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Per il lavoro dignitoso e per il
ripristino
della
legalità
nel
sistema
produttivo
illegale
pratese del tessile-abbigliamento
Confindustria Toscana Nord
Confartigianato
C.N.A.
Prato, 1 marzo 2017
Filctem-Cgil
Femca-Cisl
Uiltec-Uil
PREMESSA
Prato sta subendo da anni l’espansione di un sistema di attività produttive
irregolari che si è ormai allargato ad altri settori tessili e a molte attività
dell’artigianato e del commercio.
È un sistema, per la stragrande maggioranza a conduzione cinese, che si
avvale della complicità di “professionisti” italiani scorretti, spesso non iscritti
nemmeno agli ordini professionali, che hanno il compito di dargli una parvenza
di legalità sugli specifici campi, specie nella sicurezza e nella gestione dei
rapporti di lavoro.
Il sistema, partito dalle lavorazioni di maglieria e confezioni conto terzi, si è, in
una prima fase, esteso a tutta l’industria dell’abbigliamento e alla sua
commercializzazione e, successivamente, ha dilatato il suo perimetro risalendo
la filiera produttiva rilevando aziende di filatura a cardato e impiantando o
rilevando aziende di nobilitazione conto terzi, funzionali a una produzione
sempre più celere e versatile. Dapprima con l’apertura di tintorie e stamperie
in capo, successivamente con l’apertura di tintorie e stamperie in pezza,
lavorazioni tipiche del distretto pratese tradizionale.
La progressiva penetrazione in queste fasi di lavorazione ha generato una
concorrenza sleale nei confronti delle imprese sane e corrette che le
svolgevano da anni, e che, sempre in più casi, sono state costrette a cessare
l’attività.
Si parla della chiusura di quelle aziende che rappresentano la spina dorsale del
distretto in quanto proprietarie di impianti fissi complessi e costosi, di
competenze tecniche rilevanti, che occupano decine e decine di dipendenti e
che svolgono quelle fasi di lavorazione dei filati e dei tessuti che qualificano i
prodotti pratesi e li rendono appetibili per i mercati internazionali.
Il personale licenziato in seguito a queste cessazioni, non più reimpiegabile
nella parte corretta del distretto, che si sta riducendo a causa della
concorrenza sleale, diventa un esercito di riserva per le imprese illegali.
È doveroso mettere in risalto che una parte di questo personale specializzato è
di origine extracomunitaria ed è ormai integrato, da anni, nella nostra città e
nel nostro sistema produttivo. Si tratta quasi sempre di capifamiglia di prima
generazione che quindi non dispongono di una rete familiare allargata in città.
Per loro la perdita del lavoro rischia di attivare un processo di regressione
dall'integrazione già raggiunta (dis-integrazione).
Lo sviluppo del sistema, che si basa sull’utilizzo di aziende terziste, è avvenuto
senza una commisurata vigilanza, in particolar modo sulle condizioni di lavoro,
del suo svolgimento in condizioni di sicurezza, delle retribuzioni corrisposte e
delle contribuzioni e delle imposte versate, e ciò ha permesso il
consolidamento strutturale di produzione di ricchezza al di fuori di ogni legalità.
I controlli effettuati con il Piano per il Lavoro Sicuro promosso dalla Regione
Toscana, hanno riguardato quasi sempre i pronto moda e le confezioni e in
particolare alcuni aspetti quali l’utilizzo delle bombole di gas negli ambienti di
lavoro, la presenza di dormitori, l’adeguatezza degli impianti elettrici.
Lo sforzo effettuato è significativo e merita apprezzamento perché ha portato
alle regolarizzazione di molte situazioni rispetto alle criticità prima indicate e al
recupero anche di risorse economiche attraverso le sanzioni comminate. Ed è
pertanto auspicabile che tali controlli diventino più incisivi e strutturali perché il
fenomeno delle ripetute chiusure e riaperture di queste aziende richiede
un’azione continua e costante di verifica.
Questi controlli non possono però essere sufficienti, perché riguardano come
detto in particolare le confezioni e solo alcuni aspetti delle irregolarità presenti.
Le verifiche devono invece riguardare prioritariamente le poche tintorie e
stamperie in pezza funzionali al sistema illegale e devono essere indirizzate
anche ad altre criticità come quelle relative ai rapporti di lavoro e alle questioni
di carattere retributivo, contributivo e fiscale. Per queste tipologie occorrono
competenze e professionalità che gli ispettori Asl o la polizia municipale non
possono avere.
È quindi indispensabile che i controlli a queste specifiche aziende diventino
prioritari e che abbiano la massima efficacia nel contrasto del “sistema”. Per
questo è essenziale che siano eseguiti da gruppi interforze, in grado di fare
interventi a 360 gradi. In special modo sulle modalità di lavoro e di
retribuzione attuate.
Modalità che non possono essere consentite in un paese civile e che devono
essere riportate rapidamente alla condizione di dignità previste dalla nostra
cultura sociale e giuridica. E, di conseguenza, ricondotte all’applicazione
integrale e corretta dei contratti nazionali di lavoro di riferimento, al fine di
garantire atteggiamenti corretti e una concorrenza leale.
IL SISTEMA DI PRODUZIONE “ILLEGALE”
Il sistema di produzione “illegale” del tessile abbigliamento finalizzato al
confezionamento dei capi finiti che si è sviluppato sul nostro territorio si è
quindi dotato di tutte quelle attività che gli consentono di rispondere
tempestivamente alle richieste e alle tendenze del mercato. È un sistema tutto
orientato alla velocità della produzione dei capi del colore e del disegno giusto
rispetto alle esigenze immediate del mercato, con costi bassissimi.
Per rispondere a tali esigenze, gran parte del tessuto che arriva a Prato, quasi
tutto importato senza troppi controlli attraverso le frontiere europee, deve
essere trasformato in tempi rapidi rispetto agli ordini pervenuti. E quindi
servono a Prato tintorie e stamperie dedicate che, per essere impiantate,
richiedono investimenti in impianti e macchinari per parecchi milioni di euro.
Si assiste quindi al fenomeno di imprenditori cinesi, spesso giovanissimi, che
rilevano le attività pratesi di quel tipo, costrette a chiudere, oltre che per la
crisi, anche a causa della concorrenza sleale che devono subire.
E sono proprio queste imprese che, una volta riaperte vengono messe al
servizio di tale sistema di produzione “illegale”.
C’è da rilevare però che diversamente dai laboratori di confezione, facilmente
impiantabili e trasferibili (e con macchinari riscattabili dai sequestri con poca
spesa), queste attività di nobilitazione dei tessuti e dei capi finiti, per la
struttura notevole degli impianti fissi richiesta, possono essere più facilmente
oggetto di controllo e, quindi, più agevolmente portate a operare secondo le
regole.
Le tintorie e le stamperie alle quali ci riferiamo, occupano infatti superfici
grandi, con macchinari e impianti fissi complessi e richiedono un alto numero di
dipendenti. Diversamente da quello che succede nella confezione, non
presentano generalmente il fenomeno dei dormitori interni alle aziende.
Inoltre, trattandosi nella quasi totalità di aziende aperte recentemente sulla
base delle autorizzazioni concesse, hanno spesso una situazione ambientale e
di sicurezza, almeno formalmente e apparentemente, a norma.
Sono quindi aziende le cui peculiari caratteristiche non rispondono alla tipologia
dei controlli svolti finora, coordinati dalla Regione attraverso le Asl che, in base
ai criteri applicati, guardano a fenomeni della presenza di dormitori, bombole
di gas, ecc. Infatti, dalla lettura dei dati che ci sono stati forniti sui controlli
effettuati, si evince che questi sono stati fatti in aziende quasi esclusivamente
sotto i 15 dipendenti (l'85 per cento sotto i dieci) e per la quasi totalità nei
pronto moda o nelle confezioni, dove può verificarsi promiscuità tra lavoro e
abitazione.
Per contrastare invece l’illegalità nelle fasi delle lavorazioni tessili e soprattutto
in quelle della tintoria e della stampa, occorrono interventi mirati, con modalità
basate sulle caratteristiche produttive specifiche di tali attività; in questo modo
si andrebbero a “colpire” le poche aziende che alimentano il lavoro di molte
confezioni e pronto moda e di conseguenza si ridurrebbe fortemente anche il
flusso produttivo verso le confezioni illegali e specialmente verso i laboratoridormitorio a rischio di incendio, tutelando la sicurezza delle persone, la dignità
del lavoro e la legalità del sistema.
Tra l’altro, la mancanza di controlli mirati su questa parte del sistema
industriale, ha consentito fino ad oggi l’impiego di risorse economiche spesso di
dubbia provenienza e la generazione di ulteriore ricchezza attraverso la nascita
di aziende ad alto investimento di capitali. Il tema delle risorse finanziarie di
cui dispongono queste aziende è infatti molto interessante, perché sarebbe
assolutamente opportuno capire la provenienza di capitali così ingenti
necessari per rilevare e sviluppare queste aziende, messi a disposizione di
titolari che spesso non hanno alcuna esperienza o competenza tecnica e
frequentemente di età giovanissima. Anche in questo caso controlli specifici
rispetto ai flussi dei capitali sarebbero estremamente opportuni.
Per intervenire efficacemente, tenendo conto anche della scarsità delle risorse
in campo, è quindi essenziale individuare e svolgere gli interventi prioritari che
possano generare quell’effetto deterrenza che è il vero disincentivo per la
produzione illegale. Bisogna pertanto agire con attenzioni particolari e tenere
sotto osservazione parametri specifici che “stonano” e che sono indice di forti
criticità rispetto ad una gestione regolare nelle attività prese a riferimento.
A partire da come ci si lavora dentro.
CONDIZIONI DI LAVORO, ORARI E RETRIBUZIONI
Le condizioni di lavoro, gli orari praticati e le modalità di retribuzione sono da
ritenersi il cardine del vantaggio competitivo di queste aziende conto terzi. E
sono in parte variabili in base al tipo di azienda.
Aziende di abbigliamento: in gran parte confezioni conto terzi
Le condizioni di lavoro e di vita nelle aziende di abbigliamento, pur se note da
tempo, sono emerse prepotentemente agli occhi del mondo con la tragedia del
1 dicembre 2013, che è costata la vita a sette persone.
È apparso evidente che in tali realtà il luogo di lavoro coincideva con quello di
vita, gli orari, lunghissimi, non erano determinabili e la retribuzione avveniva a
cottimo.
Parte della manodopera era clandestina e “protetta” dall’alloggiare in azienda.
E ovviamente retribuita totalmente in nero. Per la parte invece in possesso di
un permesso di soggiorno, era possibile avere la copertura legale con un
rapporto di lavoro part-time, conguagliato in nero in relazione ai pezzi prodotti
e al netto del costo contributivo e amministrativo del proprio rapporto di
lavoro.
Chiaramente, a tutti erano detratte dal compenso le spese di vitto e alloggio.
In seguito a questa strage sul lavoro, è stata istituita una struttura di controllo
a tappeto, che ha riguardato sul territorio pratese tutte le aziende che
ricadevano nell’ambito delle verifiche (circa quattromila). Tali controlli avevano
un obiettivo determinato in ordine alla sicurezza sul lavoro, riguardante pochi
punti specifici, e non sono andati oltre. Hanno però certamente limitato di
molto il fenomeno dei capannoni dormitorio e hanno permesso una vera e
propria mappatura di questa parte del sistema produttivo.
Non hanno però avuto nessun effetto sull’organizzazione del lavoro, sugli orari
di lavoro e sulle modalità di retribuzione, che continuano ad essere le stesse.
In alcune di queste aziende è stata ultimamente riscontrata la presenza di
lavoratori extracomunitari di origine asiatica o africana che, in funzione di un
costo ancora minore, hanno in parte sostituito la manodopera cinese.
Aziende tessili di nobilitazione: in particolare stamperie e tintorie in
pezza e alcune rifinizioni conto terzi
Queste aziende, se pur lavorando conto terzi, si caratterizzano per un alto
livello di investimenti in impianti e macchinari. E il tipo di lavorazione esclude
di per sé che vi si possano allestire dormitori se non, quando esistono, negli
appartamenti di pertinenza dei capannoni.
Qui gli orari (tutti falsi part-time) e le retribuzioni (tutte conguagliate a nero)
sono addirittura divisi su base etnica, in base alla mansione svolta e alla
ricattabilità del lavoratore:
I lavoratori specializzati, italiani o di origine extracomunitaria già integrati
Tutti espulsi da aziende dello stesso tipo costrette a chiudere dalla concorrenza
sleale -e che non hanno al momento alternativa alla disoccupazione- hanno in
genere accordi per lavorare circa 10 ore per sei giorni settimanali per un
salario che sarebbe decente per le sole otto ore ordinarie per cinque giorni
settimanali. La retribuzione è erogata per dodici mesi ed è onnicomprensiva.
Non vengono riconosciute retribuzioni differite come la tredicesima, e il Tfr
finale sarà rapportato al falso part-time, in genere a sei ore giornaliere
I lavoratori cinesi
Viene fornito loro anche vitto (spesso in azienda) e alloggio (in appartamenti
appositamente affittati), vengono spesso trasportati in fabbrica e riportati al
luogo dove dormono a cura dell’azienda.
Hanno un salario che è onnicomprensivo e, malgrado il part time, l’orario non
ce l’hanno proprio: arrivano quando serve e vengono portati via al termine del
lavoro. Quasi sempre nelle ore pomeridiane, serali e notturne, compresi i
sabati e le domeniche.
Gli altri lavoratori immigrati, di recente o nuova immigrazione, spesso africani,
bengalesi o pakistani
Sono costretti a lavorare anche 14 ore al giorno (domenica compresa) per un
compenso che raramente arriva ai mille euro.
Sono i soggetti più deboli perché “obbligati” a risultare assunti in attesa del
rinnovo dei documenti. È probabile che quelli delle stesse etnie, trovati a
lavorare nelle confezioni, siano nelle stesse condizioni.
Per questi lavoratori la busta paga, con part time a quattro ore giornaliere, per
quanto mendace, rappresenta l’unica possibilità di permanenza legale sul
territorio e per questo vengono spesso pagati anche con mesi di ritardo.
Quando otterranno l’agognato documento saranno sempre in credito con
l’azienda ma dovranno andare velocemente in altre zone d’Italia dove sia
possibile trovare un lavoro migliore e non potranno certamente permettersi
una causa. La loro debolezza è tale che si hanno già le prime segnalazioni di
atteggiamenti razzisti e vessatori da parte dei titolari o dei preposti nei loro
confronti.
È quindi evidente che anche il livello di subordinazione verso l’impresa, che non
è certo quello previsto per il lavoro dipendente, è cosi rapportato su base
etnica e che l'applicazione dei contratti nazionali di lavoro è solo una copertura
formale.
Servono quindi in questo campo interventi mirati sul fenomeno da parte degli
organi e degli istituti preposti al controllo dei rapporti di lavoro.
Dopo aver indicato il sistema di lavoro e le modalità retributive che ci risultano
ad oggi, ci preme mettere in evidenza le principali “dissonanze” tra quanto
dovrebbe avvenire a parità di tipo di impresa in caso di aziende corrette e
quanto invece avviene, in modo da utilizzare la dissonanza come campanello
d’allarme per gli interventi interforze.
LA PRIMA DISSONANZA: SVILUPPI AZIENDALI A PARITÀ DI SETTORE
È già in atto una selezione inversa, che vede le aziende italiane di lavorazione
tessile ed in particolare attualmente di tintoria e stamperia, attive da decenni,
con macchinari e impianti già pagati, cessare l'attività, mentre aziende similari,
che sostengono tutto il peso dei costi di avviamento, nascono, crescono e si
sviluppano in un contesto economico difficile, magari, come abbiamo già visto
in alcuni casi, non pagando per milioni di euro le forniture di gas o di energia
elettrica.
Sono aziende che, in prevalenza, lavorano sul tessuto e ne producono decine di
migliaia di metri al giorno alimentando il lavoro delle confezioni/dormitorio.
Le aziende storiche pratesi che ne subiscono la concorrenza licenziano 40, 50,
70, 80 dipendenti per volta quando chiudono. E purtroppo molte stanno
chiudendo.
Quindi il primo criterio di cui occorre tener conto per effettuare controlli
effettivamente efficaci, che contrastino il sistema e che non facciano solo
“numero” senza nessun effetto di deterrenza, sono il confronto e la valutazione
tra i metri quadrati occupati dalle attività, la tipologia e l’entità dei macchinari
impiegati e delle lavorazioni eseguite e il numero dei dipendenti teorici che
servono per far “girare” strutture di tale portata, rispetto a quelli
effettivamente assunti ed ai contratti di lavoro stipulati nelle attività esistenti.
LA SECONDA DISSONANZA: L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
Queste aziende, potenzialmente irregolari, iniziano a produrre nel pomeriggio e
terminano le attività la notte o la mattina presto, e lavorano sia il sabato che la
domenica.
Quindi i controlli effettuati negli orari “canonici” della mattina o del primo
pomeriggio rilevano la presenza di pochissime persone, sempre “regolari”, che
svolgono funzioni di preparazione del lavoro per la sera o la notte seguente.
Invece controlli fatti negli orari di effettiva produzione, cioè nel tardo
pomeriggio, la notte e durante il fine settimana, rileverebbero la presenza di
molta più manodopera utilizzata in gran parte a nero o con contratti
“irregolari”. A tal fine sarebbe necessario anche controllare con appostamenti
prolungati o con telecamere gli effettivi orari di ingresso e di uscita dei
lavoratori rispetto ai contratti, spesso part time, che li coprono.
Inoltre sarebbe opportuno verificare le attività formative effettivamente svolte,
anche in ambito di salute e sicurezza, dalla manodopera impiegata rispetto alle
mansioni assegnate e l’affidabilità delle Agenzie formative o dei consulenti che
hanno rilasciato gli attestati per verificarne la regolarità. Non di rado, infatti,
come emerso dal processo per il rogo di Teresa Moda, vengono prodotti
attestati fasulli e redatti documenti di valutazione dei rischi mendaci.
Ciò è assolutamente prioritario ai fini della tutela della salute e della sicurezza
dei luoghi da lavoro, considerando anche che si parla di strutture complesse,
con rischi lavorativi più elevati rispetto ad altre attività, e che potrebbero
portare a situazioni di criticità assai più elevate di quelle già gravissime che in
passato si sono verificate in certe aziende di confezione.
LA TERZA DISSONANZA: IL RAPPORTO TRA FATTURATO O
MANODOPERA IMPIEGATA E CONSUMI DI ENERGIA, GAS, ACQUA E
PRODOTTI CHIMICI
Come detto, in queste aziende i dipendenti sono quasi tutti a part-time,
rispetto a mansioni per le quali, nel nostro distretto, tale tipologia di contratto
non è mai stata attivata dalle aziende tradizionalmente operanti nel settore.
Questo perché la legislazione consente, all’imprenditore non corretto, di
utilizzare tali tipi di contratti rispetto ai quali il lavoratore può in ogni momento
essere “appena entrato” oppure “in procinto di uscire” e di redigere, il mese
successivo, le buste paga con una media, quando va bene, di quattro ore al
giorno per dipendente. Quindi, come detto, occorre essere in grado di valutare
la discrepanza tra le ore di lavoro pagate e la produzione effettuata e ciò non
può prescindere da appostamenti per verificare sia i volumi di lavoro che gli
orari effettivi dei dipendenti.
Inoltre, anche se sono possibili e già probabilmente in essere allacciamenti
irregolari che consentono di prelevare abusivamente energia elettrica, o
l’attivazione di contratti per la fornitura di gas da parte di aziende non più
operanti che hanno lo stesso indirizzo di quelle attive, il confronto tra i consumi
effettivi di energia elettrica, gas, altri combustibili, acqua, prodotti chimici e
altri materiali rispetto al fatturato dichiarato e alle ore di lavoro denunciate può
fornire parametri immediati per verificare, anche in modo preventivo, la
presenza di produzione illegale e quindi poter “mirare” i controlli sulle aziende
che probabilmente svolgono attività irregolari.
LA RESPONSABILITÀ SOLIDALE TRA I TERZISTI E I COMMITTENTI
Un altro strumento che risulterebbe efficace per il contrasto alla illegalità nei
settori del tessile tradizionale e dei pronto moda cinesi è quello previsto nelle
norme del d.lgs 276/2003, poi convertito con legge 296/2006. L’articolo 29 di
quella legge prevede infatti la responsabilità solidale fra committenti e
appaltatori per il pagamento dei salari e dei contributi dovuti per i lavoratori
utilizzati negli appalti.
Le commesse di lavorazione nel tessile sono appalti a tutti gli effetti, come
emerso nei pareri espressi da autorevoli giuristi e come ribadito infine dal
Tribunale di Prato con sentenza n. 53/2016 in relazione a una causa promossa
dalla Filctem Cgil di Prato.
Tutto il sistema tessile pratese, sia quello tradizionale che quello del pronto
moda cinese è caratterizzato da una spiccata segmentazione, attraverso la
quale il committente appaltatore affida le varie fasi di lavorazione ad una
pluralità di aziende appaltatrici.
Gli ispettori dell'Inps o della Direzione territoriale del lavoro che partecipano
alle visite ispettive nei luoghi di lavoro, rilevando inadempienze contributive in
quelle aziende, sono obbligati ad emettere “Verbali di notificazione per
chiamata in solido” anche ai committenti di quelle lavorazioni. Tale obbligo è
contenuto nella circolare Inps 106/2012 che prevede infatti che le
contestazioni per le irregolarità sia di natura contrattuale che contributiva
rilevate nelle aziende appaltatrici vengano estese anche alle aziende
committenti. E se l'azienda appaltatrice non assolve ai pagamenti intimati,
l'Inps e l’Inail dovrebbero richiederli agli appaltatori, cioè ai committenti stessi.
Quindi con una sola verifica, per la medesima inadempienza verrebbero
coinvolti molti più soggetti, creando di fatto un conseguente effetto
moltiplicatore di deterrenza ed inducendo i committenti ad avvalersi di aziende
appaltatrici corrette e non di quelle che, con prezzi stracciati proprio grazie alle
inadempienze retributive e contributive, generano una concorrenza sleale
all’interno del distretto. La sentenza del Tribunale di Prato sopra richiamata
afferma proprio che «La responsabilità solidale risponde all'obiettivo di
costituire un efficace incentivo alla scelta di partners contrattuali seri ed
economicamente affidabili, evitando il ricorso al decentramento al fine di
ridurre i costi di organizzazione».
Ad oggi vi è notizia di un solo caso, riportato dal giornale Tirreno di Prato del 5
febbraio 2014, dove un ispettore dell’Inps di Pistoia, durante una verifica in un
laboratorio cinese insieme agli ispettori assunti dalla Regione Toscana ha
redatto un verbale applicando quella legge. A differenza di quanto avviene in
altre province italiane, nel contesto produttivo pratese le indicazioni contenute
nella circolare Inps sopra richiamata non sono al momento applicate a causa di
differenti interpretazioni della legge.
CONCLUSIONI
Si richiede pertanto che alle azioni intraprese attraverso il Piano per il Lavoro
Sicuro, che si prevede e si auspica divengano strutturali, venga affiancata una
attività di controlli interforze prioritariamente mirati alle poche -tra dieci e
venti- aziende di nobilitazione del tessuto e del capo finito -come le tintorie e le
stamperie- che rispondono alle caratteristiche produttive e dimensionali che
abbiamo descritto, ai rapporti di lavoro da esse attivati e alla loro veridicità, e
alle conseguenti questioni retributive, contributive e fiscali, applicando
pienamente anche la legge sulla responsabilità solidale. Tutto ciò richiede il
coinvolgimento forte degli enti e degli istituti che su tali problematiche hanno
competenza e professionalità.
Controlli mirati, ben preparati e basati anche su parametri di regolarità valutati
a monte, a cura della squadra interforze, negli orari opportuni, che ricerchino le
violazioni giuste e concentrati nel periodo di maggior lavoro annuale (come il
periodo in arrivo) permetterebbero, sulla base delle modalità di lavoro descritte
e delle violazioni riscontrate, di determinare il fermo produttivo delle attività
irregolari fino alla effettiva messa in regola delle attività svolte.
Così come un maggior controllo della circolazione degli automezzi che
trasportano i prodotti di tali attività in maniera non regolare, con sovraccarichi
e mancanza di documentazione idonea, potrebbe essere assolutamente utile e
porterebbe presumibilmente alla individuazione di traffici di merci irregolari, da
sottoporre alle verifiche sulla composizione e sulla presenza di sostanze
chimiche vietate.
Gli effetti prodotti da tali misure sanzionatorie costringerebbero coloro che
hanno già fatto milioni di investimenti a regolarizzare il loro modo di operare e
l’utilizzo della manodopera impiegata, in modo da lavorare nelle stesse
condizioni e con gli stessi costi rispetto alle aziende tradizionali del settore, che
stanno chiudendo a causa della concorrenza sleale che devono subire.
Controlli fatti invece senza l’utilizzo della competenza complessiva della
squadra interforze, senza una preventiva preparazione dei controlli, negli orari
o nei giorni sbagliati, produrrebbero soltanto la “legalizzazione” del sistema
perché le aziende che li subiscono supererebbero indenni tali controlli e non
sentirebbero l’esigenza di mettere a posto le loro attività, perpetrando così
l’attuale sistema di concorrenza sleale che hanno messo al servizio del sistema
di produzione illegale.
Allo stesso tempo necessita un coordinamento di tali azioni con l’attività di
indagine svolta dalla Procura della Repubblica perché si arrivi all’effettivo
contrasto di questo sistema illegale di produzione anche con la contestazione
dei numerosi reati penali che effettivamente sottostanno alle fattispecie
emerse.
Prato, 1 marzo 2017
Confindustria Toscana Nord
Filctem-Cgil
Confartigianato
Femca-Cisl
C.N.A.
Uiltec-Uil