Transcript Don Angelo
ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO - GUBBIO C/O SANTA MARIA AL CORSO La lettera settimanale di Don A.M.Fanucci “19 Febbraio 2017” www.ilgibbo.it CHIESA E POVERI, UN AMORE LUNGO E PROBLEMATICO (M. Fanucci, pro manuscripto. Lezioni alla LUMSA-GUBBIO, anno 1999 ss) Cap. 9 Nell’ultima parte DEL SECOLO LUNGO UNA CHIESA CHE FA DUE PASSI AVANTI E UNO INDIETRO (1800 – 1878) Parte settima 9.9 L’intransigentismo nel 1800: l’ULTRAMONTANISMO Non va dimenticato che da secoli tra i cattolici francesi era ben presente e viva una forma particolarmente virulenta di intransigentismo: l’ULTRAMONTANISMO: ebbene, nel 1800 il consenso nei suoi confronti crebbe di molto. 9.9.1 Una lunga storia “Ultramontanismo”1è un termine di ambito esclusivamente ecclesiale. Etimologicamente viene da ultra+montes: "al di là dei monti"; i monti ovviamente sono le Alpi. Nel primo Medioevo il termine ebbe un'accezione puramente geografica: ultramontano era, per gl'Italiani, un papa tedesco; ultramontani erano, per i Tedeschi, gl'Italiani. Fu durante le lotte fra papato e impero, che in Germania, i seguaci tedeschi del papa venero chiamati “ultramontani”. Ma la fortuna del termine, in questo senso, è posteriore alla Riforma, e si riconnette al cosiddetto giurisdizionalismo. Cuius regio eius est religio: "Di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione": i sudditi seguano la religione del proprio governante. Un'espressione che ebbe grande rilievo con la riforma protestante, quando tra cattolici e protestanti si addivenne ad un accordo che prevedeva, appunto, l'obbligo del suddito di conformarsi alla confessione religiosa del suo principe, protestante o cattolica che fosse. Questa frase è la punta dell’iceberg, cioè del prepotente affermarsi dello spirito nazionale nell’Europa del XVI e XVII secolo: all’interno di questo movimento culturale venne facendosi strada anche fra i cattolici un sentimento di forte particolarismo ecclesiastico. 1 Cfr. Enciclopedia Treccanni, alla voce. Fuori d'Italia, anche da parte di cattolici praticanti, si tende sempre più a considerare il papato come una potenza straniera, e gli Italiani sono associati (come agenti, alleati o parti in causa) al Papa; sotto accusa l'atteggiamento di Roma verso le chiese nazionali; la sudditanza dell'autorità dei vescovi non italiani rispetto al papa; il misconoscimento papale dei diritti dello stato in materia ecclesiastica. E così ultramontani vennero chiamati i cattolici secondo i quali le sorti dell'Italia e del papato provvidenzialmente erano connesse in modo inseparabile. Sul fronte opposto la prevaricazione del potere papale veniva denunciata un po’ dovunque dagli Erastionisti (i seguaci di Tommaso Erasto, massimo teorico della superiorità dello Stato in materia religiosa sulle Chiesa), in Francia dai Gallicani, in Austria dai Giuseppinisti (i fans della politica ecclesiastica attuata alla fine del 1700 dall’imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena e volta a ridimensionare l'autorità della Chiesa cattolica nell'Impero asburgico), in Germania dai Febroniani (i fans di Johann von Hontheim, conosciuto col nome di Febronio, vescovo ausiliare di Treviri, teorico di un’organizzazione ecclesiastica che nega la costituzione monarchica della Chiesa e demanda tutto il potere al Concilio dei Vescovi). 9.9.2 Dopo la Rivoluzione Francese Toccò alla Rivoluzione Francese rimettere in auge, per reazione, il termine ultramontano (come, d’altra parte tutte le tendenze conservatrici); e stavolta al termine venne data una valenza particolarmente radicale: il Papa divenne la fonte unica del potere legittimo. A torto o a ragione vennero accusati di ultramontanismo: in Francia La Mennais, De Bonald, De Maistre, Lacordaire; in Germania, durante il Kulturkampf, tutti i sostenitori della libertà e indipendenza della Chiesa di fronte allo Stato; il Concilio Ecumenico Vaticano I; il partito tedesco del Zentrum; i seguaci del Sillabo di Pio IX; più tardi, gli stessi avversari delle correnti moderniste. In realtà secondo il più grande studioso del fenomeno, il tedesco Fr. X. Kraus, merita la qualifica di ultramontano: chi pone il concetto di Chiesa sopra quello di religione, chi confonde il Papa con la Chiesa, chi crede che il regno di Dio sia una regno di questa terra, chi nel potere delle chiavi concesso a Pietro include anche la giurisdizione temporale sopra i principi e i popoli, chi ritiene le convinzioni religiose possano e debbano essere imposte coercitivamente. È qui che si inserisce la storia del papato di Pio IX: il Collegio dei cardinali che lo elesse Papa era diviso fra una maggioranza di intransigenti e zelanti e una minoranza di politici, timidamente propensi ad una conciliazione con il mondo moderno. 9.10 L’intransigentismo più … intransigente Fin dai primi dell’800, nel tetro e trionfalistico clima culturale del Congresso di Vienna, che nel 1815 aveva tentato di riportare indietro di 27 anni l’orologio della storia, l’intransigentismo ha buongioco a criticare a fondo i maitres à penser dell’illuminismo e del liberalismo. A buon diritto ne denuncia l’adozione della ragione umana come unico criterio di verità, l'indifferentismo sistematico, il misconoscimento della rivelazione, l’erezione dello Stato a fonte di tutti i diritti, la riduzione della religione a funzione sociale. Erano posizioni ideali che minavano la fede delle masse e ledevano gravemente I diritti e la libertà della Chiesa. Il problema è che la Chiesa rimane agganciata esclusivamente a questi temi per tutto il secolo XIX. 9.10.1 Tradizionali nel senso più greve del termine Agli inizi dell’800 il clero italiano era tradizionalista nel senso più greve del termine: per loro la tradizione era come uno spiccare i salami da una stanza per riappiccarli subito dopo, così come sono, nella stanza vicina, dove forse potrebbero maturare meglio. Di più: il clero italiano era convinto che la restaurazione operata a Vienna fosse troppo cauta, un tiepido compromesso fra vecchio e nuovo; il demonio della totale scristianizzazione era vivo e vegeto, e aveva le sue longae manus nella laicizzazione dello Stato e nella secolarizzazione della società: c’era bisogno di un ritorno all'antico che fosse più puro; di fare della religione l’unica come base dell'ordine sociale e l'unico, solido fondamento dello Stato; di discriminare i cittadini in base alla fede religiosa; di combattere l'emancipazione degli ebrei; di opporsi all'istruzione di Stato, alle ferrovie, all’illuminazione a gas, alle scuole magistrali. Insomma NON SOLO OGNI RIVOLUZIONE, MA OGNI INNOVAZIONE DEVE ESSERE DICHIARATA ILLECITA Gubbio, 14 /2/ 2017 don Angelo M. Fanucci, Canonico Penitenziere e Rettore di Santa Maria al Corso T U T TI C O N T R O, M E N O D I O-L’UTOPIA DI BETANIA - 4 diSuor EMMANUELLE MARIE, O.P. Torino, EdizioniGruppo Abele 1984 UTOPIA IN CARCERE 1 QUEL GIORNO A CADILLAC Le carceri femminili nell'800 1864. Nel sud-ovest della Francia, nei pressi di Bordeaux, a Cadillac, c'è un grande carcere femminile. É l'antico castello trasformato nel 1822 in un istituto di pena per coloro che sono state condannate all'ergastolo. L'edificio che per anni era stato il vanto del paese, ne è adesso la vergogna. I cittadini di Cadillac evitano persino di nominarlo, cercano di dimenticarlo, di passare lontano dall'edificio che nella fantasia della gente ha assunto tinte fosche. Sono quelli gli anni in cui nascono le prime industrie. La gente attratta dalla fabbrica che dà lavoro e guadagno abbandona le campagne per venire in città ma il lavoro, quando c'è, non dà nessuna garanzia. I sindacati sorti soltanto vent'anni prima si trovano ancora in uno stato embrionale. Senza garanzie, né prevenzioni sociali, né ferie, né tutela di alcun genere gli operai finiscono il più delle volte in terribili situazioni di solitudine, di miseria, di sradicamento. Si cerca allora di evadere dalla fatica quotidiana attraverso l'alcol e il sesso. C'è una percentuale altissima di alcolizzati, anche tra le donne: bere è spesso l'unica possibilità di sfuggire all'inferno delle 10, 14, 16 ore di lavoro in fabbrica. La prostituzione si diffonde e si organizza, con il suo corteo di violenze e di furti, e molte donne venute in città per migliorare la loro condizione ne sono catturate. La delinquenza aumenta in modo impressionante. Anche nelle campagne i delitti passionali non si contano più, in un ambiente di estrema povertà. Molte mogli, abbandonate dal marito immigrato in città, spesso si vendicano uccidendo chi le ha tradite o chi le sfrutta e le umilia. Gli aborti vengono fatti a catena. È l’epoca delle faiseuses d’anges, delle fattrici di angeli, delle procuratrici di aborto che operano in condizioni clandestine, spaventose e spesso letali. Le carceri ingurgitano donne che, spinte dall'illusione di trovare un lavoro meno faticoso di quello dei campi, hanno lasciato il loro paese e si sono bruciate nelle fabbriche, dove chi lavora si riduce in una condizione che non ha più niente di umano. Abbrutite dalla miseria e dalla fatica, sono schernite e disprezzate, umiliate, considerate solo un pezzo dell'ingranaggio produttivo. Molte detenute sono state condannate come «infanticide»: così sono chiamate indifferentemente le donne che hanno abortito e quelle che hanno ucciso il bimbo appena nato. Hanno sedici, venti, trent'anni e sono state condannate a cinque, dieci, vent'anni di carcere, qualche volta all'ergastolo. In questa situazione di crescente violenza, il castello di Cadillac è stato trasformato in carcere, per far fronte all'aumento improvviso della popolazione carceraria femminile. È una «casa di pena» dalla triste fama. Negli ultimi tempi ci sono state più volte giornate «calde» a causa delle rivolte. Il lavoro forzato, il silenzio continuo, la divisa avvilente, l'incubo delle «guappe», del ricatto, dei clan, delle soffiate, le cantine buie in cui le donne, anche per la più piccola trasgressione al regolamento, debbono scontare giorni di reclusione tremenda, senza altro letto che la paglia umida e assalite dai topi, rendono più tragica una convivenza estremamente difficile. Molte donne non riescono a sopportare il rimorso che le rode, l'angoscia della separazione dalle loro famiglie, l'isolamento totale in cui vivono. La piaga maggiore a Cadillac, come del resto in tutti i carceri femminili dell'epoca, è il suicidio, a catena. Per rendere meno cupa l'atmosfera disperata di questa «casa di pena», il direttore ha chiamato alcune Suore, le Figlie della Sapienza, perché affianchino il personale di vigilanza. Sono queste Suore che d'accordo con il cappellano chiedono, nel 1864, un sacerdote esterno che venga a predicare gli esercizi spirituali. È la prima volta che accade da quando il carcere esiste. E Dio bussò alla porta del carcere È cosi che il 14 settembre 1864, nel carcere, alle quattro e mezzo del mattino - le prediche devono essere rubate al tempo dedicato al sonno - entra un giovane domenicano di 33 anni, Jean-Joseph Lataste, prete da poco più di un anno. L'hanno chiamato, ha accettato, ma con molti dubbi ed esitazioni. Varca il pesante cancello con una stretta al cuore, pensa che la sua venuta sarà forse inutile. Come confesserà lui stesso in seguito, è influenzato dai pregiudizi popolari della gente che prova solo schifo per queste donne. Tuttavia, si è preparato con grande impegno e serietà. Porta sotto il braccio i fogli dove ha scritto con cura tutto il testo di ciò che dirà. Sono parole ispirate all'amore di Dio e che vanno contro tutto ciò che il mondo di allora pensa. Poi continua: «Siamo in famiglia, e possiamo dirci la verità. Ne avete fatte delle grosse. Dio vi poteva lasciare in balìa di voi stesse e invece vi ha fermate. Vi ha portate qui, perché lo ritrovaste. La vostra reclusione mi ricorda quello che dice il profeta.Il giovane domenicano inizia a parlare: «Carissime sorelle: sciste di qui, e se si sapesse da dove venite, sareste segnate a sacerdote, vengo a voi spontaneamente, senza aspettare di essere chiamato da voi. Vi tendo le mani, vi dico: "Carissime sorelle"! Vi chiederete perché mi siete così care, voi che il mondo dimentica e disprezza? Vi rispondo: sono il ministro di un Dio che vi ama malgrado i vostri errori, di un amore che non ha uguale sulla terra, di un Dio che vi perseguita con il suo amore, e che, anche nel momento in cui vi parlo, è già nel vostro cuore». Osea nella Bibbia (2,16): "La condurrò nella solitudine e parlerò al suo cuore". Ed è ciò che ripete anche a voi, come lo dice alle religiose che hanno risposto alla sua chiamata». Per Dio conta solo l'oggi Le donne lo ascoltano attonite, mai nessuno ha parlato loro in questo modo. Il predicatore fa un parallelo fra la vita delle ergastolane e quella delle religiose: «Anche le Suore – dice - fanno una vita dura come la vostra: hanno poco cibo, dormono poco, fanno un lavoro molto faticoso, vivono nel silenzio, segregate dal mondo. Hanno rinunciato per amore di Dio a tutte quelle cose di cui voi avete abusato. Ma se poteste ascoltare le loro ricreazioni, le sentireste ridere di cuore... Se poteste frequentarle, scoprireste in loro una pace, una gioia, una felicità, che farebbero invidia a tutte coloro che, normalmente, sono considerate donne privilegiate. Cosa rende tanto felice una vita così austera? Una sola cosa: l'amore di Dio. Amare Dio ed essere amate da lui. Ora questa gioia può diventare vostra. Per Dio non conta ciò che siamo stati, ma ciò che oggi siamo. Dio ricorda solo la fatica che avete fatto, ha già dimenticato il male che avete commesso, se siete ritornate a Lui con cuore sincero e fiducioso, come il figliol prodigo, come la Maddalena. Il Padre del cielo vi vuole consolare, rifare nuove. Se lo volete, potete subito considerarvi alla pari con le vostre sorelle Suore, anzi potete gareggiare con loro in amore, magari in santità. «Potete, come queste vostre sorelle, scegliere di sopportare liberamente, per amore, la vostra condizione. Voi che siete emarginate e disprezzate dal mondo, potete diventare per Dio preziose quanto le religiose, anzi forse di più, se più Lo amerete. «Per Dio non c'è nessuna differenza tra voi e loro, se siete pronte a cambiare la vostra ribellione in amore, la vostra superbia in umile tenerezza. Se saprete abbandonarvi fiduciosamente al Padre». Su 400 carcerate, 380 seguono tutte le prediche. Sono state lasciate libere di scegliere, eppure ogni mattina, alle quattro e mezzo, e ogni sera fino alle undici, sono là. Alcune si fermano sulla porta, non hanno il coraggio di entrare nella cappella, ma non perdono una parola. All'inizio, il domenicano aveva davanti a sé un mare di capi chini, tutti uguali, avvolti nel fazzoletto della divisa, che stringeva la fronte e dava a quei volti, ricorderà lui, un aspetto brutto, quasi «ripugnante». Ma, a poco a poco, le teste si rialzano. Nascono persino dei sorrisi. Alcune piangono. Quando lui, al confessionale, chiede, un po' ingenuamente, se quelle lacrime sono causate dalla durezza della vita del carcere, c'è chi gli risponde, con sua grande sorpresa: «Piango per la gioia, Padre. Non sapevo di essere così amata da Dio. Ora ci credo. La mia vita è cambiata. Sono libera!». 4.a continua CREDERE, OGGI Giovani teologi si cimentano con il secolare pensiero della Chiesa Ancora Bocciolesi ILCONTRIBUTO DI CONGAR AL CONCILIO Ma quale fu, in buona sostanza, il contributo concreto e specifico che Congar dette alla concreta elaborazione dei documenti conciliari? Ce lo dice lui stesso in una pagina del suo Diario. È una pagina importante che citerò per esteso in quanto, oltre a costituire undocumento di grande valore per chiunque voglia studiare l’influsso di Congar nel Concilio e la recezione della sua teologia da parte dei documenti della Grande Assemblea, è fondamentale per comprendere l’effettiva statura teologica del nostro autore. Ecco le sue parole: Al Concilio sono stato coinvolto in molti lavori, ben oltre un influsso generico di presenza e di parola. Vengono da me: Costituzione dogmatic LUMEN GENTIUM (sulla Chiesa), la prima stesura di molti numeri del cap. I (“Il mistero della Chiesa”) e i nn. 9 (“Nuova alleanza e nuovo popolo”), 13 (L’unico popolo di Dio è universale”), 16 (“I non cristiani e la Chiesa”),17 (“Carattere missionario della Chiesa”) del cap. II (“Il popolo di Dio”), più altri passi particolari. Costituzione dogmatic DEI VERBUM (sulla Rivelazione): ho lavorato nel cap. II (“La trasmissione della Divina Rivelazione”) e il n. 21 (“Gli Apostoli e i loro successori, missionari del vangelo) deriva da una mia prima stesura. Decreto Conciliare UNITATIS REDITEGRATIO (sull’ecumenismo): vi ho lavorato; il proemium e la conclusione sono quasi interamente miei. Dichiarazione Conciliare NOSTRA AETATE (sulle religioni non cristiane): vi ho lavorato; l’introduzione e la conclusione sono pressappoco mie. Decreto Conciliare AD GENTES (sull’attività missionaria della Chiesa):il cap. I è mio dalla A alla Z, con qualche spunto di Ratzinger al n. 8. Dichiarazione Conciliare DIGNITATIS HUMANAE (sulla libertà religiosa): collaborazione a tutto, soprattutto nei numeri della parte teologica e nel proemium scritto da me. Decreto Conciliare PRESBYTERORUM ORDINIS (sul ministero e la vita sacerdotale): è per tre quarti una redazione Lècuyer-Onclin-Congar. Ho riscritto il proemium, i nn. 2-3; ho fatto la prima redazione dei nn.4-6; ho fatto la revisione dei nn. 7-9, 12-14 e quella della conclusione di cui ho scritto il secondo capoverso. Dopo avere ripecorso la mole enorme del suo apporto alle decisioni del Concilio EcumenicoVaticano II, Congar conclude, da vero uomo di Dio: Servi inutiles sumus2. *** In buona sostanza, P. Congar partecipò alla stesura della metà dei documenti conciliari con un’influenza crescente all’interno delle varie sessioni. Un’influenza che, a ben vedere, andò ben oltre la redazione e la correzione di testi ma che accompagnò il Concilio in tutte le fasi del suo svolgimento. Nonostante la paraplegia, una malattia che lo condizionò fin da bambino e che col tempo limiterà sempre più le sue possibilità di movimento e le sue attività, Congar si dimostrò infaticabile nel prestare un servizio teologico alla Chiesa. Alcuni autori attestano come l’esperienza conciliare di Congar fosse contrassegnata da un intense impulse oblativo3. Oggi il Nostro viene giustamente considerate tra i principali protagonisti di quell’evento su cui ha lasciato un’ impronta indelebile, tanto che Bruno Forte, teologo e vescovo di Chieti-Vasto, lo definì: “il maggior ecclesiologo del XX secolo, padre e ispiratore del Vaticano II”4. *** Concludiamo questo paragrafo con una pagina del Diario, datata 7 dicembre 1965; in essa Congar, a Concilio concluso, tratteggia un breve bilancio della sua attività all’interno dell’assise. È una pagina molto bella perché fa emergere l’umanità e, nel contempo, la spiritualità del nostro teologo: Esco, lentamente e con difficoltà, reggendomi a stento in piedi.Moltissimi vescovi si congratulano con me e mi ringraziano. Dicono che, in gran parte, è opera mia. 2 3 4 Ivi II 426-427. Cf. A. Melloni, Yves Congar al Vaticano II. Ipotesi e linee di ricerca, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, 50, 1996, 527. Cf.B. Forte, Congar libero e fedele, in Avvenire, 23 giugno 1995, 19. Guardando oggettivamente le cose, ho lavorato molto per preparare il Concilio, per elaborare e diffondere le idee che il Concilio ha consacrato. Anche durante il Concilio ho lavorato molto. Potrei quasi dire che plus omnibus laboravi, ma questo non sarebbe sicuramente vero: pensiamo a Philips, per esempio. All’inizio sono stato troppo timido.Avevo appena superato un lungo periodo di diffidenze e difficoltà. Anche la mia spiritualità ha contribuito ad una certa mia timidezza.Infatti ho sempre vissuto nel clima e nellospirito di Giovanni Battista, “amicus Sponsi”. Ho sempre ritenuto che non occorresse impadronirsi di alcunché, ma contentarsi di ciò che ci è dato. È questo, per ognuno, il LOGHIKÈ LATREIA, il proprio sacrificio spirituale, la via della propria santificazione. Ho dunque preso ciò che mi era dato, mi sono sforzato di fare bene (?) quello che mi veniva chiesto. Ho preso poche iniziative, troppo poche, credo. Dio mi ha colmato.Mi ha dato a profusione, infinitamente al di là di meriti rigorosamente inesistenti5. Caro lettore, la mia Comunità di Capodarco dell’Umbria è in drammatica difficoltà economica, grazie alla mia collaudata insipienza gestionale, ma anche (anche) a comportamenti di natura vessatoria da parte di settori dell’Ente Pubblico. BONIFICO BANCARIOCCB Intestato a COMUNITÀ DI CAPODARCO DELL’UMBRIA, C/O UNICREDIT BANCA, PIAZZA 40 MARTIRI 06024 GUBBIO PG IBAN IT90H0760103000001032097246 VERSAMENTO POSTALE CCP n.1032097246 intestato a Comunità di Capodarco dell’Umbria. Causale: DONAZIONE PER RILANCIARE LA CdCdU 5 Y. M. Congar, Diario del Concilio 1960-1963, II 426.