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Alberto Di Vita
01/03/2017
Sono trascorse ore a sufficienza dopo la sbornia di Inter Roma che ha riportato sulla terra i
nerazzurri e tutto il tifo interista. Sufficienti, ovviamente, per chi l’ha vissuta con poca ansia da
prestazione: in pratica per tutti tranne che per chi tifa Inter.
Appena finita la partita sono iniziati i processi a Stefano Pioli un po’ da tutte le parti: un po’ come ci
aspettavamo, sembra proprio che l’idillio sia finito, almeno per parte della tifoseria e certamente da
parte dei giornalisti. Pioli è già sulla graticola:
Ovviamente non tutti la pensano così: c’è chi vorrebbe dare a Pioli anche la possibilità di allenare
l’Inter nella prossima stagione e chi, invece, reputa che a fine anno quest’esperienza debba
chiudersi.
Nonostante l’entusiasmo mostrato nelle settimane precedenti alla sfida contro la Lazio in Coppa
Italia, le ultime evoluzioni mi iscrivono nell’elenco degli scettici: la partita di Roma ha
semplicemente certificato questo scetticismo. Vediamo anche di capire il perché delle critiche a
Pioli.
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DOVEROSA PREMESSA
Necessario fare una premessa e inquadrare la stella polare che dà il nord alla mia bussola, perché
altrimenti non si capirebbe molto. Personalmente non sono un “resultadista“, perché ritengo che i
progetti valgano molto di più: non importa che siano a breve o lungo termine, purché siano progetti,
abbiano alle spalle idee chiare.
È un ragionamento che ho applicato sempre e comunque: con Mourinho, con Mancini, con De Boer,
Stramaccioni, Benitez, Gasperini, Mazzarri etc… nessuno escluso. Quindi anche con Pioli.
Poco dopo la partita Roma-Inter dell’andata scrivevo:
L’anno scorso, con l’Inter in testa e un tifo quasi esclusivamente giubilante, ero tra i pochi a
criticare Mancini e il suo “non gioco”, la mancanza di identità di quella squadra. Il perché era
semplice: i risultati che non si basano sulla solidità delle idee e dell’identità di gioco
(indipendentemente dal fatto che sia bello o brutto) sono risultati effimeri che hanno il potere
di svanire da un momento all’altro, proprio perché non hanno basi solide su cui reggersi. E
non è un caso che dalla partita contro la Lazio in poi, l’Inter di Mancini abbia raccolto 31 punti in 22
partite, segnando solo 28 gol e subendone 29.
Ammetto che avere praticato e seguire altri sport aiuta in queste considerazioni, perché quella del
“risultato a ogni costo” è una iper-specificità del calcio, nel senso che è un concetto
portato all’esasperazione. E, per chiarire meglio il punto, citiamo quello che considero il miglior
giornalista, telecronista e commentatore italiano:
Chi perde però va valutato al di là del mero risultato, perché altrimenti l’analisi si appiattisce e si
perde la ricchezza di un fenomeno straordinario come lo sport. Quell’assunto, che in italiano recita
“chi vince ha sempre ragione”, è ancor più falso e soprattutto pericoloso nella vita pubblicaFlavio
Tranquillo
BRAVO PIOLI, BRAVO DAVVERO!
Chi ci ha letto dopo l’esperienza FDB avrà trovato gli stessi identici concetti. Quando è arrivato
Pioli ho sperato che la società lo supportasse e i giocatori lo seguissero, ma soprattutto ho
sperato che lui comprendesse la natura intrinseca di questa rosa. L’inizio non è stato tutto
rose e fiori: nonostante un largo dominio sia con Milan che con Fiorentina, i pericoli corsi sono stati
moltissimi, troppi a dire il vero. Ma erano partite che si incanalavano nella natura di questa rosa, sia
per formazioni che per tattica.
Un certo atteggiamento sin troppo “rilassato”, diciamo così, nei primi tempi è la causa della débâcle
di Napoli, partita che ha lasciato strascichi (ricordatelo, lo troveremo più avanti) contro il Genoa:
probabilmente la partita più brutta dell’anno, assieme ad Hapoel, con il primo tempo che fa il paio
anche con quelli contro il Napoli, la Roma, il Bologna e l’Atalanta. Poi, però, tutte vittorie.
Sassuolo, Lazio, Udinese, Chievo, Palermo, Pescara: il calendario diceva bene, anche perché l’Inter
affrontava avversari rimaneggiati (Sassuolo e Pescara larghissimamente), ma non conta “pesare”
le vittorie perché sono vittorie. Sempre seguendo la stella polare dell’identità e del gioco, queste
partite dicevano bene non (solo) per il risultato ma soprattutto perché l’Inter acquistava
fisionomia, tanto da fare larghi sprazzi di grandi partite (vedi Lazio o Chievo): nessuno su
ilMalpensante.com è un pasdaràn di chicchessia, Pioli stava mettendo su un impianto
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interessante, una squadra che aveva prospettive, idee chiare e gioco. Certo, si concedeva
sempre troppo più o meno a tutti, salvo qualche rara eccezione, ma non contava: la strada era
giusta, al punto che ci sbilanciamo post Chievo:
Tratti e lineamenti di grande Inter
Articolo che il giorno dopo ha avuto un suo seguito:
Il vero grande merito di Stefano Pioli
Per chi non ha voglia o tempo, riportiamo un estratto della parte che reputo più significativa:
Perché il vero merito di Pioli non è nel risultato… se è vero che sono lontanissimo dalla filosofia del
“risultato a tutti i costi”, è pur vero che anche con meno vittorie avrei sostenuto la stessa tesi. Il
vero merito di Pioli è stato provare una certa via, e averlo fatto fino alla Lazio certamente (vedi
Napoli e Genoa, o quei famosi “tempi regalati” a Sassuolo, Udinese e Lazio) ma di aver compreso
che non è quella giusta, di avere cambiato in corsa. E non è un caso che gli aggiustamenti siano
arrivati soprattutto nei secondi tempi.
Il vero grande merito di Pioli è stato quello di comprendere la natura di questa squadra,
che non è fatta per difendersi, per avere la difesa bassa, per subire l’avversario e provare a
ripartire in qualche modo: l’allenatore nerazzurro ha cavato il meglio dell’Inter proprio
quando ha alzato il baricentro, quando ha chiesto a Miranda di marcare lui, e non Murillo, e di
provare gli anticipi anche sulla trequarti avversaria, quando ha chiesto alla squadra di gestire il
possesso palla pur con delle caratteristiche peculiari di verticalizzazione e rapidità, nonché di
pressing, che sono della sua scuola.
Pioli se l’è giocata nel miglior modo possibile: essendo sé stesso, senza accontentare
nessuno, senza soddisfare i palati dei vendicatori, senza rinnegare per forza qualcosa. Ci ha
provato, ci proverà ancora forse, ma da persona intelligente qual è ha capito che non sarebbe andato
da nessuna parte.
Gli applausi a Pioli erano sinceri, soprattutto perché non aveva fatto più compromessi: quella era la
strada e, costi quel che costi, era giusto seguirla. Di più, mi sono esposto più volte dicendo che,
anche fallendo l’obiettivo minimo (qualificazione in Europa League), se l’atteggiamento e il gioco
erano quelli, era giusto dare a Pioli un’altra chance con una squadra rinnovata e vicina alle sue idee.
IL RISCHIO DI AVERE PAURA
Arriva, però, la partita di Coppa Italia contro la Lazio. Una sconfitta amara e bruciante per tanti
aspetti, ma una partita in cui personalmente mi auguravo che Pioli facesse un largo uso del
turnover, anche per evitare che una sconfitta potesse portare con sé strascichi importanti: una cosa
è se perdi con gran parte dei titolari, un’altra è se perdi con le riserve.
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Pioli e il dolce obbligo di certe scelte
Pioli decide di giocarsela con quasi tutti i titolari, sbagliando, come scrivevamo poco dopo:
Pioli non va rimproverato per il turnover, che era logico e serviva anche per tenere alta la tensione
dei vari Kondogbia e Banega. Tra le varie ragioni per cui ci auguravamo un turnover ragionato c’era
anche quella di non appesantire l’umore della squadra con una sconfitta, nel caso fosse arrivata.
Non è un aspetto da poco: perdere così fa male e, nonostante la reazione rabbiosa in 10, il rischio è
che possa avere portato strascichi in quegli 8/11esimi di formazione titolare in campo.
Inter Lazio 1-2: sottovalutare l’avversario
Ecco, già dopo la partita contro la Lazio avevamo visto Pioli un po’ in difficoltà emotiva davanti ai
microfoni, ci auguravamo, già al tempo, che quella sconfitta non lasciasse strascichi, soprattutto
nella testa dell’allenatore e in relazione alla partita contro la Juventus:
L’idea è quella di una squadra che non avrebbe senso cambiare, visto il filotto di vittorie, ma la
sconfitta contro la Lazio potrebbe avere riaperto delle crepe, soprattutto nell’impianto
difensivo in fase di non possesso e in special modo quando si è in transizione negativa: vero
tallone d’achille di questa squadra, acutissimo con De Boer, meno sentito ma pur presente anche con
Pioli.
Il problema potrebbe quindi essere anche nella testa di qualche giocatore e in quella di Pioli.
Stato d’animo che potrebbe portare a qualche cambiamento non proprio ortodosso e
rischioso, come quello di Murillo sulla destra: opzione appena accennata dopo la Lazio e che
avrebbe una sua logica nel non voler perdere nessuno dei tre centrali attualmente disponibili,
comprendendo anche Medel.
Il problema non è di poco conto. Fino ad ora la maggior parte delle squadre hanno attaccato l’Inter
con un centravanti di peso o comunque che fa un tipo di gioco in genere facilmente digeribile da
Miranda (a prescindere dal fatto che abbia giocato più o meno bene), che ha marcato più di Murillo.
Higuain è un attaccante completamente diverso e dalle caratteristiche insolite in Italia:
l’impressione è che senza un marcatore puro si possa fare una certa fatica.
L’Inter può (e deve) battere la Juventus
Dopo la sconfitta contro il Napoli, il Genoa era stato affrontato con la difesa a 3: dopo la
sconfitta con la Lazio, Pioli si è abbandonato di nuovo alla difesa a 3. Sono due casi e ci vorrebbe il
terzo per farne la regola, ma l’impressione è che la reazione alla sconfitta non sia delle
migliori: ha generato paure, con conseguenti contromosse a rivoluzionare una squadra che invece
avrebbe bisogno d’altro.
A dispetto della consuetudine di avvicinarmi alle partite senza né leggere né parlare di calcio, causa
un messaggio in cui mi si avvertiva dello schieramento a 3 dietro contro la Juventus, mi sono
affrettato a scrivere un articolo in cui illustravo quelli che, a mio avviso, erano i veri rischi di uno
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schieramento del genere:
Juventus-Inter: il rischio di aver paura
Qui il rischio è soprattutto psicologico. Lo avevamo scritto prima della partita con la Lazio: no a tutti
i titolari perché in caso di sconfitta il rischio è quello di cominciare ad avere paura. Dopo la partita lo
abbiamo ribadito, invocando la speranza di un Pioli in grado di scacciare fantasmi e di
andare avanti col progetto tattico impostato molto bene fino ad ora: anche a costo della
sconfitta, perché ci sono anche cose più importanti di questa partita, e una di questa è la
continuità nel medio e nel lungo termine.
Il rischio è di avere paura e di averla trasmessa alla squadra; il rischio è quello di subire la Juventus
che con questa nuova formazione ha un miglior controllo della palla e probabilmente sarà anche più
portata a produrre più occasioni; il rischio è quello di sentirsi inferiori.
Si badi, è un ragionamento avulso dal risultato finale: anche vincerla 0-4 non cambierebbe la
sostanza. I progetti hanno un senso se c’è identità e chiarezza, è un tasto sul quale questo
sito si è battuto dal primo giorno di apertura. Sconfessare sé stessi non è mai una buona cosa,
perché prima o poi è qualcosa che paghi a caro prezzo.
Scegliere di essere sé stessi e di proseguire il cammino intrapreso senza indugi sarebbe
stato possibile proprio perché oggi non c’è nulla da perdere: l’Inter può giocare con più
serenità rispetto a qualche settimana fa e soprattutto dopo l’ultimo turno di campionato c’è
certamente la possibilità di qualche passo falso in più.
Ribadisco, al di là del risultato finale.
IL PICCOLO CABOTAGGIO DELL’INTER DI PIOLI
Come vedete, nel corso dei mesi non è cambiata la stella polare: gioco, identità, idee, chiarezza.
Sono aspetti fondamentali per ogni squadra, soprattutto in fase di costruzione. così come è l’Inter.
Stefano Pioli probabilmente ha avuto paura e ha reagito (due volte) cambiando la formazione,
pensando che una disposizione fosse più importante dell’atteggiamento in campo, di altri
accorgimenti possibili. L’imputato è stato Ansaldi che, so di essere mosca bianca, non ho trovato così
scandaloso: il problema è averlo sempre lasciato sostanzialmente solo contro chiunque.
Ma per “curare” le debolezze create da Ansaldi, che senso ha rimescolare tutto, condizionando tutti
gli altri? Che senso ha ridisporre la squadra in maniera tale che tutti (TUTTI!) finiscono per
giocare peggio, qualcuno decisamente peggio?
Di cosa hai paura? Gioca col tuo gioco! Temevi di perdere contro Juventus e Roma e hai cambiato?
Hai perso lo stesso e almeno una volta lo hai fatto proprio perché hai cambiato tutto, disponendo la
squadra con un orribile 3-6-1 lento, prevedibile, inefficace, proprio brutto da vedere. Ho letto da più
parti che “cambiare ci stava“, ed è qui l’errore, perché se vuoi crescere è proprio con il tuo modo di
giocare che devi affrontare i grandi match. Se devi perdere, perdi con la tua fisionomia, perché
così puoi apportare i giusti correttivi: invece così hai perso due volte.
La situazione è certamente amplificata dal fatto di non avere più di un terzino affidabile, anche se
D’Ambrosio ha trovato sicurezza giocando: anche lui era protagonista di scempiaggini a inizio
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campionato. E, in più, il problema con la Roma se lo crea da solo Pioli, schierando Miranda
contro il Bologna, partita in cui ci si poteva risparmiare un centrale proprio in vista della partita
contro la Roma: se non lo fai contro il Bologna, quando lo fai?
E come volevasi dimostrare, Miranda ammonito. Che genialata tenerlo in campo
— ilMalpensante.com (@il_Malpensante) 19 febbraio 2017
Insomma, cambiando adattandosi alla semplice contingenza può andare bene per una partita
singola, non può diventare la regola: alla fine perdi in sicurezza e attorno a te si scavano trincee in
cui poi ci vanno a finire facili tiratori, facili polemiche. E magari qualche giocatore prono all’essere
scontento.
Pioli, stavi facendo bene, porqué?
E, si badi (ricordate la stella polare?), non stava facendo bene (solo) perché vinceva. Quando
analizzavamo i risultati possibili dell’Inter, ritenevo che un gran campionato sarebbe stato con 2
punti di media a partita (sola gestione Pioli), che non sarebbero bastati per il terzo posto. Oggi Pioli
va oltre. Ma quanto è davvero merito di Pioli?
Questo è uno tra i campionati più anomali mai visti. Facendo un excursus storico:
2015-2016: solo 3 squadre con almeno 2 punti a partita. Quarta l’Inter con 1,76;
2014-2015: solo 2 squadre con almeno 2 punti a partita. Terza la Lazio con 1,81;
2013-2014: solo 3 squadre con almeno 2 punti a partita. Quarta la Fiorentina con 1,71;
2012-2013: solo 2 squadre con almeno 2 punti a partita. Terzo il Milan con 1,89;
2011-2012: solo 2 squadre con almeno 2 punti a partita. Terza l’udinese con 1,68;
2010-2011: vince il Milan: l’Inter seconda ha 2 punti di media a partita (76 punti);
2009-2010: vince l’Inter di Mourinho con 82 punti (2,157 a partita) e dietro la Roma a 80 (2,11).
Siamo arrivati all’Inter del triplete non a caso, perché ad oggi Pioli sta mantenendo un ritmo
superiore all’Inter del triplete.
A partire dalla partita contro il Milan a oggi, la classifica direbbe questo:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Juventus 36
Napoli 33
Roma 33
Inter 31
Atalanta 29
Lazio 28
Vero è che si tratta di una frazione di campionato, ma sono pur sempre 14 partite: campione
consistente. Ben sei squadre (SEI!) ad almeno 2 punti per partita! Chi non vuole vedere che
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è un campionato che già a novembre ha già dato 2/3 dei verdetti, non lo vedrà: ma gli ultimi
4 mesi di campionato parlano abbastanza chiaro. Ci sono ben 4 squadre che hanno un ritmo a partita
superiore all’Inter del triplete, chiaro che si tratti di anomalia irripetibile (e chiaro anche che
quell’Inter giocò 38 partite): estendendo il periodo a un intero campionato, avremmo:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Juventus 97
Napoli 90
Roma 90
Inter 84
Atalanta 79
Lazio 76
Solo considerando le ultime 20 avremmo questa classifica:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Juventus 54
Roma 49
Atalanta 48
Napoli 43
Lazio 43
Inter 38
Se prendessimo la classifica escluse le prime 5 giornate:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Juventus 51
Atalanta 48
Roma 46
Napoli 43
Lazio 40
Inter 38
Alzi la mano chi pensa che tutto questo sia statisticamente normale. Anche squadre meno
dotate dell’Inter hanno raggiunto numeri importanti: 2 in meno l’Atalanta, 3 in meno la Lazio.
E Pioli ha, nel suo ruolino di marcia, 4 punti in 5 sfide importanti: Juventus, Roma, Napoli, Fiorentina
e Milan, di cui una giocata con un uomo in più e tanta sofferenza comunque. Senza contare la Coppa
Italia e, comunque, la seconda col Be’er Sheva.
Questo per sminuire il lavoro di Pioli? Certamente no, perché abbiamo anche ripreso articoli in
cui ci si complimentava sinceramente col tecnico, e anche con un certo entusiasmo. I numeri
servono semplicemente a dire che quelli di questo campionato sono anomali, abnormi per
una grossa fetta della Serie A.
E che, quindi, eventuali “meriti per risultato” andrebbero tarati su quello che succede in
tutto il campionato e con le squadre che ti stanno accanto. Ma, come detto sin dall’inizio, non
sono un “resultadista“: per me Pioli poteva fare anche 22 punti come Montella (tanti ne ha
fatti dal derby a oggi) e non sarebbe cambiato nulla come concetti.
Gioca col tuo gioco, punta al futuro. Perché alla fine ti avrebbe pagato di più il bel gioco che il
risultato: oggi ti stanno mettendo sulla graticola nonostante 31 punti in 14 giornate. E tutto questo
per cosa? Per paura? Per inserire Medel? Per mostrare di avere alchimie magiche? Per sganciarti dal
predecessore?
Non riesco a trovare una sola ragione valida: avrei capito contro la Juventus, persino contro la
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Roma se avessi visto contro Empoli e Bologna la solita squadra. Invece no, sembra abbia scelto
proprio questa via, al punto da non tornare indietro nel secondo tempo contro i giallorossi
e, anzi, facendo dei cambi che hanno aggravato la situazione di gioco: alla fine qualche
occasione la crei comunque perché hai qualità da metà campo in su, ma idee e gioco quasi niente.
Porqué, Pioli? Porqué?
TUTTO DA BUTTARE?
Per molti, la partita contro la Roma ha certificato il piccolo cabotaggio del Pioli allenatore.
A suo tempo avevamo lanciato l’esca, lasciandola lì per i posteri, guardando anche in prospettiva:
anche contro la Lazio, filotto di vittorie (in quel caso 8) e poi schianto contro la Juventus. Stagione
poi chiusa con 3 vittorie, 3 sconfitte e 2 pareggi.
Prima di Napoli Inter: Stefano Pioli tra passato, presente e futuro
In cui riportavamo una statistica piuttosto semplice di Pioli nel periodo laziale (cliccate
sull’immagine per ingrandire):
Tocca a Pioli dimostrare che ha la testa giusta per viaggi più impegnativi, perché oggi devi
affrontare Juventus e Roma ma, se si riuscisse nel miracolo, potresti dover affrontare Real Madrid o
Barcellona, Bayern Monaco o PSG: affrontarli è una questione di mentalità, non di quanti difensori
schieri, come hanno dimostrato le partite di Champions dell’ultimo turno:
Le lezioni di Parigi e Madrid
Non è tutto da buttare, per niente. Pioli sa qual è la strada, la conosce perché l’ha percorsa e sa
di aver fatto bene. E ha anche delle valide attenuanti, come il problema dei terzini oppure la rosa
relativamente giovane (contro la Roma hanno giocato Murillo e Brozovic che sono ’92, Joao Mario
e Kondogbia e Icardi che sono ’93 e Gagliardini che è un ’94, con dentro Barbosa che è un ’96).
Adesso il calendario ci dice discretamente bene: Cagliari, Atalanta, Torino, Sampdoria e
Crotone prima del mini-ciclo di ferro (Milan, Fiorentina, Napoli).
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Meglio certamente del Napoli che affronterà Roma, Crotone, Empoli, Juventus e Lazio.
Un po’ peggio dei giallorossi che hanno davanti Napoli, Palermo, Sassuolo, Empoli e Bologna.
E pur dovendo fare i conti con Milan, Lazio e Atalanta. 5 partite che potrebbero decidere moltissimo,
sia per questa che per la prossima stagione. Sta a Pioli decidere come affrontarle: se come il
Pioli a cui abbiamo applaudito con entusiasmo oppure come un Mazzarri qualsiasi.
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