restò il Creatore e la creatura

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Transcript restò il Creatore e la creatura

«La porta della Misericordia
resta sempre spalancata»
Soli restarono lui e lei;
restò il Creatore e la creatura;
restò la miseria e la misericordia
(Sant’Agostino)
QUARESIMA
CARITÀ
2017
DI
Durante la Quaresima una
parrocchia, una UPM o un
Vicariato possono scegliere
di fare uno o più incontri
sui seguenti temi:
1. ACCOGLIENZA
Un incontro sul Progetto
“Rifugiato a casa mia”, per
focalizzare il tema attuale della
migrazione e per intravvedere
scelte e risposte concrete sul
nostro territorio;
2. MISSIONE
Un incontro sul Ciad, dove
il progetto di una scuola da
costruire diventa occasione
per narrare un’esperienza
diocesana di circa 30 anni;
3. MISERICORDIA
Un incontro su un’Opera
di Misericordia Spirituale,
occasione per crescere e
educarci alla riconciliazione
delle relazioni.
P ER
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI
MAIL: [email protected]
TEL: 0321/627754
18 febbraio 2017
Caleidoscopio
di notizie
Se non si desidera ricevere questa posta, inviare il messaggio "cancella indirizzo".
SOMMARIO

CARITAS DIOCESANA :Progetto “GEMELLAGGIO E PELLEGRINAGGIO A GERUSALEMME”

COMUNICATO STAMPA DI PAX CHRISTI - SICUREZZA E DIFESA: LIBRO BIANCO O NERO?Cambia la
Costituzione. Muore la politica.

Nigrizia Notizie:NON C’È CRISI PER LA SPESA MILITARE: L’ANALISI DELL’OSSERVATORIO MILEX.

PRESENTAZIONE DEL REPORT 2017 DELLA FONDAZIONE MIGRANTES IL DIRITTO D’ASILO - MINORI
RIFUGIATI VULNERABILI E SENZA VOCE

CAMPAGNA CEI MIGRANTI:DON DEMBELE (MALI), CONVINCETE I NOSTRI GIOVANI A NON EMIGRARE

MIGRANTI E LAVORO: UNA RICERCA SFATA ALCUNI FALSI MITI

MILANO"IO CI METTO LA CASA, E TU?". L'Agenzia dell'Abitare (Ada) della cooperativa sociale “La
Cordata”, insieme ad altre quattro imprese sociali hanno infatti lanciato l'iniziativa "Io ci metto la casa, e
tu?", con cui cercano appartamenti disabitati da destinare a progetti di housing sociale, garantendo ai
proprietari la certezza di un reddito dall’affitto.

CARITAS CUNEO PROGETTO DI HOUSING SOCIALE "CROCEVIA46"

BOLOGNA PRATICARE L'ARTE E LIBERARE EMOZIONI: i richiedenti asilo dipingono nel Closlieu di Riola

AMNISTIA E INDULTO NEWS: A BOLLATE ORA I DETENUTI POSSONO INVIARE EMAIL

NOVARA JOB WANTED Cercare lavoro è un lavoro

NOVARA Istituto Castelli PROGETTO SECONDA FINESTRA 2016 DEI BANDI FCN
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ARONA PRESENTATO IL PROGETTO EDUCATIVO CONTRO LO SPRECO DI CIBO

CENTRO DI ASCOLTO CARITAS DI PALLANZA CUCITO, MAGLIA E UNCINETTO

GIOVANI SOLIDALI A VERBANIA

BORGOMANERO- Incontro : FAMIGLIE NUMEROSE: UNA FRONTIERA; UNA NECESSITÀ

DOMODOSSOLA PRIMO SOCCORSO E PREVENZIONE INCENDI AL CST

MASSINO VISCONTI GIORNATA DELLA DONNA dedicata alle mamme di bimbi nati prematuramente

“CITTÀ DI DIO”- MONTE MESMA LA MISERICORDIA NELL’ARTE SABATO 25 FEBBRAIO 2017

NO ALL’ACCIDIA, IL PENSIERO CATTIVO CHE PUÒ PARALIZZARE LA VITA DELLE COMUNITÀ CRISTIANE.
Riflessione dopo la lettura del “Liber Pastoralis” del vescovo Franco Giulio Brambilla
Comunicato stampa di Pax Christi SICUREZZA E DIFESA: LIBRO BIANCO O NERO? Cambia la Costituzione. Muore la politica. Pax Christi Italia non ci sta! Il Consiglio dei ministri ha approvato il 10 febbraio 2017 il disegno di legge per l’implementazione del «Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa» che demolisce la nostra Costituzione, in particolare gli articoli 52 e 11. Qualcuno parla di golpe industriale-­‐militare e di stravolgimento della Costituzione. Noi vogliamo sperare di no ma non possiamo tacere la nostra forte preoccupazione! La difesa della Patria stabilita dall’art. 52 viene riformulata quale «contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo, al fine della tutela degli interessi vitali o strategici del Paese». Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, stabilito dall’art. 11, viene sostituito dalla «gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale». Verso tale esito conduceva già la Legge quadro entrata in vigore nel 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero con un fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Inquietante, nella sua vaghezza, è , poi, l'idea di affidare alle Forze armate sul piano interno la «salvaguardia delle libere istituzioni», con «compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza». Allarmante, nella sua ricaduta pratica, è il fatto che il nuovo modello apra le porte delle Forze armate a «dirigenti provenienti dal settore privato» che potranno ricoprire gli incarichi di massimo livello e permetteranno ai potenti gruppi dell’industria militare di pilotarle secondo interessi legati alla guerra. L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale». Il Libro Bianco annulla, in tal modo, il fondamento ideale, promotore di pace, della Costituzione italiana, più volte ricordatoci da persone come Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Sandro Pertini, Oscar Luigi Scalfaro. L'Italia viene ridisegnata e snaturata come potenza che si arroga il diritto di intervenire militarmente sia in aree vicine come Nordafrica, Medioriente o Balcani, sia ovunque siano in gioco gli interessi di potenze rappresentati dalla Nato sotto comando degli Stati Uniti. Siamo al suicidio della politica costituzionale? Il Parlamento per ora tace. Viene messa in disparte ogni proposta riguardante la riduzione delle spese militari con l'eventuale loro riconversione sociale; la verifica dell'attuazione della legge 185/90 sul commercio delle armi; l'iniziativa ONU per il disarmo nucleare; il progetto per una Difesa non armata e nonviolenta. Non ci stiamo come cittadini della Repubblica italiana, fedeli alla Costituzione! Non ci stiamo anche come cristiani, discepoli del Vangelo di Cristo! Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2017 "La nonviolenza: stile di una politica per la pace", papa Francesco ci ha ricordato "la via della pace: non quella proclamata a parole ma di fatto negata perseguendo strategie di dominio, supportate da scandalose spse per gli armamenti mentre tante persone sono prive del necessario per vivere" Pax Christi Italia Firenze, 16 Febbraio 2017 ________________ Contatti: Segreteria Nazionale di Pax Christi: 055/2020375 [email protected] Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d. Renato Sacco 348/3035658 [email protected] Nigrizia Notizie
Non c’è crisi per la spesa militare
Il comparto difesa vale l’1,4% del Pil e succhia risorse sia al ministero
degli esteri che a quello dello sviluppo economico. In più si spende
male e si spreca. L’analisi dell’Osservatorio Milex. di Alessia de Luca Tupputi
La crisi giova al comparto militare-industriale. Negli ultimi 10 anni, mentre i governi varavano riforme lacrime e
sangue per far fronte alle congiunture economiche negative e alla mancata crescita, la spesa militare in Italia è
cresciuta del 21%. Nel 2017 raggiungerà quota complessiva 23,3 miliardi di euro, circa l’1,4% del Pil. A
confermarlo, numeri alla mano, è il primo rapporto annuale dell’Osservatorio Milex, presentato ieri alla Camera:
un centinaio di pagine, ricche di dati, che tentano di fare luce su uno dei settori più opachi della nostra economia.
L’Osservatorio - fondato da Francesco Vignarca di Rete italiana per il disarmo e dal giornalista Enrico Piovesana
- punta a sfrondare il bilancio della difesa dalle voci non militari, come le spese per i Carabinieri impiegati per
l’ordine pubblico, integrandolo con quelle in conto ad altri dicasteri.
È così che si scopre che le missioni all’estero pagate dal ministero degli Esteri quest’anno superano il miliardo di
euro, toccando cifra 1,28. Più del 7% rispetto al 2016. E che il ministero dello Sviluppo economico (Mise) userà
l’86% dei suoi fondi (3,4 miliardi) - più della stessa difesa (2,3 miliardi) - per comprare armamenti.
15 milioni al giorno
Nel 2017 infatti, l’Italia spenderà per l’acquisto di armi, munizioni, missili, mezzi militari e artiglieria pesante
ben 5,6 miliardi di euro, ossia 15 milioni al giorno. Mezzi militari tradizionali, per lo più, mentre nel settore della
cyber-difesa, sempre più attuale, non spendiamo praticamente nulla, rivolgendoci all’estero per avere protezione
delle nostre strutture, dei nostri ministeri e delle nostre reti informatiche. «È necessario un cambio di rotta osserva Francesco Vignarca - con una politica di spesa militare più contenuta ma più efficiente, che limiti gli
sprechi e il procurement, determinato da logiche commerciali e di lobby, che portano la difesa a operare grandi
commesse nazionali in funzione della promozione dell’export».
Diretta conseguenza del meccanismo di incentivi pubblici strutturali alle industrie del comparto difesa, sono
programmi giustificati gonfiando le necessità (come nel caso del numero degli aerei da sostituite con gli F-35) e
il ricorso alla retorica del "dual use" militare-civile. È il caso della nuova portaerei Trieste presentata come nave
umanitaria, e delle fregate FREMM 2 presentate come unità per soccorso profughi e tutela ambientale. «Se la
Difesa vuole una nuova portaerei dovrebbe dirlo - osserva Vignarca - senza cercare di farla passare agli occhi del
parlamento e dell'opinione pubblica, come uno strumento di sostegno al recupero dei migranti in mare».
Più comandanti che comandati
Il rapporto evidenzia infine come a gravare maggiormente sui bilanci militari, siano i costi del personale. Circa il
60% della spesa militare italiana serve a pagare stipendi e pensioni delle forze armate, caratterizzate dalla
presenza di un maggiore numero di “comandanti” rispetto ai “comandati”. Secondo il Milex oggi si contano
90mila comandanti contro 81 mila comandati; nel 2024 le proporzioni dovrebbero cambiare radicalmente,
ammesso che si trovi un modo per ridurre 32mila marescialli e 4500 ufficiali in otto anni. «Finora le grandi
manovre per destinare i marescialli ad altre amministrazioni - osserva Piovesana - sono state una disfatta. Il
risultato? Spendiamo cifre blu per stipendi e armamenti superiori alle nostre reali esigenze (e che poi non
abbiamo i soldi per manutenere), investiamo poco nell'addestramento del personale e dimentichiamo i fronti su
cui sarebbe necessario investire: intelligence, prevenzione e difesa informatica».
CS n. 8/2017
Presentazione del Report 2017 della Fondazione Migrantes
Il Diritto d’asilo - Minori rifugiati vulnerabili e senza voce
16 febbraio ore 14,30-17,30
Corso regina Margherita 174, Torino
All’interno della cornice dei suoi studi che trattano specificatamente la mobilità umana, la Fondazione Migrantes, all’inizio del 2017, dedica un’analisi
specifica al mondo dei richiedenti asilo, partendo da una prospettiva storica che cerca di “afferrare” i tempi e le cause di un fenomeno che accompagna, da sempre, la cosiddetta “era delle migrazioni”. Esso, di recente, è “ripreso”, rendendosi visibile e allarmando, complice sicuramente una consistenza numerica più importante ma anche una informazione volta spesso più a“preoccupare” che a “informare”.
Questo volume prova attraverso le sue sezioni principali – Europa, Italia e MSNA – a muoversi su piani diversi.
Sul piano dell’analisi, cercando di rendere conto dello “stato di salute” del diritto d’asilo negli ultimi due anni, mentre prova anche a leggerlo con una
maggiore profondità temporale per capire come mai si è arrivati a questi nodi irrisolti così complessi, sia in Unione Europea che in Italia.
Fornisce quindi una lettura puntuale e critica, ma oltre a queste analisi, ipotizza anche delle strade percorribili per iniziare a gestire con diversa responsabilità il fenomeno delle persone in fuga, la loro accoglienza e i successivi percorsi di accompagnamento all’autonomia.
Alcuni dati
In Italia il totale delle persone in accoglienza alla fine dell’anno appena trascorso erano 177 mila. Nella gestione italiana di accoglienza e accompagnamento all’autonomia delle persone in fuga si osservano tre problemi di fondo:
• l’accoglienza straordinaria dei CAS cresce sempre più ed è quasi l’85% con i suoi oltre 137.000 posti assieme agli hotspot e i centri di prima accoglienza che arrivano a quasi 15.000 posti, mentre nelle accoglienze decentrate SPRAR in cui i Comuni sono i titolari ci sono solo poco più di 23.000
persone, meno del 15%. Quest’ultimo è un dato al quale prestare particolare attenzione per tre elementi fondamentali: il rapporto squilibrato tra persone in accoglienza e territorio; la trasparenza nella gestione dei fondi dedicati all’accoglienza; la qualità dei servizi realmente erogati alle persone.
• continuiamo a non avere un reale sistema di accompagnamento all’autonomia per tutte le persone a cui viene riconosciuta in Italia la protezione umanitaria o la protezione internazionale, dopo l’analisi della loro domanda d’asilo. Questa carenza di accompagnamento è una condizione che paradossalmente, proprio nel momento in cui vengono riconosciute titolari di una protezione, espone le persone ad altissimi rischi di precarietà, marginalità e disagio abitativo, lavorativo e sociale.
• l’effettiva accoglienza e tutela dei Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA), a cui è dedicato un approfondimento in questo volume, il problema
della sua efficienza ed efficacia continua ad essere un’altra grande criticità italiana. Il numero di MSNA sbarcati in Italia è più che raddoppiato dal
2015, quando ne sono arrivati 12.360, al 2016, quando ne sono giunti 25.772.
PROPOSTE PER USCIRE DALL’EMPASSE IN EUROPA
•
Creare canali di ingresso legale nell’Unione Europea e in Italia, non solo per chi è in fuga ma anche per chi è in cerca di lavoro. Questo si
può realizzare attraverso diversi strumenti, già sperimentati in varie situazioni internazionali: canali umanitari; permessi umanitari e temporanei rilasciati nelle ambasciate dei diversi Paesi europei all’estero; programmi non eccezionali ma stabili di resettlement (spostamento) tra i campi profughi
più vicini alle zone di conflitto e i diversi Paesi europei; facilitazione e rapidità dei ricongiungimenti familiari tra chi in Europa e nel nostro Paese ha
già una forma di permesso (sia esso di lavoro o umanitario, o di protezione internazionale): cosa che sarebbe già legalmente possibile ma che spesso
incontra numerosi ostacoli, ritardi e malfunzionamenti soprattutto burocratici. È un passaggio estremamente importante. Perché, in realtà, solo costruendo maniere legali di ingresso nell’Unione e in Italia (sia per motivi umanitari e domanda d’asilo che per ricerca di occupazione) avremo la capacità di contrastare i trafficanti e i terroristi e di esercitare una verifica più puntuale dell’identità di chi è in fuga, di chi ha bisogno di entrare in Unione
Europea e in Italia per ottenere una legittima protezione internazionale.
•
Superare definitivamente il Regolamento di Dublino. Questo accordo europeo aveva un senso a fine anni Novanta, quando era stato pensato
per riequilibrare il peso delle domande d’asilo tra alcuni paesi del Nord Europa che se ne stavano facendo carico responsabilmente e altri paesi del Sud
Europa, come Italia, Grecia, Spagna e Malta, che avevano tutt’altro atteggiamento. Oggi certamente tale Regolamento non solo è obsoleto, ma non
affronta il problema in modo propositivo aiutando a una distribuzione equa e giusta tra i diversi territori dell’Unione.
Bisogna arrivare a costruire un sistema d’asilo europeo, con quote nazionali di domande d’asilo che siano di competenza di ogni Stato. Questo sistema
2dovrebbe tener conto anche dei legami che le persone in fuga e richiedenti asilo potrebbero avere con un paese specifico, sia per ragioni linguistiche e
culturali, che per la presenza di reti familiari o amicali che potrebbero favorirne il percorso di autonomia.
•
Avere il coraggio di riconoscere che se un paese all’interno dell’Unione Europea non volesse accogliere persone in fuga da guerre e violenze, anche una volta verificato che quelle persone non rappresentino un potenziale pericolo, quel paese dovrebbe andare incontro a sanzioni reali e a un
percorso di messa in discussione della sua legittima appartenenza all’Unione Europea.
Questa forma di negazione del diritto di asilo rappresenta infatti una grave violazione dei trattati internazionali e dei diritti umani fondamentali, che
sono alla base della stessa Unione.
•
Cominciare a introdurre degli standards unici nell’Unione Europea, non solo riguardo alle definizioni, procedure e accoglienze dei richiedenti asilo, ma anche nella creazione di strumenti comuni di accompagnamento all’inserimento e all’autonomia. Per questi percorsi successivi alla
prima accoglienza, oltre al periodo di ingresso nel mondo del lavoro e al riconoscimento dei titoli di studio, servono anche delle politiche comuni minime di sostegno al reddito, di supporto abitativo e alla ricerca attiva del lavoro. Queste politiche se rivolte non solo ai titolari di protezione internazionale o umanitaria ma a tutte le persone in difficoltà abitativa e lavorativa, sarebbero l’occasione di ripensare un sistema di welfare nello scenario
attuale, specie in quegli Stati dell’Unione Europea che non ne hanno mai veramente avuto uno.
•
Smettere di negoziare accordi bilaterali con referenti politici di paesi che non rispettano i diritti umani e le convenzioni internazionali – vedi
Turchia, Sud Sudan, Gambia, Egitto – al fine di diminuire il numero delle persone in fuga da quei territori. Impegnarsi, invece, a non vendere armi alle
fazioni in conflitto e cominciare a fare una seria politica di pacificazione nel mondo, agendo quindi non già sulle vittime ma sulle cause reali che obbligano le persone a fuggire abbandonando le loro case.
PROPOSTE PER USCIRE DALL’EMPASSE IN ITALIA
• Rivedere la legge sull’immigrazione, al fine di creare canali di ingresso a diverso titolo: per ricerca di occupazione; con permessi temporanei umanitari; attraverso resettlement dalle zone di conflitto, usando anche le nostre ambasciate all’estero e lo strumento del ricongiungimento familiare.
• Superare la volontarietà di adesione dei Comuni italiani rispetto alla doverosa accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati per giungere così a una vera
accoglienza decentrata, non più minoritaria, ma capace di dispiegarsi in tutto il territorio nazionale.
Questa accoglienza potrebbe finalmente avere standard verificabili rispetto ai servizi che devono essere erogati e un controllo efficiente sui fondi stanziati che rimane invece molto difficile fare nella situazione attuale, in cui più dell’85% delle accoglienze avviene sotto un regime straordinario.
• Creare in ogni territorio servizi di accompagnamento, non solo per richiedenti asilo, ma per tutte le persone di quel territorio in difficoltà lavorativa
ed abitativa, anche grazie ai fondi dell’accoglienza e all’accompagnamento all’autonomia.
• Prevedere, come già avviene in altri paesi europei, la possibilità anche nella fase della domanda d’asilo (sia essa in Commissione territoriale o in Tribunale) di trasformare un permesso di soggiorno per richiesta di asilo in un permesso umanitario o in un permesso di lavoro.
Questa flessibilità normativa supporterebbe tutti quei casi in cui il richiedente asilo, durante il periodo di accoglienza in Italia, abbia seguito corsi di
italiano, di formazione e inserimento lavorativo o abbia svolto attività di volontariato o di aiuto alla comunità. Queste situazioni favoriscono infatti
l’inserimento sociale della persona e normalmente la aiutano a raggiungere una proficua autonomia abitativa e lavorativa, che però oggi necessita di
essere riconosciuta da un permesso di soggiorno coerente alla situazione di fatto (se questa è positiva).
• Mettere in piedi un reale ed effettivo sistema di tutela e accompagnamento per i MSNA che arrivano in Italia, riuscendo ad accompagnarli in sicurezza anche in un altro paese europeo se lì hanno figure adulte di riferimento. Riuscire, in tempi brevi e certi, a dare ad ogni MSNA che arriva su territorio italiano un tutore debitamente formato.
Implementare sempre più puntualmente un sistema non arbitrario e più tutelante di determinazione dell’età di quello che spesso viene usato ora. Creare accoglienze dignitose per i MSNA che coinvolgano tutte le regioni e che prevedano il coinvolgimento anche di famiglie o siano in semiautonomia e
non solo presso comunità per minori.
Attivare prontamente programmi ponte di tutela, per non farli cadere nell’abbandono al compimento dei 18 anni.
Questo volume, dunque, è nato e si è sviluppato dalla riflessione condivisa di studiosi e operatori al servizio del particolare mondo dei rifugiati affinché il 2017, nonostante il non brillante inizio, non sia ricordato, insieme al 2015 e al 2016, come uno degli anni in cui l’Unione Europea ha toccato i
gradini più bassi dalla sua istituzione; che sia, invece, l’anno in cui tanto nell’Unione Europea che in Italia, in particolare, si ricominci ad avere la
grandezza d’animo e la capacità di vedute per costruire, giorno dopo giorno, uno spazio comune di inclusione dove vivere senza paure, forti dei principi e dei valori raggiunti faticosamente da chi ci ha preceduti, ma che noi, con altrettanta responsabilità, dovremmo saper adattare ai tempi facendoli
valere non solo per noi, ma anche per chi oggi è in cerca di protezione.
Il volume sarà presentato, per la prima volta in Italia, a Torino, oggi, giovedì 16 febbraio – dalle ore 14,30 alle 17,30 – presso la sala Multimediale in Corso Regina Margherita, 174. Interverranno, per i saluti istituzionali, S.E. mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino e la Dr.ssa
Monica Cerutti, Assessore alle Politiche giovanili, Diritto allo studio universitario, Cooperazione decentrata internazionale, Pari opportunità,
Diritti civili, Immigrazione della regione Piemonte.
Seguirà una Tavola rotonda sul tema “Il Diritto d’Asilo: le sfide in Europa e in Italia” moderata da Mariacristina Molfetta e Delfina Licata
della Fondazione Migrantes, alla quale interverranno Chiara Marchetti, Elena Rozzi, Gianfranco Schiavone, Maurizio Veglio mentre S.E.
Mons. Gian Carlo Perego, Arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio e Direttore generale della Fondazione Migrantes, tratterà il tema “La
Chiesa in Italia e l’accoglienza”.
Roma, 16 febbraio 2017
Per informazioni
Ufficio Stampa Fondazione Migrantes (Raffaele Iaria):
+39 06.66179039 cell: 3392960811
[email protected] www.migrantes.it
CAMPAGNA CEI MIGRANTI:
DON DEMBELE (MALI), CONVINCETE I NOSTRI GIOVANI A NON EMIGRARE
Parla don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza episcopale del Mali. È a Roma per avviare insieme alla
Cei un progetto di sensibilizzazione nel suo Paese ai rischi della migrazione. "Una volta usciti dal Mali - dice - i giovani si
ritrovano senza mezzi per sopravvivere. Alcuni si ammalano, altri si feriscono, alcuni addirittura muoiono. E poi si apre
davanti a loro il mare e la prospettiva reale di non arrivare mai a destinazione, di morire, di perdere tutto"
“La prospettiva migliore per i giovani del Mali è rimanere nel loro Paese e cercare di costruirsi un futuro lì, anche se con
pochi mezzi e tra mille difficoltà. Perché partire e intraprendere le rotte della migrazione significa affrontare rischi seri,
trovarsi di fronte a pericoli che possono essere purtroppo anche mortali”. Per questo la Campagna che la Cei ha intenzione
di realizzare grazie ai fondi dell’8xmille per continuare a sensibilizzare i giovani al diritto di rimanere sulla propria terra è
di “vitale importanza”. A parlarne con il Sir è l’abbé Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza episcopale
del Mali.
È arrivato a Roma per una serie d’incontri con la Conferenza episcopale italiana dove diversi uffici stanno lavorando alla
messa a punto di un progetto articolato, rivolto in particolare ai minori migranti non accompagnati, che parte dai Paesi di
origine, li segue lungo il tragitto di migrazione nei Paesi di transito, li accoglie nei porti italiani. Un mese fa, fu monsignor
Vincent Louis Marie Landel, arcivescovo di Rabat, in Marocco, a presentare alla Cei la situazione di migranti in transito
nel suo Paese. In questi giorni, è il segretario generale dei vescovi del Mali a parlare alla Cei.
Don Dembele, gli italiani fanno fatica a capire perché così tanti giovani fuggono dal Mali. Ci può spiegare lei
perché?
Ci sono più ragioni che spingono i giovani a emigrare. Una è legata strettamente alla storia. Gli abitanti del Mali sono, per
natura, commercianti. C’è quindi una innata tendenza ad andare a lavorare all’estero, fare soldi e tornare poi a investirli nel
Paese. L’altra ragione è legata certamente alla povertà. Il Mali è un Paese a basso reddito e la popolazione ha la tendenza a
cercare possibilità di reddito più alto nei Paesi vicini, in Europa o altrove. La terza ragione è legata alla sicurezza. Il Mali è
un Paese in difficoltà da almeno 5 anni e le persone che vivono nelle zone colpite da violenze e attentati, lasciano le loro
case per andare a vivere in luoghi dove è possibile una vita migliore.
Con quali rischi?
I rischi sono molteplici. All’interno del Paese il primo rischio è quello di svuotare i villaggi: i giovani abbandonano i loro
genitori che ritrovandosi soli, vivono poi in condizione di non sicurezza. Numerosi sono i rischi lungo il tragitto, già sulla
via interna che percorrono in Mali per dirigersi verso il Nord e raggiungere l’Algeria, il Marocco ed eventualmente la
Libia. Una volta usciti dal Paese spesso si ritrovano senza mezzi per sopravvivere. Alcuni si ammalano, alcuni addirittura
muoiono. E poi si apre davanti a loro il mare e la prospettiva reale di non arrivare mai a destinazione, di morire, di perdere
tutto.
Ma se sono disposti a morire, vuol dire che forse nulla li può fermare?
Ci sono alcuni che decidono di partire perché non sono consapevoli dei rischi che li aspettano. Dunque ignorano
completamente il pericolo e intraprendono il viaggio con la convinzione di arrivare a destinazione. Purtroppo quelli che
sono già arrivati in Europa non raccontano la verità, non parlano dei rischi e dei pericoli che hanno vissuto lungo il tragitto.
C’è poi chi, pur conoscendo i rischi, decide di partire. È tipico della mentalità musulmana dire: se Dio vuole, arriverò a
destinazione. Se Dio non lo vuole, vorrà dire che fallirò ma non sarà colpa mia. Ci sono poi alcuni che, pur conoscendo i
rischi, partono perché non hanno altra possibilità. Sono poveri, non hanno alcuna prospettiva futura e dicono che, per
quanto i rischi siano grandi, non saranno mai tanto gravi come la situazione che vivono a casa.
Sono coscienti che in Italia non troveranno sempre porte aperte?
Non conosco la situazione dei maliani in Italia. Conosco forse meglio la situazione dei maliani in Francia. Effettivamente
sappiamo che non è una situazione facile. Purtroppo i giovani in Mali credono, anzi sono sicuri, che in Europa le
condizioni di vita siano migliori rispetto al loro Paese. Cosa che non è vera ed è proprio quello che cerchiamo di spiegare ai
giovani. È vero, in Mali ci sono difficoltà – è vero – ma è meglio rimanere, lavorare e cercare di costruirsi una vita
piuttosto che partire all’estero e rischiare la vita o trovarsi totalmente emarginato.
È l’obiettivo che si prefigge il progetto della Cei?
È di vitale importanza perché davvero non si considerano i pericoli di partire. E allora molti, per questo, perdono la vita,
altri si feriscono, altri ancora si ammalano per sempre. Ma è importante anche perché bisogna che i giovani africani
imparino a migliorare le proprie condizioni di vita nei loro Paesi. Non è fuggendo che possono trovare soluzioni ai loro
problemi. Forse aspettano solo qualcuno che dica loro che vale la pena rimanere e lavorare perché le cose migliorino.
M. Chiara Biagioni
Da ALTRECONOMIA 14 febbraio 2017
MIGRANTI E LAVORO: UNA RICERCA SFATA ALCUNI FALSI MITI
L’80% dei migranti presenti in Italia risiede nel nostro Paese da oltre 5 anni. Tra gli stranieri, il 34% svolge lavori poco
qualificati, ma il problema è principalmente nostro: se arrivano molti soggetti con un livello di formazione basso, è perché sono
gli unici che sappiamo attrarre. Lo spiega lo studio “Migration Observatory’s Report: Immigrants’ integration in Europe”
Nei Paesi mediterranei più di 4 stranieri su 5 sono arrivati da oltre 5 anni. Dal 2011, inoltre, Italia, Spagna, Francia e Grecia registrano
il minor numero di nuovi arrivati in rapporto alla popolazione.
Questo è la fotografia scattata dallo studio “Migration Observatory’s Report: Immigrants’ integration in Europe”, condotto dal Centro
Studi Luca d’Agliano e il Collegio Carlo Alberto dell’Università degli Studi di Torino, e pubblicato ad inizio febbraio 2017. Le rilevazioni
sono state condotte nel 2015. A livello europeo la media di stranieri, intesi come persone non nate nel Paese in cui risiedono, è pari a
circa il 10% della popolazione, e di questi quelli arrivati negli ultimi 5 anni sono meno di un quinto. La maggior parte degli stranieri
residenti in Europa, cioè, è presente da lunga data.
La ricerca è condotta attraverso il data set European Force Survey, concentrandosi sulla distribuzione della forza lavoro in Europa,
misurando anche i livelli di integrazione economica e lavorativa degli immigrati in tutti i paesi europei.
L’analisi copre tutti i 28 paesi dell’UE, più Norvegia, Svizzera e Islanda. Una realtà, dati alla mano, differente da come appare nelle
cronache quotidiane, soprattutto per i Paesi meridionali. “La percezione che abbiamo ogni tanto è che sia un fenomeno
completamente recente, ma non è così. Non lo è in tutta Europa, nemmeno in Italia, dove solo il 10% degli immigrati è residente da
meno di 5 anni” spiega Tommaso Frattini, professore di Economia del Lavoro all’Università di Milano e responsabile dello studio
assieme a Ainhoa Aparicio Fenoll del Collegio Carlo Alberto di Torino.
Al 2015 erano 5,7 milioni gli stranieri in Italia, dei quali solo 580.000 arrivati negli ultimi 5 anni. Altro aspetto, ben più
“impressionante” stando alle parole del professore, “è la stretta correlazione tra il livello di istruzione del Paese e quello di chi arriva.
Perché l’offerta di lavoro si orienta in relazione al livello d’istruzione”.
“La qualità della forza lavoro immigrata si orienta in corrispondenza all’istruzione del Paese” questo è sinteticamente quanto rilevato
attraverso la ricerca.
Così i Paesi del Nord -Gran Bretagna, Germania, Norvegia - attirano forza lavoro più qualificata, perché il livello medio di istruzione
dei residenti è più alto. Sono circa il 30 % i residenti che hanno concluso studi terziari ovvero università e master. Direttamente
proporzionale, la situazione per i Paesi dell’Europa meridionale, dove il livello di formazione è medio-basso, come in Italia, dove il 53%
dei residenti hanno completato solo la scuola elementare a fronte di un 12% che hanno concluso l’università.
L’Italia, quindi, spicca tra i Paesi che hanno la più bassa percentuale di “nativi” (così vengono definiti nella ricerca) con istruzione
terziaria e infatti accoglie meno immigrati con istruzione terziaria: appena il 12%, contro un 47% che ha concluso studi primari.
Ma se a determinare la scelta di arrivare in Germania invece che in Spagna sarà il livello di istruzione della persona rispetto a quello
del Paese, le possibilità di integrazione lavorative sono opposte. A maggiori competenze corrispondo infatti meno possibilità di
lavorare per i non residenti rispetto ai nativi nei Paesi del nord. Diversa la situazione nei Paesi meridionali, nei quali si registra più
richiesta di lavoro non qualificato e con bassa retribuzione, che porta ad un tasso di occupazione dei nativi basso (mentre quello dei
migranti è più alto). “In Italia richiedono manodopera a basso costo non qualificata da fuori dal Paese, e perdono quella qualificata
autoctona” spiega ad Altreconomia il professor Frattini.
La popolazione straniera in Italia è pari all’8,3%, e meno di un quarto risulta “occupato”. Il 34% svolge mansioni poco qualificati: i
migranti occupano quei ruoli lavorativi che risultano sostenibili riducendo, ad esempio, gli interventi di prevenzione e sicurezza per le
condizioni di lavoro.
Se ci concentriamo sui dati legati al genere, risulta che il 55% degli stranieri sono donne, le quali trovano impiego in lavori manuali o
domestici, e andranno incontro ad assunzioni non regolari.
I dati Istat al 2014 dimostrano come quasi la metà degli incidenti in ambito domestico riguardi mansioni svolte da donne, ma che
questi non vengano inseriti nei rilevamenti sui rischi e gli incidenti per i lavori manuali. La colpa di questa situazione potrebbe
annidarsi in un problema strutturale del sistema del lavoro ma “non sappiamo se siano i ‘nativi’ non disposti a fare quei lavori, i datori
di lavoro a non assumerli, o che ciò sia dovuto al fatto che l’immigrato fa meglio alcuni tipi di lavoro” afferma Frattini.
Gli immigrati, nonostante abbiano caratteristiche sfavorevoli per il mercato del lavoro, come la poca conoscenza della lingua, hanno
più possibilità di trovare lavoro. Questo è valido per l’Italia.
La Norvegia ha la più alta concentrazione di immigrati arrivati negli ultimi 5 anni, ma ciò dipende dal fatto che storicamente ha avuto
bassi livelli di immigrazione. Per il Paese scandinavo, la metà dei nuovi arrivi degli ultimi 5 anni, che sono il 34% sul totale degli
stranieri, sono provenienti da Paesi dell’Unione Europea. Questo è dovuto sempre al fenomeno della distribuzione della forza lavoro
qualificata in relazione al Paese.
Molte persone sono state attirate per la domanda di forza lavoro altamente qualificata con la speranza di soddisfare le loro
aspirazioni lavorative. Ne consegue che “il crescente interesse per l’immigrazione non è solo a causa della cosiddetta ‘crisi dei
rifugiati’, che ha portato a un picco dei valichi non autorizzati alle frontiere europee, ma anche per l’aumento della mobilità
all’interno dell’Ue” spiega la ricerca.
Seguono tra gli arrivi in Norvegia, Africa (19%), Paesi extra Ue (17%), Asia (15%) e America (10%). di Chiara Carovani
BOLOGNA
Praticare l'arte e liberare emozioni: i richiedenti asilo
dipingono nel Closlieu di Riola
Dieci ragazzi provenienti da diversi Paesi dell’Africa e dal Pakistan accolti nei
Comuni dell’Appennino bolognese in strutture gestite da Lai-momo dipingono in
uno spazio di libera espressione artistica. Obiettivo? Dare loro la possibilità di
gestire le emozioni, equilibrarsi e rafforzarsi
17 febbraio 2017
BOLOGNA – Uno spazio protetto di libera espressione artistica rivolto a richiedenti asilo. È il
Closlieu di Riola, frazione di Grizzana Morandi nel bolognese, condotto da Juliane Wedell,
operatrice della cooperativa Lai-momo, insieme allo psicologo Paolo Ballarin. Attivo da novembre
2016, il Closlieu accoglie una volta alla settimana una decina di ragazzi pakistani e africani accolti
nelle strutture gestite da Lai-momo a Riola ma anche a Vergato, Castel d’Aiano, Granaglione,
Lizzano (Unione comuni Appennino bolognese). Obiettivo? Sostegno psicologico per i ragazzi e
dare loro la possibilità di sbloccarsi, di gestire le proprie emozioni, di equilibrarsi e rafforzarsi.
“L’attività non è art therapy anche se ha un effetto terapeutico. I partecipanti mettono da parte il
mondo esterno e le preoccupazioni ed entrano in una dimensione positiva, quella della libera
espressione artistica”.
Il Closlieu è stato ideato da Arno Stern, fondatore della teoria della formulazione, che lavorando
con gli orfani di guerra a Parigi nel secondo Dopoguerra, ha compreso l’importanza per i bambini di
dipingere giocando e ha creato per loro un allestimento particolare, una stanza in cui esprimere la
propria creatività, in cui dipingere senza inibizioni. In questo modo Stern ha dato vita
all’educazione creatrice, una teoria che si oppone a tutto ciò che è condizionamento e dipendenza e
promuove l’autonomia della persona, legando lo sviluppo personale all’esperienza sociale. Nel
Closlieu si ha la possibilità di realizzarsi tra gli altri e non contro gli altri, con conseguenze a lungo
termine sulla vita di tutti i giorni. Juliane Wedell si è formato a Vienna con lo stesso Stern e ha
riproposto il Closlieu ai richiedenti asilo. Tra loro c’è chi è restio a prendere il pennello e chi inizia
subito con grande serietà, tra i dipinti ci sono case, animali, elementi naturali, il proprio nome.
La stanza in cui si svolge il laboratorio è rivestita da pannelli su cui sono fissati fogli per disegnare.
Al centro c’è un tavolo con 18 barattoli di colore e 3 diversi pennelli per colore. “Nel Closlieu si
dipinge in totale libertà e seguendo i propri tempi, in piedi e con un rituale preciso: tenere con cura
il pennello, utilizzare un solo colore per volta, non giudicare il proprio dipinto o quello degli altri.
Così si dà spazio alla propria espressione artistica, liberi da giudizi e competizioni, con la
spensieratezza di un gioco e la serietà di un lavoro”.
Il gioco viene condotto dal Practicien, in questo caso Juliane, che non giudica, non insegna e non
interpreta ma favorisce l’espressione artistica: gira per la stanza, incoraggiando, sistemando i
pennelli e controllando acqua e colori. Il suo obiettivo è consolidare il laboratorio e, magari, aprirlo
alla comunità locale per condividere l’esperienza tra nuovi arrivati e residenti. (lp)
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MILANO
"Io ci metto la casa, e tu?". Cercansi alloggi per accogliere i
richiedenti asilo
Case vuote a Milano non ne mancano. E allora perché non cercare di usarne qualcuna per
creare un'accoglienza diffusa? L'idea è venuta all'Agenzia dell'Abitare (Ada) della
cooperativa sociale “La Cordata”. Per ogni casa messa a disposizione, Ada stipula un
contratto d'affitto con il proprietario e cura l'inserimento dei migranti nel condominio
14 febbraio 2017
MILANO - Case vuote a Milano non ne mancano: secondo le stime dei sindacati degli inquilini sono circa 35
mila. E allora perché non cercare di usarne qualcuna per creare un'accoglienza diffusa dei richiedenti asilo?
L'idea è venuta all'Agenzia dell'Abitare (Ada) della cooperativa sociale “La Cordata”, insieme ad altre quattro
imprese sociali. Hanno infatti lanciato l'iniziativa "Io ci metto la casa, e tu?", con cui cercano appartamenti
disabitati da destinare a progetti di housing sociale, garantendo ai proprietari la certezza di un reddito dall’affitto.
"Abbiamo iniziato in dicembre e sono arrivate offerte da tutta la Lombardia - racconta Valeria Inguaggiato,
coordinatrice di Ada -. Abbiamo selezionato solo quelle su Milano e oggi sono una decina gli appartamenti in cui
sono ospitati richiedenti asilo".
Per ogni casa messa a disposizione, Ada stipula un contratto d'affitto con il proprietario e cura
l'inserimento dei migranti nel condominio. "Cerchiamo di capire qual è la situazione -aggiunge Valeria
Inguaggiato- e di assegnare le persone più adatte a inserirsi più facilmente. Spesso ci sono inquilini disposti a
dare una mano. Per ora non ci sono stati particolari problemi". L'ospitalità dei migranti è a tempo determinato.
"L'obiettivo è che si rendano autonomi, così da lasciare l'appartamento ad altri". Il progetto di queste cinque
imprese sociali, che hanno dato vita a una rete chiamata Passpartout, è replicabile ovunque e a favore non solo
dei migranti, ma anche di altre fasce deboli della popolazione. Ci vuole però la disponibilità dei proprietari di
casa, che comunque ne traggono un indubbio vantaggio. "Per ora hanno dato la loro casa vuota famiglie che
hanno avuto nella loro storia esperienze di volontariato o che sono sensibili alle tematiche sociali. Qualcuno da
sola aveva già messo a disposizione un alloggio a persone in difficoltà e ora preferisce farlo avendo alle spalle
un'organizzazione", conclude Valeria Inguaggiato. Chi è interessato all'iniziativa può chiamare i numeri 377
1771405 e 377 1771423, oppure può scrivere a [email protected]. (dp)
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CARITAS CUNEO
PROGETTO DI HOUSING SOCIALE "CROCEVIA46"
Facendo seguito a quanto emerso nel seminario sull’housing sociale dell’ottobre 2013, Caritas
diocesana di Cuneo in collaborazione con le Cooperative Sociali Emmanuele e Momo si avvia ad
aprire nei prossimi mesi la residenza temporanea con l’obiettivo di contribuire a promuovere una
nuova cultura dell’abitare e a migliorare al contempo le opportunità abitative di alcuni segmenti di
popolazione.
Crocevia46 è la prima esperienza di housing sociale in città attraverso la quale si intende
sperimentare un mix sociale dove, accanto a sei alloggi per chi si trova in situazioni di temporanea
vulnerabilità socio-economica e abitativa, siano presenti realtà economiche del territorio.
In questa direzione, Crocevia46 dispone di un piano terra con giardino interno - i cui spazi saranno
affittati a privati, soggetti del terzo settore o associazioni per usi professionali o commerciali - e di
un terzo piano con sette stanze destinate a studenti o lavoratori che necessitano di una sistemazione
temporanea in città.
Il progetto Crocevia46 è stato presentato in un incontro pubblico a Cuneo venerdì 17 febbraio ed è
realizzato con il contributo di Diocesi Cuneo Caritas Diocesana, CEI 8xMille,
Compagnia di San Paolo Programma Housing, Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo.
Da ITALIA POST
Amnistia e Indulto News: A Bollate ora i detenuti
possono inviare email
Di Valentina Addesso -16 febbraio 2017
Negli ultimi giorni si è parlato molto del carcere di Bollate a Milano, prima per via della visita fatta
da Laura Boldrini, poi per la risposta data da Rita Bernardini alla Boldrini stessa. Oggi una nuova
notizia ci conferma l’unicità di Bollate come carcere dignitosa e al passo coi tempi.
Un carcere da prendere come esempio, questo è il succo della visita fatta da Laura Boldrini il 14
febbraio scorso a Bollate.
E ancora una volta, con il passaggio dalla semplice lettera su carta, con tempi di invio e di attesa
lunghissimi, all’istantaneità della posta elettronica, Bollate si conferma uno dei penitenziari migliori
d’Italia.
Da oggi infatti i detenuti di Bollate, grazie all’iniziativa “Zeromail” gestita dalla cooperativa
sociale Zerografica, hanno la possibilità di connettersi ad internet per inviare della posta elettronica.
Nei primi giorni del servizio sono stati già inviati più di 500 messaggi, dagli auguri di San
Valentino alle lettere per l’avvocato.
L’organizzazione del servizio è molto semplice: i detenuti scrivono i loro messaggi su di un foglio,
questi vengono scansionati ed inviati entro la giornata. All’arrivo della risposta i meccanismo si
ripete al contratio: i messaggi in arrivo vegono stampati, chiusi in una busta e consegnati ai
destinatari. “Chi vuole può mandare anche disegni o foto -spiega uno degli incaricati –Possono
scrivere in qualsiasi lingua. Per gli stranieri è veramente la soluzione di un problema che
sembrava insormontabile: se per un italiano i tempi per far arrivare una lettera è in media di dieci
giorni, per loro potevano passare anche mesi”.
Ancora una volta, in questo modo, stride la differenza tra un cercare che funziona e i numerosi casi
di penitenziari che sono al limite della legalità, dove la vita della popolazione carceraria è pessima.
Questa è la lotta che in prima linea sta combattendo Rita Berardini che, fedele al pensiero radicale,
è in sciopero della fame da più di dieci giorni per amnistia e indulto.
NOVARA
Job wanted
Cercare lavoro è un lavoro
Cercare lavoro è un lavoro: suggerimenti, consigli, opportunità per chi è in cerca di un'occupazione.
Appuntamento a Novara con Macinaidee venerdì 24 febbraio alle ore 18.30
NOVARA Istituto Castelli
PROGETTO SECONDA FINESTRA 2016 DEI BANDI FCN
CHI TACE CON LE LABBRA CHIACCHIERA CON LA PUNTA DELLE DITA
Il bisogno
La sfera dell'apprendimento gioca un ruolo fondamentale nel processo di formazione e crescita di ciascun
ragazzo. Tale consapevolezza guida l'azione del Gruppo di Lavoro e Studio di Istituto, una commissione mista
dell'Istituto Castelli, composta dal coordinatore delle attività didattico/educative, dal docente referente per il
progetto BES (Bisogni Educativi Speciali), dai docenti di sostegno e il cui scopo è quello fornire risposte alla
vasta area di svantaggio individuata, studiando e coordinando attività mirate alla promozione dell'inclusione
scolastica.
Obiettivi del progetto
Il progetto è rivolto ad alunni DSA (disturbi specifici dell'apprendimento) e BES. Per tre pomeriggi a settimana,
da ottobre a giugno 2017, due operatori specializzati e quattro volontari dell'Associazione Amici del Castelli
(partner di progetto) offriranno ai ragazzi coinvolti attività ritmico-corporeo-musicali (laboratori teatrali e
musicali) in un'aula predisposta allo scopo, con l'obiettivo di abbassare i livelli di ansia da prestazione,
esplorare il proprio ritmo, migliorare le abilità implicate nella letto-scrittura, aumentare l'autostima,
favorire il senso di appartenenza a un gruppo.
Contributo della FCN
La FCN ha promesso la copertura integrale del contributo richiesto (5.000,00 €), ma a condizione che venga
superata una sfida.
Perché maturi il diritto allo stanziamento integrale, l'Istituto dovrà raccogliere a favore del proprio progetto
donazioni pari al 20% (1.000,00 €) del contributo richiesto.
ARONA
Presentato il progetto educativo contro lo spreco di cibo
Saranno distribuite 1.200 “Good food bag”, le borse di Legambiente per trasportare i cibi non
consumati alla mensa scolastica.Il progetto prevede anche delle lezioni supportate da
materiale didattico informativo che affronta il tema degli sprechi e del consumo delle risorse
del pianeta.
Arona, 16 febbraio 2017. Di fronte a un folto pubblico di genitori la prof. Gabriella Rech, il dirigente scolastico
dell’ Istituto comprensivo Giovanni XXIII, ha presentato un progetto didattico che coinvolgerà gli alunni della
scuola primaria e secondaria sul tema degli sprechi alimentari e della gestione attenta delle risorse del pianeta.
A completamento del progetto didattico, nel corso del prossimo mese verranno distribuite gratuitamente a tutti
gli alunni le “Good Food Bag”; dei contenitori ideati e realizzati da Legambiente per il trasporto di cibo non
consumato a scuola. Questa iniziativa consente di far riflettere sugli stili di vita virtuosi che devono essere
adottati per mitigare e limitare gli sprechi e l’impatto sull’ambiente.
Alcuni alunni, coordinati dal Prof. Mauro Fossati hanno poi messo in scena una rappresentazione mimica di
alcune situazioni quotidiane dove il cibo viene buttato, (pranzi in famiglia, feste di compleanno, cene al
ristorante etc.) dimostrando che questo comportamento è molto abituale e non vengono tenute in considerazione
le conseguenze negative.
Ha fatto seguito un intervento sul tema del consumo consapevole tenuto dal Dott. Enrico Nada, responsabile
della politiche sociali e relazioni esterne di Novacoop, che nell’ambito del programma “Adotta una scuola” è
impegnata a sostenere diverse iniziative nelle scuole pubbliche del Piemonte, tra cui questo progetto.
Sono intervenuti anche l’assessore Marina Grassani che ha sottolineato il patrocinio e il sostegno del Comune
di Arona a questo progetto e Massimiliano Caligara, in rappresentanza di Legambiente e della Rete
NondisoloPane, il quale dopo aver ricordato che mediamente una famiglia, in un anno butta circa 11 kg di cibo
ha illustrato le caratteristiche e le modalità di utilizzo del contenitore per il trasporto del cibo a casa.
Al termine i soci del presidio Coop di Arona hanno offerto un “apericiclo” con degustazione di prodotti di
stagione della cucina povera del territorio.
La prof. Gabriella Rech ha dichiarato: “Ringrazio Legambiente e Coop per averci proposto e sostenuto in
questo importante progetto educativo, finalizzato alla sensibilizzazione verso il problema dello spreco di cibo. Il
materiale didattico disponibile per i docenti è molto ampio e valido e la raccolta di informazioni scientifiche e le
bibliografie informative di base sui diversi temi ambientali, prodotti da Legambiente, sono delle risorse molto
utili che ci consentiranno di impostare anche altri progetti educativi, ottimizzando così il nostro lavoro”.
“Abbiamo importato questo progetto di Legambiente che è stato realizzato per le scuole di Milano in occasione
di Expo. Grazie a Coop, alle associazioni della Rete Nondisolopane e alla disponibilità del dirigente scolastico
dell’Istituto Comprensivo Giovanni XXIII siamo riusciti a replicarlo, naturalmente aggiornandolo e adattandolo
alle specificità del nostro territorio” ha dichiarato Massimiliano Caligara. “Questa collaborazione tra
associazioni ed entità diverse, che siamo riusciti ad attivare, è un modello molto efficace che pensiamo di
sviluppare ulteriormente nel prossimo futuro, per riuscire a gestire – grazie a queste sinergie - anche nella
nostra zona importanti progetti nazionali e internazionali nell’ambito della tutela ambientale e della
solidarietà”.
CENTRO DI ASCOLTO CARITAS DI PALLANZA
Cucito, maglia e uncinetto
Imparare a cucire, lavorare a maglia e uncinetto possono diventare una opportunità di lavoro. Il
Centro di ascolto Caritas di Pallanza invita tutti gli interessati a prendere contatti per sfruttare al
meglio queste opportunità.
GIOVANI SOLIDALI A VERBANIA
Verbania Notizie 15 Febbraio 2017
Scout al Muller di Intra
È ripresa con l’anno nuovo l’esperienza di servizio chiamata “noviziato” dei ragazzi Scout del Clan di Pallanza 1
presso la Casa di Riposo Muller di Intra.
Vista l’esperienza assolutamente positiva dell’anno scorso, il gruppo Scout e la Direzione della Casa hanno
voluto rinnovare la collaborazione che vede interessati, da gennaio fino a giugno, sei ragazzi e ragazze dai 16 ai
21 anni.
Nella loro attività di servizio gli Scout assistono gli ospiti nelle attività quotidiane di animazione, affiancano gli
educatori durante la giornata e trascorrono del tempo tenendo compagnia agli anziani.
L’esperienza, oltre a garantire ai ragazzi gli obbiettivi propri del noviziato, offre alla Struttura un’ulteriore
occasione di apertura e vicinanza tra i suoi abitanti e la cittadinanza verbanese, da sempre attenta e vicina alla
storia della Casa.
Studenti "Erminio Maggia" donano stampelle
Il giorno 8 febbraio, durante il progetto “A braccia aperte” con la società sportiva GSH Sempione ’82, è
avvenuta la consegna ufficiale di un paio di stampelle, al giovane atleta Nicolas Zani.
Le pregevoli stampelle, prodotte dall’azienda di Renato Brignone, altro disabile sempre presente al nostro
progetto, sono state acquistate attraverso una colletta voluta da alunni e professori.
La sensibilità degli studenti del Maggia si è cosi concretizzata con la donazione di questi importanti strumenti a
Nicolas, un ragazzo diciasettenne con un’importante disabilità fisica che fin dalla nascita gli crea difficoltà nella
deambulazione. Tuttavia Nicolas dimostra una grande energia e voglia di fare, come testimoniano le sue diverse
vittorie ottenute nel nuoto e nell’atletica leggera ai campionati italiani paralimpici.
Sembra anche che i genitori, per incentivarlo al movimento, gli chiedano di salire al quarto piano di casa con le
scale e non prendendo il comodo ascensore.
Durante la mattinata passata insieme a scuola, Nicolas ha continuato a sorridere e dopo aver ricevuto le
stampelle non smetteva più di ringraziare tutti gli studenti per l’utilissimo dono ricevuto.
Primo soccorso e prevenzione incendi presso il
CST a Domodossola
Il Centro Servizi per il Territorio organizza, presso la sede di Domodossola, una speciale sessione
formativa dedicata al tema della sicurezza (ai sensi del D.Lgs. 81/08, del D.M. 388/2003 e del
D.M. 10.03.1998) e in particolare:
Corso di formazione per addetti al primo soccorso aziendale
Corso di formazione per addetti al servizio di prevenzione incendi (rischio basso)
La proposta è a numero chiuso.
Per iscriversi occorre consegnare la scheda di iscrizione (in allegato) presso una delle sedi del CST
oppure inviarla a mezzo posta elettronica all’indirizzo: [email protected] (link sends email)
“Città di Dio”
Associazione ecumenica di cultura religiosa
e
Frati minori di Monte Mesma
LA MISERICORDIA NELL’ARTE
ANDREA DALL’ASTA
SABATO 25 FEBBRAIO 2017
Convento del Monte Mesma - Ameno (NO)
Ore 15,00 - 18.00
STAMPATO PRESSO
Dopo la lettura del “Liber Pastoralis” del vescovo Franco Giulio Brambilla
No all’accidia, il pensiero cattivo che può paralizzare
la vita delle comunità cristiane.
“E’ necessario che i pastori diventino esperti in umanità aggiornando continuamente i loro
linguaggi, ma soprattutto imparando, dallo stare con la gente, la lingua della vita, le fatiche della
famiglia, la passione civile, l’impegno di volontariato. Il rapporto del pastore con i laici non è
opzionale, ma decisivo perché la sua azione pastorale sia feconda, e perché insieme, pastori e laici,
diano testimonianza del vangelo incarnato”.
E’ alla luce di questa affermazione 1 che ho letto con interesse il recente “Liber pastoralis” del
nostro vescovo, Franco Giulio Brambilla.
Liber pastoralis: che cos’è.
Che cosa sia o che cosa voglia essere il libro è l’Autore stesso a dircelo.
Non un trattato di teologia pastorale, ma una meditazione sapienziale sui capitoli essenziali
della cura della vita delle persone 2 per far crescere una comunità credente in grado di essere luogo
dell’accoglienza e della trasmissione del vangelo (p. 6). Alcuni segnavia per annunciare con sorgiva
freschezza la gioia del vangelo, sognando un agire pastorale a servizio della vita delle persone
focalizzato “sulla testimonianza dei cristiani nell’unità della chiesa come testimonianza” (p. 239). Un
ideale vademecum per snellire una chiesa obesa e liberarla da molti gravami, così che possa davvero
essere e diventare sempre di più una chiesa in uscita (p.8) missionaria. Un canovaccio da mettere a
disposizione di tutti gli attori della testimonianza cristiana (presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate,
laici e laiche) per convergere insieme su pochi ma decisivi punti di una regola della comunità (pp. 6566) che aiuti ad uscire dal chiuso delle sicurezze e dei riti per slanciarsi nel mare aperto di una
testimonianza (p. 97) adulta, matura, umile, rispettosa ed attraente.
Meditazione sapienziale, segnavia, vademecum, canovaccio, riflessioni maturate sulla soglia
del nostro tempo che, come ci ricorda spesso papa Francesco 3, non è solo un’epoca di cambiamento,
ma un cambiamento d’epoca” (p.6) che richiede, da un lato, di vivere i problemi non come ostacoli,
ma come sfide 4 e, dall’altro, di farci carico degli interrogativi che questo cambiamento porta con sè 5.
Ad ogni mutamento epocale occorre concentrarsi sull’essenziale e recuperare la linfa vitale
dell’origine” (p. 17): per farlo è necessario far emergere la bellezza invitante del contatto con il
vangelo vivo, annunciato con fiducia nella sua nudità.
Perché e per chi è scritto
L’aria di primavera che, grazie allo stile e al contenuto del ministero petrino di Francesco, si
sta respirando nella chiesa è favorevole a far crescere vita nuova (pp. 149-150). Sembra, tuttavia, che
oggi nel vissuto di tanti cristiani (vescovi, presbiteri e laici – uomini e donne) faccia pericolosamente
capolino l’accidia spirituale: una sorta di torpore e di rassegnazione che in alcuni contesti attraversa
parole e gesti, o addirittura una stanchezza che narcotizza le coscienze (p.9).
Il libro che il vescovo Franco Giulio Brambilla ci regala è scritto proprio per mettere alla
porta la devastante tentazione dell’accidia pastorale (p.10) nonché per neutralizzare l’apatia e la
stanchezza che “minano come un mal sottile la fatica del ministero pastorale” (p.240). Fermamente
1
Franco Giulio Brambilla, Liber pastoralis, Editrice Queriniana, Brescia 2017, pp. 144-145.
Mi prendo la libertà di modificare in “cura pastorale della vita delle persone” il sintagma “cura animarum” (cura
d’anime) che ricorre ventotto volte nel libro e che a me proprio non piace, dal momento che l’essere umano, oggetto di
cura pastorale, non è un’anima ma una persona.
3
Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica
(28 gennaio 2017); discorso alla Conferenza episcopale italiana (16 maggio 2016); intervista a “Il Messaggero” (29
giugno 2014); discorso in occasione dell’incontro con il mondo della cultura (Cagliari, 22 settembre 2013); discorso
all’episcopato brasiliano (Rio de Janeiro 27 luglio 2013); discorso ai vescovi responsabili del CELAM (Rio de Janeiro 28
luglio 2013).
4
Discorso ai partecipanti del V Convegno nazionale della chiesa italiana (Firenze 10 novembre 2015).
5
Discorso in occasione della veglia di preghiera in preparazione al sinodo sulla famiglia (4 ottobre 2014).
2
convinto che nessuno nella chiesa possa sottrarsi al soffio dello Spirito che aleggia sul nostro tempo
(p.150), l’Autore sottolinea che “per rimediare alla malattia mortale dell’accidia pastorale, bisogna
prendere la decisione di restare responsabili di fronte al tempo presente”, assumendo “un
atteggiamento di cristiana fierezza di fronte alle sfide attuali”, nella certezza “che lo Spirito del
Signore guida ancor oggi la sua chiesa” (p. 240).
Sognare in grande (p.149) come grandi sono i pensieri di Dio, pensare coralmente e
collaborare alla gioia del vangelo (p. 8) promuovendo ad ogni livello della vita ecclesiale una giusta
sinodalità 6: è lo stile richiesto a tutti i soggetti dell’agire pastorale della chiesa, dai ministri ordinati, ai
consacrati e consacrate, ai laici (uomini e donne). Questi ultimi da generosi e onesti “collaboratori
dell’apostolato gerarchico” devono diventare sempre di più soggetti corresponsabili (pp.67-68) nella
testimonianza e nella trasmissione del vangelo.
Il libro, strutturato in venti capitoli che a volte richiedono impegno serio nella relativa lettura a
motivo del linguaggio non sempre piano, è scritto per il popolo di Dio, il vero, originario e
fondamentale soggetto della missione della chiesa “nella differenza e complementarietà di carismi,
ministeri e missioni” (p.11).
La testimonianza dei cristiani e la chiesa come testimonianza
Nei primi cinque capitoli sono tratteggiati sfondo e quadro dell’azione pastorale della chiesa di
oggi che, come la chiesa degli apostoli, “richiede l’armonia di molti, la passione di tutti, la sapienza
degli anziani, la solidità degli adulti, la fresca energia dei giovani” (pp.150-151). “Prima delle diverse
figure – vescovi, preti, consacrati, laici, uomini e donne - c’è un punto che ci unisce e precede tutti:
siamo discepoli dell’unico Signore che abbiamo incontrato come la Parola che è e che dà vita”
(p.121). L’idea di fondo è riassumibile nella seguente affermazione: la fede cristiana richiede oggi il
volto riconoscibile della testimonianza adulta e matura di tutto il popolo di Dio che – come ricorda il
testo programmatico di Lumen Gentium n° 9 - ha per capo Cristo, per condizione la dignità e la libertà
di figli e figlie di Dio, per legge il precetto dell’amore, per fine il regno di Dio.
Di conseguenza, la cura pastorale della vita delle persone dovrebbe avere “il suo cuore nella
custodia della testimonianza dei cristiani e della chiesa come testimonianza” (p. 43). Espressione dal
tono vagamente criptico che mi sembra si possa tradurre così: obiettivo fondamentale della cura
pastorale della vita delle persone è quello di plasmare credenti a tutto tondo in grado di assumere,
mediante la testimonianza di vita e la prassi di carità, il decisivo compito di trasmettere, come singoli
ma anche come membri della chiesa, il vangelo del regno annunciato da Gesù ai poveri, ai peccatori e
a quanti giacciono sotto il dominio del male, rendendolo udibile, vero e affascinante per gli uomini e
le donne di oggi. Di qui la necessità di “un corale impegno a promuovere la qualità ecclesiale della
fede” (p.69).
Con la decisa valorizzazione di stile e strumenti realmente sinodali - a partire dalle strutture
quotidiane della chiesa locale, come i consigli pastorali parrocchiali (p. 34) - la categoria della
“testimonianza dei cristiani e della chiesa come testimonianza” potrebbe/dovrebbe far superare “le
artificiose distinzioni della missione della chiesa ad intra e ad extra, magari riservando l’una ai
chierici e l’altra ai laici” (p.43). Una separazione che dura da un millennio, da quando cioè il
Decretum Gratiani ha inventato i duo genera christianorum. E che è ancora ampiamente rappresentata
nelle assemblee cristiane – non solo liturgiche - che vedono per lo più schierati da una parte i chierici
(tutti rigorosamente maschi) in atteggiamento docente e dall’altro i laici – uomini e donne – in
atteggiamento perennemente discente.
Cinque le specificità di questa testimonianza: (a) si alimenta di ascolto della Parola e di
preghiera personale e liturgica; (b) si traduce in una spiritualità robusta che fa crescere una vita nello
Spirito in grado di “colorare” tutte le condizioni reali di vita; (c) ha un particolare riguardo alla
formazione della coscienza morale e alla vita pratica della fede che si misura nella sfida della carità;
(d) si traduce nella capacità di dire una parola e di porre gesti e iniziative forti nei confronti di tutto ciò
che ferisce e viola la dignità umana; (e) sa confrontarsi e dialogare con altre concezioni culturali e
6
Come da raccomandazione di Francesco nel discorso del 26 gennaio 2016 ai partecipanti alla Plenaria della
Congregazione per la dottrina della fede.
religiose presenti in modo sempre più diffuso nel contesto socio-culturale tardo-moderno e
secolarizzato in cui ci troviamo (pp.45-51).
Parola, Sacramenti e Carità: non separabili
Nei capitoli, dal 6 all’11, sono illustrate, in una prospettiva di complementarietà e di armonia,
la pratiche dell’azione pastorale della chiesa d’oggi, secondo la trilogia “annuncio, celebrazione e
carità”.
Poiché l’intima natura di ogni comunità cristiana si esprime nei tre compiti fondamentali dell’
annuncio e dell’ascolto della Parola, della preghiera e della celebrazione dei Sacramenti, dell’esercizio
e della testimonianza della Carità, è fondamentale superare le schizofrenie, al riguardo, tanto diffuse
(p.124) nelle nostre comunità. I tre compiti si presuppongono a vicenda e non possono essere separati
l’uno dall’altro. “In ogni vocazione cristiana – come in ogni missione dei gruppi, delle associazioni,
della chiesa stessa – è necessario mantenere l’armonia tra l’indicazione profetica e la realizzazione
storica, tra il momento in cui si riconosce la priorità e l’assolutezza di Dio nel culto e nella
contemplazione orante e il momento in cui questa assolutezza si fa carne e storia nel riconoscimento
dell’altro” e “nella pratica della giustizia e della carità” (p.135).
“All’inizio dell’agire pastorale sta la Parola, creatrice e salutare, prima di tutte le sue forme
pratiche (evangelizzazione e sacramenti). L’agire pastorale della chiesa, dei credenti con i loro pastori,
sta sotto la sovranità della Parola, mette al centro il vangelo di Gesù” (p. 76). Ne consegue che
un’azione pastorale che non custodisse, non promuovesse e non esigesse per tutti i cristiani un largo e
abbondante accesso alla Parola letta, meditata e pregata, “si condannerebbe alla sterilità delle
chiacchiere e alla babele dei linguaggi” (p. 77).
Quanto ai Sacramenti, la relativa celebrazione deve essere armonica, sobria, curata, serena,
pacata. Da evitare le celebrazioni ripetitive e scialbe (p.114) e da superare il raggelante anonimato
delle nostre assemblee che dovrebbero sempre “rappresentare i molti ministeri che operano nella
parrocchia” (p.115).
Parola e Sacramenti prendono corpo in uno stile di vita fraterna e sororale e nel servizio ai
poveri. Domanda: “per come vive la sua fede, l’annuncio, la celebrazione, la guida delle comunità, la
gestione delle sue risorse e dei suoi beni, la chiesa si lascia ancora inquietare dai poveri ?” (p.129).
“Per la carità si esige coralità, gioco di squadra, investimento comune, convergenza di forza, unità di
risorse. Ma soprattutto ci è chiesto di stare con i poveri, o meglio di farli abitare presso di noi, nel
senso che non può esistere una chiesa dalla doppia vita – quella dell’efficienza, delle megastrutture e
dei progetti faraonici e quella che poi dà una mano agli altri” (p.139).
Rivisitazione di alcuni temi del servizio pastorale
I capitoli, dal 12 al 20, propongono una rivisitazione di alcuni temi del servizio pastorale di
particolare rilevanza – dalla iniziazione cristiana alla pastorale giovanile e alla confessione, dal
matrimonio alla pastorale familiare e alla benedizione delle famiglie, dalla visita agli ammalati alla
celebrazione del funerale - che fanno emergere la specificità del ministero presbiterale, nella rinnovata
consapevolezza che esso debba collocarsi in una comprensione essenzialmente sinodale della chiesa,
dove tutti – vescovi, presbiteri e religiosi/e, laici e laiche -, avendo qualcosa da imparare, stanno gli
uni in ascolto degli altri e tutti in ascolto dello Spirito Santo 7.
Urgente la promozione di una pastorale integrata. “Bisogna che tutti i soggetti siano capaci di
ascoltare, immaginare, pensare e agire insieme: l’annuncio deve aprirsi al sacramento, la liturgia deve
alimentarsi all’evangelizzazione, annuncio e celebrazione devono edificare la comunione e la carità, la
vita cristiana non può non aprirsi al mondo. C’è un’immanenza reciproca di annuncio, sacramento e
carità, che ne fa un sistema a vasi comunicanti, perché nell’uno deve circolare la linfa vitale dell’altro”
(p.147).
Andrea Lebra
7
Come auspicato da papa Francesco nel discorso del 17 ottobre 2015, commemorando il 50° anniversario dell’istituzione
del sinodo dei vescovi.
«La porta della Misericordia
resta sempre spalancata»
Soli restarono lui e lei;
restò il Creatore e la creatura;
restò la miseria e la misericordia
(Sant’Agostino)
QUARESIMA
CARITÀ
2017
DI
Durante la Quaresima una
parrocchia, una UPM o un
Vicariato possono scegliere
di fare uno o più incontri
sui seguenti temi:
1. ACCOGLIENZA
Un incontro sul Progetto
“Rifugiato a casa mia”, per
focalizzare il tema attuale della
migrazione e per intravvedere
scelte e risposte concrete sul
nostro territorio;
2. MISSIONE
Un incontro sul Ciad, dove
il progetto di una scuola da
costruire diventa occasione
per narrare un’esperienza
diocesana di circa 30 anni;
3. MISERICORDIA
Un incontro su un’Opera
di Misericordia Spirituale,
occasione per crescere e
educarci alla riconciliazione
delle relazioni.
P ER
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI
MAIL: [email protected]
TEL: 0321/627754