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Le persone sotto inchiesta sono 40. Ai diciotto dell’inizio delle indagini se ne
sono aggiunti altri 22. Di questi ultimi, 21 sono persone fisiche, il 22° è Ubi Banca
come soggetto giuridico. Non la Spa, è bene sottolinearlo, nata dall’assemblea del
12 ottobre 2015 ma Ubi Banca società cooperativa. Tutti sono indagati nel primo
filone dell’indagine che vede contestati l’ “ostacolo all’esercizio delle funzioni
dell’autorità pubbliche di vigilanza” e l’“illecita influenza sull’assemblea”.
L’assemblea è quella per il rinnovo del consiglio di gestione che si svolse sabato
20 aprile 2013 alla Fiera di Bergamo. Perché si è deciso di iscrivere la stessa Ubi
Banca tra gli indagati? Gli inquirenti, il procuratore capo di Bergamo Walter
Mapelli e il pm Fabio Pelosi, ipotizzano che non solo i vertici, ma la banca nel
suo insieme, ostacolassero Consob e la Banca d’Italia nel loro ruolo di vigilanza e
interferissero nello svolgimento dell’assemblea. Come la ostacolavano? Col fatto
che la banca come società cooperativa non avesse dato corretta applicazione
alla legge 231, cioè non avesse al suo interno una commissione di controllo per
evitare tali reati.
E proprio ora che la Ubi rischia di finire sotto processo per aver violato la legge
231 sulla responsabilità penale delle imprese e di pagare diversi milioni di euro
in caso di condanna, i vertici della banca hanno pensato di affidarsi a Paola
Severino, avvocato e già Ministro della Giustizia nel Governo Monti. All’ex
Guardasigilli il compito di difendere Ubi da un’accusa pesante.
QUEL PATTO DI POTERE TRA BERGAMO E BRESCIA
Un patto tra gentiluomini. È quello tra Emilio Zanetti e Giovanni Bazoli, due
grandi vecchi del sistema bancario nazionale che – secondo chi indaga –
decidevano le sorti di Ubi Banca nella spartizione di poteri tra Bergamo (con
Zanetti a capo dell’associazione Amici di Ubi Banca) e Brescia (con Bazoli,
presidente dell’Associazione Amici Banca Lombarda e Piemontese).
Al centro dell’indagine una serie di incontri avvenuti nell’estate del 2012 che
“rinnovavano” il patto già collaudato tra i due leader che decidevano sulle
“maggiori questioni aziendali”, come nomine nei consigli e nelle partecipate,
rapporti con Banca d’Italia, modello duale, modello federale, modifiche dello
statuto, forma societaria, “anche al di fuori degli organi” della banca. In sostanza
Bazoli e Zanetti decidevano tutto.
Le ipotesi degli inquirenti troverebbero conferma nei computer di Italo Lucchini,
consigliere di Ubi Banca. Lucchini, si è scoperto nell’indagine, aveva l’abitudine
di prendere appunti su ogni incontro, riunione o conversazione della banca e del
proprio studio di commercialista. Ora da quegli appunti (che Lucchini chiamava
“convegni”) emergerebbe la conferma di quel patto occulto Bazoli-Zanetti che
per anni ha governato la terza banca italiana, i cui vertici rischiano adesso di
essere rinviati a giudizio.
IL SECONDO FILONE: LO YACHT
C’è un secondo filone dell’indagine su Ubi Banca. Ed è quello relativo ad Ubi
Leasing.
L’ipotesi iniziale, secondo la Procura di Bergamo, era che i beni ritirati perché
non saldati a Ubi Leasing venissero venduti ad amici dei vertici della banca a
prezzo di favore, producendo così un danno economico all’istituto di credito.
Questo filone – che era esploso con l’aereo ceduto a Lele Mora – si ridurrebbe ad
un solo caso: quello yacht venduto nel novembre 2011 a Giampiero Pesenti,
presidente di Italmobiliare e ai tempi di Italcementi.
Nell’occhio del ciclone ci sarebbe il commercialista Italo Lucchini (membro del
Consiglio di Sorveglianza) incappato in un conflitto di interessi quando nel 2011
avrebbe ceduto “Beata of Southampton” – uno yacht Akhir 108 – a Giampiero
Pesenti tramite la figlia Silvia Lucchini, legale rappresentante della Tuscany
Charter di Livorno.
Secondo l’accusa si tratterebbe di una truffa ai danni della banca perché lo yacht
era stato sottostimato con l’intermediazione di Alessandro Miele, dell’omonimo
studio navale. La barca sarebbe stata venduta per 3 milioni e mezzo (prezzo di
stima di Miele) a Pesenti a fronte di un valore iniziale di 10 milioni. La Procura
ritiene che ci sia stata una truffa perché questa imbarcazione, costruita nel 2008
aveva navigato pochissimo e vantava diversi mesi di esposizione in molte fiere
nautiche, non poteva aver subito un deprezzamento tale. Attorno a questa
compravendita – nei confronti di Silvia Lucchini e di Giampiero Pesenti – la
Procura ipotizza anche l’omesso versamento dell’Iva e false fatture.
Sempre in questo secondo filone, al termine dell’indagine entrano nel registro
degli indagati anche il procuratore dell’affare Marco Martelli, Marco Fermi (Ubi
Leasing), Francesco Morlè (comandante dell’imbarcazione), i due allora dirigenti
di Ubi Leasing Gianpiero Bertoli e Alessandro Maggi, l’intermediario della
vendita Alessandro Miele e a Guido Cominotti, sottoscrittore dell’atto. Mentre
escono dall’indagine Marco Diana, Michele Di Leo e Pecuvio Rondini.
IL RUOLO DI EMILIO ZANETTI
Dagli appunti di Italo Lucchini gli uomini del Nucleo speciale di polizia valutaria
della Guardia di Finanza hanno ricostruito i movimenti che già dall’estate 2012
portarono all’assemblea dei soci di Ubi Banca chiamata al rinnovo dei vertici.
Tra le note di Lucchini si scopre così che il 31 luglio 2012 nello studio del notaio
Armando Santus si ritrovano Lorenzo Renato Guerini (entrambi molto legati agli
affari della Diocesi di Bergamo che in Ubi ha investito diversi milioni di euro),
Andrea Moltrasio e lo stesso Lucchini. È proprio alla fine di luglio che si inizia a
parlare della successione di Emilio Zanetti e di una commissione che dovrà
individuare i candidati destinati agli organi collegiali di Ubi che si sottoporrà ai
soci nell’assemblea del 20 aprile 2013. Commissione che, secondo i diari di
Lucchini, in realtà doveva contrapporsi al potere bresciano.
L’incarico di formare la “commissione Zanetti” verrà conferito il 7 settembre 2012
dal consiglio direttivo dell’associazione Amici di Ubi Banca. Ed è qui che emerge
il desiderio di Emilio Zanetti che avrebbe accettato un suo passo indietro al
vertice di Ubi in cambio di “inserire nella nuova governance un suo figlio”,
Matteo. È la fine di novembre quando negli appunti di Lucchini si legge: “Zanetti
non è più considerato come un leader moralmente inattaccabile, pesano le
maldicenze non solo sulla cessione della barca o dell’aereo, ma anche sui
favoritismi nei confronti dei suoi familiari. In questo senso bisogna che Zanetti e
Calvi comunichino ufficialmente il loro passo indietro… e Moltrasio, Santus & C.
prendano in mano le strategie di qualsivoglia tipo, curando i rapporti con
Brescia per la formazione del listone”. Appunti che per la Finanza
confermerebbero il ruolo di Zanetti nel rapporto con Brescia e il “possibile
conflitto d’interessi” di Zanetti, allo stesso tempo a capo di una commissione
chiamata a formare la Lista 1 per l’assemblea e “sia presidente del Consiglio di
gestione di Ubi Banca sia presidente della Banca Popolare di Bergamo”. Nonché
della Fondazione della Banca Popolare di Bergamo.
GLI ESPOSTI DI ADUSBEF
L’inchiesta su Ubi Banca ha preso l’avvio da una serie di esposti dell”ex
parlamentare Giorgio Jannone, a capo di una delle due associazioni di azionisti
contrapposte alla lista 1, seguito a ruota dall’associazione Adusbef, dopo
l’assemblea della banca del 2013 che rinnovò i consigli di sorveglianza e di
gestione. Nell’assemblea del 20 aprile 2013 la lista 1, composta e sostenuta dai
soci bresciani e bergamaschi aveva due contendenti pericolosi per il controllo
della banca: in corsa c’erano la lista di Giorgio Jannone e la lista di Andrea Resti.
Va detto che in una cooperativa (come era Ubi) ogni socio ha diritto di voto.
Solitamente, dato l’elevato numero di soci, molti delegano. L’accusa ritiene che
per evitare un ribaltone (e mantenere la gestione della banca) sia stata
organizzata una raccolta di deleghe da parte della lista 1, avvalendosi anche dell’
“aiuto” del Confiab degli artigiani di Bergamo e della Compagnia delle opere. Su
molte di queste deleghe la Guardia di Finanza ha accertato che sono state
rilasciate in bianco o “falsamente o predisposte ad arte” per avvantaggiare la
lista 1 composta e sostenuta dai soci storici.
IL CAPITOLO CONFIDI, BARDONI E ONDEI
Dunque, secondo i pm Fabio Pelosi e Walter Mapelli, il Consorzio Fidi degli
Artigiani di Bergamo, avrebbe affiancato Ubi nella raccolta di deleghe in bianco
per l’assemblea della primavera 2013. In particolare ci sono 32 mila euro
suddivisi in 10 bonifici a favore di altrettanti dipendenti Confiab. Dagli
interrogatori svolti dalla Guardia di Finanza emerge che non ci sono spiegazioni
quel “premio vincolato” di 3.200 euro ricevuto da un dipendente.
“Nel corso di una riunione con tutto il personale Confiab – riporta un verbale di
un interrogatorio – ci fu detto che c’era l’obbligo di utilizzare queste risorse per
acquistare un pacchetto di 250 azioni di Ubi per ciascun dipendente e per tre
persone indicate dagli stessi dipendenti”. Un “premio per acquistare azioni,
diventare così soci e votare all’assemblea Ubi Banca la lista 1 che era sì
capitanata da Andrea Moltrasio, ma aveva in una posizione blindatissima
Antonella Bardoni, allora direttore di Confiab.
Alla chiusura delle indagini preliminari è emerso lo “scandalo”: il presidente di
Confiab Angelo Ondei, e il direttore, Antonella Bardoni, hanno deciso di non
parlare, ma nel gennaio scorso hanno rassegnato le loro dimissioni.
COMPAGNIA DELLE OPERE
C’è un ruolo particolare e delicato che svolge la Compagnia delle Opere. Da
quanto emerge dalle ricostruzioni della Procura, i vertici di Ubi, temendo che la
CdO presentasse una propria lista o ne appoggiasse una contro quella
istituzionale della banca, strinsero con essa un’alleanza. L’intesa tra i vertici di
Ubi e quelli di CdO-Cl passava dai rapporti tra Emilio Zanetti ed Ettore Ongis (ora
indagato), rispettivamente ex presidente dell’editrice Sesaab ed ex direttore
dell’Eco di Bergamo. È così che Rossano Breno, allora a capo della Compagnia
delle Opere, entra nel cda della Banca Popolare di Bergamo. Breno sarà poi
costretto a dimettersi per l’implicazione nell’inchiesta che travolse
l’imprenditore Pierluca Locatelli. Nonostante la tempesta che si era abbattuta su
Cl e la Compagnia delle Opere, i vertici di Ubi mantennero la promessa di
riservare un posto blindatissimo in lista nelle elezioni per il rinnovo delle
cariche nell’assemblea del 2013. Quel posto era riservato ad Antonella Bardoni.
UBI PRIMA DELL’ASSEMBLEA 2013
Va detto che il contesto in cui maturerebbe il rafforzamento delle attività
pre-assembleari di quel 2013 è particolare. E soprattutto mai vissuto dalla banca
i cui gestori non avevano avuto contendenti in precedenza. I pochi anni Ubi era
cresciuta diventando un colosso nazionale molto appetibile. In questo quadro
stava maturando quello che ai vertici sembrava un doppio attacco alla diligenza:
sferrato da una parte da Giorgio Jannone e dall’altra dal direttore della Popolare
Giuseppe Masnaga. Contro Masnaga si scagliò Emilio Zanetti con un video
diramato ai tremila dipendenti. “Qualcuno vuole distruggere quello che in tanti
anni è stato costruito”, disse Zanetti lanciando un appello, ma insieme alcune
accuse e facendo capire che nel mirino in particolare c’era un’altra lista, quella
guidata da Andrea Resti il cui spin doctor era, secondo molti, Giuseppe Masnaga,
che poco dopo si dimise.
I TEMPI DELL’INCHIESTA
Mentre si organizza l’assemblea 2017, convocata per sabato 7 aprile alle 14.30
alla fiera di Bergamo, l’indagine prosegue. Slittati di un mese i termini per la
presentazione delle memorie difensive che erano attese entro il 31 gennaio,
l’eventuale rinvio a giudizio (sempre che la Procura lo richieda) comporterebbe
per il gup (giudice per l’udienza preliminare) l’esame di migliaia e migliaia di
documenti. Non sembra quindi probabile una decisione prima dell’estate.