Nessuna finzione la maschera siamo noi

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Transcript Nessuna finzione la maschera siamo noi

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Lunedì, 20 Febbraio 2017
Carnevale
STORIE, MASCHERE, TRADIZIONI
di Paola Moscardino
Q
uanto impiegate di solito per valutare una persona nuova? Per
capire o anche solo farvi un’idea
considerando atteggiamento/
abito/ parole dette (e taciute).
Venti, dieci secondi? «Per me è
una valutazione quasi immediata», dice
Biancamaria Gervasio, 37 anni, ragazza creativa e stilista tra le più apprezzate. Non è
solo una questione di occhio allenato, ma
di apparenze. Lo sfatiamo un luogo comune? L’apparenza non inganna. Noi siamo
quello che appariamo. Ci vestiamo come
vogliamo essere, e siamo come siamo vestiti. «E’ difficile che una persona si metta indosso una cosa che non le corrisponda per
niente – dice Biancamaria – C’è una tradizione, una cultura, una memoria nella scelta che mettiamo per un abito. Poi c’è anche
chi vuole apparire e necessita di una maschera, ma anche lì… a guardarle bene le
maschere tradiscono». Dunque. L’abito
non solo fa il monaco ma lo ama, ricambia-

La stilista Biancamaria Gervasio
È difficile che una persona si metta
indosso una cosa che non le
corrisponda per niente. C’è una
memoria nelle cose che mettiamo
Sul web
Questo numero
di «Carnevale»
è consultabile
anche online
sul sito
www.corrieredel
mezzogiorno.it
to. E anche quando si sceglie di voler apparire, di voler essere la maschera che aspiriamo a diventare, quella maschera racconta
molto del nostro mondo. Nelle finzioni –
finanche – si finisce per svelarsi. Tema carnevalesco? Sì e no.
Biancamaria Gervasio è nata nella Molfetta di Gaetano Salvemini e di Riccardo
Muti (dev’esserci una qualche radice naturale che dà la spinta ai talenti, da quelle
parti). E’ stata direttore creativo di Mila
Schön, il marchio storico del made in Italy
che ha vestito Jaqueline Kennedy e Marella
Agnelli. Poi di Fragiacomo, marchio lusso
di calzature nato a Milano nel 1956. Oggi si
dedica al «su misura», come i sarti di una
volta, e veste le celebrities con abiti che disegna e realizza in sartoria (ha una sede a
Milano, dove ha fondato un collettivo insieme a stylist, parrucchieri e truccatori). «La
verità in un vestito dipende dalla voglia che
abbiamo di seguire il nostro istinto, e non
da quella di farci sedurre dalla moda del
momento», dice. Carla Sozzani, le cui frasi
sono già citazioni, diceva che ci sono troppi
abiti e pochi specchi nella vita delle donne.
Nessuna finzione
la maschera siamo noi
«È così. Bisogna solo imparare a guardarsi
nello specchio e capire qual è la cosa più
giusta per noi». Dice che l’abito – e lo stile –
non hanno fatto il monaco, ma lo hanno ingabbiato per troppo tempo. «Erano dei codici, dei simboli che facilitano le classificazioni. Servivano a decodificare, a incasellare, a imbottigliare. Da un po’ di anni, invece, è in atto un cambiamento radicale.
Tutto è molto meno rigido. Ieri s’indossava
una sorta di divisa, e tanto bastava per (voler) essere qualcuno. Oggi c’è altro da mettere in evidenza. Il modo di fare il monaco è
La stilista
Biancamaria
Gervasio
(ph Angela
Quattrone)
è originaria
di Molfetta
più complesso, ma dà più soddisfazione,
perché va oltre la gabbia del personaggio.
Evolve nel tempo con l’età e con i cambiamenti naturali e inevitabili». Non si sofferma sulla descrizione di eleganza («è impossibile da definire»), ma sullo stile quello sì, inteso come libertà, come tutto ciò
che non si fa notare (era Brummel a dirlo,
no?), solo percepire. Meno maschere, meno moda, più specchi. Del resto, non essere
alla moda è una delle precondizioni per la
durata.
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
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I sapori
Il 25 febbraio
A Bari vecchia
c’è la Sagra
del Calzone
Sabato 25 febbraio il circolo Acli – Dalfino in
collaborazione con Radio PoPizz, organizza il
Carnevale a Bari vecchia con la «Sagra del
Calzone» e il funerale «de zii Rocche». La
manifestazione si svolgerà dal pomeriggio fino alla
serata in piazza Cattedrale. Il programma prevede
il corteo delle maschere, uno spettacolo di musica
e canti dal palco sul sagrato della Cattedrale e,
appunto, il funerale di «zii Rocche». Ovviamente ci
sarà la degustazione del calzone di cipolla
accompagnato dal vino locale. Le informazioni
sull’iniziativa possono essere richieste telefonando
al numero 080.5210355. Il circolo Acli – Dalfino ha
organizzato inoltre nella città vecchia un corso di
cucina tradizionale barese. Avviato il 13 febbraio,
si concluderà il prossimo 13 marzo. Sede del corso
è l’antico Sottano de comà Jiannine,
a Bari vecchia, in piazzetta San Marco dei
Veneziani.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A tavola contano le chiacchiere
Le sfoglie croccanti arrivano dall’antica Roma, ma le «battezzò» la regina
Fritte o al forno, hanno unito l’Italia (con nomi diversi) dal Piemonte alla Calabria
Specialità
Il termine
«chiacchiere» è
diffuso per lo
più al Sud.
Vengono
chiamate risòle
in Piemonte,
boxie in Liguria.
In Lombardia
gale. In
Toscana cenci
o struffoli o
crogetti. In
Emilia
Romagna
rosoni
N
ei giorni del Carnevale
le chiacchiere sulle tavole degli italiani sono
immancabili. Fritte o
al forno coperte da una montagna di zucchero al velo sono
un’autentica delizia per il palato. È un dolce che ha origine
nella Roma antica e in seguito
si è diffuso in tutto il mondo in
diverse varianti. In Italia è conosciuto con tanti nomi diversi. Il nome chiacchiera (detta
anche bugia di Carnevale) deriva dalla regina Margherita
Savoia che «volle chiacchierare» ma ad un certo punto, le
venne fame e chiamò il cuoco
Raffaele Esposito per farsi fare
un dolce che lui chiamò le
«chiacchiere». Sono delicate
sfoglie croccanti e hanno forma di un fiocchetto o di un nodo ma ognuno può dare la forma che preferisce. È un dolce
molto friabile, ottenuto tirando sottilmente un semplice
impasto a base di farina, zucchero, uova, lievito, burro e un
po’ di grappa. Successivamente viene fritto (c’è chi lo preferisce cotto al forno per renderlo più leggero) e cosparso di
zucchero a velo. La loro forma
rettangolare rende le chiacchiere inconfondibili e nel periodo di Carnevale sono protagoniste nelle vetrine di pasticcerie e panifici. Attira tutti
grandi e piccini.
Sono tipiche di tutto il territorio nazionale, anche se il termine «chiacchiera», benché
compreso in tutte le regioni
d’Italia, è diffuso per lo più nel
Sud Italia. Ma sono tantissimi
gli altri nomi dati a questo dolce a seconda delle regioni. In
Piemonte vengono chiamate
bugie o risòle, in Liguria
ugualmente bugie o in dialetto
genovese boxie. In Lombardia
sono dette gale, gali o lattughe
A Manfredonia ritorna
la strana sfida della farrata
In piazza del Popolo la gara sabato e domenica
La farrata viene
preparata
con ricotta
pecorina del
Gargano,
menta
maggiorana,
tuorlo d’uovo,
cannella, pepe
e farro
S
i profila una sfida all’ultima papilla gustativa per gli iscritti al
concorso «FarrArte». Si decide,
infatti, chi sforna la migliore farrata di Manfredonia (Foggia). Ristoranti,
rosticcerie, gastronomie, pasticcerie e
altre attività che abitualmente producono e vendono il prelibato rustico salato
incroceranno i matterelli, in piazza del
Popolo sabato prossimo (dalle 19 alle 24)
e domenica (dalle 11 alle 13 e dalle 17 alle
24), per conquistare la giuria tecnica e
quella popolare.
Se la si può assaporare ormai tutto
l’anno e un po’ ovunque nel foggiano,
questa delizia resta tipica della tradizione ultramillenaria del Carnevale sipontino e del periodo successivo della quaresima. Lo testimonia anche «A farrète», una
canzone in vernacolo di Michele Racioppa, poeta scomparso un anno fa: racconta che, in una Manfredonia ingiallita del
secolo scorso, le farrate, appena sfornate
e croccanti, tenute calde in sporte coperte, erano vendute sin dalle prime ore della mattino nei giorni di Carnevale, annunciate nelle strade e nei cortili da ragazzi incappottati, che con i loro canti
FarrArte
Il concorso
FarrArte,
inserito nelle
iniziative del
carnevale di
Manfredonia, si
svolgerà in
piazza del
Popolo sabato
prossimo dalle
19 alle 24,
domenica al
mattino dalle
11 alle 13 e in
serata dalle 19
fino alla
mezzanotte
svegliavano festosamente la città.
La ricetta della farrata, peraltro, si
tramanda da oltre 2000 anni. È fatta di
ingredienti della civiltà arcaica, come
ricotta pecorina del Gargano, menta
maggiorana, tuorlo d’uovo, cannella,
pepe e farro (il primo grano che i pastori nomadi coltivano in Medio Oriente e
in seguito molto diffuso anche nell’Italia preromana), da cui prende anche il
nome. In epoca romana era adoperata
anche nei riti sacri. In particolare, nei
matrimoni, si offriva una focaccia di
farro agli sposi, che la mangiavano per
consacrare l’unione (di qui il nome
«pasta degli innamorati»). Come si
prepara? Si fanno amalgamare insieme
per mezz’ora ricotta, farro macerato,
menta, sale e pepe. Si pone la farcitura
in un cerchio di pasta sfoglia con un
pizzico di cannella. Si chiude con un’altra sfoglia, che va cosparsa di tuorlo
d’uovo montato e bucata per evitare che
si gonfi e poi perda il ripieno. Quindi si
inforna il tutto a 180° per 30 minuti e lo
si sforna quando è ben dorato.
Giuseppe Daponte
© RIPRODUZIONE RISERVATA
in provincia di Mantova. In Toscana si conoscono come cenci o struffoli o crogetti. In Emilia Romagna si chiamano rosoni o sfrappole, ma in provinc i a d i Fe r r a r a d i ve n t a n o
cróstoli, così come in Veneto,
in Friuli e in Trentino. A Venezia le chiamano galani. Spostandosi al Sud le chiacchiere
diventano frappe in Lazio e
sfrappe nelle Marche, cioffe in
Abruzzo, cunchielli in Molise,
guanti in Calabria e maraviglias in Sardegna. È un dolce
che si tramanda da secoli forse
anche grazie alla sua ricetta facile e piuttosto economica.
Considerato da sempre un
dolce povero per i pochi ingredienti utilizzati si è cercato col
tempo di arricchirlo con le varie rivisitazioni apportate alla
ricetta di base. In passato si era
soliti farne grosse quantità
perché dovevano durare per
tutto il periodo della Quaresima.
Le castagnole sono un altro
dei dolci più tipici del Carnevale, molto apprezzato nelle
sue diverse varianti. Ma la versione più semplice è in genere
Farina,
zucchero, uova,
lievito, burro e
un po’ di
grappa, poi una
pioggia di
zucchero a
velo. Ecco le
«chiacchiere»
quella preferita da tutti. L’impasto viene fatto con farina,
zucchero, burro, lievito e limone grattugiato. Si formano
delle palline che poi vengono
fritte in olio abbondante. Poi
vengono cosparse di zucchero
al velo. In alcune regioni vengono accompagnate con uno
squaglio di cioccolato fondente nel quale intingerle mano
mano che si mangiano.
Poi ci sono anche le castagnole di ricotta da non confonderle con i classici bignè ripieni di crema di ricotta. In
questa ricetta la ricotta fa parte
dell’impasto che risulta in
questo modo leggero e morbidissimo. Vengono fritte e cosparse di zucchero al velo o semolato. I ravioli fritti dolci sono invece uno scrigno buonissimo che racchiude al suo
interno un cremoso ripieno.
Già al primo assaggio la croccantezza della pasta cederà il
posto ad una dolce crema di ricotta o marmellata. Sono a base di farina, uova, zucchero, vino bianco, latte e scorza di limone grattugiato. Anche questo dolce, come quasi tutti gli
altri della tradizione di Carnevale, viene fritto in olio e tuffato poi nello zucchero al velo.
Facile da realizzare in casa, ma
nei giorni di Carnevale le pasticcerie ne sono piene.
Angela Balenzano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
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La storia
Taranto
Il Carnevale di una volta nel borgo antico
«’U Carnevale de na vote», ossia il Carnevale di
una volta si svolgerà il 28 febbraio nel borgo antico
di Taranto. Il corteo partirà alle 18.30 e sfilerà per
via Duomo , via Cava, la Marina, piazza Castello,
per poi ritornare in via Duomo rivivendo l’allegoria
del Carnevale con le maschere tipiche tarantine.La
manifestazione è organizzata dall’Associazione
Tarantinìdion Taranto in collaborazione con
l’istituto superiore di studi musicali
“GiovanniPaisiello” l’associazione Maria d’Enghien,
Assemblea Aperta “Città Vecchia per l’Ambiente”,
l’associazione Vito Forleo e l’Associazione Varca
d’ore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Farinella, Ze Peppè, Gibergallo, Lu Pagghiuse,
Teodoro. Ecco chi sono i popolari personaggi che
ispirano le sfilate carnascialesche di Putignano,
Manfredonia, Massafra e Gallipoli
La mappa
Da nord a sud,
in Puglia sono
tante le città
coinvolte e
tante le
maschere
tipiche del
Carnevale, tra
le quali
Putignano
(Farinella)
Manfredonia
(ze Peppè),
Massafra
(Gibergallo
e Lu
Pagghiuse) e
Gallipoli
(Teodoro).
Riti rurali,
contadini,
pagani e
cristiani si
mescolano
«D
i Arlecchino ricordo i colori, di
Brighella quel fare da furbetto,
di Pulcinella la voglia di bighellonare: mi presento, il mio nome è Farinella». Allegro. Scanzonato. Dalle vesti
e il cappello simili a quelle di un joker. Farinella
è il simbolo del carnevale di Putignano. È la sua
maschera per eccellenza, che l’incipit della filastrocca presenta a dovere. Il nome riconduce
immediatamente al piatto della tradizione contadina fatto di farina di ceci e orzo cotti, macinati fino a ricavarne una vera e propria farina,
da mangiare assieme ad altri elementi tipici
della cucina locale. Ed è dal forno che viene Farinella, uomo allegro e ubriacone, sempre col
naso rubicondo, che di mestiere faceva, appunto, il fornaio e di cui nessuno conosceva il vero
nome. Il suo vestito era, fino alla completa rivisitazione odierna, nata negli anni ’50 su iniziativa del comitato organizzatore e idea di Mimmo Castellano, quello di una persona del popolo, umile, povero, ma allegro e ubriacone. Eppure, costui, secondo una delle versioni che ne
narrano le origini, salvò la città dall’invasione
dei Saraceni. Un eroe, insomma, che all’ennesima minaccia di assalto, ebbe l’idea di simulare
una epidemia di peste tra la popolazione, per
far desistere gli assalitori dal loro intento. La vicenda si sarebbe svolta attorno al XIV secolo. La
gente si cosparse la farina di orzo e ceci (Far’nedd, nel dialetto della Murgia pugliese) facendo sembrare di avere, bubboni, piaghe e
malattia. L’idea di Farinella funzionò e, al loro
arrivo, i saraceni, vista la situazione, fuggirono
per la paura di essere infettati. Da quel giorno la
città ha festeggiato il povero fornaio divenuto,
così, maschera principale del carnevale, pronta
a saltellare e rallegrare i visitatori lungo la sfilata dei carri allegorici. Non solo Putignano. Da
Le maschere
dal Gargano
al Salento
nord a sud, in Puglia sono tante le città e le maschere tipiche del carnevale, tra le quali Manfredonia, Massafra e Gallipoli. Riti rurali, contadini, pagani e cristiani si mescolano nei giorni
della festa. Così è per le maschere. Il Carnevale
dauno o sipontino, ad esempio, è quello che
dal 1954 dà sfogo all’allegria e alla fantasia degli
abitanti del foggiano. In particolare a quella dei
più piccoli: con i bambini delle scuole elementari e materne impegnati nella grande Sfilata
Gli assalitori saraceni
Il fornaio Farinella fece scappare
i saraceni. Da quel giorno diventò
un eroe e la maschera
della città di Putignano
delle Meraviglie, durante la prima domenica
del carnevale, nelle vie del centro si Manfredonia. La manifestazione è stata inserita dalla Regione tra quelle di maggior interesse per la Puglia e rientra nella Federazione europea delle
città del carnevale. «Ze Peppè», Zio Peppe, è la
maschera principale, raffigurata tra i carri allegorici e le sfilate nei giorni principali del carnevale. È un contadino del Tavoliere che dalle
campagne, secondo la tradizione, si porta in
città per fare festa durante il carnevale. Ma i
suoi bagordi diventano eccessivi e così la maschera del contadino dauno si ammala a causa
del troppo divertimento e muore. Il suo corpo,
un fantoccio, sarà poi bruciato a conclusione
del grande carnevale durante il martedì grasso,
con l’arrivo della Quaresima. Per decidere quale
dovesse essere, invece, la maschera ufficiale del
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
BA
Casamassima
La Pentolaccia
per festeggiare
i quarant’anni
Casamassima celebra la quarantesima
edizione del suo Carnevale il 3 e 4 marzo
con l’ormai tradizionale Pentolaccia, con
la sfilata di gruppi mascherati, i carri
allegorici, il mercatino di prodotti
artigianali e una mostra che racconterà i
protagonisti dei primi quarant’anni. Lo
spettacolo di colori interesserà piazza
Aldo Moro e le vie vicine.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Nella foto grande Farinella, la maschera
di Putignano. In basso due immagini
del Carnevale di Gallipoli
(ph Skakkomatto). Qui accanto
«Lu Pagghiuse», il primo personaggio
del Carnevale di Massafra (il secondo
è il clown Gibergallo)
Sopra, tratto dal sito internet
www.carnevalemanfredonia.com,
«Ze Pepè», la maschera del Carnevale
di Manfredonia
carnevale di Massafra, considerato uno dei più
gioiosi della Puglia, per la piena partecipazione
dei visitatori alla sfilata allegorica, c’è voluto addirittura un Consiglio comunale. Da una parte,
infatti, c’era chi caldeggiava la figura di Gibergallo, un clown che veste un lungo frac nero e
una maglietta, con righe orizzontali giallo e
rosse, che va in giro con un gallo al guinzaglio.
È la rappresentazione di Gilberto Gallo, il cittadino massafrese, tra i promotori del carnevale,
che la inventò e la indossò fino alla sua morte.
Su un altro versante c’è chi sosteneva la maschera de Lu Pagghiuse, vesti umili contadine,
bisaccia e cupa cupa per battere il ritmo della
festa, raffigurante il tipico contadino di questo
versante dello Ionio. I consiglieri decisero di
adottarle entrambe. Euforia anche a Gallipoli,
dove il carnevale ha inizio, come altrove, il gior-
no di Sant’Antonio Abate, con il rito dei cento
falò (focaredde) in giro per la città e finisce il
martedì grasso, con la morte di Teodoro. Tra
gruppi di musica popolare, funamboli e saltimbanchi, tarantelle e vino, la maschera di Teodoro, giovane soldato gallipolino, torna in città,
per gozzovigliare, mangiare e bere a volontà.
Sono i due giorni della Vecchia, della madre Caremma, che ha pregato perché suo figlio tornasse a godere dell’abbondanza del carnevale.
Ma è tanta la foga nel mangiare «de lu Tidoru»
(ne dialetto salentino), che il ragazzo morirà
soffocato da salsicce, polpette di maiale e altre
prelibatezze. La festa e i piaceri terreni finiscono così, per dar vita ai giorni della quaresima,
che portano alla Pasqua.
Gino Martina
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
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I maestri
L’iniziativa
«N’de Jos’r»
musica e sapori
nel centro storico
Con il carnevale di Putignano torna anche
«N’de Jos’r», un percorso tra sapori tradizionali,
vino e musica. Giunta all’undicesima edizione,
l’iniziativa è stata pensata per accogliere chi
volesse sfoggiare il proprio travestimento
avventurandosi nel centro storico di Putignano.
Dopo le serate del 16 e 19, ne sono previste altre
quattro il 23, 25, 26 e 28 febbraio. L’iniziativa ha
«l’obiettivo di stimolare la cultura del
mascheramento e salvaguardare lo spirito del
divertimento» durante il Carnevale, sottolineano
gli organizzatori.
L’evento è organizzato dall’associazione culturale
Trullando in collaborazione con la Fondazione del
Carnevale di Putignano e con il patrocinio del
Comune. Per le informazioni e il programma
dettagliato si possono chiamare i numeri
3921676030 – 3665072676 e visitare il sito
www.trullando.it.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Padre e figlio chiusi nell’hangar
«Da Putignano i carri per Chicago»
La festa
Il Carnevale
di Putignano,
oltre che il più
antico
d’Europa (è
ormai alla
623ma
edizione) è
anche il più
lungo d’Italia.
Inizia, infatti,
già dal 26
dicembre, con
la festa delle
Propaggini
I
maestri cartapestai Vito e
Paolo Mastrangelo, padre e
figlio, sono l’emblema di
due generazioni capaci di
lavorare fianco a fianco. L’una
trasmette all’altra un patrimonio di passioni, tecniche e tradizioni centenarie. E il loro sodalizio, anche quest’anno, contribuisce, insieme e in competizione con altri sei maestri
cartapestai della città, a dare
lustro al Carnevale di Putignano (Bari).
Vederli lavorare è uno spettacolo nello spettacolo. Anche
quando, come è inevitabile, il
confronto diventa più animato.
«Per arrivare a un progetto bisogna prima litigare» chiosa
Vito. « C’è chi una cosa la vede
quadrata e chi tonda. Alla fine
si fa un ovale. Paolo non si accontenta di ciò che gli trasmetto, ci mette sempre del suo. Mi
piace anche per questo». E, a
quanto pare, il compromesso
porta anche ottimi frutti, a giudizio sia delle giurie (hanno
collezionato 4 primi posti –
l’ultimo nel 2014 - 11 secondi e 5
terzi) che del pubblico. «L’applauso della gente lascia un ri-
Vito e Paolo
Mastrangelo: «Per
arrivare a un progetto
prima bisogna litigare»
cordo indelebile – dice Paolo Può ripagare mesi di duro lavoro. Chi viene al Carnevale lo fa
per divertirsi e far festa. È raro
riuscire a ottenere sul corso
mascherato l’applauso a fine
scena. L’anno scorso è successo
e mi sono emozionato. Il carro
si intitolava “Un solo Dio”. Raffigurava un sole abbracciato da
due mani, una bianca e l’altra
nera».
Il Carnevale di Putignano, si
sa, oltre che il più antico d’Europa (è ormai alla 623ma edizione) è anche il più lungo
d’Italia. Inizia, infatti, già dal 26
dicembre, con la festa delle
Propaggini. Guarda caso Paolo
è nato proprio il 26 dicembre di
25 anni fa. «Avevo 30 anni –
racconta il padre - mancavano
meno di due mesi alle sfilate ed
ero nel pieno del lavoro per il
carro “Sveglia”. La sera uscivo
dal capannone e correvo da lui:
una felicità che ricorderò per
sempre».
«Ho iniziato con le maschere di carattere a 12 anni – ricorda Vito - poi, negli anni ’90 sono entrato in prima categoria
con un hangar tutto mio, dove
ora trascorro ore e ore quasi
senza accorgermene». Nei
quattro mesi che precedono il
Carnevale, si concentra solo sul
Istinto animale
Paolo: «Quest’anno
abbiamo voluto
denunciare il dramma
dei femminicidi»
Cartapestai
Altri sei maestri
cartapestai
contribuiscono al
Carnevale di Putignano
Il Columbus Day
Vito: «Ho lavorato per
Chicago, dove
andavamo a montare
carri costruiti qui»
carro. Cerca di aggiungere ogni
anno qualcosa che lo renda
memorabile. Paolo, invece,
cerca di innovare e si concentra, ad esempio, sulla parte teatrale dei carri, su significato,
musica e coreografia: «Il tema
del Carnevale di quest’anno, “I
Mostri” – spiega Paolo – mi ha
dato lo spunto per denunciare
con il nostro carro (intitolato
“Istinto animale”) la tragedia
del femminicidio. Non c’è mostro peggiore di chi si macchia
di questa violenza. Di qui l’idea
di raffigurarlo come un gorilla
feroce ».
Per quanto ora sia in pensione, Vito non si accontenta del
Carnevale. Realizza scenografie
e intesse collaborazioni anche
oltreoceano: «Per cinque anni
ho fatto carri per il Columbus
Day – riferisce - Li costruivamo
nell’hangar, li caricavamo nei
container e andavamo a Chicago a montarli». Nei restanti
mesi dell’anno, anche Paolo
non abbandona il capannone,
ormai la sua occupazione
esclusiva. Cura la parte artistica
e realizza scenografie per alcuni teatri e, come altri cartapestai, lavora a manufatti destinati ad altri Carnevali d’Italia.
Giuseppe Daponte
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Terlizzi
Cavalli e cavalieri, è corsa all’anello
Cavalieri, scudieri e cavalli saranno i protagonisti
della «Corsa all’anello 2017», in programma
sabato 25 e domenica 26 febbraio a Terlizzi.
L’iniziativa, che rientra nella tradizione
carnascialesca terlizzese, si terrà nel centro storico
tra piazza IV Novembre e piazza Cavour. La
manifestazione comincerà sabato pomeriggio,
quando i «duellanti» si sfideranno in una serie di
prove di abilità fino alla «finale», cioè la «corsa
all’anello», al termine della quale vi sarà la
premiazione dei migliori cavalieri. A parte il torneo
a cavallo, sono in programma appuntamenti
musicali in un’area in cui ci sarà la presenza di
stand eno-gastronomici. Due i gruppi musicali
che si esibiranno: la sera di sabato 25 è prevista la
performance dal vivo del gruppo di fiati “New Big
Band”, mentre domenica sera il complesso
musicale “Taratatà”. Ballerini e artisti di strada
animeranno il pomeriggio di sabato, mentre
maschere e mascherine dei più piccoli sono attese
a colorare le strade cittadine dalle 17 di domenica
26. «Abbiamo deciso di unire una tradizione del
nostro paese che puntualmente fa registrare una
larghissima affluenza di terlizzesi e non, con la
festa per antonomasia dei bambini, il carnevale,
pensato come una grande festa di piazza con
animatori e musica» affermano il sindaco Ninni
Gemmato e l’assessore alla Cultura e Turismo,
Marina Cagnetta. «E a far da sfondo a tutto ciò, gli
stand che avranno la possibilità di esporre, far
degustare e vendere al pubblico i tanti e squisiti
prodotti tipici della nostra terra».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
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Le sfilate
Apricena
Treni speciali
il 26 febbraio
e il 5 marzo
Due treni speciali saranno organizzati dalle
Ferrovie del Gargano domenica 26 febbraio e
domenica 5 marzo per raggiungere Apricena
(Foggia) in occasione delle sfilate dei carri
allegorici della quinta edizione del «Carnevale
Apricenese», organizzato dal Comune di Apricena
in collaborazione con l’associazione Movidaunia e
l’associazione «La città che vogliamo».
Nelle due date le FerGargano metteranno a
disposizione due treni speciali, uno per il viaggio di
andata e uno per il ritorno. La partenza è prevista
da Foggia alle ore 14.11 (San Severo ore 14.36)
con rientro da Apricena alle ore 20.49 (San Severo
ore 21.04 e arrivo a Foggia alle ore 21.26). A bordo
del treno si potranno anche degustare le
«chiacchiere». È organizzato un servizio di navetta
per consentire a coloro i quali arriveranno in treno
ad Apricena di raggiungere le diverse sfilate del
Carnevale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
A Putignano arrivano i mostri
I giganti di cartapesta raccontano la realtà, anche il dramma dei femminicidi
Sette carri in scena con Frankenstein e i «Selfie della gleba». Domenica ultima sfilata
Le parate
 Alla prima
sfilata di carri
allegorici
hanno
partecipato
circa
diciottomila
persone. La
terza di terrà
domenica 26
febbraio, la
quarta e ultima
si svolgerà
martedì 28.
 Il
programma
completo si
può visionare
sul sito internet
www.carnevale
diputignano.it/
C
irca 18mila persone
hanno assistito alla
prima delle quattro sfilate dei carri del Carnevale di Putignano. «Come
sempre ha vinto il Carnevale e
né l’introduzione del ticket né
il cattivo tempo hanno fermato il popolo del divertimento
sano», ha commentato soddisfatto Giampaolo Loperfido,
presidente della Fondazione
del Carnevale.
Sono stati staccati circa
12mila biglietti, altri 6mila sono stati distribuiti ai residenti.
Di grande spessore - è detto in
una nota - la sfilata e il lavoro
degli artigiani. I sette giganti
in cartapesta hanno raccontato una società sempre più vittima di individualismi e di solitudini, quelle mostruosità
contro le quali la satira e l’ironia del Carnevale vogliono essere uno stimolo a una riflessione sana.
Ma cosa raccontano i sette
carri? «Mostruosa ignoranza»:
in un mondo multimediale e
tecnologico l’ignoranza non è
una condizione che ci spaventa più di tanto. Ed ecco allora
Mostruosa ignoranza a dx. selfie della gleba
sul carro un bambino sorretto
dalla voglia e dalla curiosità di
sapere, imparare e conoscere,
che prova ad andare contro gli
stereotipi di un mondo ignorante dominato da spettri.
Un altro carro è «Selfie della
gleba», che fa chiari riferimento all’epoca degli smartphone e dei social network
che stanno cambiando le abitudini di tutti noi. Tocca poi a
«Ribellione selvaggia»: nell’immaginario collettivo, la
mostruosità è rappresentata
da una creatura fantastica, dal-
l’aspetto orribile e spaventoso.
In realtà, la mostruosità può
avere anche un aspetto non
così facilmente identificabile.
«Istinto animale», è il carro
che racconta della tragedia dei
femminicidi. Qui un gorilla
tenta di aprire un cancello.
Fuori dal cancello c’è la città
delle donne.
«Si può fare», è il nome di
un altro carro, richiama la frase pronunciata dall’attore Gene Wilder nei panni dello
scienziato nel film Frankenstein Junior, capolavoro comi-
co di Mel Brooks. Infine, c’è
«Chi ha tempo non aspetti
tempo». Un viaggio tra epoche
differenti è possibile grazie a
una macchina del tempo. Qui
il passato è mostruosamente
brutto ed è , rappresentato da
una coltre scura di nubi, generate da ciminiere inquinanti
che rendono l’aria nociva e irrespirabile.
In linea con il tema che segna l’edizione 2017 del Carnevale c’è anche «Mòstrati»: diversità, rapporto tra vittima e
carnefice, prigionia e libertà,
straniamento sono i temi che
ispirano le performance artistiche che venerdì 24 scalderanno il cuore di Putignano. Il
senso di questo spettacolo è
spiegato in una nota: «C’è la
spettacolarità della danza aerea e acrobatica unita alla fluidità, alla sensibilità e all’eleganza dei gesti della danza
contemporanea», e a tutto
questo si aggiungono quattro
quadri che portano in scena
teatro, canto lirico, percussioni e commedia d’arte. Il venerdì del Carnevale di Putignano
obbligherà gli spettatori a
guardarsi intorno, a camminare con il naso all’insù alla ricerca degli artisti. Basterà seguire
il filo rosso, ma attenzione a
non perdersi nel labirinto. È
pur sempre Carnevale! L’appuntamento per assistere alla
prossima sfilata è per la prossima domenica alle 15.30
Carlo Testa
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Seconda «puntata» a luglio
Un momento
delle sfilate
del Carnevale
di Massafra,
che quest’anno
vivranno
una seconda
parte alla fine
del mese
di luglio
Massafra, doppio Carnevale
sarà festa anche in estate
Cittadella
Il Comune di
Massafra
intende
ristrutturare
alcuni
capannoni
nella zona
industriale
destinandoli ai
cartapestai,
poiché i locali
dell’ex macello
comunale non
sono più
idonei. Nascerà
la Cittadella del
carnevale
D
i necessità virtù. Il carnevale
massafrese quest’anno raddoppia. Le sfilate dei grandi carri allegorici dei maestri cartapestai
della cittadina ionica entreranno in scena, tra le vie affacciate sulla caratteristica
gravina, non solo il 26 e il 28 febbraio,
ma anche in estate. A luglio. Il motivo è
legato a questioni logistiche e materiali.
«I cartapestai – spiega l’assessore comunale al turismo e allo Spettacolo, Michele Bommino - costruivano i carri allegorici nell’ex macello comunale, una struttura oramai fatiscente, con condizioni
igieniche, sanitarie e di sicurezza non a
norma. Quella struttura è prossima alla
vendita e, grazie al ricavato, il Comune
potrà ristrutturare alcuni capannoni nella zona industriale, dove nascerà la nuova Cittadella del carnevale. Nel frattempo
potranno, da aprile per l’esattezza, costruire i nuovi carri per le grandi sfilate
in programma gli ultimi due fine settimana di luglio». Quella del carnevale che
celebra la sua festa anche in estate è vista
come una grande occasione per meglio
promuovere l’intera manifestazione e il
territorio, grazie ai turisti provenienti
dalla Valle d’Itria, il litorale Tarantino e le
vicine Matera e Castellaneta Marina. Il
tutto senza trascurare la tre giorni in
programma da questa settimana. Si parte il 23 con la sfilata delle scuole, che
conta oltre 2 mila 500 partecipanti, tra
bambini e studenti, e lo spettacolo di
saltimbanchi e mangiafuoco. Per proseguire il 26 e il 28, con la grande sfilata
lungo la quale i gruppi allegorici metteranno in mostra i loro mini carri, alti comunque fino a undici metri, realizzati
grazie alla collaborazione dei maestri
della cartapesta. Il 26 è previsto anche lo
spettacolo con la compagnia di Uccio De
Santis. Tra loro non mancheranno le
maschere tipiche, tra le quali il Gibergallo, il clown col gallo al guinzaglio, ideato
da Gilberto Gallo. «Ci aspettiamo dalle
30 alle 40 mila persona a sera» auspica
Bommino. Per avere tutte le informazioni riguardo il carnevale massafrese, è
consigliato seguire la pagina Facebook
Carri allegorici del carnevale massafrese.
G. M.
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
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BA
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
BA
Tradizioni
Matera
Le «mattinate»
con chitarre
e tamburelli
C’è una particolarità tutta materana nei giorni
del carnevale. È quella delle mattinate (u matnèt
in dialetto). Gruppi di amici si ritrovano dopo la
mezzanotte e, con strumenti musicali, come
tamburelli, chitarre e cupa cupa, accompagnati
da canzoni popolari, iniziano un loro giro per le
case di parenti e altri conoscenti. L’invasione
festante nelle case è improvvisata, senza
preavviso. Si suona e si svegliano gli abitanti con
music a e canzoni, finché non si è invitati a
entrare e mangiare: salumi, taralli, formaggi e
vino. Danze e balli durano fino al mattino, nei
quali vengono coinvolti anche i vicini. La
comitiva diventa più folta, perché di casa in casa
sono coinvolti gli amici. Terminata l’ospitata,
infatti, ci si trasferisce altrove. In passato la
tradizione era nata per far visita inaspettata alle
famiglie che avevano ucciso il maiale, per farsi
offrire salumi e altro cibo. (g. m.)
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Il Carnevale lucano vive dei legami ancora forti
con il mondo rurale. I riti e tramandati
da secoli a Tricarico, Satriano, Montescaglioso,
San Mauro Forte e Aliano
Antico
 Tamburelli,
danze, animali,
l’uomo albero,
duelli ,
campanacci,
maschere
cornute, diavoli,
magie. Il
Carnevale in
Basilicata si
porta dietro
secoli di
tradizione
rurale e
propone una
serie di antiche
suggestioni
D
i tori, di mucche, di capre, di orsi ed eremiti, di transumanza e campanacci. Il carnevale in Basilicata vive ancora delle sue
identità forti, legate al mondo rurale e ai
ritmi dettati dalla natura. È così che sono giunti ai
nostri giorni, tramandati lungo secoli, riti e maschere dal fascino straordinario, ancora presenti
per le strade dei centri storici dove a memoria è
più che viva. E così, che accade a Tricarico, ad
esempio. Dove la transumanza, appunto, è rievocata dalla lunga sfilata delle maschere del toro,
nera con bande rosse, e della mucca, dal velo bianco e drappi coloratissimi, accompagnate domenica 26 febbraio dal vaccaro, per un rituale antico.
Campanelli, salti, duelli, ritmi di tamburelli e cupa cupa, danze e tentativi di accoppiamento, si ripetono lungo il corteo fino all’arrivo in piazza Garibaldi, dove va in scena la pantomima della consegna della mandria al conte e alla contessa. «In
epoca feudale – spiega Rocco Stasi, vicepresidente
della Pro Loco di Tricarico - si aggiungono queste
due figure del conte e della contessa, che rappresentano la proprietà, il potere feudale. Alla fine
del percorso, infatti, la mandria è consegnata a loro, ma non prima della pantomima tra il conte,
che contesta la scarsa quantità di formaggi e vitelli, e la presenza di vacche magre, e il capo vaccaro,
che trova giustificazioni. Il duello è tra chi, forse,
ha cercato di lucrare e chi, il conte, è troppo esigente». Torna, sabato 25 e domenica 26 febbraio,
anche il Carnevale di Satriano dove è il bosco a far
sentire la sua presenza, attraverso le maschere del
«Rumita» (da «eremita»), l’uomo albero, completamente ricoperto di edera, che bussa per le case
per ricevere doni in cambio del buon auspicio per
il raccolto di primavera, e dell’orso, assieme a
quello della Quaresima. Questi ultimi sfilano il sabato, il Rumita il giorno seguente. Ben 180 figuranti, tra i quali carnevalone, carnevalicchio, qua-
In Basilicata
mucche, tori
e campanacci
Significati magici
I simboli apotropaici,
le antiche maschere
cornute, le creature
diaboliche
resma e la donna in attesa, popoleranno l’antichissimo corteo di Montescaglioso, tra simboli
apotropaici e riti che risalgono alle feste dedicate
al dio dionisio. I campanacci, invece, danno i via
alla festa di San Mauro Forte, mentre, ad Aliano, il
paese dove visse e raccontò il suo confino Carlo
Levi, vanno in scena le antiche maschere cornute.
Con volti che ricordano capre e altri animali coi
quali l’uomo conviveva, aggiunti a penne coloratissime, nasi pronunciati, cuoi e campanelli, saltelleranno come satiri lungo le strade del paese, il
25 e il 28 febbraio. «Raffigurano creature diaboliche e grottesche dai significati magici che si perdono nell’origine stessa del Carnevale», spiegano
gli attuali organizzatori. Levi le raccontava così
«Venivano a grandi salti, e urlavano come animali
inferociti, esaltandosi delle loro stesse grida...».
Gino Martina
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Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
BA
Tricarico
A giugno il raduno delle maschere antropologiche
Dalla Sardegna alla Spagna, al resto d’Europa. Con
musiche, cibo, cultura e, soprattutto, maschere e
vestiti della tradizione del carnevale. Anche
quest’anno, dal 2 al 4 giugno, Tricarico, una delle
città principali del carnevale tradizionale lucano,
ospiterà il Raduno internazionale delle maschere
antropologiche. La manifestazione è giunta alla
sua sesta edizione. Una tre giorni di dibattiti,
sfilate, concerti, proiezione di documentari, mostre
e dimostrazioni sulla cultura popolare e arcaica,
che unisce la tradizione e la ricerca storica e
antropologica di una parte importante e
affascinante della storia dei nostri popoli. (g. m.)
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«Danze con la morte e la vita»
raccontate da Levi e Scotellaro
L’antropologo Melillo: «In Lucania tradizioni senza tempo
legate al mondo rurale e al rapporto tra uomo e natura»
«P
er comprendere quale
sia il filo che lega i riti
antichi ancora vivi dei
carnevali in alcune località lucane, bisogna seguire un ragionamento atemporale, fatto di situazioni
biologiche, a differenza del nostro approccio più meccanico del tempo». Giuseppe Melillo, antropologo ed esperto di
sviluppo locale, racconta ciò che unisce i
riti di propiziazione, apotropaici e secolari del carnevale delle maschere cornute di Aliano, o quello di tori e mucche di
Tricarico, e ancora dei campanacci di
San Mauro forte, o dell’orso e l’eremita
di Satriano. Testimonianze ancora visibili e viventi di tradizioni tramandate di
generazione in generazione, conservate
con orgoglio e dignità dalle popolazioni
di queste cittadine della Basilicata. «Ciò
che dobbiamo tenere presente - spiega è un tempo circolare, piuttosto che lineare, scandito dalla natura. C’era la transumanza, c’erano i boschi, il contatto
continuo tra l’uomo e la natura. Per questo, simboli e maschere sono legati alla
pastorizia, a un mondo soprattutto rurale, che interagiva con quello agricolo,
fatto principalmente di braccianti». È
così che compaiono, a partire dalla notte
dedicata a Sant’Antonio (Antuono in Basilicata) Abate, figure antropologiche e
riti apotropaici, danze con la morte e
con la vita, raccontate, tra i tanti, da Carlo Levi, che visse ad Aliano il suo confino, e Rocco Scotellaro, il poeta di Tricarico. La festa inizia coi fuochi e i giri attorno alla chiesa del santo eremita, e termina col fuoco che brucia il carnevale.
La salsiccia pezzente, la benedizione degli animali, il grasso del maiale, che salvava dall’herpes e il fuoco di Sant’Antuono, sono elementi tutt’ora presenti.
«Levi – racconta Melillo - avendo
chiavi di lettura da persona esterna, ha
declinato con i suoi strumenti di interpretazione, storiografici, il rito delle maschere cornute di Aliano, che raffigurano il rapporto stretto, simbiotico, che
l’uomo aveva con l’animale. Il pastore viveva più con il suo gregge che con la moglie. Queste figure si muovono per il paese saltellando in modo frenetico e indiavolato, dialogando in qualche modo
con la morte, elemento quotidiano nel
medioevo. Le maschere portano anche
delle campane appese a un nastro di
cuoio, riproducendo i rumori che hanno
la funzione di scacciare l’inverno, il male
e richiamare il baccano. È la contrapposizione tra entità opposte, ordinario e
straordinario. È il mondo sottosopra».
Melillo parla di un’identità riscoperta,
che non è il considerarsi meglio di altri,
ma con una storia alle spalle di pari dignità. Così oggi possiamo ancora ammi-
rare tre tipi di maschere, quelle antropomorfe, quelle zoomorfe, dell’asino, della
capra, del toro e della mucca, e quelle di
personificazione, carnevali e quaresime.
Con loro, i rituali. «È l’esempio – prosegue Melillo - del Romito di Satriano, che
viveva nei boschi e si vestiva con quello
che aveva, a cominciare dalle foglie. Le
maschere cambiano come i paesaggi, vicino alle montagne si trovavano i boschi, in pianura e collina la percezione
era differente. Così, il Romito è la personificazione dell’eremita europeo, che
sembra un albero che cammina. Assieme a lui si trovano la quaremma, la quaresima, e l’orso. A San Mauro forte è fondamentale la presenza di campanacci.
Hanno allusioni sessuali, il maschio col
batacchio sporgente, la femmina più
aperta, e invocano la fertilità. Danza e rito di accoppiamento li si ritrova anche
tra tori e mucche di Tricarico, dove la
transumanza ha avuto un’influenza preponderante. Poco conosciuto, ma significativo, è anche quello di Calciano, dove
si dava vita a un corteo con carnevale che
andava a dorso d’asino. L’animale era vestito da pelli di pecora e i giovani indossavano un collare di peperoni cruschi e
il campanaccio, con la gente attorno che
celebrava il rito propiziatorio».
G. M.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Giuseppe
Melillo,
antropologo
ed esperto
di sviluppo
locale
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
BA
La storia
Locorotondo
Le favole
raccontate
dai bambini
Un «Carnevale da Favola» a Locorotondo. In due
giornata, domenica 26 e martedì 28 febbraio, i
bambini saranno protagonisti. Le mascherine
sfileranno nelle strade del comune per riproporre
le storie di Alice nel paese delle meraviglie, Peter
Pan, Pippi Calzelunghe, Circondati di gioia,
Pinocchio, il Re Leone. La manifestazione, ideata
da Italo Cardone, è organizzata dal Comune di
Locorotondo e dall’istituto comprensivo
Marconi-Oliva ed è realizzata grazie all’impegno
delle associazioni locali e dei maestri cartapestai.
Le sfilate sono state preparate grazie a quattro
laboratori gratuiti avviati il 6 febbraio con il
coinvolgimento delle istituzioni scolastiche. Alle
sfilate di domenica e martedì prossimo
parteciperanno anche le scuole di danza Arte
Danza, Fuori di Danza e il gruppo folcloristico
Città di Locorotondo.
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Gino, l’emigrante dei carri allegorici
«Ormai esporto, ho i coriandoli nel sangue»
Chi è
Gino Cantatore
ha 41 anni e da
ventisette è
maestro
cartapestaio. Si
divide tra il
lavoro di
imbianchino e
la passione per
i carri allegorici.
Quest’anno ha
lavorato per il
Carnevale di
Villa d’Agri
(Potenza)
Molfetta senza
le sfilate
dal 2012
Cantatore lavora
anche per i lucani
I
l lavoro di pittore edile e la
sua vita sono radicati a
Molfetta. Ma la passione di
Gino Cantatore, 41 anni, di
cui 27 da maestro cartapestaio, lo spinge spesso fuori città,
soprattutto quando il Carnevale molfettese, nato nel ‘54, trascura la tradizione dei carri,
che in città non sfilano ormai
dal 2012, ennesima «ricaduta», dopo il letargo tra il 2004 e
il 2009. «Intanto collaboro con
altre città – riferisce - o vendo
pezzi, che poi assemblano per
conto proprio. E quest’anno,
quasi per gioco, è nata anche
la mia prima collaborazione
Gino Cantatore nel suo laboratorio a Molfetta
fuori regione, in Basilicata».
Sì perché Cantatore non ce
la fa a rinunciare a quella che
lui chiama una «malattia cronica»: «Sono il cartapestaio
più giovane di Molfetta. Dopo
di me non ce ne sono più. In
quest’arte i ragazzi oggi credono sempre meno, anche se
partecipano a valanga ai miei
laboratori e i talenti non mancano. Richiede sacrifici. Devi
togliere tempo a famiglia e lavoro. E finisci spesso per rimetterci. Eppure non possiamo farne a meno. È una droga».
Ma dà anche tante soddisfazioni, «non tanto per le coppe
e le targhe, quelle le ho messe
in tre cartoni, perché era difficile spolverarle – scherza quanto per il calore delle persone: finora sono stato ben accolto in tutte le città pugliesi».
In totale ad oggi ha realizzato
15 carri, di cui otto per Molfetta: «Qui il pubblico ha i coriandoli nel sangue, le sfilate sono
sempre state un successo. Si
ricordano ancora il mio carro
del 2012, intitolato “La vera
fortuna è il lavoro”. Raffigurava otto mestieri e invitava a so-
gnare di vincere un bel lavoro
anziché al Gratta&vinci».
«Una volta – aggiunge - i
cartapestai in città erano 15,
tra cui Domenico Spadavecchia, che fino a 90 anni è stato
maestro mio e di mio padre.
Eravamo tutti nello stesso laboratorio. Ho imparato qualcosa da ciascuno. Nel 2005,
però, il capannone comunale
ci è stato tolto per realizzarvi la
“Cittadella degli artisti”, costata milioni di euro ma ora abbandonata. Noi, invece, nel
2012 abbiamo dovuto mettere i
carri sotto un cavalcavia per
proteggerli dalla pioggia. Ora
siamo rimasti in tre. Molti si
sono arresi».
In attesa del risveglio del
Carnevale di Molfetta, Cantatore si è fatto trascinare dall’entusiasmo dell’associazione
lucana Spes, decisa a rispolve-
Maestro novantenne
Eravamo in 15, con il
maestro Spadavecchia
e mio padre. Ora siamo
rimasti in tre
rare la tradizione carnascialesca, ora in fermento per la terza edizione del Carnevale di
Villa d’Agri, nel Comune potentino di Marsicovetere, di
appena 5.000 anime.
«Mi contattarono per chiedermi un pupazzo – ricorda
Cantatore – Poi sono venuti
nella mia bottega al corso di
cartapesta e abbiamo realizzato più personaggi. Li hanno
portati lì e montati nei capannoni. Ne sono nati ben tre carri, su 7 previsti nella sfilata».
«Quest’anno faranno un salto di qualità – sottolinea - I carri saranno più grandi e si muoveranno anche elettricamente.
Mi vogliono lì. Cercherò di andare alla sfilata del 28». Alla
prima, domenica prossima,
non può. È impegnato a Molfetta con il suo «Carnevale di
quartiere»: «La mia città non
la lascio – dice – per non perdere la tradizione l’anno scorso davanti al laboratorio ho
messo i pupazzi per terra, anziché sui carri, e abbiamo festeggiato. Quest’anno si replica in una piazza più larga».
Giuseppe Daponte
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La «Cittadella» chiusa
Gli artisti sfrattati
finiscono
sotto i ponti
A
Molfetta i carri di Carnevale
sono letteralmente finiti sotto
un ponte. Nel senso, non solo
metaforico, che i cartapestai
della città si sono dovuti arrangiare anche sotto un cavalcavia, perché rimasti
senza un capannone abbastanza ampio e con porte e soffitti sufficientemente alti da permettere loro di montare i carri in un luogo protetto dalle intemperie. Lo denuncia Gino Cantatore,
uno dei reduci cittadini dell’antica arte
della cartapesta, che oggi avrebbe ancora molto da dire, al pari di altre forme artistiche. Una struttura, in realtà,
c’era. Il capannone comunale ex Amnu
(la società di raccolta dei rifiuti urbani)
non era il massimo dell’accoglienza ma
ospitava comunque i laboratori di tutti
i cartapestai molfettesi. E, come in una
bottega rinascimentale, consentiva alle
idee di circolare e alla creatività di diventare contagiosa. «Qui - riferisce
Cantatore - ho avuto la fortuna di apprezzare le specialità di ciascuno e di
lavorare e socializzare con tutti. Ma nel
2005 il capannone ci è stato tolto».
Al suo posto doveva nascere la «Cittadella degli artisti». Progettata nel
2006 per il bando regionale «Laboratori urbani» di «Bollenti Spiriti», è costata circa 4 milioni di euro.
Nella struttura si sono abbassate le
porte, prima alte oltre 6 metri, e si sono
creati due livelli. A piano terra si è realizzato il foyer e un teatro da 220 posti,
al secondo piano una libreria con sala
lettura e bar, spazi espositivi e una terrazza. Inaugurata a luglio 2015, però, è
rimasta aperta solo pochi mesi. L’anno
dopo si è chiusa, per una controversia
tra Comune e associazione temporanea di impresa che avrebbe dovuto gestirla per cinque anni.
La Cittadella
degli degli
artisti, aperta
nel 2015 e
chiusa poco
dopo ha
costretto i
cartapestai ad
assemblea i
carri sotto un
ponte
Intanto, i carri, quando in città le sfilate ancora si facevano, sono stati assemblati sotto un ponte, per proteggerli almeno dalla pioggia. «Ma con il
freddo – assicura Cantatore - non è facile lavorare. Mi sono anche preso una
bronchite. Per noi un capannone sarebbe molto utile. Villa d’Agri (Potenza), con cui ora collaboro, pur avendo
pochi abitanti, ce l’ha».
G. D.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Mezzogiorno Lunedì 20 Febbraio 2017
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BA
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Lunedì 20 Febbraio 2017 Corriere del Mezzogiorno
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Le città in festa
Gioia del Colle
Caccia
alla maschera
nel castello
Si chiama «Maskaccia» ed è una caccia al tesoro in
programma all’interno del castello di Gioia del
Colle. Si terrà venerdì 24 febbraio,è riservata ai
bambini tra i sei e gli undici anni. «Maskaccia»
rientra nella manifestazione «Carnevale a corte»,
all’interno della quale si è svolto anche un
laboratorio di scavo archeologico simulato, la
creazione di maschere magno greche, e un
laboratorio per la creazione di maschere a
soggetto medievale.
L’inizio della caccia al tesoro è prevista per le 16. I
bambini dovranno riuscire a trovare una maschera
federiciana all’interno del castello. Così come è
avvenuto per le iniziative precedenti (i laboratori),
anche questa volta sono previste animazioni e
balli di carnevale. Per le informazioni e le
prenotazioni si può chiamare il Bookshop Nova
Puglia Castello di Gioia del Colle al numero
080.3491780 .
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Mesagne celebra il Carnevale numero 262
Party a premi per le icone di arte e spettacolo
La storia
 Reintrodotto
nel 2013, dopo
un decennio di
stop, il
Carnevale
mesagnese
celebra nel
2017 i 262
anni di vita
 Documenti
attestano che
la città era sede
anche dei
Lupercali nel
mese di
febbraio già nel
XVI secolo. Riti
celebrati anche
a maggio del
1663
R
eintrodotto nel 2013,
dopo un decennio di
stop causato da problemi di carattere economico, il Carnevale mesagnese
celebra nel 2017 i 262 anni di
vita. Lo certificano, la documentazione storica custodita
negli archivi della Chiesa Madre e altri documenti che attestano che la città era sede anche dei Lupercali nel mese di
febbraio già nel XVI secolo. Il
primo documento che dimostri la presenza a Mesagne di
riti legati al carnevale è rappresentato dal resoconto della visita pastorale dell’arcivescovo
di Brindisi, monsignor Francesco De Estrada, iniziata il 3
maggio del 1663.
Una tradizione così lunga
non poteva non avere le sue
maschere tipiche che sono
Grappolino e Pizzica Pizzica.
Sono le più riprodotte in occasione della sfilata di carri allegorici e mascherine, che quest’anno si terranno sabato 26 e
martedì 28 febbraio, dopo la
prima svoltasi ieri, lunedì 19. A
guidare le sfilate ci saranno i
quattro carri di grandi dimen-
Il 26 e 28 febbraio
le due sfilate
di carri allegorici
sioni ispirati alla storia di
Asterix e Obelix, Minions,
Masha e Orso e ai Messicani. A
seguire, cinque gruppi di maschere in tema e chiunque vorrà arricchire e colorare il corteo. L’organizzazione dell’evento, per il terzo anno consecutivo, è a cura
dell’associazione di promozione territoriale e culturale «La
scatola magica» con il patrocinio del Comune. La sfilata di
martedì 28 si concluderà a
Porta Grande dove la festa continuerà con musiche e balli.
L’animazione sarà curata da
tutti i dj e vocalist che hanno
aderito alla sfilata, uno per ciascun carro.
Ma quest’anno c’è una novità. Si chiama Carnival Party ed
è organizzato dal circolo Arci
«Cabiria» in collaborazione
con l’accademia di cinema e
s c r i t t u r a c re a t i va « C i n e
Script». La prima edizione si
terrà sabato 25 febbraio, nella
sede di Golosoasi, in piazza
Orsini del Balzo, nel cuore del
centro storico di Mesagne.
Non sarà il solito veglione, ma
una festa in costume a tema
dove il travestimento verrà
concepito come espressione
d’arte. «Per questa prima edizione — spiegano gli organizzatori —, per la quale ci si è avvalsi della collaborazione dell’artista Adriano Radeglia, il tema scelto è “Miti e icone tra
arte e spettacolo”». Ai parteci-
panti viene chiesto di scegliere
un personaggio al quale ispirarsi, spaziando dal cinema di
tutti i tempi, reale o di animazione, alla musica, alla televisione, all’arte e allo spettacolo.
Una volta scelto il personaggio, i partecipanti dovranno,
con la dovuta trasformazione
grazie alla cura del trucco e dei
costumi, assomigliarvi il più
possibile. Una giuria tecnica e
una popolare stileranno una
classifica delle maschere più
fedeli al personaggio rappresentato e ai vincitori verranno
assegnati premi per un ammontare totale di 700 euro offerti da sponsor del territorio.
Durante il party si potrà bere,
mangiare, ballare e divertirsi
con la selezione musicale curata da Raffaele Depalo. L’ingresso sarà a numero chiuso
per un massimo di 70 partecipanti. A quanti fossero interessati si chiede di prenotare
la propria presenza indicando
il personaggio che si intende
rappresentare con il proprio
travestimento.
Francesca Mandese
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Castellaneta
Abracadabra, gli studenti
faranno un’altra magia
“A
bracadabra …
L’Incantesimo
della Magia” è il
tema del Carnevale di Castellaneta, con tre sfilate, l’una già svolta il 19 febbraio, le altre due in programma il 26 e il 28.
La manifestazione celebra
quest’anno la quindicesima
edizione e coinvolge un numero sempre crescente di
giovani. Vi prenderanno parte circa settecento maschere.
Guidano l’organizzazione del
Carnevale di Castellaneta
l’istituto comprensivo statale
«F. Surico» e l’associazione
«Carnevale degli Alunni».
Yanina De Luca, presidente del progetto in rosa Lady
Fitness della squadra di calcio Acd Castellaneta, è promotrice del gruppo mascherato di ben centoventi figuranti, una «squadra» che già
nella passata edizione segnò
un record di presenze.
Il settore giovanile e il settore Lady Fitness dell’Acd Castellaneta vestiranno le maschere di streghe, con scope
e gatti al seguito. Sono quattro i carri allegorici realizzati
su bozzetti preparati da Miranda Tagliente: «Cosa bolle
in pentola?» rappresenta
uno strano calderone. Sul
carro «La magia a metà» ci
sono lo stregone e il mago
buono, mentre fate e folletti
sono imbarcati sul carro «La
magia della natura». Due numeri di d’illusionismo infine
sul carro «Magia di un’illusione».
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Un’immagine
della scorsa
edizione del
Carnevale di
Castellaneta
organizzato
dall’associazio
ne «Carnevale
degli Alunni»
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