La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 27 febbraio 2017
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Persi 12mila giovani occupati (M. Veneto)
«Subito una data per i referendum sul lavoro» (M. Veneto, domenica 26 febbraio)
«Il Leone non deve abbandonare Trieste» (Piccolo, domenica 26 febbraio)
Mancano maestri, laureandi in cattedra (Gazzettino)
Nel pubblico più assenze per malattia (Gazzettino)
CRONACHE LOCALI (pag. 5)
Canoni, l'Ater incassa 400mila euro in più (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Il governo taglia la mensa notturna dei vigili del fuoco (M. Veneto Udine)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Persi 12mila giovani occupati (M. Veneto)
di Elena Del Giudice - C’era una volta l’imprenditore, per lo più artigiano, che trasferiva l’arte ai
“garzoni” di bottega. Uno, se l’azienda era proprio piccina, o più d’uno appena la domanda lo
consentiva. E dunque c’era il titolare, l’operaio esperto, quello meno esperto, e il giovane di recente
ingresso. Così strutturate imprese oggi non ce n’è più. E nelle piccole aziende c’è il titolare e
l’operaio esperto, o anche più d’uno, perché per una piccola azienda i costi per la formazione ovvero pagare un ragazzo affinchè apprenda - non sono sostenibili, o li si affronta con grande
prudenza. E nelle aziende di media e grande dimensione, i giovani si assumono solo se sono già
esperti (ma se uno non lavora l’esperienza quando se la fa?). A questo ragionamento aggiungiamo
un altro elemento: le varie riforme pensionistiche che hanno elevato - e lo faranno sempre più - il
numero di anni da trascorrere al lavoro, spostando in là il momento del passaggio del testimone. Un
mondo che invecchia... Il risultato qual è? E’ quello di un “vecchio” mondo del lavoro, dove l’età
media, nel nostro Paese, ha raggiunto i 44 anni e cresce di sei mesi in sei mesi. Scrive il Fondo
monetario internazionale che l’Italia, insieme alla Grecia, è tra i Paesi più a rischio di perdita di
produttività perché i loro occupati invecchiano. ...anche in Fvg E se questo è il contesto nazionale, il
Friuli Venezia Giulia come è messo? Più o meno in linea con la media Italia. Nel 2004 gli occupati
in regione con un’età compresa tra i 15 e i 24 anni erano 32 mila, 18 mila maschi e 14 mila
femmine. Nel 2015 - ultimo anno disponibile in attesa dei dati Istat relativi al 2016 - erano solo 20
mila. Dodicimila giovani in meno in 11 anni sono davvero tanti. La crisi e non solo La causa è la
crisi, si dirà. Ed è vero, la crisi ha macinato posti di lavoro in questi anni. Ma nel 2004 la somma
degli occupati dava 499 mila, la stessa di fine 2016, poco più bassa dei 496 mila del 2015. Di spazi
per i giovani non se ne creano se è vero che nel 2013 gli occupati in regione erano 496 mila, stesso
dato del 2015, ma il numero dei giovani è calato di mille unità: da 21 mila del 2013 a 20 mila nel
2015. Non è andata meglio per la fascia d’età tra i 25 e i 34 anni. Erano 137 mila nel 2004 (77
maschi e 60 mila femmine), scesi a 125 mila nel 2007, e crollati a 88 mila nel 2013, e ridotti a 84
mila nel 2015. Segno meno anche per la fascia d’età successiva, quella tra i 35 e i 44 anni. Erano
161 mila gli occupati nel 2004, saliti a 171 mila nel 2007, poi scesi a 154 mila ne 2013 e a 142 mila
nel 2015. Più over 45 E dunque, qual è la fascia di età che, diversamente dalle altre, cresce? Quella
degli esperti. I lavoratori tra i 45 e i 54 anni erano infatti 119 mila nel 2004, sono saliti a 137 mila
nel 2007, a 153 mila nel 2013, e a 160 mila nel 2015. E’ andata benino anche agli over 55, quasi
raddoppiati in undici anni, passati dai 44 mila del 2004 agli 80 mila del 2015. Le penalizzazioni
pensionistiche hanno quasi sicuramente fatto crescere gli over 65, che erano 7 mila nel 2004, sono
saliti a 9 mila nel 2007, e poi a 11 mila stabili nel 2013 e nel 2015. Chiavi di lettura Non è che
questo sia stato, in assoluto, un fenomeno negativo. In qualche modo negli anni più duri della crisi i
licenziamenti, laddove possibile, sono stati fatti anche tenendo conto dei carichi familiari. Un
occhio di riguardo in più per i lavoratori con famiglia a scapito di quelli appena entrati in azienda.
L’innalzamento dell’età media è dipeso anche da questo. Il prezzo da pagare Ovviamente ogni
scelta ha dei pro e dei contro. Lavoratori più maturi portano con sè innegabilmente maggiore
esperienza. Giovani in azienda portano con sè più idee, anche maggiore dinamismo, voglia di
sperimentare, più energia, più freschezza, maggiore resistenza. E per quanto possa non essere
piacevole dirlo o sentirselo dire, più in su va l’età e meno disponibili al cambiamento si è. In
qualche modo si può azzardare che l’innovazione che manca all’Italia è anche legata alla scarsità di
giovani là dove si produce la ricchezza di questo Paese: le aziende. Età media 44 anni Il fenomeno
peraltro è in atto da tempo. Dicono gli esperti che nell’ultimo quarto di secolo l’aumento dell’età
media degli occupati è salito da 38 a 44 anni. E crescerà ancora. Il tasso di occupazione giovanile in
Italia è tra i più bassi d’Europa e, come sappiamo, la disoccupazione giovanile è - purtroppo - da
record. E anche qui il Friuli Venezia Giulia non fa eccezione: anche qui un giovane su 5 non ha
lavoro. In undici anni, se consideriamo la fascia tra i 25 e i 34 anni quella più ricca di giovani con
una alta formazione, pieni di energia, di idee e quindi innovativi, nel mercato del lavoro del Friuli
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Venezia Giulia sono passati dall’essere poco meno del 30% degli occupati (per la precisione il
27,4%) nel 2004, al 16,9% nel 2015. La fascia di età successiva, dai 35 ai 44, deteneva il 32,3%
degli occupati nel 2004, è scesa al 28,6% nel 2015. Per contro gli over 45 sono saliti dal 23,8% del
2004 al 32,2% del 2015. Quindi gli over 55 sono sostanzialmente raddoppiati: erano l’8,8% degli
occupati nel 2004, sono saliti al 16,1% nel 2015, mentre coloro che hanno superato i 65 anni,
sempre in regione, rappresentano oggi il 2,2% del totale, erano l’1,4% nel 2004. Esperienza o
freschezza Messa così appare come una scelta drastica: ovviamente non è così. In un’azienda c’è
bisogno di entrambe queste componenti, così come lo era cinquant’anni o settant’anni fa
nell’esempio della bottega artigiana. Perché per quanto un operaio sia bravo e capace, difficilmente
avrà il guizzo di suggerire come, attraverso un semplice sensore applicato ad una macchina, sia
possibile migliorarne le prestazioni. O altrettanto difficilmente saprà “smanettare” al computer così
bene da vendere on line l’ultimo prodotto. O suggerire la creazione di una App per controllare a
distanza il funzionamento di un macchinario. Giovani e... Per tutto questo essere giovani aiuta ma
non basta. Serve anche una formazione adeguata. E anche qui le statistiche non ci aiutano perché
nella classifica dei 34 Paesi più industrializzati del mondo, l’Italia è ultima (ultima!) per numero di
giovani laureati e quart’ultima per soldi investiti nell’università in rapporto al Pil. Sono numeri, che
testimoniano come si sia bloccato l’ascensore sociale, preoccupanti perché rischiano di condannare
il nostro Paese a un lento ma inarrestabile declino economico.
«Subito una data per i referendum sul lavoro» (M. Veneto, domenica 26 febbraio)
di Maura Delle Case - «Andate in pressing sul governo perché fissi al più presto la data dei
referendum abbinandoli possibilmente alle elezioni amministrative». Lo ha chiesto ieri il segretario
generale di Cgil Fvg, Villiam Pezzetta, ai parlamentari che hanno risposto all'invito del sindacato
volto a fare il punto sulla prossima consultazione. In camera del lavoro sono però arrivati in pochi.
Degli eletti in Fvg solo il senatore Carlo Pegorer (già Pd) e le deputate Gianna Malisani (Pd) e
Serena Pellegrino (Si). Nessuno del centro destra. "Vero - ha commentato Pezzetta -, anche se
qualcuno si è giustificato. Eppure il tema del lavoro è trasversale, riguarda tutti. I due referendum e
la proposta di legge puntano a invertire la rotta tracciata dal Jobs act e dagli altri interventi che
hanno scardinato l'impianto dello Statuto dei lavoratori, favorendo la crescita della precarietà e
restringendo il perimetro delle tutele. Bisogna andare nella direzione opposta, definire un nuovo
Statuto dei lavoratori, in cui i principi siano confermati ma al contempo adattati alla nuova realtà
del mercato del lavoro". "Noi restiamo duri al pezzo - afferma con slancio Pezzetta -, dobbiamo
portare il 50% dell'elettorato al voto e sappiamo bene che l'impresa è tutt'altro che facile". Cgil sta
scaldando i motori per centrare l'obiettivo. "Faremo molte iniziative, specie con le persone più
difficili da incontrare, lavoratori atipici, partita iva. Parleremo a tutto quel mondo, se serve anche
facendo il porta a porta" ha aggiunto ieri il leader sindacale rivendicando intanto che "se il Paese e il
Parlamento sono tornati a parlare di lavoro questo è grazie alla nostra battaglia sui voucher e gli
appalti, alle migliaia di firme che abbiamo raccolto. E', insomma, una prima vittoria che Cgil si
intesta". Vicini alla battaglia promossa dal sindacati tutti e tre i parlamentari presenti all'incontro di
ieri. Pegorer ha salutato l'iniziativa di Cgil come il modo "per scuotere l'albero e porre il tema del
lavoro come priorità assoluta per tutte le forze politiche", Malisani ha fatto sapere che in
commissione lavoro, la prossima settimana, la Carta dei diritti sarà incardinata nelle norme sugli
appalti, Pellegrino infine ha garantito forte sostegno sia ai due referendum che alla legge popolare.
"Il Parlamento si sta svegliando - ha dichiarato -, ma se non dovesse pronunciarsi noi al referendum
sappiamo giù cosa faremo: due sì per il lavoro".
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«Il Leone non deve abbandonare Trieste» (Piccolo, domenica 26 febbraio)
Non solo un aumento di capitale, fondamentale per mantenere a Trieste la testa di Generali, ma
anche un forte impegno della politica regionale e locale per rilanciare l’appetibilità e la
competitività del territorio giuliano. Queste le priorità indicate dalla Cgil in un documento unitario
firmato dal segretario generale di Trieste, Michele Piga, e da Elisabetta Faidutti, segretaria
provinciale della Fisac, il sindacato Cgil delle assicurazioni e del credito. «Quello che emerge scrivono Piga e Faidutti - è una debolezza strutturale del gruppo che rende questa società appetibile
e scalabile: appetibile per il suo valore economico, finanziario e patrimoniale, scalabile per una
sottocapitalizzazione figlia di una politica di dismissione di asset e mercati in atto dal 2013, volta a
distribuire dividendi ma di certo penalizzante nel medio lungo periodo». Gli obiettivi della proposta
sono volti a garantire la permanenza a Trieste del controllo del gruppo, la sua italianità,
l’indipendenza e l’indivisibilità. Per questo, secondo la Cgil, serve una doppia azione. «Da un lato
l’aumento di capitale, magari garantito da un intervento della Cassa Depositi e Prestiti, a garanzia di
un piano industriale che rilanci una politica espansiva che da sempre ha avuto in Trieste il motore
principale e che consolidi il gruppo e ne prevenga facili scalate future. Dall’altro il rilancio
dell’appetibilità del territorio, che passa attraverso la realizzazione in tempi stretti delle connessioni
infrastrutturali (porto, collegamenti Trieste-Venezia e Trieste aereoporto), il rafforzamento della
connessione domanda-offerta tra mondo accademico e impresa». Per Elisabetta Faidutti «i tempi
sono stretti, ed essendo presumibilmente scongiurata l’operazione Intesa chiediamo alla politica
locale a tutti i livelli di farsi promotrice verso il governo della proposta che riguarda la governance e
le politiche del gruppo, perchè Trieste e l’Italia non possono permettersi di perdere un impresa
leader a livello nazionale e internazionale».
Mancano maestri, laureandi in cattedra (Gazzettino)
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Nel pubblico più assenze per malattia (Gazzettino)
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CRONACHE LOCALI
Canoni, l'Ater incassa 400mila euro in più (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Francesco Fain - Più di 5,5 milioni di incasso. Quattrocentomila euro in più rispetto all’anno
passato. «Comunque vada, sarà un successo», direbbe Piero Chiambretti, autore di quello che è
diventato un aforisma. Il riferimento è a quanto incasserà l’Ater di Gorizia grazie ai canoni di
locazione “riveduti e corretti” con l’introduzione dell’Isee (Indicatore della situazione economica
equivalente). Certo, ci saranno delle limature, verranno analizzati i casi di aumento più clamorosi, ci
saranno dei correttivi ma la tendenza sostanziale è ad un aumento degli incassi. Le proiezioni di
incasso Stando ai documenti ufficiali dell’Ater, la previsione di entrata complessiva per l’anno
2017, al netto delle rideterminaziooni di canone in ipotesi di “diminuita capacità economica”, è
stimata in 5 milioni 561mila 200 euro. Significa che saranno 400mila gli euro in cassa in più. Una
cifra importante. Una cifra che consentirà di garantire più manutenzioni e di mantenere in buone
condizioni il patrimonio dell’Ater. Da rammentare che l’Azienda territoriale per l’edilizia
residenziale di Gorizia gestisce, in tutto l’Isontino, 4.608 alloggi così suddivisi: 4.141 sono di
proprietà dello stesso ente; 435 appartengono ai Comuni disseminati nella provincia di Gorizia; 32
sono di proprietà di altri soggetti (nella fattispecie della Fincantieri). L’Azienda ha inoltre stipulato
delle apposite convenzioni per la gestione degli alloggi di proprietà dei Comuni di Cormòns,
Gradisca d’Isonzo, Grado, Monfalcone e Ronchi dei Legionari. La suddivisione in fasce Ma
entriamo nel merito delle tre fasce (A, B e C) che riguardano i canoni di locazione di edilizia
sovvenzionata. Sempre secondo le documentazioni fornite dall’Ater, nel segmento A con Isee fino a
10mila euro rientra la maggior parte degli assegnatari, vale a dire il 54 per cento del totale. In
questo caso il canone medio mensile è di 72 euro fino a una massimo di 100. Il segmento B va da
10.001 a 33.334 euro (come emerge anche dal grafico in alto) e qui ci sono quasi tutti gli altri
inquilini, cioé il 44%: il canone medio, in questi casi, è di 180 euro fino a un massimo di 400. Solo
il 2% degli assegnatari è inserito nella fascia C con Isee superiore a 33.334 euro. In questa fascia, il
canone medio è di 450 euro mensili e quello massimo applicato arriva a 600 euro. Per calcolare il
canone mensile dovuto all’Ater, tutti gli inquilini hanno dovuto presentare l’Isee. Non basta più la
semplice autocertificazione reddituale. L’imponibile Irpef non è più sufficiente. La quantificazione
tariffaria viene quindi misurata, con differenti percentuali, anche sul patrimonio mobiliare e
immobiliare. Ma non solo. D’ora in avanti la quota tiene conto pure delle condizioni socio-sanitarie
della famiglia: la presenza di un disabile, ad esempio, determinerà una riduzione. Così come la
composizione del nucleo familiare. I casi limite Intanto, continuano le file agli sportelli dell’Ater di
inquilini che chiedono chiarimenti e delucidazioni sugli aumenti. Indubbiamente, il padre di tutti i
casi-limite registrati dagli uffici dell’ex Iacp riguarda una famiglia che si è vista proiettare dalla
fascia più bassa, per la quale pagava un canone minimo di 40 euro, alla fascia più alta, con un
canone mensile di 560 euro. Insomma, in un colpo solo, un aumento di... 520 euro. «Va detto annota il direttore dell’Ater, Gargiulo - che l’aumento è determinato dal passaggio da un reddito
imponibile bassissimo a un Isee davvero importante. In pratica, c’erano depositi bancari e
quant’altro che hanno determinato questa situazione. Ma come ho detto nei giorni scorsi, non
mancano i casi di famiglie che hanno visto scendere anche di 200 euro il canone di locazione». Fra
gli incrementi rientra anche una discreta percentuale di inquilini i quali - nonostante i ripetuti
solleciti da parte dell’ex Iacp - non ha ancora consegnato l’aggiornamento del proprio Isee. La
conseguenza? È stato scaraventato direttamente nella fascia che prevede i canoni più elevati. I
motivi? «I casi di omessa denuncia dell’Isee prevedono, vista la natura sanzionatoria, il pagamento
del canone più alto tra quelli previsti. Nella provincia di Gorizia - rammenta Gargiulo - i casi sono
circa 170». Queste persone avranno, comunque, tempo fino al prossimo 31 marzo per regolarizzare
la propria posizione e accedere al ricalcolo del canone “retroattivo” sino al primo gennaio.
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Il governo taglia la mensa notturna dei vigili del fuoco (M. Veneto Udine, domenica 26 febbr.)
di Renato D’Argenio - L’ultima a Sanremo. Li hanno chiamati sul palco: applausi! Nel teatro
Ariston, come nella case di milioni di italiani. Eroi, superuomini, angeli... gli aggettivi, giustamente,
abbondano. Un mare di belle parole. La realtà, però, usa altri termini: stipendi congelati, organico
all’osso e, l’ultima, eliminazione della mensa notturna. I vigili del fuoco – come altre forze
dell’ordine – sono un costo e lo Stato vuole risparmiare sulla mensa utilizzata durante quei turni.
Circa 2 milioni a livello nazionale. La circolare del Direzione centrale risorse logistiche è di pochi
giorni fa: «si dispone la soppressione del servizio mensa durante lo svolgimento dei turni notturni
per tutto il personale del settore operativo in servizio nei comandi provinciali dei vigili del fuoco».
Una decisione non piace ai rappresentanti sindacali. Renato Chittaro del coordinamento Fp Cgil
spiega: «Inutile dire che la necessità di perseguire obiettivi di contenimento delle spesa pubblica
non sempre migliora i servizi: in questo caso infatti lo compromette. L’orario di servizio dei vigili
del fuoco è svolto, con una articolazione in turni di 12 ore (h/24-h/48); tale particolare articolazione
ha consentito, fino ad oggi, di poter mantenere gli attuali standard di efficienza e tutela dei cittadini
in termini di sicurezza e soccorso tecnico urgente che diversamente verrebbero a mancare.
Oltretutto teniamo a precisare che durante la fruizione del pasto, il personale non si trova in pausa
lavorativa per la mensa, e difatti la stessa è immediatamente interrotta in caso di una chiamata
urgente di soccorso o differita nel caso in cui la squadra sia fuori sede per intervento». Ora lo Stato,
al posto del buono, propone un ticket elettronico. Ecco cosa accade. Il buono pasto garantito ai
vigili del fuoco vale 9 euro ed è spendibile, anche un mese dopo, nei centri convenzionati. Una
squadra di vigili del fuoco di turno notturno è un po’ come una famiglia: in base alle esigenze si
organizza la spesa – pasta, carne, panini .... – e appena è possibile si prepara la cena in mensa. Il
ticket elettronico, che sarà invece, da 7 euro, potrà essere speso soltanto in alcune attività e varrà
massimo una settimana. «Senza mensa a disposizione – continua Chittaro – cosa mi vado a
comprare? Barrette energetiche?». «Quel pasto è un diritto per i lavoratori, indispensabile
soprattutto per coloro che svolgono turni di lavoro così lunghi e in quegli orari. Chiediamo –
insistono Renato Chittaro e Mafalda Ferletti, segretaria Fp Cgil Fvg – che le economie richieste con
l’ultimo provvedimento di bilancio adottato dal governo, se proprio necessarie, considerate le
condizioni dei mezzi, delle attrezzature e delle sedi di servizio, siano individuate in altre azioni o
capitoli di spesa dal quale eventualmente attingere. Non trascuriamo poi il fatto che l’impegno dei
vigili è soprattutto fisico ed è importante garantire le giuste calorie al personale durante un turno.
Tale dispendio difficilmente potrebbe essere soddisfatto consumando un panino o una barretta
alimentare portata da casa. Pertanto la Fp Cgil dei vigili del fuoco Fvg proclama lo stato di
agitazione di categoria riservandosi di intraprendere ogni ulteriore iniziativa, nessuna esclusa, in
caso in cui le intenzioni dell’amministrazione non fossero abbandonate».
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