderava ritirarsi in un eremo, Francesco afferma la priorità della
misericordia.
«A frate N... ministro. Il Signore ti benedica! Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose
che ti impediscono di amare il
Signore Iddio, e ogni persona
che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti percuotessero, tutto questo devi ritenere
come una grazia. E così tu devi
volere e non diversamente. E
questo tieni per te in conto di
vera obbedienza del Signore Iddio e mia, perché io so con certezza che questa è vera obbedienza. E ama coloro che ti fanno queste cose. E non aspettarti
da loro altro, se non ciò che il
Signore ti darà. E in questo
amali e non pretendere che siano cristiani migliori. E questo
sia per te più che il romitorio. E
in questo voglio conoscere se tu
ami il Signore e ami me servo
suo e tuo, se farai questo, e cioè:
che non ci sia mai alcun frate al
mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne
torni via senza il tuo perdono
misericordioso, se egli lo chiede;
e se non chiedesse misericordia,
chiedi tu a lui se vuole misericordia. E se, in seguito, mille
volte peccasse davanti ai tuoi
occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Si-
senso che lo sapeva per esperienza. Infatti anche lui fu ministro, e precisamente generale
dell’Ordine minoritico fino alla
morte: lo stesso Papa Onorio III
lo riconosce come tale indirizzandogli la bolla Solet annuere
con cui il 29 novembre 1223
conferma la regola dei frati minori. Alla sua morte fu eletto un
nuovo ministro generale, frate
Giovanni Parenti. Frate Francesco esercitò l’ufficio di ministro
generale non senza difficoltà ed
ebbe negli ultimi anni motivi di
contrasto con i frati come narra
ad esempio il testo Della vera letizia in cui è palese il confronto
tra l’Assiate e i frati minori che
ormai sono «tanti e tali» per cui
lo ritengono oramai inadeguato
a guidarli essendo «semplice ed
idiota».
In tale situazione di confronto e scontro — causa di diffidenza — per sfuggire alla compagnia dei frati era propenso a dimorare più a lungo negli eremi
come avvenne da agosto a settembre 1224 a La Verna. Cosa
peraltro desiderata anche da diversi frati acculturati e sapienti
che ormai lo ritenevano inadatto
a reggere l’ordine minoritico.
Nella lettera citata prima Francesco esorta l’anonimo ministro
ad amare i fratelli senza pretesa.
E continuando scrive che questo
è più che il romitorio agognato
dal frate; infatti è quel “fare misericordia” che, secondo quanto
si legge nel Testamento, trasforma l’amaro in dolcezza. In
sintesi si può affermare che
Francesco non fa altro
che riproporre al ministro rattristato dalla sua
situazione ciò che lui
stesso aveva vissuto e
descritto nel Della vera
letizia.
Gli occhi misericordiosi sono capaci di
quell’alchimia per cui
l’amarezza
diventa
dolcezza e guarigione
per colui che li incontra. E se
prima scrive di non pretendere
che gli altri diventino cristiani
migliori, poi aggiunge di attirarli al Signore proprio attraverso
la misericordia.
E al termine scrive di comunicare ai guardiani la decisione di
abbandonare l’idea di ritirarsi in
un eremo lontano dai frati (ritenuti fino a quel momento impedimento ad amare il Signore
con maggior perfezione). Questa indicazione data all’anonimo
ministro fu la medesima decisione che prese l’Assisiate allorquando scrive nel Testamento di
voler ubbidire; e questo non solo nei confronti dei ministri e di
tutti i frati ma anche dei sacerdoti poverelli verso i quali non
vuole abbandonare mai questo
atteggiamento. Neppure se fosse
da loro perseguitato.
Samurai a Parigi
Si chiude il 25 febbraio a Parigi nella Galerie Pierre-Alain
Challier l’esposizione Japonismes con i dipinti di Isabella
Ducrot, le fotografie di Claire de Virieux e le opere di Yoshimi Futamura, la più importante ceramista giapponese.
Nella mostra e nel catalogo (Éditions des Falaises) l’arte e
la cultura del paese sono rivisitate in chiave contemporanea
(nella foto, Samouraï, 2016, papier-tissu di Isabella Ducrot).
Nella chiesa romana di All Saints
Il cuore
della tradizione inglese
di PHILIPPA HITCHEN
ascosta nel cuore di quello che un
tempo era noto come il “quartiere
inglese” di Roma, la chiesa anglicana di All Saints — che Papa Francesco visita il 26 febbraio — è stata
progettata da uno dei più famosi architetti britannici di epoca vittoriana. George Edmund Street
ha costruito molte belle chiese in Gran Bretagna e
N
La presenza anglicana nella città del Papa
risale al XVIII secolo
quando Roma divenne la meta preferita
di ricchi gentiluomini
che facevano il loro Grand Tour
altrove in Europa, ma è famoso soprattutto per il
suo lavoro alle Royal Courts of Justice nello
Strand di Londra. È stato scelto anche come architetto dell’altra chiesa anglicana a Roma, la parrocchia episcopale americana di San Paolo dentro
le mura.
Ubicata nel sito di un ex convento agostiniano,
dopo la morte, nel 1881, del rinomato architetto,
la chiesa di All Saints è stata costruita negli anni
ottanta del XIX secolo sotto
la supervisione di suo figlio.
Durante gli scavi, nel sito
sono stati portati alla luce
due teste bronzee, una maschera dell’imperatore Nerone e la testa di un’importante patrizia romana, Agrippina maggiore, poi offerti ai
Musei capitolini di Roma.
La prima pietra è stata posta
la domenica di Pasqua del
1882 e la prima eucaristia è
stata celebrata cinque anni
dopo, la domenica di Pasqua
del 1887.
Ma la storia dell’anglicanismo a Roma risale al XVIII
secolo, quando la città divenne la meta preferita di
ricchi gentiluomini e signore
britannici che facevano il loro Grand Tour nell’Europa
continentale. Sin dai giorni della Riforma, in Italia il culto anglicano era severamente vietato, sebbene sia probabile che gli aristocratici in visita
portassero con loro i propri sacerdoti personali
per delle celebrazioni private.
All’inizio del XIX secolo, però, un professore in
visita, il reverendo Corbett Hue, giunse a Roma
da Oxford — dove avrebbe preso piede il cosiddetto “Movimento di Oxford” —, nel tentativo di
riscoprire le radici pre-Riforma della tradizione
anglicana moderna. Diversi inglesi residenti gli
chiesero di officiare la liturgia della Chiesa d’Inghilterra e, domenica 27 ottobre 1816, egli celebrò
per loro l’eucaristia in locali che aveva preso in affitto proprio dietro all’angolo rispetto a dove ora
si trova la chiesa di All Saints. Grazie al passaparola in città, la congregazione, che in quella prima
domenica era stata di quattro persone nel giro di
un paio di settimane, crebbe fino a raggiungere
quasi quaranta persone.
Poiché i numeri continuavano a crescere, fu richiesta l’autorizzazione ufficiale del Papa, che fu
concessa, sebbene si dica che il Pontefice dell’epoca, Pio VII, abbia commentato con i suoi suoi assistenti: «Il Papa non sa niente e non concede niente!». Si ritiene che il suo successore, Papa Leone
XII abbia adottato un approccio altrettanto pragmatico, e viene riportato che avrebbe detto: «Se
viene vietato, non si può impedire agli inglesi di
incontrarsi in pochi nelle loro dimore private, e
così invece di una sola di tali congregazioni ne
avremo venti»! Egli ordinò anche a due agenti
della polizia di stare di guardia all’ingresso del loro luogo di culto, che in quel momento consisteva
di alcune stanze proprio accanto alla sua residenza, l’imponente palazzo del Quirinale. L’unica
condizione posta a questa crescente congregazione
era che doveva distribuire elemosine tra la gente
più povera della città, tradizione che continua ancora oggi, poiché ora la comunità s’impegna a dare almeno il dieci per cento delle sue entrate per
varie cause caritative.
Con l’aumento del numero dei fedeli, fu allestito un nuovo luogo di culto in un ex granaio, appena al di fuori della principale porta della città,
sull’elegante piazza del Popolo. La Cappella del
granaio servì da casa alla comunità dal 1825 fino a
quando, oltre mezzo secolo dopo, ebbe inizio la
costruzione della chiesa attuale. Dopo l’unità
d’Italia nel 1870 e la fine del potere temporale dei
Papi, fu concesso a tutte le comunità non cattoliche di stabilirsi in modo più permanente all’interno delle mura cittadine, il che portò alla costruzione dell’attuale chiesa neogotica con le sue colonne e gli archi di ricco marmo, e le eleganti vetrate decorate, che illustrano la vita dei santi e dei
martiri.
Negli ultimi decenni la congregazione di All
Saints è cresciuta in modo significativo, da comu-
L’interno della chiesa di All Saints
nità principalmente inglese per servire i membri
dell’ambasciata e altre famiglie espatriate, a una
mescolanza di nazionalità e denominazioni davvero internazionale, con alcuni gruppi satellite più
piccoli nel Lazio, in Umbria e nelle Marche. In
una normale domenica ci si può aspettare di trovare persone residenti a Roma, famiglie immigrate
africane o asiatiche, ministri luterani o metodisti
in visita, più i pellegrini provenienti dal mondo
anglofono, seduti accanto a fedeli di tutto il Regno Unito.
La bandiera di San Giorgio, che sventola dalla
base del bianco campanile in travertino, e la grande varietà di dolci e marmellate fatti in casa che
sono in vendita dopo la funzione, sono forse oggi
il segno più visibile di una cultura inglese più
“tradizionale” che ha forgiato il carattere della prima comunità di All Saints.
Appena prima del suo duecentesimo anniversario, la Chiesa d’Inghilterra ha ricevuto il riconoscimento dal governo italiano, il che le ha dato
uno status legale ufficiale. Parte della diocesi anglicana in Europa, All Saints offre una serie di stili e servizi liturgici differenti, dalla tradizionale
preghiera della sera e la compieta cantata, alla
santa comunione con il Book of Common Prayer
del 1662 e un culto alternativo contemporaneo,
nonché un gruppo di studi biblici settimanale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
domenica 26 febbraio 2017
Da Kinshasa una nota firmata da Chiesa e Nazioni Unite
Attacchi al bene
di tutti i congolesi
L’episcopato statunitense invita a rivedere le norme sull’immigrazione
Così si colpisce
proprio la sicurezza
WASHINGTON, 25. Un nuovo accorato invito a riconsiderare le
norme estremamente restrittive
varate nelle ultime settimane
dall’amministrazione federale in
materia di immigrazione è stato
lanciato dall’episcopato statunitense. A prendere l’iniziativa è
in questa occasione il presidente
del Comitato episcopale per la
migrazione, il vescovo di Austin,
Joe Steve Vasquez, attraverso
una dichiarazione diffusa anche
sul sito in rete dell’episcopato.
In essa si invita appunto il governo a riconsiderare l’approccio
complessivo della materia perché, viene osservato, una sua
prima applicazione «ha già posto gli immigrati più vulnerabili
in uno stato ancora maggiore di
vulnerabilità».
Il nuovo intervento del presule, che già nelle passate settimane aveva fatto sentire la propria
voce, è suggerito dalla pubblicazione da parte del Department
of Homeland Security di due
protocolli di attuazione di altrettanti ordini esecutivi in materia
di controllo alle frontiere e di
immigrazione interna. Normative che, rileva il presule, se attuate finirebbero per «danneggiare
la sicurezza pubblica piuttosto
che valorizzarla». Monsignor
Vásquez riconosce ovviamente il
diritto da parte dello stato di
garantire la sicurezza pubblica.
E ne riconosce anche la sua importanza. Tuttavia, rileva che
proprio l’applicazione della nuo-
Lutto nell’episcopato
Monsignor Alfonso de Jesús Hinojosa
Berrones, vescovo emerito di Ciudad
Victoria e già ausiliare di Monterrey, in
Messico, è morto giovedì 23 febbraio.
Nato a Monterrey il 7 ottobre 1924, aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 9
ottobre 1949. Nominato vescovo di Ciudad Victoria il 12 febbraio 1974, aveva
ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 5 aprile. Il 10 aprile 1985 aveva
rinunciato al governo pastorale della
diocesi, per divenire vescovo ausiliare di
Monterrey. Rinunciando all’incarico il 2
febbraio 2000. Le esequie sono state celebrate venerdì 24 febbraio nella cattedrale di Monterrey.
†
Il Cardinale Prefetto, l’Arcivescovo Segretario
e il Sotto-Segretario, unitamente a tutti gli Officiali e Collaboratori della Congregazione per
i Vescovi, partecipano sentitamente al grande
dolore che ha colpito Mons. Giovanni Lo
Giudice per la perdita dell’amato padre
FRANCESCO LO GIUDICE
venuto a mancare nella giornata di sabato 25
febbraio. A Mons. Lo Giudice, a sua madre e
ai familiari tutti assicurano la vicinanza nella
preghiera nella serena speranza che scaturisce
dal mistero della Risurrezione del Signore.
va normativa renderebbe la situazione ancora più difficile e
forse ingestibile. «Prese nel loro
complesso — osserva — le politiche contenute in questi memorandum separeranno inutilmente
le famiglie, porteranno scompiglio nelle comunità pacifiche,
metteranno in pericolo la vita e
la sicurezza dei più vulnerabili,
faranno crollare la fiducia attualmente esistente tra molti dipartimenti di polizia e le comunità
di immigrati, seminando grande
paura tra quelle comunità».
Il presule sottolinea in particolare come i protocolli in questione eliminano protezioni importanti per le popolazioni vulnerabili, compresi i bambini non
accompagnati e i richiedenti asilo. Tanto più che si espande in
maniera considerevole la militarizzazione del confine con il
Messico. «Nel loro insieme questi protocolli — viene sostenuto
— costituiscono le basi di un sistema su larga scala che ha come obiettivo praticamente tutti
gli immigrati irregolari, ritenendoli “prioritari” per la deportazione, senza fare alcuna distinzione». Non solo, tali protocolli
cercano di coinvolgere attivamente anche le forze dell’ordine
locali nell’attività di contrasto e
repressione
dell’immigrazione
senza alcuna considerazione per
le situazioni di fiducia esistenti
tra queste forze di polizia locali
e le comunità di immigrati. In
questo senso, si sottolinea che
«l’impegno di forze dell’ordine
locali per far rispettare la legge
federale sull’immigrazione può
minare la sicurezza pubblica,
rendendo molti immigrati timorosi di collaborare con le forze
dell’ordine».
Di qui l’esortazione rivolta
all’amministrazione federale di
riconsiderare alla radice tali direttive del Department of Homeland Security, così come si
dovrebbe ripensare, viene detto,
il tipo di approccio che è alla
base degli ordini esecutivi
sull’immigrazione e di tutte le
azioni messe a segno nell’ultimo
mese. Azioni che non hanno fatto altro che aggravare le condizioni già difficili di tanti immigrati. Guardando al futuro, il
presule conferma comunque
l’«impegno per la cura e il rispetto della dignità umana di
tutti, indipendentemente dallo
status di immigrato». Anzi sarà
un impegno che verrà «raddoppiato».
Un concetto analogo a quanto espresso dall’episcopato circa
un mese fa a ridosso dell’ordine
esecutivo della Casa Bianca: «I
vescovi cattolici degli Stati Uniti
raddoppieranno il loro sostegno
e i loro sforzi per proteggere
tutti coloro che fuggono la persecuzione e la violenza, come
parte del perenne e globale lavoro della Chiesa».
KINSHASA, 25. Prima il seminario maggiore di Malole-Kananga, nella provincia del Kasai
centrale, saccheggiato da un
gruppo di miliziani, poi la chiesa di San Domenico a LimeteKinshasa, profanata da individui
non identificati che hanno rovesciato banchi e altare, infine le
parrocchie di Santa Maria a Lukalaba, nel Kasai orientale, di
Saint Kizito a Lubumbashi, di
Saint Robert Kansele e di Saint
Albert le Grand a Mbuji-Mayi,
prese d’assalto da sconosciuti: la
serie di attentati che ha colpito
nelle ultime due settimane chiese e istituti cattolici ha spinto la
nunziatura apostolica nella Repubblica Democratica del Congo, la Conferenza episcopale e
la Missione delle Nazioni Unite
per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (Monusco) a intervenire con
un comunicato congiunto per
condannare con forza gli atti
vandalici.
«I luoghi di culto appartengono a tutti. Chi li attacca colpisce un bene comune di tutti i
congolesi», si legge nella nota,
firmata dal nunzio apostolico,
arcivescovo Luis Mariano Montemayor, dal presidente dell’episcopato, Marcel Utembi Tapa,
arcivescovo di Kisangani, e da
Maman Sambo Sidikou, il diplomatico nigeriano a capo della
Monusco, chiedendo la sospensione immediata degli attacchi e,
ai responsabili politici, di condannare a loro volta tali intimidazioni per «sventare qualsiasi
tentativo di manipolazione teso
a indebolire l’accordo» di co-gestione del Paese siglato il 31 di-
cembre da maggioranza e opposizione. Gli attentati — viene
precisato — sono stati particolarmente violenti nelle province di
Kinshasa, Alto Katanga, Kasai
centrale e Kasai orientale. In
alcuni casi, come per la chiesa
di San Domenico a Kinshasa,
sono stati compiuti vicino a luoghi-simbolo, ovvero la sede
dell’Unione per la democrazia e
il progresso sociale, il partito
dell’oppositore storico del presidente Joseph Kabila, Étienne
Tshisekedi, morto il 1° febbraio a
Bruxelles. E alcuni osservatori
mettono in collegamento la serie
di atti vandalici con il ruolo di
mediazione della Chiesa cattolica fra la maggioranza e l’opposizione. Mediazione destinata a
far uscire il Paese dalla crisi dopo la decisione di mantenere al
potere Kabila per tutto il 2017,
nonostante il suo mandato sia
scaduto il 20 dicembre scorso.
In cambio, appunto, di una cogestione
dell’amministrazione
pubblica.
«C’è una recrudescenza di
paura, di collera, di incertezza»,
ha dichiarato nei giorni scorsi
all’agenzia Fides il cardinale arcivescovo di Kinshasa, Laurent
Monsengwo Pasinya, ricordando
anche il terrore seminato da sconosciuti presso le suore carmelitane a Kananga e le manifestazioni di fronte all’arcivescovado
della capitale, inscenate da
gruppi di giovani che «hanno
creato un clima di panico». Il
porporato mette in relazione
questi fatti con il ruolo di mediazione della Conferenza episcopale e il tentativo di trovare
un primo ministro che guidi un
governo di unità nazionale.
Per due anniversari nella Repubblica del Ghana
Il cardinale Bertello inviato del Papa ad Accra
Com’è noto, il Pontefice ha nominato il cardinale Giuseppe Bertello,
presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, suo
inviato speciale alle celebrazioni del quarantesimo anniversario delle
relazioni diplomatiche tra la Repubblica del Ghana e la Santa Sede e
del sessantesimo anniversario dell’indipendenza del Paese, in programma
ad Accra dal 3 al 6 marzo. Il porporato sarà accompagnato da una
missione composta da monsignor Francis Adoboli, vicario generale di
Accra, e da don Lazarus Anondee, segretario generale della Conferenza
episcopale del Ghana. Pubblichiamo di seguito il testo della lettera
papale di nomina.
Venerabili Fratri Nostro
IOSEPHO S.R.E. Cardinali BERTELLO
Pontificiae Commissionis pro Statu
Civitatis Vaticanae
itemque Gubernatoratus Status
Civitatis Vaticanae Praesidi
Dilectam Ganae gentem corde Nostro amplectimur, ob pacem et prosperitatem eius gaudentes, sicut et
ceteros Africae populos, quos in
summo ministerio exercendo saepe
cogitamus. Laeto igitur animo modo nuntium accepimus mox in Gana celebrari sexagesimum annum
eius independentiae, et cum hoc
eventu simul quadraginta annos recoli a diplomaticis relationibus initis inter Sanctam Sedem et Ganam,
In Sud Sudan i vescovi denunciano gravissimi crimini
Una voce nel deserto
JUBA, 25. «Una voce grida nel deserto» del Sud Sudan: è quella della Chiesa cattolica che, in un messaggio intitolato proprio A voice cries in the wilderness,
denuncia la grave situazione nel Paese africano dove,
viene sottolineato, si ucciderebbe anche in base
all’appartenenza etnica. «Nonostante i nostri appelli
a tutte le parti a fermare la guerra, continuano in tutto il Paese le uccisioni, gli stupri, i saccheggi, gli sfollamenti forzati, gli assalti alle chiese e le distruzioni
di proprietà», si legge nel documento. L’esercito fedele al presidente Salva Kiir Mayardit e le forze
dell’opposizione del vicepresidente Riek Machar attaccano i civili considerati vicini alla parte rivale. La
discriminazione avviene in base all’etnia e coloro che
sono percepiti come “nemici” sono «violentati, torturati, uccisi, bruciati», nel migliore dei casi «molestati,
picchiati, depredati, costretti ad abbandonare le case,
imprigionati». Il Governo ha invitato gli sfollati a
rientrare nei villaggi ma molti di questi, affermano i
vescovi, «sono diventati terra bruciata», mentre molte località appaiono come «città fantasma, svuotate
degli abitanti a eccezione delle forze di sicurezza o
dei membri di fazioni o tribù». Secondo i presuli,
mancherebbe la necessaria sicurezza anche per coloro
che trovano rifugio nei campi dell’Onu o nelle chiese. L’episcopato si dice preoccupato dal fatto che
«elementi del Governo sembrano diffidenti nei confronti della Chiesa» e che in alcune località gli sforzi
di mediazione ecclesiali sono frustrati. Vengono infine denunciati atti persecutori contro preti, religiosi,
religiose e laici. Il messaggio si conclude ribadendo
l’impegno della Chiesa a collaborare con tutti per riportare la pace nel Paese e lanciando un nuovo appello a far fronte alla grave crisi umanitaria e alimentare. Emergenza ricordata mercoledì scorso dal Papa
all’udienza generale.
atque eiusdem consecrationem Sacratissimo Cordi Iesu renovari.
Quo autem eiusmodi eventus
congrua celebrentur sollemnitate,
tum Episcoporum Conferentia tum
civiles Auctoritates per Nuntium
Apostolicum in Gana, Venerabilem
Fratrem Ioannem Mariam Speich,
Archiepiscopum titulo Sulcitanum,
postulaverunt a Nobis ut illuc eminentem Praesulem mitteremus ad
Personam Nostram gerendam atque illius nobilis Nationis cum
Apostolica Sede vinculum usque
firmandum. Ad te quidem, Venerabilis Frater Noster, cogitationem fidentes admovimus, quem peraptum ad hoc munus efficaciter
explendum aestimamus, quia praeterito tempore Romani Pontificis et
Sanctae Sedis negotia ibidem
sedulo curavisti, atque nunc prudenter fungeris officiis Praesidis
Pontificiae Commissionis pro Statu
Civitatis Vaticanae ac Praesidis Gubernatoratus Status Civitatis Vaticanae.
Quam ob rem hisce Litteris te
Missum Extraordinarium Nostrum
constituimus ut a die III usque ad
diem VI proximi mensis Martii Accrae Nostras agas partes in memoratis eventibus. Nostrum est desiderium ut, hac oblata occasione,
grato animo per te salutemus singulos et universos Ganae cives,
tum christianos cum aliarum religionum asseclas, praecipue vero il-
lius Reipublicae Moderatorem recenter electum, Illustrem et Honorabilem Dominum Nana AkufoAddo, cunctosque eius adiutores.
Religiose quoque complectimur
Ganae Episcopos, qui actuose Regnum Dei suis in terris aedificant,
nec non alios religiosarum communitatum Ductores.
Dum autem eiusmodi celebrantur eventus, placet recordare Decessoris Nostri fere prophetica verba:
«...nunc in Africa plerumque Ecclesia sacras suas inter ethnicos legationes promovere contendit. Re
quidem vera pleraeque regiones
tam gravibus rei socialis, oeconomicae et politicae immutationibus
obnoxiae sunt, ut ex eis futuri temporis cursus maxima ex parte pendere videatur» (Pius XII, Litt. Enc.
Fidei donum, 1: AAS 49 [1957], 229).
Quae olim facta dum nunc memorantur, oportet sane ad opus prosequendum inter omnes homines reconciliationis et melioris futuri collatis viribus aedificandi, Deo iuvante, nos concitent.
Scias denique volumus, Venerabilis Frater Noster, hanc missionem
tuam Nos Christo Domino aeterno
universorum Regi maternaeque intercessioni Deiparae Beatae Virginis Mariae precibus committere.
Insuper Benedictionem Nostram
Apostolicam, caelestis gratiae pignus et benignae Nostrae voluntatis testem, tibi imprimis impertimus, quam volumus nomine Nostro omnibus filiis filiabusque illius
aestimabilis Nationis hos eventus
participantibus peramanter communices.
Ex Aedibus Vaticanis, die XV
mensis Februarii, anno MMXVII,
Pontificatus Nostri quarto.
L’OSSERVATORE ROMANO
domenica 26 febbraio 2017
pagina 7
Raccolta dell’acqua in Uganda
(foto di Fredrick Mugira)
Grido d’allarme lanciato dal Papa
Guerra mondiale
per l’acqua
Il mondo sta andando «verso la grande guerra mondiale per l’acqua»? Se lo è chiesto Papa
Francesco intervenendo venerdì pomeriggio, 24 febbraio, alla sessione di chiusura del seminario
sul diritto umano all’acqua, promosso dalla Pontificia Accademia delle scienze e apertosi
il giorno precedente nella Casina Pio IV, in Vaticano. Dopo una breve introduzione
del cardinale brasiliano Cláudio Hummes, il Pontefice ha pronunciato di seguito il discorso
che pubblichiamo in una traduzione italiana.
Cari fratelli e sorelle, buon pomeriggio.
Saluto tutti voi qui presenti e vi ringrazio
per la vostra partecipazione a questo Incontro che affronta la problematica del diritto umano all’acqua e l’esigenza di politiche pubbliche che possano fronteggiare
questa realtà. È significativo che vi uniate
per apportare le vostre conoscenze e i vostri mezzi al fine di dare una risposta a
questo bisogno e a questa problematica
che vive l’uomo di oggi.
Come leggiamo nel libro della Genesi,
l’acqua è al principio di tutte le cose (cfr.
Gn 1, 2); è “creatura utile, pura e umile”,
fonte della vita e della fecondità (cfr. san
Francesco d’Assisi, Cantico delle Creature).
Perciò la questione che trattate non è marginale, bensì fondamentale e molto urgente. Fondamentale perché dove c’è acqua
c’è vita, e allora la società può sorgere e
progredire. Ed è urgente perché la nostra
casa comune ha bisogno di protezione e,
inoltre, che si comprenda che non tutta
l’acqua è vita: solo l’acqua sicura e di qualità — continuando con la figura di San
Francesco: l’acqua “che serve con umiltà”,
l’acqua “pura”, non inquinata.
Ogni persona ha diritto all’accesso
all’acqua potabile e sicura; è un diritto
umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale (cfr. Enciclica
Laudato si’, n. 30; Enciclica Caritas in veritate, n. 27). È doloroso quando nella legislazione di un paese o di un gruppo di
paesi non si considera l’acqua come un diritto umano. E ancora più doloroso quando si revoca ciò che stava scritto e si nega
questo diritto umano. È un problema che
riguarda tutti e fa sì che la nostra casa comune sopporti tanta miseria e reclami soluzioni effettive, davvero capaci di superare gli egoismi che impediscono l’attuazione di questo diritto vitale per tutti gli es-
C’è bisogno di un cambiamento culturale
La dichiarazione finale firmata dal Pontefice
Parte dalla constatazione che molti degli attuali sistemi economici e produttivi e degli
stili di vita e di consumo degradano l’ambiente, la dichiarazione sul diritto umano
all’acqua, documento conclusivo del seminario svoltosi in Vaticano. Primo firmatario è
stato proprio Papa Francesco, durante la sessione conclusiva dei lavori nella sede della
Pontificia Accademia delle
scienze, che ha organizzato
l’appuntamento in collaborazione con «La Cátedra del
dialogo y la cultura del encuentro».
«Abbiamo bisogno — si
legge nel documento — di
un’educazione che contribuisca a un cambiamento culturale intorno al riconoscimento dell’altro e alla difesa
dell’acqua e degli ecosistemi». Questo esige una nuova
mentalità, grazie alla quale la
scienza e la tecnologia possano dare contributi fondamentali
nella
preservazione
dell’acqua e del suo uso universale. Per proteggere i beni
comuni, continua la dichiarazione finale, è
necessario «contare su strumenti giuridici più
efficaci». Perciò «la prospettiva dei diritti
umani può fare la differenza: evitare che la
fornitura di acqua e di igiene cada nella discrezionalità di gruppi di potere e piuttosto
costituisca un obbligo giuridicamente vincolante».
Per raggiungere l’obiettivo c’è bisogno di
governi che «abbiano volontà e forza politica
e possano generare i cambiamenti necessari
seguendo l’imperativo morale degli Obiettivi
di sviluppo sostenibile approvati dopo il discorso di Papa Francesco alla comunità internazionale». Questo richiede un impegno collettivo per la costruzione di politiche pubbliche globali, statali e locali che includano
«meccanismi di partecipazione reali ed effettivi per l’esercizio pieno della cittadinanza e
la cura dei beni comuni». Il documento
sottolinea come oggi sia urgente conseguire
«consensi su modelli di governo che permettano la formazione di un’autentica cultura
dell’acqua». Allo stesso tempo, viene raccomandato ai governi di garantire «la sicurezza
e la vita di tutti quelli che lavorano per il
diritto all’acqua e la preservazione della
natura».
Il riconoscimento dei diritti poi deve completarsi «con le responsabilità dell’azione da
parte di tutti». Ciò implica cambiamenti «in
stili di vita, produzione e consumo, così come lo sviluppo di energie rinnovabili e pulite». In particolare, va garantito «l’approvvigionamento di acqua sicura in quantità necessaria», così come «la raccolta delle acque
reflue e la loro sistemazione ambientalmente
adeguata», per contribuire alla cura della casa comune e alla dignità delle persone, favorendo al tempo stesso la formazione di «cittadinanze responsabili verso le generazioni
presenti e future».
Il documento sottolinea anche che scienziati, imprenditori e politici devono prendere
coscienza che il cambiamento climatico esige
misure concrete e urgenti. Viene poi messo in
luce come nell’enciclica Laudato sì’ Papa
Francesco proponga «la costruzione di
un’ecologia integrale nella cura della casa comune», invitando a una «mobilitazione collettiva e congiunta» per la difesa dell’accesso
universale all’acqua sicura, alla quale devono
partecipare i governi, le istituzioni, il settore
privato, i lavoratori e le società di tutto il
mondo. Da qui l’invito all’«impegno collaborativo» e all’«azione collettiva», che testimoniano l’urgenza del cambiamento dalla «razionalità strumentale verso una vera solidarietà intergenerazionale». Nel documento si
lancia un appello «a implementare un’ecologia integrale, che comprenda la dimensione
ambientale, economica, sociale e culturale», e
contribuisca alla costruzione «di una cultura
dell’incontro intorno all’acqua e all’igiene come diritti universali». In questo senso, viene
affermato che la scienza, la cultura, la politica e la tecnologia possono contribuire «al
raggiungimento di una società più giusta, solidale ed equa impegnata nella cura della casa comune».
Per questo, nonostante la sfida sia enorme,
il testo invita a fare affidamento sulla solidarietà e sulla sensibilità collettiva, «frutto del
dialogo di filosofie, saperi, spiritualità ed epistemologie». Infatti, si riconosce che esistono
oggi molteplici e valide esperienze e iniziative orientate
alla tutela del creato. Tutto
ciò ha reso possibile una migliore comprensione del problema dell’acqua, che non è
«prioritariamente di scarsità,
ma di una gestione inadeguata della risorsa». D’altronde,
è noto che l’uso dei combustibili fossili nella generazione di energia «contribuisce al
cambiamento climatico». Pertanto, i firmatari contano
sull’importante
patrimonio
scientifico finora acquisito e
sulle tecnologie per la generazione di energia pulita, che
«possono aiutare a mitigare il
riscaldamento globale». In
questo senso, gli sforzi si orienteranno alla ricerca di «un altro modello di sviluppo incentrato sulla cura della casa comune e su solidarietà, equità e giustizia nell’uso e nella gestione dell’acqua».
seri umani. È necessario attribuire all’acqua la centralità che merita nell’ambito
delle politiche pubbliche. Il nostro diritto
all’acqua è anche un dovere con l’acqua.
Dal diritto che abbiamo ad essa deriva un
obbligo che gli è collegato e non si può
separare. È imprescindibile annunciare
questo diritto umano essenziale e difenderlo — come si sta facendo —, ma anche
agire in modo concreto, assicurando un
impegno politico e giuridico con l’acqua.
In tal senso, ogni Stato è chiamato a concretizzare, anche con strumenti giuridici,
quanto indicato dalle Risoluzioni approvate dall’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite nel 2010 sul diritto umano all’acqua
potabile e all’igiene. D’altro canto, ogni
attore non statale deve assumersi le proprie responsabilità verso questo diritto.
Il diritto all’acqua è determinante per la
sopravvivenza delle persone (cfr. Ibidem,
n. 30) e decide il futuro dell’umanità. È
prioritario anche educare le prossime generazioni circa la gravità di questa realtà. La
formazione della coscienza è un compito
difficile; richiede convinzione e dedizione.
Mi domando se, in mezzo a questa “terza
guerra mondiale a pezzetti” che stiamo vivendo, non stiamo andando verso la grande guerra mondiale per l’acqua.
Le cifre che le Nazioni Unite rivelano
sono sconvolgenti e non ci possono lasciare indifferenti: mille bambini muoiono
ogni giorno a causa di malattie collegate
all’acqua; milioni di persone consumano
acqua inquinata. Si tratta di dati molto
gravi; si deve frenare e invertire questa situazione. Non è tardi, ma è urgente prendere coscienza del bisogno di acqua e del
suo valore essenziale per il bene dell’umanità.
Il rispetto dell’acqua è condizione per
l’esercizio degli altri diritti umani (cfr. Ibidem, n. 30). Se rispetteremo questo diritto
come fondamentale, staremo ponendo le
basi per proteggere gli altri diritti. Ma se
violeremo questo diritto essenziale, come
potremo vegliare sugli altri e lottare per
loro! In questo impegno di dare all’acqua
il posto che le corrisponde è necessaria
una cultura della cura (cfr. Ibidem, n. 231)
— sembra una cosa poetica e, chiaro, la
creazione è una “poiesis”, questa cultura
della cura che è creativa — e inoltre promuovere una cultura dell’incontro, in cui si
uniscano in una causa comune tutte le
forze necessarie di scienziati e imprenditori, governanti e politici. Occorre unire tutte le nostre voci in una stessa causa; non
saranno più voci individuali o isolate, ma
il grido del fratello che reclama per mezzo
di noi, è il grido della terra che chiede il
rispetto e la condivisione responsabile di
un bene, che è di tutti. In questa cultura
dell’incontro, è imprescindibile l’azione di
ogni Stato come garante dell’accesso universale all’acqua sicura e di qualità.
Dio Creatore non ci abbandona in questo lavoro per dare a tutti e a ognuno accesso all’acqua potabile e sicura. Però il
lavoro è nostro, la responsabilità è nostra.
Auspico che questo seminario sia un’occasione propizia affinché le vostre convinzioni si vedano rafforzate e usciate da qui
con la certezza che il vostro lavoro è necessario e prioritario perché altre persone
possano vivere. È un ideale per il quale
vale la pena lottare e lavorare. Con il nostro “poco” contribuiremo a far sì che la
nostra casa comune sia più abitabile e più
solidale, più curata, dove nessuno venga
scartato né escluso, ma dove tutti godiamo dei beni necessari per vivere e crescere
in dignità. E non dimentichiamo i dati, le
cifre delle Nazioni Unite. Non dimentichiamo che ogni giorno mille bambini,
ogni giorno, muoiono per malattie collegate all’acqua.
Grazie
A una delegazione dell’episcopato francese impegnata nella cooperazione tra i popoli
No a un mondo che alza muri
Un nuovo appello a costruire ponti «in un
mondo in cui si alzano ancora tanti muri per
paura degli altri» è stato lanciato dal Papa
durante l’udienza — svoltasi sabato mattina,
25 febbraio, nella Sala dei Papi — alla
delegazione cattolica per la cooperazione, della
Conferenza episcopale francese.
Cari amici,
con gioia vi accolgo durante il pellegrinaggio che state compiendo a Roma nel
50° anniversario della Délégation Catholique
pour la Coopération. Attraverso di voi, rivolgo il mio cordiale saluto a tutti i volontari in missione in più di cinquanta Paesi,
come pure a tutte le persone che, oggi come ieri, beneficiano della loro presenza e
delle loro competenze.
Come ha scritto il Beato Paolo VI
nell’Enciclica Populorum progressio, «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita
economica. Per essere autentico sviluppo,
deve essere integrale, il che vuol dire volto
alla promozione di ogni uomo e di tutto
l’uomo. [...] La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i
popoli di divenire essi stessi gli artefici del
loro destino» (nn. 14 e 65). Tali convinzioni hanno portato la Chiesa in Francia a
creare, cinquant’anni or sono, la Délégation
Catholique pour la Coopération, in fedeltà al
grande slancio missionario a cui essa ha
saputo offrire il suo generoso contributo
nel corso dei secoli. Con voi rendo grazie
al Signore per l’opera del suo Spirito manifestata nel cammino umano e spirituale
dei volontari e nel lavoro di accompagna-
mento dei progetti di sviluppo che la vostra Organizzazione ha reso possibili. In
tal modo voi servite un’autentica cooperazione tra le Chiese locali e tra i popoli,
opponendovi alla miseria e operando per
un mondo più giusto e più fraterno.
«La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma
indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una
nuova mentalità che pensi in termini di
comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte
di alcuni» (Esort. ap. Evangelii gaudium,
188). È proprio in questa dinamica che la
Délégation Catholique pour la Coopération
ha voluto inscrivere la propria azione, realizzando un vero partenariato con le Chiese e gli attori locali dei Paesi in cui i volontari sono inviati, e lavorando d’intesa
con le autorità civili e tutte le persone di
buona volontà. Essa contribuisce anche ad
un’autentica conversione ecologica che rico-
nosce l’eminente dignità di ogni persona,
il valore che le è proprio, la sua creatività
e la sua capacità di cercare e di promuovere il bene comune (cfr. Enc. Laudato si’,
216-221).
Incoraggio pertanto tutti i membri della
Délégation Catholique pour la Coopération a
«far crescere una cultura della misericordia,
basata sulla riscoperta dell’incontro con
gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo
sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli» (Lett. ap. Misericordia et misera, 20).
Non abbiate paura di percorrere le strade
della fraternità e di costruire ponti tra le
persone e tra i popoli, in un mondo in cui
si alzano ancora tanti muri per paura degli altri. Mediante le vostre iniziative, i vostri progetti e le vostre azioni voi rendete
visibile una Chiesa povera con e per i poveri,
una Chiesa in uscita che si fa prossima delle persone in stato di sofferenza, di precarietà, di emarginazione, di esclusione. Vi
incoraggio ad essere al servizio di una
Chiesa che permette a ciascuno di riconoscere la sorprendente prossimità di Dio, la
sua tenerezza e il suo amore e di accogliere la forza che Egli ci dà in Gesù Cristo,
sua Parola vivente, perché impieghiamo i
nostri talenti in vista del bene di tutti e
della salvaguardia della nostra casa comune.
Mentre chiedo al Signore di aiutarvi a
servire la cultura dell’incontro in seno all’unica famiglia umana, imparto la Benedizione
apostolica a voi e a tutti i membri della
Délégation Catholique pour la Coopération.
Grazie.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
domenica 26 febbraio 2017
Lo ha chiesto il Papa ai parroci che partecipano al corso di formazione promosso dalla Rota romana
Un vero catecumenato
per prepararsi al matrimonio
È necessario «un vero catecumenato» per i
giovani che si preparano a sposarsi: lo ha
ribadito Papa Francesco nel discorso rivolto
ai parroci che partecipano a un corso di
formazione sul nuovo processo matrimoniale
promosso dalla Rota romana. L’udienza si è
svolta sabato mattina, 25 febbraio, nella
Sala Clementina, ed è stata introdotta da un
indirizzo di saluto del decano della Rota,
sua Eccellenza monsignor Pio Vito Pinto.
Cari fratelli,
sono lieto di incontrarvi al termine del
corso di formazione per i parroci, promosso dalla Rota Romana, sul nuovo processo
matrimoniale. Ringrazio il Decano e il
Pro Decano per il loro impegno in favore
di questi corsi formativi. Quanto è stato
discusso e proposto nel Sinodo dei Vescovi sul tema “Matrimonio e famiglia”, è stato recepito e integrato in modo organico
nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia e
tradotto in opportune norme giuridiche
contenute in due specifici provvedimenti:
il motu proprio Mitis Iudex e il motu proprio Misericors Jesus. È una cosa buona
che voi parroci, attraverso queste iniziative
di studio, possiate approfondire tale materia, perché siete soprattutto voi ad applicarla concretamente nel quotidiano contatto con le famiglie.
Nella maggior parte dei casi voi siete i
primi interlocutori dei giovani che desiderano formare una nuova famiglia e sposarsi nel Sacramento del matrimonio. E ancora a voi si rivolgono per lo più quei coniugi che, a causa di seri problemi nella
loro relazione, si trovano in crisi, hanno
bisogno di ravvivare la fede e riscoprire la
grazia del Sacramento; e in certi casi chiedono indicazioni per iniziare un processo
di nullità. Nessuno meglio di voi conosce
ed è a contatto con la realtà del tessuto
sociale nel territorio, sperimentandone la
complessità variegata: unioni celebrate in
Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici.
Di ogni persona e di ogni situazione voi
siete chiamati ad essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere.
Anzitutto sia vostra premura testimoniare
la grazia del Sacramento del matrimonio e
il bene primordiale della famiglia, cellula
vitale della Chiesa e della società, mediante la proclamazione che il matrimonio tra
un uomo e una donna è segno dell’unione
sponsale tra Cristo e la Chiesa. Tale testimonianza la realizzate concretamente
quando preparate i fidanzati al matrimonio, rendendoli consapevoli del significato
profondo del passo che stanno per compiere, e quando accompagnate con sollecitudine le giovani coppie, aiutandole a vivere nelle luci e nelle ombre, nei momenti
di gioia e in quelli di fatica, la forza divina e la bellezza del loro matrimonio. Ma
io mi domando quanti di questi giovani
che vengono ai corsi prematrimoniali capiscano cosa significa “matrimonio”, il segno dell’unione di Cristo e della Chiesa.
“Sì, sì” - dicono di sì, ma capiscono questo? Hanno fede in questo? Sono convinto che ci voglia un vero catecumenato per
il Sacramento del matrimonio, e non fare
la preparazione con due o tre riunioni e
poi andare avanti.
Non mancate di ricordare sempre agli
sposi cristiani che nel Sacramento del matrimonio Dio, per così dire, si rispecchia
in essi, imprimendo la sua immagine e il
carattere incancellabile del suo amore. Il
matrimonio, infatti, è icona di Dio, creata
per noi da Lui, che è comunione perfetta
delle tre Persone del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo. L’amore di Dio Uno
e Trino e l’amore tra Cristo e la Chiesa
sua sposa siano il centro della catechesi e
della evangelizzazione matrimoniale: attraverso incontri personali o comunitari, programmati o spontanei, non stancatevi di
mostrare a tutti, specialmente agli sposi,
questo “mistero grande” (cfr. Ef 5, 32).
Mentre offrite questa testimonianza, sia
vostra cura anche sostenere quanti si sono
resi conto del fatto che la loro unione non
è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione. In questa delicata e necessaria opera fate in modo che i vostri fedeli vi riconoscano non
tanto come esperti di atti burocratici o di
norme giuridiche, ma come fratelli che si
pongono in un atteggiamento di ascolto e
di comprensione.
Al tempo stesso, fatevi prossimi, con lo
stile proprio del Vangelo, nell’incontro e
nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi. Essi, sul
piano spirituale e morale, sono tra i poveri
e i piccoli, verso i quali la Chiesa, sulle orme del suo Maestro e Signore, vuole essere madre che non abbandona ma che si
avvicina e si prende cura. Anche queste
persone sono amate dal cuore di Cristo.
Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione. Questa cura degli
ultimi, proprio perché emana dal Vangelo,
è parte essenziale della vostra opera di
promozione e difesa del Sacramento del
matrimonio. La parrocchia è infatti il luogo per antonomasia della salus animarum.
Così insegnava il Beato Paolo VI: «La parrocchia [...] è la presenza di Cristo nella
pienezza della sua funzione salvatrice. [...]
è la casa del Vangelo, la casa della verità,
la scuola di Nostro Signore» (Discorso nella parrocchia della Gran Madre di Dio in
Roma, 8 marzo 1964: Insegnamenti II
[1964], 1077).
Cari fratelli, parlando recentemente alla
Rota Romana ho raccomandato di attuare
un vero catecumenato dei futuri nubendi,
che includa tutte le tappe del cammino sacramentale: i tempi della preparazione al
matrimonio, della sua celebrazione e degli
anni immediatamente successivi. A voi
parroci, indispensabili collaboratori dei
Vescovi, è principalmente affidato tale catecumenato. Vi incoraggio ad attuarlo nonostante le difficoltà che potrete incontrare. E credo che la difficoltà più grande sia
pensare o vivere il matrimonio come un
fatto sociale — “noi dobbiamo fare questo
fatto sociale” — e non come un vero sacramento, che richiede una preparazione lunga, lunga.
Vi ringrazio per il vostro impegno in favore dell’annuncio del Vangelo della famiglia. Lo Spirito Santo vi aiuti ad essere
ministri di pace e di consolazione in mezzo al santo popolo fedele di Dio, specialmente alle persone più fragili e bisognose
della vostra sollecitudine pastorale. Mentre vi chiedo di pregare per me, di cuore
benedico ciascuno di voi e le vostre comunità parrocchiali. Grazie.
Alla comunità di Capodarco
Non è degna dell’uomo una società che discrimina i deboli
Una società «che desse spazio
solo alle persone pienamente funzionali»
non sarebbe «degna dell’uomo».
È quanto ha affermato Papa Francesco
nel discorso rivolto ai membri della comunità
di Capodarco, ricevuti in udienza
nella mattina di sabato 25 febbraio,
nell’aula Paolo VI.
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di questo nostro incontro e lieto
di quello che ho sentito, molto lieto, e vi
saluto tutti con affetto. Ringrazio di cuore
Don Franco Monterubbianesi, fondatore
della vostra Comunità, e Don Vinicio Albanesi, attuale presidente, per le loro parole; e ringrazio voi che ci avete regalato le
vostre testimonianze.
La Comunità di Capodarco, articolata in
numerose realtà locali, ha celebrato l’anno
scorso il suo 50° anniversario. Con voi, ringrazio il Signore per il bene compiuto in
questi anni al servizio delle persone disabili, dei minori, di quanti vivono situazioni
di dipendenza e di disagio, e delle loro famiglie. Voi avete scelto di stare dalla parte
di queste persone meno tutelate, per offrire
loro accoglienza, sostegno e speranza, in
una dinamica di condivisione. In questo
modo avete contribuito e contribuite a rendere migliore la società.
La qualità della vita all’interno di una
società si misura, in buona parte, dalla capacità di includere coloro che sono più deboli e bisognosi, nel rispetto effettivo della
loro dignità di uomini e di donne. E la
maturità si raggiunge quando tale inclusione non è percepita come qualcosa di
straordinario, ma di normale. Anche la
persona con disabilità e fragilità fisiche,
psichiche o morali, deve poter partecipare
alla vita della società ed essere aiutata ad
attuare le sue potenzialità nelle varie dimensioni. Soltanto se vengono riconosciuti
i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia. Una società che desse spazio solo alle persone pienamente funzionali, del tutto
autonome e indipendenti non sarebbe una
società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza
o al censo o alla religione.
In questi decenni, la vostra Comunità si
è costantemente messa in ascolto attento e
amoroso della vita delle persone, sforzandosi di rispondere ai bisogni di ciascuno
tenendo conto delle loro capacità e dei loro limiti. Questo vostro approccio ai più
deboli supera l’atteggiamento pietistico e
assistenzialistico, per favorire il protagonismo della persona con difficoltà in un contesto comunitario non chiuso in sé stesso
ma aperto alla società. Vi incoraggio a proseguire su questa strada, che vede in primo
piano l’azione personale e diretta dei disabili stessi. Di fronte ai problemi economici
e alle conseguenze negative della globalizzazione, la vostra Comunità cerca di aiutare quanti si trovano nella prova a non sentirsi esclusi o emarginati, ma, al contrario,
a camminare in prima linea, portando la
testimonianza dell’esperienza personale. Si
tratta di promuovere la dignità e il rispetto
di ogni individuo, facendo sentire agli
“sconfitti della vita” la tenerezza di Dio,
Padre amorevole di ogni sua creatura.
Voglio ancora ringraziare per la testimonianza che date alla società, aiutandola a
scoprire sempre più la dignità di tutti, a
partire dagli ultimi, dai più svantaggiati.
Le istituzioni, le associazioni e le varie
agenzie di promozione sociale sono chiamate a favorire l’effettiva inclusione di queste persone. Voi lavorate per questo scopo
con generosità e competenza, con l’aiuto
coraggioso di famiglie e volontari, che ci
ricordano il significato e il valore di ogni
esistenza. Accogliendo tutti questi “piccoli”
segnati da impedimenti mentali o fisici, o
da ferite dell’anima, voi riconoscete in essi
dei testimoni particolari della tenerezza di
Dio, dai quali abbiamo molto da imparare
e che hanno un posto privilegiato anche
nella Chiesa. Di fatto, la loro partecipazione alla comunità ecclesiale apre la via a
rapporti semplici e fraterni, e la loro preghiera filiale e spontanea ci invita tutti a rivolgerci al nostro Padre celeste.
La vostra Associazione ha avuto origine
dai pellegrinaggi ai santuari di Lourdes e
di Loreto, nei quali don Franco intuì il
modo di poter valorizzare le risorse umane
e spirituali insite in ogni persona diversamente abile. Nella vostra attività, tanto
preziosa per la Chiesa e per la società, la
Vergine Madre vi ha sempre accompagnato
e continua a farlo, aiutandovi a ritrovare
ogni volta nuove energie e a conservare
sempre lo stile del Vangelo, la tenerezza, la
premura, la vicinanza, e anche il coraggio,
lo spirito di sacrificio, perché non è facile
lavorare nel campo del disagio personale e
sociale.
Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio ancora
della vostra visita. Vi benedico e vi accompagno con la preghiera, perché le vostre
comunità continuino a camminare con
gioia e con speranza. E anche voi, per favore, pregate per me. Grazie!
E vi invito a pregare nostra Madre,
quella che dà forza alle mamme, alle donne, a voi, a tutti noi che lavoriamo. [Ave
Maria]
Dalla parte
degli ultimi
La comunità di Capodarco ha voluto «fortemente celebrare insieme a
Papa Francesco i cinquant’anni del
suo servizio agli ultimi». Così sono
venuti «da tutte le parti d’Italia»
per partecipare all’incontro nell’aula
Paolo VI. «Oggi qui sono rappresentati anche i Paesi dell’Africa» ha
detto il presidente, don Vinicio Albanesi, nel saluto a Francesco, ricordando in particolare l’ospitalità
ai migranti. E questa è, del resto,
una storica caratteristica della comunità che, ha spiegato, va di pari
passo con «l’accoglienza ai ragazzi
disabili fisici e con deficit mentali e
psichici, ai ragazzi tossicodipendenti, alle donne sole con figli». Insomma, ha confidato il sacerdote,
facciamo «ciò che la Provvidenza ci
chiede di fare» al servizio di «chi ci
fa incontrare».
Il presidente della comunità ha
quindi chiesto a Francesco, anche
alla luce della Evangelii gaudium e
della Laudato si’, «una riflessione
sulla dignità delle persone, fatta
con il cuore, con la misericordia».
Nella comunità, ha affermato, «ci
sono persone che hanno sofferto disprezzo, scarto, lontananza; invece
ogni persona ha la sua dignità, il
suo calore umano, la sua anima, il
suo spirito». Perché non ci sono vite che valgono meno di altre.
Don Albanesi ha anche parlato di
«giustizia: è uno scandalo insopportabile — ha denunciato — che l’uno
per cento della popolazione mondiale possieda quanto il novantanove per cento». E, ha aggiunto,
«parliamo sempre di giustizia e morale; poi nella vita concreta siamo
incastrati nel circuito della finanza
da cui non possiamo sottrarci, perché non possiamo tenere il denaro
sotto i materassi».
Al Papa, il sacerdote ha consegnato anche una copia del libro Il
diaconato alle donne? È possibile, appena pubblicato dall’editrice Ancora. «Da giurista di periferia — ha
spiegato — posso dire che tante
donne, tante suore, catechiste, madri di famiglia, insegnanti», persone
impegnate nella carità, «possono ricevere il diaconato, che non è il sacramento del sacerdozio, ma un mi-
nistero». E al Pontefice ha anche
donato, a nome della comunità, una
statuetta di san Francesco «che viene dall’America latina», insieme alle
chiavi della Città dei ragazzi di Caltagirone. «Da quella terra — ha fatto notare don Albanesi — veniva
don Luigi Sturzo, che diceva che
bisogna esser bravi cristiani e bravi
cittadini».
Ha preso quindi la parola don
Franco Monterubbianesi, fondatore
della comunità, che ha voluto presentare al Pontefice «tre persone:
una mamma, Ilaria; un papà, Costantino; e una giovane, Silvana». Il
servizio della comunità, ha spiegato,
si basa proprio sulle loro forze, in
particolare sull’impegno dei giovani
che si dedicano anche all’agricoltura. «E la terra, a sua volta, cura e
riabilita», ha ricordato. Proprio per
approfondire questo tema, ha confidato a Francesco, la comunità ha
preso contatto con il cardinale Turkson, prefetto del Dicastero per il
servizio dello sviluppo umano integrale.