ANALISI TIPOLOGICA E DELLE PRESTAZIONI SISMICHE DI

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ANALISI TIPOLOGICA E
DELLE PRESTAZIONI SISMICHE
DI STRUTTURE INDUSTRIALI
PREFABBRICATE ESISTENTI
GIOVANNI FABBROCINO
GENNARO MAGLIULO
GAETANO MANFREDI
DAPS; Università di Napoli Federico II
SUMMARY
The survey of the existing reinforced concrete
structures is wide and also includes buildings with
precast elements, being since Fifties largely used
in order to satisfy the needs of the production
world and of the tertiary sector. Their diffusion has
been supported by flexibility of structural net
dimensions and by the economy and efficiency of
the constructional process. From a structural point
of view, the evaluation of their seismic efficiency
represents a very current problem, not just
because of peculiarity and complexity of some
structural solutions, but even because many
existing constructions are located in industrial
districts currently “urbanised” and consequently
their structural and functional rehabilitation is
characterised by a technical and social a
importance. In the current paper the problem is
tackled from a seismic capacity point of view,
which in the recent Italian seismic code is crucial
for the safety evaluation procedures based on non
linear static analysis.
1. INTRODUZIONE
Quando si affronta il problema della
salvaguardia del patrimonio edilizio esistente,
bisogna considerare, tra le varie tipologie, anche
quei
manufatti,
realizzati
con
elementi
prefabbricati in cemento armato ordinario e
precompresso, destinati prevalentemente ad
attività produttive o industriali. Tali edifici, per le
loro caratteristiche intrinseche e formali, sono
esemplari di un’architettura sviluppatasi nel nostro
paese negli anni ‘50 e ’60, durante i quali si sono
avute forti spinte alla ricostruzione post-bellica e si
sono avuti i primi segni di ripresa economica ed
industriale [1]. Una larga percentuale di tali
manufatti sorge in aree del paese dichiarate
sismiche posteriormente alla loro esecuzione, per
cui il dimensionamento strutturale appare
intrinsecamente carente. La valutazione della
vulnerabilità sismica di tale categoria di strutture
appare di un certo interesse non solo per le
ricadute in termini di intervento sull’esistente per
la salvaguardia di un patrimonio edilizio di pregio,
ma anche per i benefici derivanti dalla codifica di
strategie di intervento che possano essere
applicate su scala più larga nel settore del
recupero degli spazi urbani. Infatti, in molte grandi
città, l’espansione del perimetro urbano ha
inglobato le zone che alcuni decenni or sono
erano periferiche e destinate ad attività industriali,
per cui si è innescato in molti casi un processo di
recupero e di trasformazione funzionale del
costruito.
Nel presente lavoro vengono discusse le fasi
di un progetto di ricerca svolto sul tema della
vulnerabilità sismica delle costruzioni ad elementi
prefabbricati esistenti. L’approccio sistematico a
questa problematica è stato fondato su un ampio
inquadramento delle tipologie costruttive e delle
soluzioni strutturali più diffuse per questo tipo di
edifici, è stata inoltre individuata una vasta
gamma di esempi su schemi statici, particolari
costruttivi, unioni tra le diverse membrature,
materiali impiegati, fino ad individuare un ricco e
dettagliato quadro dell’esistente.
Nello stesso tempo è stato ricostruito l’iter
delle
norme
tecniche
sull’argomento,
evidenziando
le
problematiche
specifiche
sperimentate
nel
settore
delle
strutture
prefabbricate e precompresse in particolare ed
inoltre i passaggi cruciali della normativa tecnica
in una logica di classificazione del costruito
esistente. Sono stati poi esaminati nel dettaglio
alcuni progetti ritenuti rappresentativi di tipologie
diffuse di capannoni industriali. La discussione di
tali risultati, peraltro finalizzati a delineare uno
scenario di danno sismico in un’area campione,
può essere utile per definire alcuni punti critici
della modellazione strutturale di tali manufatti,
anche alla luce della recente normativa sismica
emanata in materia di costruzioni esistenti.
2.
L’ANALISI TIPOLOGICA
Sebbene edifici industriali completamente
prefabbricati fossero già stati precedentemente
realizzati, la diffusione della prefabbricazione
nell’edilizia industriale si è avuta intorno agli anni
Sessanta.
Le ragioni che hanno portato all’affermazione
di questa tecnica costruttiva, sono intimamente
legate allo scenario sociale ed economico che si
presentava in quegli anni: l’Europa usciva dal
conflitto mondiale e si avviava verso il processo di
ricostruzione. Vi era un grande fabbisogno di
abitazioni, scuole e fabbriche e mancavano gli
operai ed i materiali da costruzione: era tuttavia
necessario costruire rapidamente ed a minor
costo possibile. Quando questa situazione di
emergenza risultò superata, la prefabbricazione si
era sviluppata, grazie anche alla diffusione della
precompressione, in modo tale che da uno stato
di bisogno era nato un sistema costruttivo nuovo,
caratterizzato dall’industrializzazione e dalla
produzione di serie.
Durante questa evoluzione sono stati studiati
e proposti diversi sistemi costruttivi per
applicazioni su larga scala [2], [3], [4]. Sulla base
di un’analisi dei dati disponibili, tali sistemi
possono essere sommariamente classificati in
relazione alla tipologia della capriata: la trave
piena, la trave reticolare e l’arco. Per luci minori di
30 metri venivano realizzate quasi sempre travi ad
anima piena per la maggior semplicità e rapidità di
progettazione e produzione; per luci maggiori la
trave ad anima piena diventa troppo pesante e si
tendeva, quindi, a realizzare una trave reticolare;
luci maggiori di 40 metri potevano essere coperte
da archi. Le travi ad anima piena possono essere
ad altezza costante o variabile.
Nel primo caso, durante gli anni dello sviluppo
costruttivo le forme della sezione trasversale sono
state perfezionate e dalla sezione rettangolare si è
passati a quella ad I, a Y, ad Ω o a T al fine di
alleggerire la struttura portante. La conformazione
della sezione trasversale delle travi a parete piena
risultava influenzata dalla luce da coprire, dalla
scelta del sistema portante, dal tipo di armatura
(lenta o tesa) e dal sistema di copertura; sezioni
ad I venivano generalmente utilizzate per le travi
ad altezza variabile.
La diffusione delle travi reticolari in c.a. si
ebbe con l’affermazione della prefabbricazione;
infatti, la trave reticolare gettata in opera avrebbe
presentato difficoltà di ordine esecutivo: un
cassero costoso e complicati lavori di betonaggio
a causa delle dimensioni relativamente ridotte
delle aste; inoltre, talvolta, per evitare la
fessurazione nel corrente inferiore delle travi
reticolari, che veniva precompresso.
Tre erano gli schemi statici più comuni con cui
venivano realizzate le strutture ad arco: 1) arco a
spinta eliminata mediante tiranti in acciaio,
incernierato ai pilastri, i quali sono incastrati alla
base; 2) telaio rigido con trave ad arco; 3) arco
privo di tiranti, incastrato all’imposta alle
fondazioni.
Le tipologie costruttive adottate negli anni
Sessanta e Settanta per la realizzazione di
capannoni industriali prefabbricati intelaiati
possono essere suddivise in quelle caratterizzate
o da elementi monodimensionali quali travi e
pilastri o da parti di telaio o da telai eseguiti in un
sol pezzo.
Con i capannoni alti e di luci ridotte, vale a dire
di circa 12 metri, non era economicamente
conveniente realizzare e montare pilastri e
capriate separatamente; si preferiva, quindi,
ricorrere alla tipologia con elementi di telaio
prefabbricati. Relativamente ad essa, le soluzioni
che si affermarono maggiormente furono i telai a
cerniera (due in corrispondenza del collegamento
telaio-fondazione, un’altra in sommità) ed il
sistema “lambda”. I telai rigidi gettati in un sol
pezzo venivano, invece, impiegati per luci inferiori
ai 12 metri.
Per quanto riguarda i materiali, ovviamente
l’acciaio ed il calcestruzzo utilizzati per gli
elementi precompressi erano caratterizzati dalle
migliori prestazioni disponibili nel periodo di
riferimento. L’armatura per la precompressione
era costituita da trefoli o barre ad alta resistenza
(tensione di snervamento maggiore di 700 MPa); il
calcestruzzo
raramente
presentava
una
resistenza a compressione inferiore a 35 MPa.
Invece, valori tipici di tensione di snervamento per
l’armatura dolce e di resistenza a compressione
del calcestruzzo nel caso di cemento armato
normale erano rispettivamente 320 e 25 MPa. Le
barre lisce arano utilizzate in maniera diffusa,
sebbene nelle strutture prefabbricate quelle ad
aderenza migliorata erano maggiormente adottate
rispetto alle strutture ordinarie.
E’ da sottolineare che tutte le informazioni ed i
dati riportati in questa memoria sono tratti dalla
bibliografia disponibile, da manuali di progetto e
consultando un gran numero di individui e
compagnie coinvolti nel mercato delle strutture
prefabbricate: esperti, progettisti e produttori.
Contestualmente, sono stati raccolti ed analizzati i
disegni di progetto e le relazioni di calcolo di
strutture prefabbricate esistenti realizzate nel
periodo di riferimento; esse sono rappresentative
di soluzioni strutturali e realizzative tipiche di tale
periodo.
Di seguito si presenterà una breve
panoramica dei dispositivi, più diffusi nel periodo
di studio, per la realizzazione di collegamenti tra
pilastro e fondazione, tra pilastro e trave e tra
trave e copertura [5].
Per quanto riguarda il collegamento tra il
pilastro e la fondazione, vale la pena di ricordare
alcuni schemi proposti per ricreare, tra questi due
elementi strutturali, un vincolo cerniera. Molti di
essi si rifanno palesemente a soluzioni già
adottate ed affermate nel campo delle costruzioni
in acciaio e richiedono che il collegamento sia
realizzato mediante saldature e/o bullonature. In
tutti il contatto tra le superfici degli elementi
prefabbricati non è mai diretto, perché si vuole
evitare che, a causa di imperfezioni di dette
superfici, si possa avere una trasmissione della
sollecitazione di compressione non uniforme,
condizione
che
potrebbe
provocare
danneggiamenti del calcestruzzo.
Tra le superfici degli elementi da collegare
vengono, quindi, interposte una o due piastre
metalliche annegate nel calcestruzzo con superfici
di contatto da ritenersi perfettamente rettificate;
alternativamente si realizza un cuscinetto con
malta cementizia o con altri materiali. Altra
soluzione consiste nell’utilizzare plinti a pozzetto o
a bicchiere prefabbricati, che consentono di
ottenere un incastro praticamente perfetto; tale
unione è quella che, grazie alla semplicità di
esecuzione ed alla sua funzionalità, si è affermata
e viene attualmente correntemente utilizzata.
Condizioni esattamente opposte sono quelle
relative al collegamento trave pilastro, per il quale
negli anni di riferimento sono adottate sia
soluzioni ad incastro che a cerniera; le prime,
però, a causa della eccessiva laboriosità di
realizzazione sono successivamente abbandonate
in favore delle seconde. Il tipo più comune di
collegamento viene realizzato appoggiando la
trave sul pilastro (la cui testa può essere
eventualmente sagomata a forchetta) o su
mensole sporgenti da esso.
Anche in questo caso, fra gli elementi
collegati, si interpone un dispositivo d’appoggio, in
modo da ripartire adeguatamente le pressioni ed
evitare eventuali lesioni nel calcestruzzo; talvolta,
nel caso di piccole strutture, tale precauzione non
viene presa.
L’elemento d’appoggio, quando presente, è
costituito da: 1) un cuscinetto di malta con uno
spessore almeno pari ad 1.5÷2.0 cm; 2) un
cuscinetto in gomma o in resina sintetica; 3) due
piastre metalliche ancorate nel calcestruzzo; 4)
una piastra di piombo duro compresa tra due
lamierini metallici a protezione del calcestruzzo; il
piombo, deformandosi sotto carico, fornisce un
funzionamento a cerniera.
Gli appoggi in gomma (Fig. 1) costituiscono la
soluzione migliore tra quelle esaminate: tali
dispositivi, infatti, oltre a permettere con una
buona approssimazione la creazione di un vincolo
a cerniera, garantiscono un effetto smorzante
delle azioni sismiche. Nel corso degli anni,
migliorando le tecniche di prefabbricazione e,
conseguentemente, allungandosi le luci delle travi,
sono aumentati i carichi che devono trasferirsi
mediante il cuscinetto in gomma; si è passati,
quindi, dal cuscinetto in sola gomma a quello in
gomma armata mediante reti ondulate fatte
penetrare sotto carico, per arrivare alla soluzione,
tutt’oggi utilizzata, del pacchetto costituito da fogli
di gomma con interposti lamierini metallici,
rigidamente fissati tramite vulcanizzazione. Al fine
di limitare la rigidezza flessionale del pacchetto e
migliorare, così, il suo comportamento a cerniera,
si ricorreva, come del resto si fa anche oggi, ad un
aumento della sua altezza. La eccessiva
deformabilità a compressione e a taglio che viene
in tal modo ad aversi, viene eliminata
incapsulando il pacchetto in una scatola metallica.
Infine, il metodo di collegamento tra la trave e
gli elementi di copertura dipende fortemente dal
tipo di copertura adottata. Per coperture piane o a
doppia pendenza, realizzate generalmente con
tegoli a TT, si bullonano gli zoccoli del tegolo alla
sommità della trave, mediante l’apposizione di
piastre metalliche a L. I tegoli vengono resi tra loro
solidali, attraverso la saldatura di piastre
localizzate al loro estradosso.
Più particolari sono i collegamenti relativi a
coperture a shed (Fig. 2). In tal caso, lo shed
viene vincolato alla trave mediante perni,
successivamente sigillati con malta, che vengono
lasciati sporgere dalla capriata. Maggiormente
laboriosa e sofisticata risultava essere l’unione
che sfrutta le linguette fuoriuscenti dall’angolare
dello shed e che vanno ad alloggiarsi nelle
apposite scanalature presenti sulla trave. Una
particolare
attenzione
veniva
rivolta
al
collegamento tra l’estremità della trave e le catene
in acciaio nelle strutture ad arco, come mostrato in
Figura 3, dove si riportano alcuni apparecchi di
ancoraggio tipici ed un’applicazione pratica.
Figura 1. Collegamento trave-pilastro.
Figura 2. Collegamento trave-copertura: perni
lasciati sporgere dalla capriata (a sinistra),
linguette fuoriuscenti dall’angolare dello shed (a
destra).
fortemente condizionate dalla difficoltà di reperire
progetti esecutivi risalenti al periodo in esame.
Fino al 1971, infatti, secondo le direttive dell’allora
in vigore R.D.L. del 1939, si rendeva necessario
consegnare al Genio Civile solo un progetto di
massima dell’opera commissionata; questa,
inoltre, poteva subire modifiche anche sostanziali
in corso d’opera, e non venivano effettuate
integrazioni alla documentazione depositata.
Inoltre sussisteva l’obbligo di conservare la
documentazione per un periodo di soli dieci anni;
ovviamente, di tutta la documentazione relativa al
progetto si avevano solo copie cartacee, pertanto
non è stato possibile individuare aziende che
abbiano conservato documentazioni esaustive a
distanza di così tanti anni. Conseguentemente, in
taluni casi le informazioni disponibili sono state
integrate con progetti simulati eseguiti anche sulla
scorta
delle
informazioni
desunte
dalla
manualistica e dalle interviste effettuate. Nel
seguito
sono
riportate
le
caratteristiche
geometriche e strutturali dei cinque edifici
campione individuati.
3.1.
Figura 3. Strutture ad arco: tipici apparecchi di
ancoraggio collegamento trave-catena (sopra) e
struttura realizzata (sotto).
3.
CAPANNONE “A”
Il capannone presenta uno schema strutturale
semplice e geometricamente regolare (Fig. 4). La
pianta, di forma rettangolare, occupa una
superficie di circa 5380 m2, con lato maggiore di
112 m e lato minore di 48 m; essa è costituita da
maglie quadrate 16x16 m di pilastri a sezione
quadrata (55x55 cm) di altezza pari a 8.25 m dallo
spiccato di fondazione. Tali pilastri sono collegati
tra loro da travi in c.a.p. (Fig. 5), parallele al lato
maggiore dell'edificio, con sezione costante ad Ω;
sulle travi principali poggiano altre travi con
sezione costante ad Y in c.a. ordinario (Fig. 6),
poste tra loro ad un interasse di 5.33 m, che sono
da considerare dei semplici pendoli ortogonali ai
telai principali.
GLI EDIFICI CAMPIONE
Sia le ricerche bibliografiche che quelle sul
campo sopra descritte sono state orientate alla
individuazione di un certo numero di capannoni
“tipo”, indicativi di soluzioni strutturali, in termini di
tipologia e di dimensioni, che rappresentino il
patrimonio di edifici industriali prefabbricati
presenti in Italia nel periodo che va dagli anni
Cinquanta alla metà degli anni Settanta; vale a
dire quegli edifici costruiti secondo prescrizioni
normative che precedono quelle dettate dalla
Legge n° 64 del 2 febbraio 1974 “Provvedimenti
per le costruzioni con particolari prescrizioni per le
zone sismiche”. Le ricerche effettuate sono state
Figura 4. Geometria del capannone “A”.
Su queste è ordita la copertura, composta da
coppelle leggere in cemento armato collegate alle
travi ad Y attraverso dei barrotti di acciaio φ24;
questi sono alloggiati in apposite cavità
predisposte nei bordi delle ali delle travi e delle
coppelle.
Le fondazioni sono realizzate con plinti a
bicchiere lisci all’interno dei quali i pilastri si
attestano per una profondità di 1 m e sono sigillati
con un getto di malta cementizia; non vi sono travi
di collegamento in fondazione per cui i plinti sono
isolati. Dai dati raccolti è possibile risalire alle
azioni agenti sull’edificio.
spiccato di fondazione, collegati tra loro da travi
reticolari in c.a. (Fig. 8) e da travi di gronda,
sempre in c.a.; queste ultime possono essere
considerate dei semplici pendoli ortogonali ai telai
principali. Il collegamento le travi ed i pilastri è
realizzato mediante interposizione di cuscinetti in
neoprene a semplice strato.
Elemento
Pilastri
Travi a Ω
Travi a Y
Figura 5. Pilastro (a sinistra) e trave principale
(a destra) del capannone “A”.
Plinti
Coppelle
Caratteristiche materiale
Calcestruzzo dosato a 3.5 kN/m3 di
cemento tipo 730 con σr,28≥ 56 MPa;
barre e staffe di ferro acciaioso Aq.
50.
Calcestruzzo con cemento tipo 730
con σr,28≥ 50 MPa; staffe di ferro
acciaioso Aq. 50; barre DYWIDAG
STAHL 80/105, con ancoraggio a
piastra quadrata 130x130 mm o a
campana - filettatura 100/160.
Calcestruzzo con cemento tipo 730
con σr,28≥ 50 MPa; acciaio ad
aderenza migliorata FeB44K.
Calcestruzzo dosato a 3 kN/m3 di
cemento tipo 730 con σr,28≥ 25 MPa;
staffe di ferro acciaioso Aq. 50.
Calcestruzzo con cemento tipo 730
con σr,28≥ 35 MPa; barre e staffe di
ferro acciaioso Aq. 50.
Tabella 1. Caratteristiche meccaniche dei
principali elementi del capannone “A”.
Figura 6. Trave secondaria del capannone
“A”.
Nella Tabella 1 sono riportate in maniera
sintetica le caratteristiche meccaniche dei
materiali impiegati per gli elementi strutturali
principali.
3.2.
CAPANNONE “B”
Il capannone in oggetto presenta uno schema
strutturale semplice e geometricamente regolare
(Fig. 7). La pianta, di forma rettangolare, occupa
una superficie di circa 1110 m2, con lato maggiore
di 45.4 m e lato minore di 24.4 m; essa è costituita
da maglie rettangolari 24x5 m di pilastri a sezione
quadrata (40x40 cm) di altezza pari a 6.20 m dallo
Figura 7. Geometria del capannone “B”.
Sulle travi reticolari è ordita la copertura,
composta da tegoli nervati prefabbricati in c.a., e
resa solidale alle travi di gronda mediante getto
integrativo; i tegoli sono resi tra loro solidali
attraverso un ulteriore getto realizzato in apposite
nervature predisposte sui bordi degli stessi. Le
fondazioni sono realizzate con plinti a bicchiere
lisci, all’interno dei quali i pilastri si attestano per
una profondità di 80 cm e sono sigillati con un
getto di malta cementizia. La pannellatura
perimetrale è realizzata in opera mediante muri di
tamponamento. Dai dati raccolti è possibile risalire
alle azioni agenti sull’edificio.
Figura 8. Trave reticolare del capannone “B”.
Nella Tabella 2 sono riportate in maniera
sintetica le caratteristiche meccaniche dei
materiali impiegati per gli elementi strutturali
principali.
Elemento
Pilastri, travi
reticolari,
travi di
gronda, plinti
Caratteristiche materiale
Conglomerato cementizio classe
R.350; cemento R. 525; barre di
acciaio ad aderenza migliorata
FeB44K; staffe di ferro acciaioso
Aq. 60.
Tabella 2. Caratteristiche meccaniche dei
principali elementi del capannone “B”.
3.3.
opera e assicurati in sommità alle travi in c.a.p.
perimetrali. Dai dati raccolti è possibile risalire alle
azioni agenti sull’edificio.
Figura 9. Geometria del capannone “C”.
CAPANNONE “C”
Il capannone in esame presenta uno schema
strutturale semplice e geometricamente regolare,
a doppia campata (Fig. 9). La pianta, di forma
rettangolare, occupa una superficie di circa 2340
m2, con lato maggiore di 67.25 m e lato minore di
34.85 m. Essa è costituita da maglie rettangolari
di 17.45x7.47 m di pilastri a sezione rettangolare
(50x40 cm) di altezza pari a 8.00 m dallo spiccato
di fondazione, collegati tra loro da travi in c.a.p. di
luce pari a 7.47 m, semplicemente appoggiate; i
pilastri centrali presentano un capitello di
dimensioni
100x40
cm
che
consente
l’alloggiamento delle due travi (Fig. 10). In
direzione ortogonale sono posti dei tegoli nervati
prefabbricati, sempre in c.a.p., che costituiscono
la copertura, di luce pari a 17.45 m e non
solidarizzati gli uni con gli altri (Fig. 11). Il
collegamento delle travi ai pilastri e dei tegoli alle
travi è realizzato mediante interposizione di
cuscinetti in neoprene a semplice strato.
Le fondazioni sono realizzate con plinti a
bicchiere, sigillati con un getto di malta
cementizia. I pannelli di tamponatura sono del tipo
in c.a.p., poggianti al piede su cordoli gettati in
Figura 10. Pilastro del capannone “C”.
Figura 11. Sezione del tegolo, capannone “C”.
Nella Tabella 3 sono riportate in maniera
sintetica le caratteristiche meccaniche dei
materiali impiegati per gli elementi strutturali
principali.
Elemento
Pilastri,
plinti
Travi in
c.a.p.,
tegoli
nervati
Caratteristiche materiale
Calcestruzzo di cemento tipo 425
R’bk=40MPa; barre di acciaio ad
aderenza migliorata FeB38K.
Calcestruzzo di cemento tipo 525
R’bk=50MPa; barre di acciaio
FeB38K.; acciaio armonico in trefoli
da 1/2” e da 3/8”.
Tabella 3. Caratteristiche meccaniche dei
principali elementi del capannone “D”.
3.4.
Figura 13. Pilastro del capannone “D”.
CAPANNONE “D”
Il capannone in oggetto presenta uno schema
strutturale semplice e geometricamente regolare
(Fig. 12). La pianta, di forma rettangolare, occupa
una superficie di circa 3080 m2, con lato maggiore
di 84.80 m e lato minore di 36.30 m; essa è
costituita da maglie rettangolari 18.15x6 m di
pilastri con sezione a doppio T di altezza pari a
5.00 m dallo spiccato di fondazione, collegati tra
loro da travi ad arco in c.a. lungo il lato maggiore
della maglia (Fig. 13). Tale collegamento, altre al
cuscinetto di neoprene, presenta un barrotto in
acciaio, che lo rende una vera e propria cerniera.
Si hanno, quindi, quattordici telai piani a doppia
campata, collegati tra loro dalle travi di gronda a
cassone in c.a., semplicemente appoggiate agli
estremi. Sulle travi ad arco è ordita la copertura,
composta da travetti prefabbricati e tavelloni, resa
solidale mediante getto integrativo (Fig. 14).
Le fondazioni sono realizzate con plinti a
bicchiere lisci, all’interno dei quali i pilastri si
attestano per una profondità di 1 m e sono sigillati
con un getto di malta cementizia. Dai dati raccolti
è possibile risalire alle azioni agenti sull’edificio. A
causa della presenza di un giunto, posto alla
mezzeria del lato lungo 84.80 m, si è limitato lo
studio del modello a una lunghezza di 42.40 m.
Nella Tabella 4 sono riportate in maniera sintetica
le caratteristiche meccaniche dei materiali
impiegati per gli elementi strutturali principali.
Figura 12. Geometria del capannone “D”.
Figura 14. Trave ad arco e copertura con
tavelloni del capannone “D”.
Elemento
Caratteristiche materiale
Pilastri, travi Calcestruzzo dosato a 3.5 kN/m3 di
ad arco, travi
cemento tipo 730 con σr,28≥ 36
a cassone,
MPa; barre e staffe di ferro
plinti
acciaioso Aq. 60.
Tabella 4. Caratteristiche meccaniche dei
principali elementi del capannone “D”.
3.5.
CAPANNONE “E”
Il capannone in oggetto presenta uno schema
strutturale semplice e geometricamente regolare
(Fig. 15). La pianta, di forma rettangolare, occupa
una superficie di circa 730 m2, con lato maggiore
di circa 34 m e lato minore di 21.50 m. Essa è
costituita da maglie rettangolari 21.50x4.85 m di
pilastri a sezione rettangolare (50x60 cm) di
altezza pari a 7 m dallo spiccato di fondazione,
collegati in direzione trasversale da travi ad anima
piena e sezione variabile in c.a.p.; in direzione
longitudinale, invece, da travi di sezione
rettangolare poste ad altezza intermedia, gettate
in opera. Il collegamento tra le capriate ed i pilastri
è realizzato mediante interposizione di cuscinetti
in neoprene a semplice strato. Sulle travi a
sezione variabile è ordita la copertura, composta
da un solaio prefabbricato. Le fondazioni sono
realizzate con plinti gettati in opera (Fig. 16). La
pannellatura perimetrale è realizzata in opera,
mediante muri di tamponamento. Dai dati raccolti
è possibile risalire alle azioni agenti sull’edificio.
Nella Tabella 5 sono riportate in maniera
sintetica le caratteristiche meccaniche dei
materiali impiegati per gli elementi strutturali
principali.
Figura 15. Geometria del capannone “E”.
Figura 16. Sezione pilastro (a sinistra) e plinto
(a destra) del capannone “E”.
Elemento
Pilastri,
plinti
Travi a
sezione
variabile
Caratteristiche materiale
Conglomerato cementizio classe Rck
350; barre e staffe di ferro acciaioso
Aq. 42.
Calcestruzzo eseguito con cemento
tipo 850 con σr,28≥ 55 MPa; treccia di
acciaio armonico costituita da 3φ3
con σar ≥ 1850 MPa e σ0.2 ≥ 1450
MPa
Tabella 5. Caratteristiche meccaniche dei
principali elementi del capannone “E”.
4.
ANALISI NUMERICHE
Lo scopo delle analisi numeriche è quello della
valutazione della capacità sismica degli edifici
campione presentati nel paragrafo precedente, al
fine di determinarne, in maniera semplificata, la
vulnerabilità; in questa valutazione la richiesta
viene identificata assumendo che gli edifici
ricadano in un’area del sud Italia caratterizzata da
un evento sismico con PGA di 0.21g e periodo di
ritorno di 475 anni. Gli edifici campione sono
studiati sia in campo elastico che mediante analisi
non lineari. Dalle analisi elastiche, eseguite su
modelli spaziali mediante il programma di calcolo
SAP 2000, si sono tratte informazioni utili alla
definizione del modello non lineare: i modi e le
frequenze di vibrazione e gli scarichi nei pilastri
dovuti all’azione dei carichi verticali da abbinare
alle azioni sismiche; in questa combinazione i
carichi accidentali sono ridotti di un terzo. Il
programma di calcolo utilizzato per la valutazione
delle capacità sismica è il DRAIN-2DX con
elementi a plasticità concentrata, caratterizzata da
un legame momento-rotazione trilineare.
Tale legame è calcolato considerando per
l’acciaio un andamento elasto-plastico incrudente
mentre per il calcestruzzo è tenuto in conto
l’effetto del confinamento con il legame di Mander;
le tensioni di rottura dei materiali sono quelle
medie di prove sperimentali riportate in lavori di
bibliografia. Le analisi sono condotte su modelli
piani nella direzione ritenuta più critica. Gli
appoggi semplici delle travi sui pilastri sono
modellati mediante legami elastici che tengono
conto della deformabilità trasversale del neoprene
e
che
sono
limitati
superiormente
in
corrispondenza dell’attingimento della massima
forza di attrito, valutata con un coefficiente di
attrito neoprene-calcestruzzo pari a 0.9.
Lo studio condotto ha mostrato che il valore di
tale parametro rappresenta uno degli aspetti critici
dell’analisi delle strutture in esame. Infatti esso, da
un lato, è determinante nella valutazione del
collasso strutturale, che potrebbe anche avvenire
per perdita d’appoggio; dall’altro, è di difficile
stima, dal momento che la letteratura tecnica
sull’argomento non è esaustiva.
In Figura 17 sono riportate con tratto spesso le
curve taglio alla base, adimensionalizzato rispetto
al peso sismico della struttura, – spostamento di
sommità, adimensionalizzato rispetto all’altezza
dell’edificio (curve di “push over”), condotte sino
allo spostamento di collasso, che coincide in tutti i
casi con l’attingimento della rotazione ultima alla
base di un pilastro.
In tratto più fine è riportata la curva elastica
perfettamente plastica equivalente, per ciascun
edificio, a quella sopra descritta, in termini di
massimo spostamento, massima capacità ed
energia sottesa. Per quelle strutture caratterizzate
da pilastri con armatura liscia è anche
rappresentata con una linea tratteggiata la
capacità delle stesse in assenza di gancio, nel
qual caso la crisi avviene per sfilamento delle
barre.
0.55
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
Fb/W
Spostamento [%]
0
0.55
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Fb/W
Spostamento [%]
0
0.55
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Fb/W
Spostamento [%]
0
0.5
0.55
0.5 Fb/W
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
0
0.5
0.55
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
0.05
0
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Spostamento [%]
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Fb/W
Spostamento [%]
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
Figura 17. Curve di capacità dei capannoni
“A” ,”B”, “C”, “D” ed “E” dall’alto al basso.
In Tabella 6 è riportata una valutazione della
vulnerabilità degli edifici campione, mediante
analisi spettrale. Nella prima colonna è riportata la
struttura cui si fa riferimento, nella seconda il
periodo del sistema equivalente, quello cioè
caratterizzato da un legame elastico –
perfettamente plastico ricavato come illustrato
sopra. In questa valutazione di vulnerabilità, la
richiesta è rappresentata dallo spettro elastico
dell’Eurocodice 8 [6], per un suolo avente
caratteristiche meccaniche medie (tipo C) ed
accelerazione di picco al suolo PGA=0.21g, che,
come detto, è determinata in base ad una stabilita
probabilità di superamento nel sito di riferimento:
nella terza colonna è riportata l’ordinata di tale
spettro corrispondente al periodo del sistema
equivalente. Il rapporto tra questa e la capacità
del sistema equivalente, riportata nella colonna
successiva, restituisce il parametro ρ, che,
mediante relazioni dipendenti dal periodo del
sistema equivalente, consente di ricavare la
duttilità richiesta. La duttilità disponibile è assunta
quale rapporto tra lo spostamento massimo e
quello al limite elastico della bilineare equivalente:
si osserva che nei casi esaminati, per il livello di
azione sismica assunto e sotto le ipotesi fatte, la
disponibilità risulta sempre maggiore della
richiesta. La corrispondenza fra l’analisi di
vulnerabilità descritta ed il metodo N2, previsto
anche dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio
n. 3274 [7], è evidente se si pensa che la duttilità
richiesta è valutata computando uno spostamento
di target e quella disponibile uno spostamento in
corrispondenza del collasso.
Lo studio effettuato dimostra che la
modellazione e l’analisi del comportamento
sismico di strutture prefabbricate sono molto
complessi e non è semplice raggiungere risultati
soddisfacenti mediante l’utilizzo di analisi statiche,
sebbene non lineari. Infatti, la risposta strutturale
dipende da fenomeni di interazione talvolta
governati da forze di tipo attritivo, che chiamano in
causa direttamente le azioni sismiche verticali.
Analisi dinamiche non lineari effettuate curando i
problemi di crisi del collegamento pilastro-trave
per perdita d’appoggio e capaci di integrare
l’attrito neoprene – calcestruzzo rappresenta uno
strumento più efficace.
Particolare attenzione va rivolta altresì al
degrado delle caratteristiche meccaniche dei
materiali, ai collegamenti tra gli elementi della
copertura ed alla deformabilità di quest’ultima.
D’altro canto, per la presenza di travi di grande
luce e la contestuale assenza di travi di
collegamento in fondazione, risulta essere di
particolare interesse l’introduzione nel calcolo
dell’eccitazione asincrona al suolo.
Tali osservazioni evidenziano la presenza di
aspetti critici nella valutazione della specifica
tipologia strutturale, con le evidenti ricadute dirette
sugli accertamenti da espletare sulla base della
recente normativa sismica. Quest’ultima, come
noto, relativamente al patrimonio esistente, limita
l’impiego di un approccio elastico, sia esso statico
o dinamico modale; pertanto, le procedure basate
su analisi spettrali e lo sviluppo di efficienti
rappresentazioni della risposta attraverso curve di
push over rappresentano un passaggio chiave del
processo progettuale.
E’ evidente, quindi, che lo sviluppo di tecniche
“statiche” rigorose e largamente condivise
rappresenta il contributo richiesto al mondo
scientifico da parte del mondo professionale ogni
giorno chiamato a rispondere con prontezza a
problemi reali relativi alla sicurezza pubblica ed
alla conservazione del patrimonio esistente.
Strut
Teq
“A”
“B”
“C”
“D”
“E”
[sec]
1.73
0.99
1.59
0.45
0.89
Sae
(Teq)
[g]
0.21
0.35
0.23
0.60
0.41
Cap
ρ
Dutt
rich.
Dutt
dis.
Coll
[g]
0.15
0.19
0.19
0.53
0.22
1.42
1.80
1.18
1.15
1.88
1.42
1.80
1.18
1.16
1.88
1.76
2.43
2.61
2.24
4.97
NO
NO
NO
NO
NO
6.
[1]
CENSIS, “Rapporto sulla situazione
sociale del paese 1999, Territorio e Reti”.
CENSIS Centro Studi Investimenti Sociali;
p. 347-448, 2000.
[2]
G. CESTELLI GUIDI, “Cemento armato
precompresso:
teoria,
esperienze,
realizzazioni”, Milano, ed. Hoepli, 1970.
[3]
T.
KONCZ,
“Manuale
della
prefabbricazione”, Milano, ed. Tecniche
Bauverlag, 1962.
[4]
RDB, “Il laterizio”, Piacenza, 1956, 1959,
1962, 1965, 1968, 1971-74.
[5]
A. MARIONI, “Apparecchi d’appoggio per
ponti e strutture”, Milano, ITEC Editrice,
1968.
[6]
EUROCODE 8, “Design of structures for
earthquake
resistance”,
Part
3,
Assessment and retrofitting of buildings,
draft 7, June 2004.
[7]
ORDINANZA 3274 DEL 20/03/2003–
Primi elementi per la classificazione
sismica del territorio nazionale e di
normative tecniche per le costruzioni in
zona sismica – Gazzetta Ufficiale del
05/08/2003.
Tabella 6. Risultati dell’analisi spettrale.
5.
CONCLUSIONI
Sulla base di un ricerca effettuata sul campo,
sono individuate le principali caratteristiche dei
capannoni prefabbricati realizzati in Italia dagli
anni Cinquanta agli anni Settanta. Un numero
rilevante di tali capannoni sorge in zone dichiarate
sismiche
dopo
la
loro
esecuzione:
conseguentemente, è assai rilevante il problema
di una loro analisi di vulnerabilità sismica.
Partendo da analisi di “push over” per la
determinazione della capacità sismica di alcuni
capannoni industriali prefabbricati campione, sono
state discusse alcune problematiche aperte sulla
modellazione di tale tipologia strutturale.
Analisi spettrali, condizionate da alcune ipotesi
semplificative sulla risposta strutturale, mostrano
che la duttilità disponibile di tali capannoni è
sufficiente a coprire la richiesta in una zona di
media sismicità.
Nondimeno, in taluni casi, analisi più accurate,
ad esempio dinamiche non lineari, sembrano più
adatte ad incorporare stati limite come la crisi del
collegamento
pilastro-trave
per
perdita
d’appoggio, portando anche in conto l’asincronia
del moto e l’eccitazione verticale delle travi, che
determina la variazione del tempo della resistenza
di tipo attritivo dell’appoggio.
BIBLIOGRAFIA
Contatti con gli autori
Giovanni Fabbrocino: [email protected]
Gennaro Magliulo: [email protected]
Gaetano Manfredi: [email protected]